29.9.23

Possiamo davvero fidarci degli altri? ne parliamo con cristian porcino alias il filosofo impertinente

interesante     questa lezione  di   Cristian  porcino  . 

  

che  ci mette  d'innanzi  al  classico  dubbio  fidarsi o  non fidarsi degli altri   ? 


I fans del cattivo maestro il generale Vannacci - Minacciano , di morte, un docente dell'Università di Cagliari per aver criticato sui social il discusso libro

 lo so che non avrei parlato di #vannacci e i suoi fans . per non dar loro ulteriore visibilità . Ma quando qui si tratta di un brutta clima . Fortunamente non si è arrivati a sparare o a mettere bombe . Ma le premesse ci sono . E se si continua cosi si passa dalle #shitstorm \ #tempestadimerda insomma denigrazione ed minacce poco ci manca .



Critica il libro di Vannacci, minacce di morte a docente

© Provided by ANSA

(ANSA) - CAGLIARI, 28 SET - Minacce, anche di morte, a un docente dell'Università di Cagliari per aver criticato sui social il discusso libro del generale Roberto Vannacci. "Te ne devi andare dall'Italia, tu e tutti i depravati come te, prima che apriamo la caccia...meglio che lo fai con le tue gambe da in piedi". È il post più pesante pubblicato sulla sua bacheca dopo aver contestato il libro dello scrittore-militare Per questo il rettore dell'Università di Cagliari, Francesco Mola, e il direttore generale dell'ateneo, Aldo Urru, a nome di tutta la comunità universitaria, hanno espresso la loro "piena e incondizionata solidarietà al collega Massimo Arcangeli pesantemente minacciato nell'esercizio della libera espressione di pensiero e di parola".Il docente, ordinario di Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche, che era stato il primo firmatario di una petizione alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni contro il testo di Vannacci, ha già annunciato di aver dato mandato al suo legale di denunciare il titolare del profilo alle forze di polizia, insieme ad altri autori di commenti minacciosi. "Seguiranno la stessa sorte nei prossimi giorni, tutti quelli che hanno provato a intimidirmi con le armi della diffamazione, della denigrazione e dell'offesa personale", afferma Arcangeli.

L'ateneo è con lui. "L'Università di Cagliari - si legge nel comunicato - è da sempre luogo inclusivo e mai divisivo di ideali, progetti, idee e opinioni, un luogo di confronto aperto e libero nel quale ognuno deve sentirsi al sicuro e protetto al di là dei propri orientamenti di tipo politico, religioso, culturali o di genere. Lo stesso senso di sicurezza e protezione deve avvenire nel contesto sociale in cui viviamo e per il quale l'Ateneo svolge un importante ruolo di disseminazione e diffusione di princìpi costituzionalmente sanciti, fondati sull' eguaglianza e sulla libertà. Pertanto, non possiamo fare altro che condannare gesti o parole di tale viltà che hanno come unico obiettivo minare alla base la nostra istituzione e la società civile in cui operiamo". (ANSA).



Né con l’Antimafia,né con Messina Denaro: souvenir d’ Italie di Pierluigi Raccagni

 Da Castelvetrano condoglianze per la morte di Messina Denaro,ma anche senso di liberazione di una parte della popolazione.La morte dell’ ultimo dei padroni – padrini stragisti di Cosa Nostra,primula rossa per decenni a due passi da casa , è stata divisiva,come tutto in Italia.Che Cosa nostra abbia comandato politici,uomini delle istituzioni,gente comune per decenni c’è pure sui libri di scuola.

Così come sui libri di scuola vengono giustamente esaltate le figure di Falcone e Borsellino e dei servitori leali dello stato.Vengono pure ricordate quelle di Peppino Impastato,Mauro Rostagno  (  foto  a  sinistra  )  , e le centinaia di cittadini trucidati per essere stati contro il crimine organizzato mafioso,padronale,reazionario.
Ma la presenza militante-militare della mafia soprattutto in quattro regioni,Sicilia.Campania,Calabria e Puglia,non vuol dire che il fenomemo.non si estenda in tutta la penisola,nei paradisi fiscali,in società al di sopra di ogni sospetto.Ciò ha creato un alibi per il malgoverno,ma ha pure palesato quello che dicono parecchi studiosi e intellettuali del fenomeno.Il fenomeno mafioso, l’ antistato per definizione, ha sempre esercitato un fascino per chi vede nelle istituzioni una mafia in guanti bianchi e chi opta per la vera mafia,quella di una volta, iconografata da Marlon Brando e Al Pacino.Quanti uomini dello stato sono stati collusi con la mafia? Si parla di Berlusconi,Previti, Andreotti.Lima solo perché si è comunisti? Una certa mafia è stata combattuta e vinta,come un certo fascismo .Anche se uomini dello stato hanno massacrato uomini fedeli alla Repubblica antifascista.Ma la zona grigia del” né con lo stato, né con la mafia” convive nella corruzione italiota.

amore e fedeltà al tempo d'internet e dei social

ricolleganomi   allo scritto per  questro blog  di  margherita  todesco   ecco  dai social  (  a  volte  capita  di trovarci qualcosa  d'interessante   )   uno  spunto  che  lo  conferma  e  lo approfondisce  . 

  dalla  comunity  facebook 

  Utopia. 22 h

 
Mia moglie dormiva accanto a me e improvvisamente ho ricevuto una notifica di Facebook, una donna mi ha chiesto di aggiungerla.
Così l'ho aggiunta. Ho accettato la sua richiesta di amicizia e le ho inviato un messaggio chiedendole: "Ci conosciamo?.
Lei ha risposto: "Ho sentito che ti sei sposato ma ti amo ancora".
Era un'amica del passato. Era molto bella nella foto. Ho chiuso la chat e ho guardato mia moglie, dormiva profondamente dopo la sua faticosa giornata di lavoro.
Guardandola, stavo pensando a come si sente così al sicuro da poter dormire così comodamente in una casa nuova di zecca con me. È lontana dalla casa dei suoi genitori, dove ha trascorso 24 anni circondata dalla sua famiglia.
Quando era sconvolta o triste, sua madre era lì per farla piangere tra le sue braccia. Sua sorella o suo fratello raccontavano barzellette e la facevano ridere. Suo padre tornava a casa e le portava tutto ciò che le piaceva, e anche così si fidava molto di me. Mi sono venuti in mente tutti questi pensieri, quindi ho preso il telefono e ho premuto "Blocca".
Mi voltai verso di lei e mi addormentai accanto a lei. Sono un uomo, non un bambino. Ho promesso di esserle fedele e lo farò. Combatterò per sempre per essere un uomo che non tradisce sua moglie e non distrugge una famiglia.

Giandomenico, l’uomo che sussurra ai cani. «Con loro sento di avere tutto» Di emiliano Morrone

 

Una vita dedicata ad aiutare i cuccioli. Il racconto dell’impegno di un trentenne di Cerenzia. «Spendo i miei soldi per quest’opera del cuore»

Comunicare con gli animali è un’arte, ricorda la letteratura insieme al cinema. Nel romanzo “L’uomo che sussurrava ai cavalli”, poi trasposto per il grande schermo, il protagonista Tom Booker guarì il destriero Pilgrim e la padrona Grace, vittime di un incidente molto grave. Nel film “Balla coi lupi”, tratto dall’omonimo racconto, il tenente John Dunbar ammansì un lupo, divenne suo amico e lo nominò «Due calzini». Anche in ambito religioso ci sono vicende simili, di affezione reciproca. Il mite Francesco d’Assisi chiamava «frate» il lupo di Gubbio e, secondo una leggenda, l’abate Gioacchino da Fiore, confessore dell’imperatrice Costanza d’Altavilla, ascoltava e capiva i propri buoi

Nel 2018, l’ambientalista Kevin Richardson, capace di parlare con i leoni e di abbracciarli come figli, creò una fondazione per proteggere e studiare vari felidi. In contrada San Lorenzo di Caccuri, nei pressi di Cerenzia, il trentenne Giandomenico Oliverio, massiofisoterapista, ospita una quarantina di cani randagi che ha salvato da fame, freddo e malattie. Il giovane li ha raccolti per strada o per boschi, valli, dirupi. Li ha trovati smagriti, spaventati, confusi; talvolta sospettosi, pieni di pulci, ferite, vermi delle mosche. Allora li ha presi con sé, ha dato loro cure, cucce e libertà, nella sua dimora di campagna che sovrasta i ruderi di Acheronthia e affaccia sullo Ionio crotonese. Il ragazzo conosce carattere, abitudini e bisogni dei suoi amici a quattro zampe, cui assicura cibo, acqua ed assistenza, anche dal veterinario. 
Nella proprietà della famiglia, Giandomenico abita da solo. La sua vita domestica si svolge in pochi metri quadri, in una roulotte attrezzata davanti a una colonica che ha riscattato dai parenti e sta ristrutturando con i propri risparmi. «Sto qui – dice – dal 2021. Durante la pandemia non potevo muovermi, non riuscivo più a occuparmi dei cani abbandonati dai rispettivi padroni e quindi mi sentivo perduto, spento, impotente. Scelsi di trasferirmi in questo posto e mi rimboccai le maniche. Grazie all’aiuto di papà e mamma, realizzai spazi adeguati e una recinzione a prova di cinghiale. Con tanto sacrificio, creai le condizioni per rimanere a San Lorenzo insieme ai cani, una decina, che custodivo nel garage della casa dei miei genitori. Poi ne ho accolto molti altri. Da me è un viavai di cani, tra quelli che ricevo, quelli che recupero in giro e quelli che dono a persone sensibili. Credimi, sento di avere tutto: la gioia, la terra, un compito definito e una pienezza indescrivibile». 

Giandomenico lavora in una clinica privata dalle ore 9 alle 17. La mattina, spiega, si alza alle 5, va a salutare i cani, verifica se stanno bene, li abbevera e ci dialoga. Ne ha imparato il linguaggio e si rapporta con gli sguardi, i gesti, i toni giusti. Sa capirli e farsi comprendere. Gli basta poco per interagire con loro, per intuirne stati d’animo e necessità. Dopo carica la macchinetta del caffè e si sistema per uscire. Al suo ritorno, verso le ore 18,30, il giovane ricontrolla i cani e interviene, se occorre, con antiparassitari e trattamenti di primo soccorso. Poi li fa mangiare e in seguito prepara la cena per sé. «Vado a dormire più o meno a mezzanotte, perché – precisa Giandomenico – i cani sono parecchi e non posso trascurarli. Nel tempo residuo, mi dedico alla coltivazione di ortaggi e consumo ciò che produco. Spendo i miei soldi per quest’opera del cuore e per ricuperare la colonica qui accanto. Nei fine settimana parto spesso per il Nord. In diverse città calabresi prelevo dei cani da affidare in adozione. Arrivo la domenica mattina a Bolzano, a Genova, a Milano e non solo. È la staffetta cui partecipo con altri volontari: viaggio con un camioncino, consegno i cani al nuovo padrone, rientro in Calabria, riprendo il mio furgone e rincaso. Sono almeno 2500 chilometri ogni volta». 

La vita di Giandomenico è fatta di rinunce: agli amici, a una compagna, alle serate in comitiva, al successo, al denaro, al senso di vuoto. Il giovane preferisce la natura, l’agricoltura, un lavoro per campare e il servizio gratuito insieme ad altri volontari cinofili, pure di altre regioni. «Abbiamo costituito una grande rete di solidarietà. C’è chi mi spedisce sacchi di croccantini; chi – aggiunge il ragazzo – mi rimborsa parte delle spese affrontate per il cane che ha adottato; chi, con piccole ma utili donazioni, sostiene nel silenzio i nostri sforzi quotidiani. Non faccio conti. A livello economico ci perdo sempre, ma vengo compensato dall’affetto degli animali che vedi qui attorno».
Otto anni fa Giandomenico ebbe a Montescuro, nella Sila Grande, il primo incontro con un cane abbandonato. «Facevo il cameriere – ricorda – ed eravamo in piena stagione. Una cagnetta venne da me, non so per quale motivo. Forse presagì che l’avrei aiutata. Appariva morta di fame, malconcia, triste, disorientata. Mi entrò nel cuore, le procurai del cibo e infine l’adottai. Questa è la storia di Zoe. Molto più in là, con mia madre trassi in salvo una femmina di Corso abbandonata ed irrequieta che non voleva farsi avvicinare. Con calma e pazienza la rassicurai e la tenni con me. Dopo qualche mese, la portai in provincia di Bolzano, da una famiglia stupenda cui era morto un cane. Questi signori non volevano un sostituto, ma dopo un po’ si innamorarono della povera sventurata, la vollero a casa e la chiamarono Karma, non a caso. Ogni tanto vado a trovarli ed è una festa bellissima: loro sono felici, Karma fiuta il mio arrivo e comincia a correre ed abbaiare come se stesse ballando e cantando. È incredibile il sesto senso degli animali e ci fa riflettere su come siamo ormai ridotti, chiusi nella mondanità, nell’egoismo e nell’indifferenza del presente».
C’è ancora un’umanità da riscoprire, a portata di mano: al di là delle convenzioni e delle abitudini dominanti; appena fuori dal mercato, dai consumi, dagli inganni del mondo virtuale. (redazione@corrierecal.it)

28.9.23

LE BASI NATO USANO LA SARDEGNA COME SPAZZATURA E SPERIMENTAZIONE PER LE LORO ARMI AD URANIO IMPOVERITO MA AL GOVERNO ITALIANO NON IMPORTANTA DELLE CONSEGUENZE SULLA POPOLAZIONE

"Terra a perdere" è un documentario polifonico che vuole dare voce a quanti in Sardegna subiscono i danni delle basi militari e non trovano eco. Un reportage che ha richiesto due anni di lavoro e che
spesso si è scontrato con la stanchezza di chi da accusatore è diventato accusato e non ha più voglia di parlare. Allo stesso tempo, registra un forte fermento culturale, giovane e alternativo, pronto a prendere in mano i temi della protesta. A novembre 2021 il tribunale di Lanusei ha assolto i generali che si sono succeduti a capo del poligono militare di Quirra (il PISQ) tra il 2002 e il 2010 e che erano a processo per "omissione dolosa aggravata di cautele contro infortuni e disastri". A distanza di due anni, le motivazioni che hanno portato a questa decisione non sono ancora note, nonostante la legge italiana preveda la pubblicazione entro 3 mesi. Di dominio pubblico però ci sono i numeri: secondo la relazione di minoranza presentata alla Commissione parlamentare d’inchiesta sull’uranio e i poligoni dal deputato ed ex presidente di Regione Sardegna, Mauro Pili, sono 168 i pastori e i militari che si sono ammalati di tumori emolinfatici intorno alla base.Oggi sono quasi tutti morti. Indipendentemente dall’esito giudiziario, le indagini hanno permesso di aprire una finestra sulle attività segrete che si svolgevano all’interno del PISQ. Come le esercitazioni con i missili Milan, la cui pericolosità era nota dagli anni ’90 perché impiegavano tracciatori radioattivi al torio; o lo smaltimento di armi e munizionamento obsoleto tramite interramento ed esplosione. Pratica che sollevava colonne di fumo alte centinaia di metri e disperdeva nell’aria nanoparticelle di metalli pesanti.Un cocktail letale che chiamano inquinamento bellico. Nulla l’inchiesta giudiziaria ha potuto svelare sui test che, ancora oggi, le maggiori multinazionali effettuano sui nuovi armamenti. Su questo c’è il segreto più totale. Anche riguardo ai pericoli che potrebbe correre la popolazione. E con la fine del processo sui veleni di Quirra è calato nuovamente il silenzio su queste tematiche. In attesa dell’apertura, a gennaio 2024, del procedimento per "disastro ambientale colposo" che vede alla sbarra cinque generali che si sono avvicendati al comando del poligono di Capo Teulada.


 Inizialmente a ***** che me lo avete proposto dissi : << bello . ma niente di nuovo sotto il cielo . grazie comunque >>. Poi pero L’ho rivisto altre due volte e ci ho trovato  un discorso molto ben articolato, con alcune nuove forti testimonianze tra cui quella del generale Fabio Mini che va proprio al cuore del problema individuando la non volontà di risolverlo ne’da parte dello Stato italiano ne’ da parte della Nato, gli unici due attori che potrebbero farlo. E poi viene amaramente sottolineata la colpevole indifferenza della maggior parte dei Sardi.  Infatti per  noi  sardi  non sarà niente  di nuovoma  è importante  che    se  ne parli  anche se  al  vento   piuttosto  che  stare  zitti e  complici  come  la  vignetta  di altan usata  come  foto  del 

FACEBOOK... di margherita todesco



Mi piace.
Non mi piace.
Pollice su.
Pollice giù. Anzi, nessun pollice, nemmeno una faccina.
Erano giorni che continuavo a sfogliare il maledetto "Faccialibro" senza trovare la versione di te che mi andava a genio.
Una ricerca estenuante che mi aveva spossato anima e corpo.
Ero esausto.
Tu mi tenevi la mano, e io sentivo il pulsare del tuo cuore fluire lungo il mio corpo come un piccolo martello pneumatico.
La tua pazienza mi stupiva.
Distesa sul divano da giorni senza dire una parola, senza mai lamentarti, una santa.
Lo facevi perché mi amavi, e volevi che io trovassi la versione migliore di te, quella da amare... per sempre.
Ma io non ero convinto.
Ogni volta che giravo una pagina del "Faccialibro" trovavo qualcosa di nuovo in te, qualcosa che non avevo mai notato prima, e che mandava a rotoli tutto quanto avevo costruito sfogliando quel maledetto libro.
Cosa volevo, in realtà?
Non lo sapevo.
E tu, cosa volevi?
Me, l'unico uomo della tua vita.
Lo avevi ripetuto migliaia di volte.
E allora di cosa stavamo parlando?
Perché non la facevo finita?
Tu mi amavi, io invece... non lo so... forse ti amavo, forse ti volevo bene come si vuole bene a una sorella.
Poi era arrivato "Faccialibro", e la possibilità di cambiare, anche se di poco, era diventata realtà.
E io mi ero detto che forse quel "quid" che mancava potevo trovarlo lì, tra le sue pagine piene di facce felici.
Te ne avevo parlato e tu avevi accettato senza nemmeno chiedere il perché di questo strano esperimento.
Ancora una volta lo avevi fatto (e lo stavi facendo) per me.
Girai l'ultima pagina del libro e mi ritrovai davanti un foglio bianco, anzi, bianchissimo, di un candore che non avevo mai visto prima.
- Che c'è - dicesti. - Perché ti sei fermato?
Non risposi.
- Amore?
Sospirai. - E' finito.
Mi stringesti ancora di più la mano. - Intendi il libro?
Annuii.
- E adesso?
Evitai di nuovo di rispondere e richiusi "Faccialibro".
Lo appoggiai sul divano.
- Devo andare - dissi.
- Dove?
- Via.
- Via, dove?
Ti presi la testa tra le mani e mi allontanai da te, la riappoggiai sul divano con delicatezza.
- Dove vai? - ripetesti, mettendoti a sedere a fatica dopo le ore passate distesa.
- E' finita - sussurrai, cercando di convincere me stesso che le cose stavano davvero così.
- Perché?
- Avevamo fatto un patto: se non avessimo trovato la soluzione lì dentro - indicai il libro abbandonato sul bracciolo del divano, - avremmo fatto calare il sipario sulla nostra storia.
Ti vidi sospirare, mentre le prime lacrime presero a solcarti il viso.
- Sì, lo avevamo detto - dicesti, dopodiché ti tirasti su e ti dirigesti a grandi passi verso la cassettiera.
La apristi e, quando ti girasti di nuovo verso di me, in mano tenevi un libro, un "Faccialibro".
- Che diavolo... - borbottai.
Ti vidi sorridere, aprire il libro e fissare la prima pagina dove, in bianco e nero, una faccia simile alla mia ricambiava il tuo sorriso.
- Peccato - sussurrasti.
Strap!
La pagina cadde a terra, e un dolore terribile alla testa mi trafisse da parte a parte.
Poi fu la volta della seconda pagina, e poi della terza, della quarta e così via.
Morii poco dopo, dalle parti di pagina trentatré, avvolto da dolori lancinanti.
- Ti amo - sussurrò la donna rivolgendosi al silenzio della stanza.
Poi recuperò il libro dal bracciolo del divano pieno di sue facce, anche se leggermente diverse, e riprese a strappare.

Caivano, la carabiniera Francesca Boni ha convinto le vittime a parlare: “Le due bambine cercavano l’aiuto di qualcuno”

 I  fatti  di caivano   hannno  anche un altro   protagonista       si  tratta  di  una marescialla  di  23  anni   che  ha   ascoltrato le bambine  e  le  ha  invitate  ad  aprirsi 

 da   repubblica   del  26\9\2023

La marescialla di 23 anni ha seguito i corsi del Codice rosso. “Ero lì


da appena una settimana ed era la mia prima esperienza territoriale, ho cercato di schermare tutto quello che stavo provando”


«Ho cercato di metterle a loro agio spiegando che si trovavano in un posto sicuro e che non dovevano avere paura di raccontare come erano andati i fatti perché eravamo lì per aiutarle, non per giudicarle. La bambina più grande è rimasta la maggior parte del tempo silenziosa, mentre la più piccola era più loquace, più lucida. Al comandante ho riferito che era molto razionale per avere 10 anni: è come se fosse cresciuta prima del dovuto. Mancava di quella spensieratezza che è propria dei bambini di quell’età».Francesca Boni, romana di 23 anni, è il maresciallo dei carabinieri che è riuscita ad aprire un varco nella corazza di disperazione eretta dalla due bambine vittime degli stupri di gruppo a Caivano. Uno scricciolo in divisa innamorata dell’Arma, che con pazienza, sensibilità e tanta professionalità ha saputo trovare le corde giuste per aiutare le due bambine a raccontare il baratro in cui erano finite anche grazie alla stanza di ascolto, una delle tante che i carabinieri hanno allestito nelle caserme per le vittime di abusi.

Come ha fatto?

«L’interesse è venuto in primis dalle bambine stesse: mi hanno visto giovane donna, una figura femminile in una caserma. Ho 23 anni, ma in abiti civili posso sembrare anche più piccola. Ho dato loro dei cioccolatini, una bibita e hanno chiesto di parlare con me in privato. Le ho accolte nella “stanza tutta per sè” che abbiamo in caserma a Caivano, un ambiente familiare, sembra un salottino, non è un ufficio pieno di carte. Qui evidentemente si sono sentite molto più a loro agio. Non ho fatto domande perché si vedeva che avevano qualcosa dentro che volevano dire e avevano paura di riferirlo ai genitori. Ritengo che, se ai familiari non fosse arrivato quel messaggio, le due bimbe non avrebbero mai parlato spontaneamente».

Hanno avuto più facilità parlare con lei che con i genitori?

«Penso di sì. Magari un genitore è preso emotivamente dalla questione e può avere delle reazioni come rabbia, spavento che un bambino non sa filtrare».

Lei è un carabiniere, ma non deve essere stato semplice mantenere il controllo davanti a questo orrore...

«A scuola veniamo formate per situazioni del genere e seguiamo corsi specifici sul “codice rosso” e sulla violenza di genere e sulle situazioni sensibili. Ma quando ci si trova davanti alla realtà dei fatti, davanti a persone che hanno subito delle cose così potenti, situazioni così difficili, certo il carico emotivo è grande. Nel momento in cui queste bambine mi raccontavano le vicende sicuramente dentro di me ho provato tantissime emozioni. Ma ho cercato di schermare tutto quello che stavo provando perché dobbiamo essere professionali e anche empatici e mettere nelle condizioni queste persone sensibili nel sentirsi sicure di raccontare quello che hanno subito senza sentirsi giudicate, spaventate».

Si immaginava una situazione di così alto degrado come quella che si vive da anni nel Parco Verde di Caivano?

«Queste situazioni si conoscono un po’ per sentito dire un po’ perché ci informiamo attraverso i giornali. Però a volte pensavo che queste situazioni avvenissero soltanto nelle fiction, nelle serie tv. Ho scelto di venire in Campania, è stata la mia prima destinazione, proprio perché volevo vivere una realtà importante per il mio lavoro. Certo, non mi immaginavo come primo “codice rosso una questione così delicata e ho cercato di essere il più professionale possibile. Ero lì da appena una settimana ed era la mia prima esperienza territoriale, dopo essere entrata nei carabinieri il 5 novembre 2020 e dopo la scuola. A Caivano sono da tre mesi».

Cosa le lascia questa vicenda?

«Sicuramente mi ha segnata. Anzi, è meglio dire che sicuramente non me la dimenticherò mai. Mi piacerebbe lavorare ancora per tutelare le fasce deboli».

Con le bambine come si è lasciata?

«Le bambine si erano molto tranquillizzate io le ho lasciate dando una carezza ad entrambe sulla spalla. Mi sono avvicinata a loro dicendole di stare tranquille perché da quel momento in poi l’Arma dei carabinieri sarebbe stata loro vicine. Ho fatto capire che ogni volta che sarebbero entrate nella caserma di Caivano o in qualsiasi altra si sarebbero dovute sentire al sicuro. All’inizio erano molte spaventate perché essendo così piccoline non capivano neanche la situazione. Vedevano molte attenzioni ricadere su di loro, ma non riuscivano a capire costa stava accadendo né come gestire la vicenda perché non erano neanche nella preadolescenza. Mi sono sentita una sorella maggiore. Ho una sorellina più piccola di 5 anni e sono sempre stata abituata a proteggerla a darle consigli e questo mi è venuto naturale».

Cosa pensa dei ragazzi indagati e del disprezzo assoluto dimostrato verso le due bambine?

«Spero che in qualche modo possano ravvedersi e intraprendere un cammino diverso, lontano da contesti degradati e, soprattutto, spero per le due piccole che possano dimenticare questo terribile capitolo della loro vita».



27.9.23

La fotografa ILaria Facci ipovedente che ascolta e regala ritratti agli sconosciuti: "C'è tanto bisogno di aprirsi"



Un tavolo, una macchina fotografica e un cartello: "Ti ascolto e ti fotografo gratis".È partito

così, al Parco Delle Valli di Roma, il progetto della fotografa Ilaria Facci.Tre giorni alla settimana chiunque può sedersi davanti a lei e raccontare qualcosa di sé. In cambio un ritratto fotografico. E soprattutto l'ascolto, in un esperimento di empatia, condivisione e dialogo. E' questo  il bellissimo  esperimento antropologico   \  fotografico  di  

info sul progetto: Buon pomeriggio
orrei raccontarvi il mio nuovo progetto sociale: "Ti ascolto, e ti fotografo", evento gratuito, aperto a tutti, al parco delle Valli a Roma
A partire da domani, domenica 10 settembre e per tutto il mese, quasi ogni giovedi, venerdi, sabato e domenica 9 NO DOMENICA 17 SETT) mi troverete al parco dalle 17,30 alle 19, nel settore vicino al centro anziani, con la mia macchina fotografica ( e un cartello che lo segnali!).
Chiunque voglia potra' passare a farsi ritrarre, a patto che prima mi dedichi qualche minuto per farsi conoscere: il mio lavoro sara' ascoltare, qualunque cosa mi voglia raccontare; al limite porre qualche domanda.
Tutto quello che verrà detto resterà tramutato nel silenzio della stampa fotografica.
Poi, sempre se la persona lo vorra', mi dedicherà qualche altro minuto per fargli qualche ritratto fotografico.
Il progetto nasce con l'intento di inclusione a 360 gradi, quindi sia fisica che emotiva, propone un "abbraccio" simbolico attraverso lo strumento potentissimo della fotografia, ecco perche' l'ascolto (che coinvolge la mente) e lo scatto (che coinvolge la persona che indossa il suo corpo).
Ogni partecipante potra' poi ricevere una stampa nel formato 15 x 20 cm (che potra' passare a prendere la settimana dopo, sempre al parco), anche questo e' completamente gratuito.
Info tecniche:
-Gli incontri si possono prenotare (basta scrivermi), oppure e' in ordine di arrivo.
-Il partecipante dovra' firmare una liberatoria che mi permetta la pubblicazione della sua immagine per comunicare il mio lavoro o l'iniziativa o iniziative similari.
- La stampa cartacea in omaggio viene consegnata solo nel parco, circa 7 giorni dopo le foto.
-verrà richiesto di lasciare un recapito
-nel caso di minori dovranno essere presenti i loro genitori tutto il tempo
-Per chi volesse vedere i miei lavori per avere dei riferimenti, ecco il mio link a ig: https://www.instagram.com/ilaria.facci.artist/
(sul mio profilo ig troverete, nelle stories, tutti gli aggiornamenti dell'iniziativa)
Grazie a voi tutti!




"L'accordo è che io non racconterò ciò che ci siamo detti - spiega Facci - ma restituirò quelle emozioni solo tramite la fotografia che poi stampo e regalo ai soggetti ritratti. Ma al di là del futuro di questi scatti, che possano diventare o meno oggetto di una mostra, le storie straordinarie di persone comuni fino a quel momento per me sconosciute sono il centro degli incontri.
Ci vuole tanto coraggio ad aprirsi e, a giudicare dalle risposte che sto ottenendo, evidentemente la gente ha tanto bisogno di aprirsi".
Quello di Ilaria Facci è un viaggio molto particolare nella fotografia: lei infatti è ipovedente a causa di un retinoblastoma riscontrato da bambina e scovato proprio grazie a uno scatto. "Ho detestato la fotografia finché ho iniziato a scattare. E ora la macchina è il mio secondo occhio".

le botte si danno ai sacchi . Luciana Germano, ex modella, lo insegna nei corsi di kickboxing, disciplina che l’ha aiutata a rinascere dopo un amore malato.

Quest'articolo    conferma e  amplifica   la  lezione  di  Cristian   porcino  alias   filosofo impertinente  sula  rabbia   tebnuto   tempo  fa    su queste  pagine  .  La  storia     che riporto  oggi     viene  da  
da F rivista femminile n 39 2 ottobre 2023

                               DI MARZIA POMPONIO


       

 Luciana Germano, ex modella, lo insegna nei corsi di kickboxing, disciplina che l’ha aiutata a rinascere dopo un amore malato. Campionessa europea, ha dedicato la vittoria alle donne che come lei hanno subito violenza. «Ragazze, ribellatevi. E chiedete aiuto dopo un amore malato. Campionessa europea, ha dedicato la vittoria alle donne che come lei hanno subito violenza. «Ragazze, ribellatevi. E chiedete aiuto» «Va bene, faccio come vuoi, adesso portami a casa», dico al mio ragazzo. Anche stavolta abbiamo litigato per un motivo banale. Mi stava riaccompagnando in auto, quando tutto a un tratto ha imboccato una stradina secondaria, spento il motore e con una furia cieca si è avventato contro di me, tirandomi schiaffi e pugni. Non sono state le mie urla a farlo smettere, ma una macchia di sangue sul mio vestito. Poi ha rimesso in moto come se nulla fosse accaduto. È la prima volta che arriva a tanto ma in altre occasioni l’ho visto infuriarsi e prendere a calci tutto ciò che aveva intorno. Aveva già alzato le mani, mai sul viso però. La nostra relazione dura da poco più di un anno, vorrei interromperla, ma ho paura. Ho 17 anni. Non è l’amore che sognavo. BASTA SFILATE Frequento ragioneria a Gela, ho quindici anni e da poco lavoro come modella per un’agenzia. Mi piace questo mondo, è il mio sogno, ma a Marco non va che la sua ragazza sfili facendosi guardare dagli altri. Pretende che io smetta. Lo accontento. La sua gelosia tuttavia è sempre più morbosa. Quando non siamo insieme mi manda messaggi per sapere dove sto e con chi. Anche se esco a fare la spesa pretende che gli invii le foto dal cellulare per vedere come sono vestita. Mi allontana dagli amici, posso frequentare solo i suoi. I litigi diventano frequenti. Ogni discussione segue lo stesso copione: tento invano di fare valere la mia opinione, lui mi aggredisce verbalmente e fisicamente, infine cedo con il solito «Va bene, faccio come
dici», facciamo la pace, e poi si ricomincia al successivo litigio. «Dobbiamo chiudere la relazione. Mi fai arrabbiare troppo. Mi stai rovinando la vita». Il suo messaggio arriva la mattina del mio diciottesimo compleanno. Piango, di rabbia. Non doveva farlo in questo giorno importante. Al tempo stesso mi sento sollevata, finalmente libera. «Non stare chiusa in casa. Esci, trova qualche attività che ti distragga», mi suggeriscono gli amici. Alterno tre lavori, mi iscrivo a scuola guida e in palestra. Un giorno, mentre mi alleno con gli attrezzi, vedo un corso di Muay Thai nella stanza accanto. «Puoi provare. Magari ti piace», mi dice il maestro che mi vede sbirciare sulla porta, incuriosita. Gli sorrido. «Va bene». Inizia la mia seconda vita. RINASCO COI GUANTONI La kickboxing è il mio sfogo, la palestra il mio rifugio. Solo tre mesi dopo il maestro mi fa salire sul ring per il mio primo match, una tappa che solitamente si raggiunge dopo circa un anno di allenamento. Ci sono poche donne in questa disciplina ancora non molto di!usa in Italia, di conseguenza a!ronto da subito le più forti. «Fai la modella, questo sport per animali non fa per te. Lascia stare. Non arriverai mai in alto», mi sento dire in famiglia e dagli amici, che mi vedono troppo gracile e timida. L’unico a incoraggiarmi e a credere in me è il mio maestro, Antonio Greco, che sarà fondamentale per la mia carriera ma anche per ritrovare l’amore, visto che diventa il mio compagno. Da dilettante passo in poco tempo ai colpi più pesanti, fino a diventare professionista e a combattere senza protezioni. A luglio 2021 gareggio per il titolo italiano, ma non lo vinco. Ci riprovo l’anno dopo. Fuori casa, a Roma. E questa volta ce la faccio, imponendomi nella categoria 55 chili sulla detentrice del titolo Anna Rotatori. Incredula, sul ring alzo la cintura al cielo. È la mia risposta a chi mi diceva «non ce la farai mai». Lo scorso agosto, con una quarantina di match alle spalle, conquisto il titolo europeo. Questo premio lo dedico alle donne. Sono stata anch’io vittima di violenza. A loro voglio dire: trovate la forza di ribellarvi, di rivolgervi a qualcuno e parlare», dico sul podio. RAGAZZE, RIBELLATEVI Per la prima volta, in un’intervista, parlo della violenza subìta che non avevo mai raccontato, sia per la volontà di lasciarmela alle spalle, sia per timore del giudizio. Le mie dichiarazioni diventano virali sui siti e sui social. Nella palestra dove insegno sono già da tempo punto di riferimento per molti ragazzi vessati dal bullismo. Ora anche tante donne mi confidano di avere vissuto la violenza in casa. Sono anche promotrice dell’associazione The Shadow Project, fondata dalla pluricampionessa mondiale di kickboxing Gloria Peritore: tramite eventi gratuiti per le donne si vuole dimostrare che gli sport da combattimento possono migliorare la vita delle persone, attraverso l’empowerment e la sensibilizzazione. In più esiste lo sportello d’ascolto on line, (ascolto@theshadowproject.it). Gestito da psicoterapeuti, o!re orientamento a tutte quelle donne che non sanno come fare il primo passo per reagire a una situazione di violenza. Perché, come insegno nei miei corsi, le botte si danno solo ai sacchi

quando a giustizia non è riparativa . il caso di carol maltesi il cui carnefice vi ottiene acesso

  a  volte  anche   i  settimanali  femminili      offrono  spunti preziosi  come  l'articolo   del  settimanale    F n 39 2 ottobre  2023     che  trovate  sotto  .  di solito sono per la #GiustiziaRiparativa perchè tutti


hanno diritto ad una seconda possibilità , per evitare recidive , e aumento di criminalitò , ecc . ma qui l'rrendo crimine è ancora troppo fresco ed il carnedice non mi sembra acora pronto ad un percorso del genere e perchè ..... è spiegato nell'articolo sotto



LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.

  da   Mauro Domenico Bufi    21 dicembre alle ore 11:05   il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...