5.10.23

DIARIO DI BORDO N°14 ANNO I . “Non si può fare l'amore con una vegana”. Il delirio dello psichiatra Crepet., L’encomiabile fantasia dei pennivendoli governativi e la speculazione sull'incidente del bus venezia - mestre .,




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DICHIARAZIONI INDIFENDIBILI DI PAOLO CREPET SUI VEGANI. ANZI, SULLE VEGANE:
"CHE CI FAI CON UNA CHE MANGIA SOLO MIGLIO CONDITO CON ACETO DI MELE?". SELVAGGIA LUCARELLI SCRIVE UN TWEET A RIGUARDO E SCOPPIA LA BUFERA SUI SOCIAL.


Scusate  l'urlato   cioè  il  tutto maiuscolo   ma non ho resistito a  simili idiozie     dette    da  un  dispensatore di saggezza nazional popolare e di “pop filosofia” sui video motivazionali di YouTube, opinionista fisso in tv, scrittore di saggi dove tratta tematiche come il rapporto con i figli, i problemi degli adolescenti, le relazioni d'amore, i disordini alimentari. Posso capire  , usando  un po' d'empatia,    che   egli   volesse   criticare provocatoriamente     che  aderisce    al veganesimo   in maniera  acritica   e  solo perchè  è  di moda    ,  ma  c'è  bisogno    se  mai    era  quello il  suo intento     farloin  sifatta   maniera  ?  .

Qualcuno dica a Paolo Crepet che 

la pasta al pomodoro è vegana. E pure la ribollita, la polenta (purché senza salsiccia, è bene specificarlo a questo punto), persino l'aglio, olio e peperoncino, che è la classica spaghettata di mezzanotte tra amici o per coppie che, magari, prima hanno avuto altro da fare. Spiegateglielo perché le dichiarazioni rilasciate mesi fa nel corso di un incontro pubblicato sul canale YouTube Love for Life e riprese da Selvaggia Lucarelli sono un festival di stereotipi che accetteremmo quasi con benevolenza da un vecchio zio mangiatore seriale di bistecche (sessismo e specisimo, lo ricordiamo, vanno di pari passo). Ma non da lui. "Sono diventati tutti vegani, questi sfigati di ventenni..." afferma il comunicatore seguitissimo su ogni piattaforma e molto prolifico su tematiche di ogni genere, dal ruolo dei genitori oggi, alla crescita personale. Con parole che sanno di stantio e disinformazione. E dal vago retrogusto misogino. [....]        segue  su : << Non si può fare l'amore con una vegana”. Il delirio dello psichiatra Crepet (a cui serve uno psichiatra) - Gambero Rosso >>

<<Meno male che sono fuori dai giochi da anni>>---- afferma Crepet nel video  sopra  riportato .   << Inviti una ragazza a cena e questa mangia miglio... Neanche condito con il balsamico, ma con l’aceto di mele... Ma che ci si fa con una così? L’amore? Ma a quella le viene in mente che dopo le vengono le occhiaie. chissà che si inventa...Moriremo eleganti".>> Se il pubblico in presenza sorride e accenna pallidi applausi, le reazioni all'indomani della condivisione della Lucarelli 



hanno preso una direzione diversa. Qualcuno azzarda che ella e chi ( sotoscritto compreso ) non hanno contestualizzato le sue dichiarazioni e dicono che il il discorso è stato estrapolato da un discorso molto più ampio. Evidentemente non conoscete Crepet, non conoscete il suo stile e forse non sa di cosa si sta parlando, ecc . Ma   la stragrande maggioranza  compresi in non fans  e critici   della Blogger   concorda con il raggelante tweet di @stanzaselvaggia : << Non capisco il credito che gli si dà. È platealmente disinformato su tutto e parla di tutto. E male. Un esempio scuola di analfabetismo funzionale di parte sostanziosa della popolazione agee". Di certo l'autore di saggi come "La gioia di educare" - 2015 - non poteva essere più diseducativo di così.>> (    commenti  presi    dal  web  ) . Quindi   come   ho già detto     su  facebook  commentando   tali  affermazioni 

 se ami o ne sei inamorato o seiu semplicemente amico di una ragazza o un ragazzo che ha scelto per #convinzione o per #moda tale cosa o ci convivi ed l'acetti per quello che è oppure lo lasci .Bassta che non t'imponga , obbligandoti a mangiarlo anche tu , la sua moda o #scelta di vita

Crepet  ha    capito    che  per  vendere o avere  visibilità o  vai   ai reality  oppure    spari  frasi  e  pensieri    come  il  Generale    Vannacci  

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 Quante  speculazioni  sul  tale  tragedia  con lo  slogan    : <<  Scavalca la censura di regime dei social >> .


 Si  discute  e certi   siti  ed pagine  social  filo salvinisti    insistono   pur di coprire  la  scarsa manutenzione   dell'infrastruttura stradale   (  vedere  immagini   tv  ) 

 anche  un bambino  s'accorge    del buco,   talmente  grande  da  passargirci il pulman  che  c'era   in quel punto  del guardarail ) ,  che     il  bus   fosse  un bus   elettronico e non a  gasolio .  Cosa    di  secondaria  imortanza   visto  che  di tragedia   si tratta .Ma quella   a mio avviso  più becera  è   il fatto che  il malore  dell'autista  sia  dovuto  al fatto  che  era  vaccinato .  Ora  èvero      che  questoi   nuovi  vaccini  hanno  ,  essendo sperimentali  ,   degli effetti collaterali   anche  pesanti . Ma  almeno all stato  attiale  delle  conoscenze   acquisite   non risulta  a  differenza  di quelle   causate  da  fibrillazione  posso  causare    cose  gravi  . E poi  sempre    sempre  secondo    quest'altra  vignetta    riportata  sotto   ancora  non si è  accertato  quale  delle   due


cause sia all'orgine della tragedia . Non se ne può davvero più di sentire i soliti commenti post tragedia. Ci vogliono meno chiacchiere e più leggi per sburocratizzare e rendere più veloci gli interventi necessari per la sicurezza. E i 15 miliardi previsti per il Ponte di Messina usiamoli invece per la sicurezza di strade e cavalcavia... Va beh, è vero anche che i 15 miliardi ci sono solo nella testa di Salvini!

 



















4.10.23

i pokemon scimiottano van gogh e vengono portati in mostra nel suo museo


  dopo aver  letto     derll'iniziativa     artistica  (  ?  )  organizzata     dal museo  del Van Goh musem   di Amsterdam 


mi chiedo   ma      di  che  arte  stiamo    parlando   ?  secondo  me    ,   che     sono  un  semplice fruitore d'arte , questa non mi sembra arte ma businees \ merchandising allo stato puro. Qualcuno  di voi  mi  dira  che  sono purista     e tradizionalista   e  che  l'arte  si  evolve  . Vero  l'arte  si  evolve   e  sopratttutto    in un periodo  in cui    non   riesce  ad creare  nient e d'oiriginale     imita     i predecessori Ma  qui   non si  tratta    solo d'imitazione  ma      di    derisione    .   Infatti   secondo    https://www.tomshw.it/ del 30.9.2023


Quello che però lascia emozioni agrodolci, è il fatto che The Pokémon Company abbia redatto delle scuse per il poco inventario a disposizione e non per i disordini che si sono generati al Van Gogh Museum.



Un'invasione di scalper, bagarini e fan dei Pokémon ha preso d'assedio il Van Gogh Museum nel giorno di apertura dell'evento "Pokemon x Van Gogh", creando caos tra i visitatori, disagi a chi stava visitando il museo, danni superficiali allo store del museo e portando The Pokémon Company, a redarre delle scuse ufficiali per l'accaduto.
Per chiarire meglio l'accaduto, bisogna sapere che l'evento ha presentato una serie di articoli a tema Pokémon X Van Gogh, il cui acquisto dava diritto a una carta promozionale, del celebre gioco di carte, speciale, e a tiratura limitata, rappresentante Pikachu e chiamata:"Pikachu con cappello di feltro grigio". Un simpatico adattamento, in salsa Pokémon, del celebre autoritratto di Van Gogh con il suo iconico cappello grigio.

La fama di "Pikachu con cappello di feltro grigio", però, è nata nei giorni scorsi, quando diversi Pokémon Center hanno messo in vendita dei gadget a tema "Pokemon x Van Gogh", regalando la carta incriminata a chiunque li acquistasse.
ome immaginabile, "Pikachu con cappello di feltro grigio" ha cominciato a invadere eBay, Vinted e siti analoghi con cifre che partono dalle 40£, fino a raggiungere i 300€, generando una vera e propria febbre dell'acquisto, che ha mandato offline gli store dei Pokémon Centre e generato code di clienti, disordini e caos anche all'interno di questi store.
L'apertura delle vendite della carta al Van Gogh Museum ha, quindi, scatenato un vero e proprio assalto al museo. Sono emersi video online che mostravano folle di persone che si accalcavano per ottenere il merchandising e le carte. Molti di questi visitatori non hanno neanche preso in considerazione la mostra, limitandosi a spintonarsi per arraffare gli articoli e andarsene, esaurendo l'inventario in pochi minuti.
The Pokémon Company si è trovata costretta a rilasciare delle scuse ufficiali, considerando che l'evento era appena iniziato e i prodotti erano già esauriti. Questo episodio ha suscitato critiche, poiché alcuni ritengono che l'azienda avrebbe potuto prevedere una situazione del genere, data la popolarità della serie Pokémon e la tendenza degli articoli esclusivi a esaurirsi rapidamente, finendo per essere rivenduti online a prezzi molto elevati.
Tuttavia, The Pokémon Company ha promesso l'arrivo di nuove carte, con la speranza che questa volta ci saranno sufficienti copie disponibili per tutti i fan. Gli appassionati possono quindi aspettarsi ulteriori opportunità di ottenere le tanto desiderate carte senza dover affrontare situazioni caotiche come quelle sperimentate durante l'apertura dell'evento al Van Gogh Museum.

Quello che però lascia emozioni agrodolci, è il fatto che The Pokémon Company abbia redatto delle scuse per il poco inventario a disposizione e non per i disordini che si sono generati al Van Gogh Museum.

“LUPARE ROSA”: MARIA E LE ALTRE e “Così a 79 anni, con la ’ndrina in casa, denuncio mio nipote

Un  altro motivo per  odiare  e combattere  la mentalità mafiosa   anche da  parte   di chi  vive  dove  la mafia  non  c'è ufficialmente   ma  ci sono le  sue  infiltrazioni sempre  più  radicate   . 
  da  il  fatto   quotidiano  del  1  e del 3  ottobre  


“LUPARE ROSA”: MARIA E LE ALTRE

In terra di ’ndrangheta Sono oltre 10 le donne fatte sparire e uccise per lavare col sangue la macchia del disonore Morte per un no, per amare, per essere libere

Epoi non l’hanno aspettata più. Hanno capito che non potevano aspettarla più. Chi, come il fratello Vincenzo, da subito. Da quando ritrovarono, davanti al cancello che cinge i loro terreni, sulla SP 31 verso Limbadi, l’auto bianca di Maria, col motore acceso, lo sportello aperto, la borsa sul sedile con dentro cellulare e soldi. Chi, come nonna Pina, la madre di Maria e Vincenzo che oggi non c’è più, quando ricevette la chiamata: erano le 7 di mattina e Maria non si trovava; per terra, accanto all’auto, sangue. Chi, come Federica, da quella sera. È il 6 maggio 2016, un venerdì. Quando scompare, Maria Chindamo non ha ancora compiuto 45 anni.

Non si sente niente, qui. Se porgi l’orecchio al mare, per quanto è vicino, può sembrare di sentirlo. Ma c’è solo silenzio. E il rumore del vento, che muove i rami e le canne che invadono le strade. Le terre di   Maria Chindamo – oggi curate dalla cooperativa Goel, al motto di “controlliamo noi le terre di Maria Chindamo” – sono circondate da un’immensa selva verde, fatta di agrumeti e ulivi, boschi di conifere e faggete, e piccoli casolari in pietra abbandonati. A salire, alle spalle della valle, le Preserre calabresi. In uno di questi terreni – non è stato possibile finora sapere quale – c’è Maria o quello che di lei resta. “Non possiamo nemmeno vivere i nostri ricordi – confida Vincenzo, per Maria tutto – senza che i miei nipoti pensino alla testa della madre mangiata dai maiali”. Due settimane fa l’inchiesta “Maestrale-carthago 2” della Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri oggi neo Procuratore di Napoli, ha portato all’esecuzione di 81 misure cautelari. Tra gli arrestati, Salvatore Ascone detto “U Pinnularu”, il “dirimpettaio di terreno” di Maria, uomo della potente cosca Mancuso, a cavallo tra le province di Vibo e di Reggio Calabria. Già arrestato e scarcerato varie volte, anche per il caso Chindamo, Ascone disse a uno dei faccendieri dei Mancuso oggi collaboratore di giustizia: “Io, pe’ quattro sordi, a chija eppi ’u m’a juntu ’ncojiu”, “io, per quattro soldi, quella me la sono dovuta caricare addosso”. Sono state le testimonianze di alcuni pentiti, tra cui Emanuele Mancuso, a dare la svolta. U Pinnularu gestiva i terreni per Diego Mancuso, alcuni dei quali confinanti con quelli di Maria. 
“La proprietà terriera, là dove il controllo ’ndranghetistico è endemico – scrivono i magistrati – non solo rappresenta un indotto economico, ma costituisce l’unità di misura dell’egemonia criminale”. Maria, alla richiesta di cedere i suoi terreni, aveva detto no. E “Pinnularu l’ha fatta scomparire – racconta uno dei collaboratori di giustizia – sapendo che la responsabilità sarebbe ricaduta sulla famiglia del marito”. Maria è scomparsa il 6 maggio 2016 e il 6 maggio 2015 Nando, l’uomo con cui lei era stata famiglia per trent’anni, si era tolto la vita. Non esistono le coincidenze. Maria, “quando si è permessa di postare le foto con il nuovo compagno – ha spiegato Gratteri –, è stata uccisa in modo inumano: gettando il cadavere in pasto ai maiali e triturandone i resti con la fresa di un trattore. Bruciava l’idea che i terreni fossero gestiti da una donna che si sarebbe permessa di rifarsi una vita: da una parte, non le è stata perdonata questa libertà; dall’altra, ci sono gli appetiti della ’ndrangheta”.Terra. Sangue. Famiglia. “Sono cose che ho sentito quando studiavo all’università Storia del diritto medievale, nei regni romano-barbarici...”, dice Federica, la figlia di Maria.

Nella famiglia, chi tradisce e disonora è punito con la vita: è la legge Giusy Pesce

Ha 21 anni, studia Giurisprudenza ed è tornata a Laureana di Borrello, quattromila anime, il paese di “zio e mamma”. Federica da tempo non parla più con la famiglia paterna: “Sentivo qualcosa che non andava...”. E aveva ragione. Secondo i magistrati, il padre di suo padre, nonno Vincenzo, oggi defunto, sarebbe stato il mandante dell’omicidio Chindamo. “Maria in 21 anni in casa nostra non ha mai dato segno di sbandamento”, raccontò il signor Punturiero alle telecamere di Nemo. Fino a quando il matrimonio tra Maria e Nando finisce, e nella sua vita entra un altro uomo. “Era solo uno?”, si chiese il suocero in diretta tv. E così si scopre che, negli ultimi mesi, Maria non era più tranquilla. Sentiva la pressione di quella famiglia, delle voci del paese, là dove nemmeno il silenzio protegge l’intimità. Dormiva, chiudendosi a chiave nella stanza in cui si tenevano le armi, tutte regolarmente registrate. “Il letame – dice il fratello Vincenzo – non si dà alle piante subito, bisogna farlo maturare. Così mia sorella l’hanno fatta aspettare, le hanno fatto credere che potesse avere una vita, fino a quando quell’odio diventato maturo l’ha strappata via”.Maria, come altre donne nate e morte in questa terra, era “macchiata”. Aveva lasciato il marito, non vestiva a lutto, non calava lo sguardo. E parlava. Ma ci sono luoghi in cui la megghiu parola è chija chi no esci. La vera forza della ’ndrangheta sta in questo, nel silenzio. Nelle complicità, nelle convergenze. E, per mantenere il silenzio, le donne servono, per permettere agli uomini di “lavorare”. Per quello, quando parlano, “sono mine vaganti: fanno la differenza, nel bene e nel male”, spiega don Marcello Cozzi che, da anni, accompagna donne che scappano dalle loro famiglie-prigioni e che a queste storie ha dedicato un libro con cui gira nelle scuole. “Sono giovanissime. E se appartengono a contesti mafiosi sanno bene che si sposeranno con un marito-fantasma che presto finirà in carcere o ammazzato, e che i loro figli avranno un doppio battesimo. Alcune ce l’hanno fatta. Altre, invece, sono tornate indietro, consapevoli della loro condanna a morte”.

“Far sparire la peccatrice per far sparire il peccato. Nientificare la persona”, dice un altro prete, l’ex presidente di Libera Calabria don Ennio Stamile, che ha dedicato l’università della ricerca, della memoria e dell’impegno a Rossella Casini. Rossella, come Maria Chindamo, non centrava niente con la ’ndrangheta. Ma, come lei, a un certo punto l’ha incontrata. Era il 1977, aveva 21 anni e, a Firenze, si innamora di Francesco Frisina, da Palmi. Scoppia la faida tra i Gallico e i Parrello-condello:

viene ammazzato il padre di Francesco, e lui si becca una pallottola in testa. Rossella lo convince a parlare, ma immediatamente la famiglia lo fa ritrattare. Lei non molla: parla coi pm, si mette tra le due cosche... Fino a quando non arriva l’ordine: “Fate a pezzi la straniera”. È il 22 febbraio 1981, Rossella telefona al padre a Firenze: “Sto per rientrare”. Di lei si perderanno le tracce. Per “ritrovarla” passeranno 13 anni. Violentata, uccisa e fatta a pezzi, i suoi resti furono gettati in mare, al largo della tonnara di Palmi.

Ad alcune, come Annunziata Pesce, nemmeno la memoria hanno lasciato. Sparita nel 1981 a 30 anni – si era innamorata di un carabiniere, da sposata – a “riportarla in vita” è stata un’altra donna, un’altra Pesce, Giusy, che raccontò ai magistrati di Palmi come “giù, nella mia famiglia, chi tradisce e chi disonora deve essere punito con la vita: è la legge”. Annunziata è stata “giustiziata” dal cugino, di fronte al suo stesso fratello, e seppellita a Rosarno, in una tomba “bianca”, senza foto né nome. Anna Maria Cozza, 23 anni, separatasi dal marito, il boss di Paterno Calabro, si innamora di un giovane operaio. Prima ammazzano lui, poi, nel 1991, scompare lei. Si scoprirà che era stata prelevata con la scusa di un passaggio, portata in campagna, legata a un albero e ammazzata a colpi di pietra. E poi Angela Costantino: a 25 anni poteva solo essere la moglie di Pietro Lo Giudice e la mamma dei loro 4 figli. Resta incinta una quinta volta, ma di un altro uomo. Capita lo stesso anche a sua cognata, Barbara Corvi. Di Angela sono rimasti una pentola col sugo bruciato, la carta d'identità e alcuni anelli in cucina. Mentre di Barbara si perderanno le tracce il 26 ottobre 2009, e nulla si sa ancora oggi. Da Maria Chindamo a Lea Garofalo – la testimone di giustizia che nel 2009 sparisce a Milano e verrà torturata, uccisa, e sciolta in 50 litri di acido dal suo ex marito Carlo Cosco e i suoi sodali – sono almeno dieci le storie di “lupare rosa”, donne che la ’ndrangheta ha fatto scomparire; più di 150 quelle vittime delle mafie (le ha contate l’associazione dasud nel dossier “Sdisonorate”). È la donna che può dare e togliere l’onore, ma sono gli uomini a uccidere, anche se spesso caricati dalle stesse loro madri, mogli, sorelle: lavano con il sangue per lavar via dalla famiglia, dalle voci, dalla terra, la “macchia”.

“Crescile libere”: è un sms che arriva a Vincenzo da una donna che non vive più in Calabria da anni. “Tieni le figlie di Maria lontano da quell’aria, da quella famiglia: loro le vogliono con il velo in testa...”.

“Qui nulla si muove”, vorrebbe un vecchio detto. Siamo di fronte allo Stretto di Messina, e se il vento soffia, l’aria tira verso le montagne, se il vento aspira, si spinge fino all’africa. Ma “qui nulla si muove”. Eppure oggi piove terra.


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Così a 79 anni, con la ’ndrina in casa, denuncio mio nipote



Ci sono angoli di questa terra in cui, nonostante il tempo, dentro le case è rimasto tutto come una volta. O quasi. È la Calabria più aspra, più isolata e nera. Puoi trovarne traccia tanto sul lembo che affaccia sul mar Tirreno, tanto su quello che guarda allo Jonio. O in quella manciata di case nascoste fra le guglie di arenaria e i valloni deserti. Sono luoghi, questi, in cui le donne sono rinchiuse dentro, letteralmente. Dove, ancora, se hanno ospiti in casa, non siedono con gli altri, ma stanno in disparte, in uno spigolo della tavola se non proprio in cucina, pronte a servire. La loro esistenza è giustificata dall’essere mogli e madri, dal badare alla casa e alle bestie, dal rispettare i doveri imposti dalla famiglia. E lì sono abituate a subire, a essere controllate e svilite, a non sapere cosa sia la voglia di vita e di normalità perché hanno conosciuto solo violenza.

“Se il terreno è mollo,è più facile scavare”, dice come prima cosa M.. La incontriamo alla Caritas a Locri, il centro della diocesi Locri-gerace che ha lanciato nel 2021, su impulso dell’energica responsabile Carmen Bagalà, un progetto per accogliere le donne e i minori vittime di violenza in Calabria. M. ha 79 anni. E da 60 prende botte. Prima da suo marito, sposato con un matrimonio combinato: gli interessi del padre di M. che aveva in dote animali e uomini si incontrarono con quelli della futura famiglia che aveva sì il blasone della ’ndrangheta ma non i mezzi. “Lui è morto giovane, in un incidente...”. Ovvero è morto sparato, nella faida di Guardavalle. Poi è arrivata la volta del figlio: “Anche lui era prepotente e anche lui non c’è più: una disgrazia...”. È stato colpito e ucciso, questa volta nella faida di Siderno. E ora che M., sorda in un orecchio per gli schiaffi ricevuti dal marito, pensava che l’incubo fosse finito, tocca al nipote, al figlio della figlia di M..

FINO A OGGI, Carmen Bagalà ha accolto nel suo dormitorio a Locri 59 casi di “Codice rosso”, la metà provenienti da ambienti di ’ndrangheta: 35 donne tra i 21 e i 79 anni e 24 minori. “E noi che eravamo convinti che ci saremmo occupati soprattutto di migranti...”. C’è chi arriva perché a segnalare il caso sono le forze dell’ordine o gli assistenti sociali, chi dopo essersi confessato in parrocchia, chi direttamente suonando al citofono in Caritas: “Rispondiamo 24 ore su 24”. È qui che, in tante, provano a riprendersi la vita. “Mi chiedo spesso se, aprendo il nostro centro prima, avremmo permesso a donne come Maria Chindamo di salvarsi...”. Le ospiti hanno a disposizione piccole unità abitative indipendenti, una psicologa, gli animatori, le suore: tutto in sinergia con le Ats locali e con lo sportello anti-violenza “Angela Morabito” di Ardore, nato anche grazie a Fiorella Mannoia. “Spesso le nostre ospiti non vogliono andare in commissariato: c’è ancora tanta paura, abbiamo difficoltà a trovare medici che abbiano il coraggio di refertare le violenze e poi ci sono le pressioni delle famiglie che si fanno sentire”, spiega Carmen, che sta dedicando le migliori energie della sua vita a questo progetto. “Il 30% delle donne che abbiamo accolto purtroppo è tornato indietro, sono rientrate a casa. Ma siamo riuscite a farne accedere tre al programma di protezione. E per noi già strapparne una alla ’ndrangheta è un successo”.

Il centro nato nel 2021 Fino a oggi, 59 i casi da “Codice rosso”: 1 su 2 da famiglie di ’ndrangheta E per 3 di loro è scattata la protezione dello Stato

QUANDO, pochi giorni fa, M. arriva da Carmen – che si prende cura di lei come se fosse una figlia, nonostante M. abbia 79 anni – è perché il nipote ha spaccato il femore e la spalla alla madre, ricoverata ora in ospedale. M. era al piano di sopra, sentendo le urla ha sceso le scale, il telefono in mano per chiedere aiuto, ma il nipote ha iniziato a gridarle: “Puttana, se vieni qui ti ammazzo”. È solo l’ultimo episodio. M., per dirne una, viveva in casa col cancello chiuso con una catena, e per uscire o rientrare doveva essere il nipote ad autorizzare e a darle la chiave. “Ha la testa che si è un po’ rovinata: un po’ ci è nato, un po’ è stato tirato...”, quasi lo giustifica. In una società contadina in cui l’uomo nasceva senza diritti né proprietà, l’unico diritto che poteva esercitare e l’unica proprietà che poteva rivendicare era sulla donna di casa: M. è rimasta intrappolata in quell’epoca. Per lei, è sempre “colpa” di una donna. Quando il violento era suo marito, era perché era la suocera a caricarlo; quando lo erano il figlio e il nipote, era per la sorella di M., la zia zitella, che viveva a casa con loro. “Era l’unica autorizzata a partecipare alle riunioni dei masculi. Era lei che voleva mettere sotto gli altri”. E così, nella sua guerra, la sorella ha disposto dei figli e dei nipoti di M. come fossero cosa propria. “Era una donna di ’ndrangheta?”. “Mia sorella era la ’ndrangheta”. Sarà l’unica volta in cui M. pronuncerà quella parola, durante il tempo trascorso insieme.

Sangue chiama sangue. “Ho paura – confessa – ma che altro posso fare ora? A casa non posso tornare .... È una vita che sono sottomessa”, dice M. con una tale leggerezza da farti comprendere che, per lei, quella violenza non è mai stata un torto, semmai un destino a cui non potersi sottrarre. “Sono dinamiche che ritroviamo in tutte le nostre storie e, in generale, nei casi di violenza di genere”, spiega Carmen. Perché la ’ndrangheta, come racconta don Marcello Cozzi, è prima di tutto “anti-cultura”. E, anche se non la vedi, è un’ombra che ti segue sempre, ovunque tu vada. A meno che non si accenda la luce. M., a 79 anni, quella luce l’ha accesa. Grazie all’abbraccio di Carmen, oggi ha deciso di denunciare.






il mio fuoco dentro e miei sensi di colpa

Per tutti\e voi cari lettori che avete nostalgia delle mie elucubrazioni \ seghe mentali questo post è per voi .


IO  non è abbassandosi al loro  livello   che  si  soffocano i sensi  di colpa  .  

Coscienza  allora  come  si fa   dobiamo conviverci  o eliminarli  ?

IO  dipende     da  te    se  vuoi vivere apessantito o leggero  .  se  andare  avanti o rimanere  bloccato    \  fermo   . Possiamo trasformarli in qualcosa  di utile   per  poi  eliminarli  

Coscienza e  come     fare  ?

 IO  Il senso di colpa può essere un’emozione difficile da gestire, ma ci sono alcune strategie che possono aiutare o   ad  eliminarlo  direttamente     se    si  è  detterminati     : 

  •  Riconoscere il senso di colpa: il primo passo per convivere con i sensi di colpa è riconoscerli e accettarli. È importante capire che il senso di colpa è un’emozione naturale e che tutti ne hanno sperimentato almeno una volta nella vita.
  • Analizzare la situazione: una volta riconosciuto il senso di colpa, è importante analizzare la situazione che lo ha causato. Chiediti se hai fatto qualcosa di sbagliato o se il tuo senso di colpa è ingiustificato.
  • Chiedere scusa: se hai fatto qualcosa di sbagliato, chiedere scusa può aiutare a liberarsi del senso di colpa. Chiedere scusa dimostra che sei disposto a prendere la responsabilità delle tue azioni e a fare ammenda.
  • Imparare dalla situazione: se il tuo senso di colpa è giustificato, cerca di imparare dalla situazione. Chiediti cosa puoi fare per evitare di commettere lo stesso errore in futuro.
  • Perdonarsi: se il tuo senso di colpa è ingiustificato, è importante perdonarsi. Ricorda che tutti commettiamo errori e che è normale sentirsi in colpa. Non essere troppo duro con te stesso.
  • Cercare  se   sono tropo pesanti o  ha  troppa  difficolata   aiuto professionale: se i tuoi sensi di colpa sono troppo intensi o interferiscono con la tua vita quotidiana, potrebbe essere utile cercare aiuto professionale. Un esperto psicoterapeuta può aiutarti ad elaborare la tua colpa in vista di una riconciliazione con te stesso e con gli altri.

oppure     anche    anche    a   traformarlo    in qualcosa  d'utile  e  costruttivo  


  • Imparare dalla situazione: se il tuo senso di colpa è giustificato, cerca di imparare dalla situazione. Chiediti cosa puoi fare per evitare di commettere lo stesso errore in futuro. Ad esempio, se ti senti in colpa per aver ferito qualcuno, chiediti come puoi evitare di ripetere lo stesso comportamento in futuro.
  • Chiedere scusa: se hai fatto qualcosa di sbagliato, chiedere scusa può aiutare a liberarsi del senso di colpa. Chiedere scusa dimostra che sei disposto a prendere la responsabilità delle tue azioni e a fare ammenda.
  • Trasformare il senso di colpa in gratitudine: il senso di colpa può farti sentire erroneamente responsabile e far nascere pensieri inutili e malsani, in nessun modo capaci di aiutarti a migliorare i tuoi comportamenti futuri. Cerca quindi di trasformarli in sentimenti di gratitudine. Ad esempio, se ti senti in colpa per non aver passato abbastanza tempo con un amico, prova a concentrarti sul fatto che hai un amico che ti vuole bene e che apprezzi la tua compagnia.
  • Cercare aiuto professionale: se i tuoi sensi di colpa sono troppo intensi o interferiscono con la tua vita quotidiana, potrebbe essere utile cercare aiuto professionale. Un esperto psicoterapeuta può aiutarti ad elaborare la tua colpa in vista di una riconciliazione con te stesso e con gli altri.


 Coscienza ok  ma  come applicarli  ma  soprattutto come  evitarli ?

IO  Sull'ultima parte  della   domanda     posso dirti       che  esse sono  inevitabili  qualuque   decisione  prenda     anche  se   secondo me     nella  vita  non esistono decisioni  giuste  o  sbagliate  l'importante  è prenderne una  . Per  il resto   della  domanda     voirrei  poterti dare  un  consiglio meno  generico   . Ma   non sono   nè un psicologo  nè uno  psichiatra  Posso solo  dirti di  usare     l'empatia cioè  

L'empatia è la capacità di comprendere o sentire ciò che un'altra persona sta vivendo, cioè la capacità di "mettersi nei panni di un altro"Secondo l'American Psychological Association, l'empatia consiste nel comprendere una persona adottando il suo punto di vista invece che il proprio (un concetto molto simile alla teoria della mente) oppure fare esperienza indiretta e spesso involontaria degli stati mentali di una persona (un concetto sviluppato dopo la scoperta dei neuroni specchio). L'empatia non implica necessariamente la spinta motivazionale oppure emotiva a prestare aiuto, sebbene la sua evoluzione in simpatia o in contagio emotivo può determinare azioni e comportamenti di soccorso e aiuto.Le definizioni di empatia comprendono un'ampia gamma di processi sociali, cognitivi ed emotivi principalmente interessati alla comprensione degli altri (e delle emozioni degli altri in particolare). L'empatia può essere di diversi tipi: cognitiva, emotiva, fisica e spirituale .   segue su  Empatia - Wikipedia

oppure    se non ci riesci  l'individualismo .

Coscienza  Empatia  o  individualismo   nell'affrontare      le  scelte  della  vita   . Ma   non c'è altro modo    d'uscire  dalla logica   : <<  .....  al  votro posto non ci so stare  ..... >>   

IO  bella  domanda   quella  chje   proponi   ......  non ho  una   risposta   personalizzata  da  darti    se  non    che dipende  da  te   e  dalle  tue  scelte   .  che  decidi  d'intrapedere  .  Infatti non esiste   manuale  personalizzato    su  come   come  affrointare  la  vita  e   le  sue  scelte     . L'importante  è  <<  [...]  fare   tesoro  ,  sterzare   via  dal sentiero   che  porta  inesorabilemente   al medesimo risultato  . Se  anche  ci  fosse    le  sue  pagine  sarebberoi intrise    elle  lacrime  e  della saliva    di  chim ci ha  provato     e  ha  fallito   [...] >>  ( Barbara  Baraldi   in  IL  fuoco dentro   Janis  Joplin il romanzo    foto della  copertina  asinistra  )      ma     anche    di   chi   ha  avuto  successo ma    non  va  mai  avanti   è  rimane   bloccato  nella monotonia  ed  è  appesantito  dai sensi  di  colpa  oltre  chewda  successo effimero  \  momentaneo   visto  che  essi  posso   ritornare  ed  agiungersi ai  nuovi visto che    ogni azione  o  gesto  che  faccciamo  nel porta  sempre  dietro qualcuno  .   

Coscienza  ok    grazie  

stavo per  rispondergli  e continuare  eventualmente   la  " lka  diuscussione  "   ma  poi    l'alba  è sopraggiunta    facendola  finire  

3.10.23

diario di bordo n°13 anno I . l'abbracio dei motociclisti all'amico malato di leucemia ., ’ultima moda per disintossicarsi dai social Il logo della app Il logo della app Successo della app Freedom che permette di bloccare l’accesso alle piattaforme più viste ., Sesso non protetto tra i giovanissimi: perché c'è bisogno di educazione sessuale



premetto che nn sono amante delle moto e dei raduni ed credevo che i centauri fosse solo gente che crea disturbo alla quiete pubblica . Ma poi vedeno i due film Easy Rider - Libertà e paura (Easy Rider) film del 1969 diretto e interpretato da Dennis Hopper (Billy); ed il prequel Easy Rider: The Ride Back. 2012 ho cambiato in parte idea e quest'articolo conferma la mia visione attuale






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esercitare la forza doi volonta no ? oppure mettere un blocco alle notifiche nelle impostazioni del cellulare invece di decidere che siuano gli altri , in questoi caso un app a decidere per noi e dipendere da loro ?

da Repubblica 3\10\2023

                                                 di Enrico Franceschini
Cresce il numero di chi sceglie la “modalità da monaco”: l’ultima moda per disintossicarsi dai social Il logo della app Il logo della app Successo della app Freedom che permette di bloccare l’accesso alle piattaforme più viste per concentrarsi su una cosa sola, resistere alle distrazioni digitali e aumentare la produttività





                                         Il logo della app


Londra
In gergo la chiamano “modalità da monaco”. Non consiste nel decidere di andare a vivere in un convento, bensì punta a limitare le distrazioni digitali per concentrarsi su una cosa sola: il lavoro o lo studio, per esempio. Il paradosso è che lo strumento per compiere questa scelta radicale si trova anch’esso sul web: è una app chiamata Freedom (Libertà), che ha visto crescere i suoi utenti del 50 per cento nel 2020 e da allora ha continuato ad espandersi fino ad averne oggi 2 milioni e mezzo a livello globale. L’applicazione in questione permette di bloccare sul proprio telefonino l’accesso ai social media, a specifici siti o completamente a internet. Si può decidere il numero di ore o minuti in cui deve durare il blocco, è possibile cambiare idea e cancellare anticipatamente il blocco e lo si può anche “sigillare”, in modo che non possa essere sbloccato per nessuna ragione fino all’orario e al giorno stabilito. Varie app analoghe, come ColdTurkey, FocusMe e Forest, hanno registrato un incremento di utenti analogo negli ultimi anni. Segnalando il fenomeno in un servizio, la Bbc cita il caso di Susie Alegre, un’avvocata dei diritti umani e scrittrice basata a Londra, che blocca il proprio accesso al web quando ha bisogno di maggiore concentrazione. “Penso che sia estremamente difficile resistere da soli alla tentazione di controllare i social mentre si lavora”, dice Alegre. “Uso la app Freedom quando voglio poter essere contatta telefonicamente ma non voglio altre distrazioni”. E il sistema ha funzionato, permettendole di completare senza ritardi il libro che stava scrivendo proprio sull’argomento, intitolato Freedom to think (Libertà di pensare). Non è la prima a sostenere che i social creano dipendenza. Ogni volta che sul cellulare arriva il suono di una notifica, che si tratti di Facebook, Instagram, X (l’ex-Twitter), oppure di un messaggio su WhatsApp o Messenger, o anche soltanto una email, la spinta ad andare subito a leggere di che si tratta è irresistibile, affermano gli esperti in scienze comportamentali. “I social media assumono i migliori scienziati per rendere il proprio uso più stimolante, non è giusto aspettarsi che un individuo riesca a prendere le distanze da sola”, commenta Fred Stutzman, fondatore della app Freedom. Sempre più gente ricorre perciò alle app che aiutano a resistere alle distrazioni digitali, scegliendo per qualche ora o per qualche giorno la “modalità da monaco”, come testimonia la crescente diffusione del termine. Negli ultimi tempi, infatti, l’hashtag #monkmode è diventato virale, con 77 milioni di visualizzazioni in tutto il mondo rispetto a 31 milioni nello scorso mese di maggio. Un altro paradosso è che, come la app per bloccare l’accesso a internet, anche questo dato proviene dal web.

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Esiste una challenge tra i giovanissimi: si chiama sex roulette e consiste nell'avere rapporti sessuali non protetti, provando a
non incappare in una gravidanza. Questa sfida estremizza una tendenza che esiste da sempre, e non solo tra i giovanissimi, vale a dire il sesso senza protezioni.

Perché avviene questo? Sono davvero giovani “senza sale in zucca”, come commentano molte persone sui social sotto le notizie, oppure questo non fa altro che evidenziare il bisogno di un’educazione sessuale strutturata?
Quanto ne sanno i giovani in termini di contraccezione?
Per rispondere a questa domanda partiamo da alcuni dati, perché non basta parlare per sentito dire, ma bisogna basarsi sulle evidenze.
Lo scorso anno Durex ha presentato il suo annuale osservatorio “Giovani e Sessualità”, in collaborazione con Skuola.net, basato sui dati del 2021. Grazie a questo studio, svolto su un campione di circa 15000 ragazzi tra gli 11 e i 24 anni, possiamo avere uno spaccato su come vivono i giovanissimi il sesso.
Partiamo dal primo dato interessante: il 51% del campione NON è solito usare il preservativo durante i rapporti. Ciò che colpisce è un aumento rispetto al 2018, anno durante il quale era il 43% a non utilizzarlo.
Ma quindi, come mai i giovani non utilizzano il preservativo  e mettono in atto tali comportamenti poco
consapevoli?
Sempre secondo lo studio di Durex, questo è dovuto a uno scarso confronto e dialogo sul tema. Il 54% dei giovani, infatti, dichiara di non riuscire a parlare di prevenzione con la propria famiglia, perché si sente a disagio.
Le informazioni vengono ricercate dal 50% delle persone su internet, mentre il restante non ne parla con nessuno o si confronta semplicemente con gli amici.
Così facendo, chiaramente, le informazioni sono parziali e spesso errate, perché basate su fonti non autorevoli e non controllate.
Siamo proprio sicuri, quindi, che di fronte a notizie come quella dalla quale siamo partiti, ha senso ridurre il tutto alla “stupidità” dei giovani? Io credo di no e credo ci sia bisogno di pensare a una soluzione, affinché quel numero non si alzi ancora di più.
Come informare i giovani sul sesso protetto? Il mezzo migliore, in ogni ambito, per fare informazione è il dialogo. Il dialogo aperto e costruttivo su un tema. Un dialogo che fornisca strumenti e consapevolezza.
Tale tipologia di dialogo si può ritrovare nell’educazione sessuale  volta a promuovere il benessere sessuale.
L’educazione sessuale è un diritto degli individui, come afferma la WAS (World Association for Sexual Health). “Ogni  individuo ha il diritto all’istruzione e il diritto a una educazione sessuale completa. L’educazione sessuale deve essere appropriata all’età, scientificamente accurata, culturalmente adeguata e basata sui diritti umani, sull’uguaglianza di genere e su un approccio positivo alla sessualità e al piacere.”
Ed è proprio per questo che l’Unesco ha inserito l’educazione sessuale negli obiettivi dell’agenda 2030  per l’educazione globale, producendo una guida a riguardo.
Cosa vuol dire fare educazione sessuale?
L'educazione sessuale è uno strumento che guida le persone nel mondo della sessualità. Un mondo che non è fatto solo di rapporti sessuali, ma che è decisamente più ampio. Infatti, la salute sessuale impatta sulla salute generale dell’individuo, perché tocca aree diverse quali l’individualità, le relazioni, le emozioni e non solo. Ed è proprio per questo che va promossa e non dimenticata.
Fare educazione sessuale non significa semplicemente educare alla contraccezione e ai rischi, ma significa, adattando i temi alle diverse fasce d’età, educare le persone alle emozioni, alle relazioni, al rispetto, al consenso, al piacere, alla comprensione delle diverse forme di espressione della sessualità e ai diritti.  L’educazione sessuale, quindi, fornisce gli strumenti per essere più consapevoli e per compiere le proprie scelte responsabilmente e in autonomia.
Chi si deve occupare di fornire un'adeguata educazione sessuale? L’educazione sessuale non è compito semplicemente della famiglia, anzi. Molto spesso le famiglie non hanno le conoscenze e gli strumenti per guidare i figli nel mondo della sessualità. Spesso accade che i ragazzi cerchino risposte da parte dei loro genitori e trovino imbarazzo e silenzio. E questo, per tornare da dove siamo partiti, non fa altro che produrre un effetto negativo sulla sessualità.
Uno degli obiettivi è anche quello di educare le famiglie a fornire un supporto informato e non giudicante. Perché l’educazione che deriva dalle famiglie e dai pari è un elemento importante e utile per i giovani, purché non assuma le caratteristiche di cui sopra.
Ecco che, a fianco delle fonti informali, si rende necessario un intervento strutturato e formale, come quello fornito dai professionisti che si occupano di educazione sessuale.
L’educazione sessuale aumenta l’attività sessuale e i comportamenti a rischio: ma è vero? Spesso, l'educazione sessuale viene ostacolata a causa di una mentalità retrograda secondo cui, questa pratica, aumenterebbe l'attività sessuale e i comportamenti a rischio. Tuttavia, gli studi in materia, così come riassunti nella guida UNESCO, dimostrano il contrario, vale a dire che l’educazione sessuale permette di adottare comportamenti più responsabili. La negazione dell’educazione sessuale e la censura, invece, falliscono nel loro intento di prevenire i comportamenti a rischio.
Come siamo messi in Italia in quanto a educazione sessuale? Come sottolineato di recente al convegno nazionale di AIED (Associazione Italiana Educazione Demografica), l’Italia è una delle pochissime nazioni in Europa a essere priva di programmi curricolari sulla sessualità.
Attualmente esistono dei corsi proposti da associazioni o da liberi professionisti, ma sono sporadici e mai prioritari per gli istituti. Alcune scuole ne promuovono di più e prevedono fondi specifici per tali interventi, altre, invece, si rifiutano. Dipende, quindi, da quale scuola frequenti e cosa decide di approvare. Va a fortuna, quindi. Decide la sorte chi parteciperà a challenge come quella dalla quale siamo partiti.
Ecco che, quindi, lasciare al caso un intervento così importante per la salute delle persone non è più pensabile e nel 2023 è giunto il momento di darle la giusta importanza. E a sostenerlo ci sono i dati scientifici e le linee guida di OMS, ONU, UNESCO e WAS.




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la scuola publica ha bisogno di ..... di Giulia Acerba




Al mondo della scuola servirebbero: 

- reclutamento SERIO del personale docente e del personale ATA 

- laboratori permanenti di italiano L2 con docenti qualificati e destinati solo a quella funzione

- messa in sicurezza e abbellimento scuole (spesso sono luoghi sciatti, con arredamenti sciatti e cartelloni sciatti)
- formazione SERIA del personale docente su temi urgenti:


    • come gestire classi eterogenee  \  multi etniche  


    • come rimettere al centro il corpo dei bambini 


    • come rendere bello il luogo in cui i bambini e i ragazzi passano tante ore della loro vita


    • come relazionarsi con i genitori nel rispetto reciproco dei ruoli


    • come fare valutazione formativa 


    • come trasformare in realtà le bellissime Indicazioni Nazionali  


      


- mediatori linguistici e culturali

- servizi sanitari che lavorino in sinergia con la scuola con procedure snelle per eventuali segnalazioni di problemi di qualsiasi tipo

- servizi sanitari che offrano ai bambini e alle famiglie che ne hanno la necessità: consulenza, terapie, supporto

- assistenti sociali con i quali si possa parlare con calma delle situazioni più difficili

- investimenti VERI per trasformare le leggi sull’inclusione e l’intercultura in realtà

- meno burocrazia cartacea e digitale

- meno pasti veicolati e più cucine

- meno potere al registro digitale

- più tempo dedicato a parlare dei bambini e meno tempo dedicato a compilare documenti pieni di belle parole irrealizzabili

- più tempo dedicato alle uscite, alla scoperta del mondo reale

- libri belli e nuovi nelle biblioteche

- incontri con autori, illustratori, professionisti del mondo dell’infanzia

- più apertura verso il mondo esterno

- meno privacy

- meno acronimi 

- meno ossessione sulla sicurezza e più lavoro sull’autonomia dei bambini

- meno denunce e ricorsi al TAR

- meno sindacati che difendono l’indifendibile (es: lavoratori che non hanno voglia di lavorare)

- meno crocifissi

- meno attività mordi e fuggi, più percorsi lunghi e sensati

- postazioni PC con stampanti funzionanti

- laboratori creativi con materiale didattico nuovo, bello, funzionante


In sostanza, io penso che la scuola debba essere messa in grado di fare la scuola in maniera seria senza essere distratta da mille progettini, mille moduli, mille peripezie, mille “e se succede qualcosa?”.


Alla scuola serve essere un luogo coerente con ciò che detta la Costituzione e le numerose leggi che ci sono, bellissime e uniche, ma spesso non applicabili.Alla scuola serve essere un luogo di crescita, di cultura, di bellezza.Alla scuola serve essere più che mai un luogo dove si entra e si scopre di cosa sono capaci tanti corpi e tante identità quando, insieme, imparano com’è il loro mondo interiore in rapporto a quello esteriore . Per questo credo che continuare a investire SOLO sulla tecnologia digitale sia una scelta bieca e poco lungimirante.

2.10.23

Ci sono delle storie che non vorresti mai leggere . come : Vivaio: cacciati i ragazzi fragili, arriva la scuola di CL o “Ho la Sla e l’Inps mi ha mandato questa lettera” La vergognosa richiesta dei parassiti: pretendono la restituzione di mille euro di pensione per esser stato troppo in ospedale

Ci sono delle storie che non vorresti mai leggere .  come quelle   riportate  sotto  .

La  prima    presa  da   http://www.giannibarbacetto.it/  2.10.2023

Vivaio: cacciati i ragazzi fragili, arriva la scuola di CL

Se c’è una storia esemplare del “Modello Milano”, è la vicenda della scuola Vivaio. C’era una volta a Milano una scuola media unica nel suo genere: pubblica, musicale, inclusiva. Ai ragazzini offriva il tempo pieno, la piena integrazione con i molti compagni con qualche disabilità, molto lavoro di gruppo e una ottima formazione musicale, che era un po’ la specialità della casa. Il suo nome completo era: “Scuola Media Statale per Ciechi di via Vivaio”.
IL  suo programma prometteva: “La scuola attua un progetto di co-educazione e integrazione tra allievi vedenti, non vedenti e con altre disabilità. Attraverso lo studio delle diverse discipline, della musica e dello strumento musicale, la scuola si propone di far acquisire agli alunni non solo un sapere, ma anche un saper fare e un saper essere”. Promesse mantenute anche grazie al suo genius loci: era parte dell’Istituto dei Ciechi di via Vivaio, godeva di ampi spazi, laboratori, cortili, sale per la musica, un grande auditorium dove si svolgevano i concerti di Natale e del 25 aprile e un giardino dove andava in scena lo spettacolo di fine anno. Ma Milano non sa proteggere le sue eccellenze. Non quelle pubbliche, perché quelle private (dalla Bocconi alla Fondazione Prada) si valorizzano da sé.

 

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Il concerto di Natale 2021, le terze medie A e B cantano “Carol of the bells” (16 dicembre 2021) 

Questache era un’eccellenza collettive, di tutti, con più cultura che marketing, più sostanza che storytelling, più uguaglianza che ricchezza, è stata sradicata dal suo luogo magico. Il Comune di Milano ha preso atto che l’affitto pagato all’Istituto dei Ciechi per mantenere la scuola nei suoi locali era troppo alto (650 mila euro l’anno). 
Una delle piantine regalate dai genitori e ragazzi
della Vivaio a tutti i consiglieri comunali
“La legge di contenimento della spesa pubblica prevede la dismissione di queste affittanze”, dichiarò già nel 2021 la vicesindaca Anna Scavuzzo. La richiesta poi fu abbassata, ma non abbastanza da far cambiare idea al Comune, che ha deciso il trasloco in un edificio comunale in via D’Annunzio, zona Navigli. Il sindaco Giuseppe Sala, di solito così attivo e presente quando c’è da valorizzare le eccellenze private o trattare con i grandi operatori immobiliari, sull’eccellenza educativa di Milano è stato del tutto assente.Hanno provato a opporsi al trasloco i genitori, i professori, la preside. Quest’ultima, Laura Corradini, è stata sostituita, gli altri sono stati sconfitti. La scorsa estate è avvenuto il trasloco e a settembre le ragazzine e i ragazzini della Scuola di via Vivaio hanno dovuto iniziare l’anno scolastico in via D’Annunzio. In un edificio che i genitori ritengono non adatto alla particolarità della scuola e dei suoi alunni. “Lo avevamo previsto e sta succedendo: l’unico ascensore è spesso guasto e così i nostri figli fragili sono spesso costretti a mangiare in aula. Non possono scendere in mensa né in cortile, peraltro ancora occupato dalla spazzatura del trasloco”, racconta Camilla Bastoni.Intanto, nell’edificio di via Vivaio sono arrivati altri inquilini: i ragazzi della Canadian School of Milan, scuola privata (della Compagnia delle Opere) che sostituisce un’eccellenza pubblica della città. Il Comune di Milano non ha aspettato neppure la conclusione della vertenza al Tar, che aveva già fissato la data – 21 novembre – per la discussione dell’ultimo ricorso promosso dai genitori. Ormai il trasloco è fatto e la scuola canadese-ciellina ha preso possesso delle aule.

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La seconda   Quella di Carlo Antonini, bresciano malato di Sla, è una di quelle.
da  
Franco Lodige per il blog di Nicola Porro

“Ho la Sla e l’Inps mi ha mandato questa lettera” La vergognosa richiesta dei parassiti: pretendono la restituzione di mille euro di pensione per esser stato troppo in ospedale
ra

Carlo Antonini   ha  ricevuto un avviso dell’Inps che gli chiede di restituire un ammontare di pensione pari a circa 1.000 euro al mese.La notizia, raccontata dallo stesso Antonini sui social, è legata a un evento del 2021, quando è stato ricoverato al Niguarda di Milano per una tracheotomia e ha passato due mesi in ospedale. Durante questo periodo, Valentina, la moglie di Carlo, è rimasta sempre al suo fianco per prevenire rischi di soffocamento, giacché la sua presenza è necessaria per evitare che il povero Carlo vada all’altro “nel giro di due minuti” se un po’ di muco gli ostruisce le vie respiratorie. Il Centro clinico Nemo aveva anche redatto un documento che autenticava il bisogno di assistenza continua di Antonini da parte di sua moglie. Una certificazione che, in teoria, avrebbe dovuto garantire che l’assegno di accompagnamento non fosse sospeso per il periodo di ricovero. E invece… Invece due anni dopo, l’Inps recapita una lettera a casa chiedendogli di restituire mille euro in comode rate da cinquanta euro al mese. Trattenuti dalla pensione.

Il post di Antonini

“Prima di tutto voglio precisare che non voglio niente – ha scritto Carlo sui social – ma voglio spiegare certe situazioni che un disabile deve passare, che si sente sempre parlare che i disabili bisogna aiutarli aumentagli la pensione diminuendo le tasse dagli una vita dignitosa ,sono tante belle parole, ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. Il resto è una dettagliata spiegazione di quanto successo. “Mi è arrivata dall’Inps una lettera” secondo cui “devo restituire 1050 €, e sempre l’Inps a deciso che li restituisco un po’ al mese”. Perché tutto questo? “Due anni fa sono andato al Nemo di Milano al Niguarda per fare la Tracheotomia (il tubo che ho in gola come da foto) e per qualche imprevisto sono rimasto là due mesi. Io e Valentina sapevamo che dovevamo fare una carta dal Nemo che diceva che mia moglie doveva stare vicino a me sempre” in modo da conservare l’assegno di accompagnamento.L’ospedale firma i documenti, i coniugi mandano tutto all’Inps, ogni cosa sembra concludersi per il meglio finché, due anni dopo, arriva la doccia gelata: l’Inps ha controllato di dati trasmessi dal ministero della Salute e rideterminato l’importo degli assegni “relativi ai periodi di ricovero superiori a 29 giorni per l’anno 2021 a totale carico di strutture pubbliche”. Tradotto: Carlo deve ridare mille euro all’Ente previdenziale.

Antonini non vuole sollevare polemiche. E a dire il vero appare quasi eroico in questo. Però dice quel che pensa: “È giusto che se uno che prende l’accompagnamento e va in ospedale, e il grave lavoro di assistenza della famiglia passa al ospedale, va bene per il periodo di degenza non prenda l’accompagnamento. Ma per un malato come me, che ha bisogno di una persona sempre vicino, che fa fare una carta dall’ospedale spedita all’Inps, possibile che questa carta valga solo se stai in ospedale al massimo 29 giorni?”. Anche perché la moglie Valentina ha speso”circa 850 euro per il mangiare” e l’ambulanza che “mi è stata pagata da amici che ringrazio ancora”. La burocrazia però è burocrazia: essendo rimasto in degenza per due mesi, ad Antonini l’assegno di accompagnamento non spetta. Vi pare normale?

1.10.23

il caso di filomena lamberti prima ha raccontato la sua storia di dolore e mostrato una foto del suo volto sfigurato quando si trovava in terapia intensiva e poi vota per la prescrizione cioè alla ex cirielli

#FilomenaLamberti è una donna di Cava de' Tirreni che il 28 maggio 2012 decide di interrompere la relazione con suo marito, un uomo possessivo e violento. Questi, a seguito della rottura, decide di
sfregiarle il volto con l'acido. Fortunatamente, la donna non ha subìto conseguenze ancora più gravi, conseguenze che purtroppo toccano, e hanno toccato finora, decine di altre vittime come lei.
Filomena è stata invitata sul palco della kermesse di Forza Italia in corso a Paestum per raccontare la sua storia e aprire così la seconda giornata di lavori, all’interno di un dibattito dedicato alle donne. Ed   fin qui  niente  di male   anzi   fa  la  cosa  giuasta  visto che tali crimini  vanno al  di la  delle  ideologie   . 

 
PER    STOMACI  FORTI IL  SUO INTERVENTO IN  CUI MOSTRA  CIÒ CHE    GLI HANNO FATTO  




Il  fatto  che  lascia     basiti    e  che  essa   è  quella di Fi che vota il #ritornoallaprescrizione  / #excirielli e quindi la non condonnabilità per i testi di valenza di genere / femminicidio