Oggi si commemorano le vittime del #covid19. La ricorrenza è nazionale, ma nessuno la simboleggia meglio di Jihad, il giovane #palestinese che ogni giorno si arrampicava sulla parete dell'ospedale
dov'era ricoverata sua madre Rasma Salama, per poterla vegliare da lontano. In molti siamo stati Jihad, o avremmo voluto esserlo. Molti hanno salutato i propri cari solo dietro un vetro. Altri non hanno avuto nemmeno questa possibilità. Da allora sono trascorsi quattro anni. Rasma nel frattempo è deceduta, di Jihad abbiamo perso le tracce, ma la #Palestina sanguina più che mai; e il mondo intero trema sotto l'incubo di una #guerra, la #pandemia più devastante di tutte.Il «vaccino» in verità ci sarebbe. È il vaccino del #figlio, di chi sa di essere amato e a sua volta ama. Non esiste altro rimedio per le infermità che incontriamo o ci procuriamo.Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
18.3.24
padri di Daniela Tuscano
17.3.24
c'è chi dice no . Carmine Tursi, 81 anni, pensionato di Sperlonga e La ruspa sul sindaco: ora deve buttare giù il suo albergo abusivo ., Vanessa, una giovane donna canadese che gestisce l'account TikTok @wealthxlab dice blocca il suo capo che la chiama sul n rivato fuori orario
La ruspa sul sindaco: ora deve buttare giù il suo albergo abusivo
- Il Fatto Quotidiano
- » Antonello Caporale
“Mi sono ripromesso di non sparire, naturalmente di non morire e di non fare arretrare neanche di un millimetro le mie buone ragioni”. Carmine Tursi, 81 anni, pensionato di Sperlonga, il borgo marino adagiato sullo sperone che avanza nel Tirreno e lo divide da Gaeta e sul quale Tiberio fece costruire l’imperiale villa, fornisce la prova di quanto la realtà, se messa alle strette, possa superare la fantasia.
Venti anni di denunce e ricorsi: “Troppo tempo e troppo lento l’esame dei fatti, in provincia di Latina sembra tutto procedere al ralenty”, accusa Tursi. In effetti ogni denuncia avanzava tra sbadigli, a volte traccheggi. “Vent’anni per far valere i propri diritti danno il senso di possa torcere la legge, reinterpretarla,
L’hotel Grotta di Tiberio sulla costa di Sperlonga, è dei suoceri del sindaco rimodularla spesso a proprio favore”, spiega Francesco Di Ciollo, il legale che ha seguito, con una discreta dose di tigna, le vicende di Tursi. “Era il 2002 e tutto iniziò con l’ordine del sindaco di non parcheggiare più dove io abitualmente lasciavo l’auto. Avevo sessant’anni, mi sentivo ancora giovane e forte. E decisi di non subìre quel che mi pareva un sopruso”.
Il sindaco Cusani, che ha Sperlonga
nelle sue tasche e trascorre – ormai sono trentadue anni di presenza politica – nel municipio, suo domicilio abituale, le ore più belle. Tranne il decennio 2004-2014 in cui è stato costretto a trasferirsi a Latina per fare il presidente della Provincia e i mesi, nel 2017 in cui è stato costretto agli arresti, ha sempre concessoa Sperlonga di godere del suo dominio.
Sperlonga, tremila abitanti d’inverno, migliaia in più d’estate, documenta quanto la giustizia possa infine essere ingiusta, quanto
ANTONIO CUSANI ha una lunga carriera politica cominciata nella Dc. Con la nascita di Forza Italia è diventato berlusconiano, salvo aderire negli ultimi anno al movimento di Stefano Parisi. Eletto sindaco di Sperlonga per la prima volta nel 1997, rieletto nel 2001 e nel 2016, è al suo quarto mandato. Ha anche guidato la provincia di Latina. Ha subìto due sospensioni per la legge Severino il potere invece soverchiante, quanto le istituzioni connesse alla via del potere e non a quella del diritto.
GROTTA DI TIBERIO
è il nome dell’albergo che comunque, malgrado le ordinanze e le intimazioni e la denuncia definitiva, accoglie le prenotazioni per la prossima stagione di mare. “I novanta giorni concessi alla società proprietaria per abbatterlo sono scaduti, il municipio dovrebbe confiscare i beni e sostituirsi all’inerzia del proprietario”. Il municipio presumibilmente non avrà i soldi per abbattere lo stabile ma non avrà più la forza per tenerlo in piedi. La vittoria del signor Carmine, oggi ottantenne, è piena del dolore di aver conosciuto la potenza dei potenti: “Ogni intimazione si trasformava in un consiglio, ogni ordine in una facoltà, ogni ceffone in una carezza. Cosicchè io provavo gli abusi ma nessuna istituzione sentiva improrogabile l’obbligo di agire di conseguenza”.
L’eterno batti e ribatti: tu denunci, io ricorro, tu avanzi io mi oppongo giunge al punto che la soluzione della vicenda è data da una manovra di un inconsapevole harakiri del sindaco di Sperlonga. Decide infatti di nominare nel 2022 una commissione istruttoria con il compito di valutare la complessità della vicenda. La legge glielo permette? Vattelapesca.
Quel che è certo è che il dirigente dell’ufficio tecnico comunale, l’ingegner Pietro D’orazio (oggi trasferitosi in altro municipio), diversamente dai suoi colleghi, ammette che i titoli concessori sono totalmente viziati e ingiunge la demolizione dell’intero corpo di fabbrica.
Ancora una volta la realtà, messa alle strette dagli uomini, si incarica di superare la fantasia. E così l’albergo Grotta di Tiberio, costruito (anche) per mano del sindaco, ora attende degna sepoltura.
Paradossi Il primo cittadino ha ceduto ai suoi suoceri l’hotel sulla costa. Il Consiglio di Stato dice che va abbattuto, ma le prenotazioni per l’estate che arriva sono aperte...
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«Il mio capo mi ha mandato un messaggio fuori dall'orario di lavoro. Ho diritto a riposarmi: l'ho bloccato»
In un'epoca in cui la tecnologia ci tiene costantemente connessi, separare la vita lavorativa da quella personale può diventare una sfida. La storia di Vanessa, una lavoratrice che ha esposto le sue ragioni sui social, è diventata un simbolo della lotta per mantenere questo equilibrio. La sua decisione di bloccare il numero del suo capo, dopo aver ricevuto richieste di lavoro fuori orario, ha suscitato un'ampia risonanza e ha acceso il dibattito sull'importanza del diritto al disconnettersi. Vanessa, una giovane donna canadese che gestisce l'account TikTok @wealthxlab, dedicato a finanze personali e imprenditorialità, ha scelto di condividere un'esperienza personale che si discosta dai suoi soliti contenuti. Racconta di essere stata contattata dal suo capo tramite messaggio sul suo telefono personale, nonostante avesse specificato che questo dispositivo fosse riservato alla comunicazione privata e non lavorativa. Nella clip in questione, pubblicata a fine febbraio, Vanessa spiega: «Sono a casa, stanca dal lavoro, e per qualche motivo ha sentito il bisogno di scrivermi». Il capo le chiedeva di svolgere del lavoro da casa, nonostante non fosse in orario d'ufficio e stesse riposando.
Irritata dall'intrusione, ha optato per una soluzione drastica: bloccare il numero del suo superiore per salvaguardare il suo tempo libero: «Pago 45 dollari al mese per avere un telefono esclusivamente per motivi di lavoro. Il mio capo sapeva che non avrebbe dovuto mandarmi messaggi sul mio smartphone personale». Il gesto di Vanessa ha scatenato un'ondata di solidarietà su TikTok, dove il video in cui racconta l'episodio ha superato il milione di visualizzazioni. La reazione degli utenti varia dall'appoggio alla condivisione di esperienze simili, evidenziando un problema comune a molti lavoratori. Alcuni hanno suggerito di rivolgersi alle risorse umane, mentre altri hanno espresso ammirazione per il coraggio di Vanessa nel porre dei limiti. Questa vicenda evidenzia una questione cruciale nell'ambiente lavorativo moderno: la difficoltà nel mantenere separati lavoro e vita privata nell'era digitale. La pressione di essere sempre disponibili può avere ripercussioni negative sulla salute mentale e sul benessere degli impiegati. In risposta a questa problematica, alcune giurisdizioni, come la provincia dell'Ontario in Canada, hanno introdotto leggi che tutelano il diritto dei lavoratori di disconnettersi al di fuori dell'orario di lavoro, proibendo alle aziende di richiedere la loro disponibilità in tali momenti.
16.3.24
Il pene di Rocco Siffredi spaventa utenti Netflix: pioggia di disdette ed altre forme di perbenismo censorio ed uspolitico strumentale dellòa cancel culture
contenuto esplicito. Il breve video mostrava la star dello spettacolo, l’attore italiano Alessandro Borghi, mentre si metteva a suo agio con diverse donne poco vestite. Infatti La clip fatta sparire dall’Instagram di Netflix
US dopo poche ore. Non è chiaro però se sia stato rimosso a causa di reclami o feedback negativi. La serie, basata sulla vita del famoso attore adulto italiano Rocco Siffredi, ha già sconvolto alcuni abbonati Netflix. Le persone hanno criticato sia Netflix per aver rilasciato Supersex che Instagram per aver consentito la pubblicazione della clip . Mah neella clip, Borghi è a torso nudo su un divano rosso con una donna poco vestita in grembo, mentre altre donne li circondano. Anche se Borghi e la donna andavano su e giù, non era chiaro se stessero facendo qualcosa di volgare, e tutti i personaggi sembravano vestiti, anche se solo un po’. Ma gli spettatori si sono riversati sui social media per lamentarsi, criticando sia Netflix per aver mandato in onda lo spettacolo, sia Instagram per averne consentito la condivisione sulla loro piattaforma. Andando su X un fan ha detto: “Ora abbiamo il porno anche su Netflix? Sto cancellando l’account mentre parliamo, i miei figli non possono vederlo”.
Un altro ha scritto: “Stiamo rendendo il porno mainstream adesso? È piuttosto disgustoso che non ci siano avvertimenti su contenuti espliciti come questo”. Un terzo ha detto: “Che diavolo. Non è inappropriato per una piattaforma in cui i BAMBINI TI SEGUONO ?!”. Mentre un altro fan infastidito ha detto che la clip volgare potrebbe non aiutare coloro che hanno sofferto di dipendenza dal porno. Molte persone hanno incolpato Instagram per aver permesso che il contenuto venisse mostrato, e diversi utenti irritati si sono anche lamentati del fatto che i loro post sulla guerra tra Israele e Palestina fossero stati censurati. Ma il post sfacciato di Netflix non lo era.
Ora concordo l'indignazione pewrchè ci sono stati due pesi e due misure e che a chi come il sottoscritto soffre ed lotta contro la sua pornodipendenza possa creare problemi ma mi danno fastidoi benpensanti ipocriti infatti
per lo più visto che Sex Education è serie televisiva britannica, di 4 stagioni creata da Laurie Nunn per il servizio on demand Netflix non ha creato scandalo . Quindi invece di proibirlo , o disdire l'abonamento spiegate senza preconcetti e tabù erchè non è adatto a loro , la censura è inutile perchè andrà a vederselo d'amici o ricorrerà ad un abbonamento pirata per vederselo , come facevo io con i fumetti , giornali , film per adulti .
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L'ipocrisia culturale della sinistra: cancella in Natale, celebra il Ramadan
di Francesco Giubilei • 5 ora/e
quando la cancel culture è usata come scusa la destra accusa il pd milanese per aver augurato buon ramadam alla comunità islamica .
Mah per me non si tratta d'ipocrisia in quantro nnon si sta elogiando la religione islamica \ mussulmana a scaito di quella cristiano \ cattolica , ma si sta semplicemente augurandogli buon ramadam . quindi quanto riportato da ilgiornale
<< Ricordare le nostre radici cristiane, celebrare il Natale ed esporre il crocifisso nei luoghi pubblici viene ormai considerato dalla sinistra un attacco alla laicità dello Stato ma, elogiare il Ramadan, è consentito . [...] Si tratta di un passaggio significativo perché aiuta a comprendere la mentalità che anima la sinistra italiana (e occidentale). La solerzia con cui si spendono per ricordare e celebrare le tradizioni musulmane è pari solo all'attenzione dedicata a cercare di cancellare le nostre tradizioni.>> Risulta strumentale e fazioso . Cosi come è a mio avviso inesistente la tesi sostenuta da il giornale che arriva a citare il pensatore conservatore inglese Roger Scruton definisce fenomeni come questi «oikophobia», odio per la propria casa e perciò per l'identità occidentale. Si tratta di un fenomeno non più solo culturale e politico ma anche antropologico in una parte della popolazione occidentale che tende a vedere in modo negativo i valori occidentali e a volerli perciò cancellare esaltando al contrario tutto ciò che arriva da altre culture. A forza di essere inclusivi con gli altri abbiamo finito per odiare noi stessi.
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"La mostra in chiesa è blasfema". E i fedeli presentano un esposto in procura
© dal web
La mostra d'arte attualmente in corso presso la chiesa di Sant'Ignazio a Carpi continua a non riscontrare il favore dei fedeli, perlomeno stando a quel che riporta la stampa emiliana. Uno, in particolare, il quadro che viene contestato e reputato blasfemo. E nelle scorse ore, su istanza di alcuni parrocchiani (e non solo) è stato trasmesso un esposto alla procura della Repubblica di Modena, che invita i magistrati ad indagare l'arcivescovo Erio Castellucci e i suoi collaboratori per vilipendio della religione cattolica, bestemmia ed esposizione di immagini blasfeme in luogo sacro. Questo è quanto riporta il sito web ModenaToday, a proposito di una vicenda che sta facendo discutere e che promette di travalicare i confini regionali. Ad essere finita nell'occhio del ciclone è l'esposizione artistica "Gratia Plena", dell'artista Andrea Saltini: molti non avrebbero in particolare gradito un dipinto nel quale si vede un uomo chino sul corpo del Cristo morente. La testa dipinta all'altezza del pube lascerebbe a loro dire intendere come la persona ritratta di spalle sia impegnata nel praticare una fellatio. “Ho trasmesso alla procura competente i primi atti nei quali si precisa come tali rappresentazioni costituiscono pubblica, palese ed esplicita offesa della fede cattolica - ha spiegato l'avvocato Francesco Minutillo, che assiste i fedeli - realizzando il vilipendio tanto della fede stessa quanto delle migliaia di fedeli, che giustamente scandalizzati ed indignati, hanno già sottoscritto appelli di chiusura e rimozione della mostra e partecipato a pubbliche preghiere di riparazione.
Fin qui niente da eccepire in quanto la mostra s'è tenuta in un luogo sacro e se ne sarebbe offesa la sensibilità . Ma da li avanzare anche la richiesta del sequestro delle opere affinché venga immediatamente fermato lo scempio in corso”.Mi sembra proprio censura bella e buona
15.3.24
Josh Cavallo, il primo calciatore gay a fare coming out chiede la mano al suo compagno allo stadio: «Inizio l'anno da promesso sposo»
Il calcio si tinge di arcobaleno, almeno per questa volta. Nonostante negli anni alcuni calciatori abbiamo fatto coming-out, si pensi al giocatore del Cagliari Jacub Jankto, è la prima volta che un professionista chiede la mano del suo compagno in maniera pubblica.
Il protagonista di questa storia d'amore è Josh Cavallo, calciatore 24enne australiano dichiaratamente omosessuale. Il giocatore ha fatto una proposta di matrimonio al suo compagno allo stadio Coopers, il campo della sua squadra Adelaide United, che milita nella A-League australiana.
«Inizio l'anno con il mio fidanzato», ha dichiarato in un post su Instagram, che lo ritrae in ginocchio con l'anello in mano, di fronte al suo compagno. Cavallo ha ringraziato la sua squadra per reso possibile questa sorpresa: secondo il calciatore, la società gli ha fornito una comfort zone: «Non avrei mai pensato che potesse essere possibile nemmeno nei miei sogni», ha scritto, aggiungendo che voleva «condividere questo momento speciale sul campo, dove tutto è cominciato».
Il coming out e le lotte LGBTQIA+
Da sottolineare che Cavallo aveva già fatto la storia nel 2021 per essere il primo giocatore professionista a fare pubblicamente coming out «per dimostrare che tutti sono ben accetti nel calcio». L'annuncio era stato accolto come un momento epocale in uno sport ancora legato agli stereotipi maschili e all'omofobia. Da quel momento, il calciatore gay è diventato una personalità delle lotte della comunità LGBTQIA+ e ha iniziato a giocare con il numero di maglia coi colori dell'arcobaleno, per sensibilizzare il pubblico e i colleghi. Due anni fa si era scagliato contro la decisione della FIFA di vietare ai giocatori di indossare fasce «OneLove» durante i mondiali in Qatar. «Se fossi stato lì e fossi stato il capitano, sì, avrei indossato la fascia. Non ho vergogna di essere chi sono», disse alla CNN.
I dati sulle discriminazioni nel calcio
Nel calcio professionistico sono ancora pochissimi gli atleti che hanno dichiarato la propria omosessualità. Secondo un rapporto sulla stagione 2022-23 pubblicato da «Kick It Out», gruppo antidiscriminazione del calcio inglese, le segnalazioni di comportamenti discriminatori sono state 1.007, in aumento del 65,1% rispetto alla stagione precedente. Ma il razzismo e le discriminazioni sono radicate in questo sport.
L'anno scorso il portiere dell'Arsenal, Aaron Ramsdale, ha detto che non poteva più tacere sugli abusi omofobici nel calcio, per amore nei confronti di suo fratello: «Voglio che mio fratello - o chiunque di qualsiasi sessualità, razza o religione - venga alle partite senza dover temere gli abusi».
La Danimarca si appresta a introdurre il servizio militare obbligatorio anche per le donne aura dovuta all'effetto russia o esasperata equiparazione tra i sessi ?
La Danimarca si appresta a introdurre il servizio militare obbligatorio anche per le donne. Lo ha annunciato in una conferenza stampa il ministro della difesa Troels Lund Poulsen . Copenaghen si aggiungerebbe così a un ristretto numero di governi (Svezia, Norvegia, Israele) che già equiparano maschi e femmine nell’obbligo di servire la Patria in armi.L’annuncio del ministro Poulsen fa parte di un piano più ampio per il rafforzamento della sicurezza nazionale: questo prevede l’allungamento del servizio militare di leva da quattro a 11 mesi e l’aumento dei contingenti militari a disposizione in caso di necessità.
Ora secondo voi come suggerisce il mio utente LinkedIn Angelo Greco
oppure
Maria Chindamo data in pasto ai maiali, il fratello: “Non accettavano la sua relazione, cosa vogliamo ora”
“In questa terra succede anche che un nonno canti filastrocche ai suoi nipoti e poi uccida la loro madre. La cultura della ‘ndrangheta infetta e si insinua in tante famiglie calabresi”. Sono parole forti quelle di Vincenzo Chindamo, il fratello di Maria, l’imprenditrice agricola di 42 anni, di Laureana di Borrello (Reggio Calabria), sequestrata e poi data in pasto ai maiali ancora viva. L’omicidio è datato 6 maggio 2016 e, da allora, Vincenzo non si è mai arreso pretendendo verità e giustizia.
La ricostruzione del crudele omicidio
Ad otto anni di distanza dal terribile omicidio, i giudici della Corte d’Assise di Catanzaro, da ieri sono chiamati ad accertare i motivi e le responsabilità dell’omicidio, avvenuto proprio davanti l’azienda agricola di Maria Chindamo. Le indagini della Procura distrettuale, scrive oggi il Corriere della Sera, hanno consegnato alla Corte il nome del probabile mandante e quello di colui che ne avrebbe occultato il cadavere.
A decidere l’eliminazione della donna sarebbe stato Vincenzo Punturiero, il suocero — legato da vincoli di parentela con i Bellocco di Rosarno —, morto un anno dopo la sua scomparsa. Attribuiva a Maria la causa del suicidio del figlio, Ferdinando Punturiero, impiccatosi un anno prima dell’agguato ai danni della donna. Ad essere giudicato, quindi, sarà il solo Salvatore Ascone, 57 anni, braccio destro dei Mancuso di Limbadi, indicato dai magistrati come uno dei sequestratori di Maria.
«In questa terra succede anche che un nonno, canta le filastrocche ai nipoti e nel contempo elabora l’idea di uccidere la loro mamma, sua nuora», dice Vincenzo Chindamo, fratello di Maria.
Le parole del fratello Vincenzo
«La cultura della ‘ndrangheta infetta e si insinua in tante famiglie calabresi, prende le redini e riesce a mascherare odio e vendetta, all’insaputa di tutti», afferma Vincenzo. «È stato così anche per la famiglia di mia sorella. Suo marito Ferdinando era un brav’uomo, ma suo padre, ha saputo nascondere a mia sorella e ai suoi nipoti il suo vero carattere di uomo duro, violento». Vincenzo Puntoriero non ha sopportato «’u scornu», la vergogna di una nuova relazione sentimentale che Maria aveva intrecciato con un poliziotto, dopo il suicidio del marito. «Vincenzo Punturiero non avrebbe sopportato quest’onta e avrebbe indicato non solo di uccidere Maria, ma anche il modo per farla scomparire. Maria aveva percepito qualcosa. Era timorosa, non era affatto serena: non pensava mai, però, che l’acredine del suocero potesse arrivare sino a farla uccidere».
Seppure piccoli, al momento della scomparsa della loro mamma, anche i figli della donna, Vincenzino junior, Federica e Letizia, hanno intuito la brutalità del loro nonno. «Ricordo — dice Vincenzo — che il giorno della scomparsa di Maria non sapevo come dirlo a Federica, all’epoca 15enne. Non trovavo le parole giuste. Lei mi ha guardato negli occhi e mi ha detto: ‘C’entra il nonno, vero?’. La nuova relazione aveva ridato il sorriso a mia sorella, la speranza di un futuro diverso”.
“Maria era una donna tosta e, anche la ‘ndrangheta si era accorta della sua testardaggine quando, hanno tentato di accaparrarsi le sue terre. Ha stretto i denti, si è riorganizzata la vita si era ritagliata il suo spazio. Atteggiamenti che ancora oggi, da queste parti, sono considerati tabù», annota Vincenzo.
La storia di Maria Chindamo, ricorda il Corriere, è diventata anche uno spettacolo teatrale: «Io parlo, io sono libera di parlare ancora». La rappresentazione è itinerante ed è materia di studio nelle scuole. È diventato un’attività didattica per far conoscere il profilo sociale del caso
La lezione di Luca Garofalo Il ragazzo soffre di una grave malattia degenerativa ma si batte per i propri diritti e non cede al “ragionierismo” della burocrazia di Emiliano Morrone
LA LENTE DI EMILIANO da www.corrieredellacalabria.it/ 15/03/2024 – 6:45
La storia di Luca Garofalo ripropone un brutto paradosso del Servizio sanitario calabrese, [ e non solo purtroppo aggiunta mia ] che gli ha negato una carrozzina elettrica a quattro ruote motrici, costo sui 20mila
euro, ma negli anni ha liquidato premi stellari a vari direttori, anche innanzi a clamorosi sforamenti di bilancio. Il ragazzo vive a Cotronei (Crotone) e soffre di una grave malattia degenerativa che gli ha paralizzato gli arti inferiori. Ciononostante, si batte per i propri diritti e non cede: vuole quel mezzo, che – spiega – «può superare diverse barriere architettoniche» e portarlo «persino in spiaggia».Lo scorso 23 febbraio l’Asp di Crotone aveva respinto la pratica del giovane, ritenendo la carrozzina richiesta «non appropriata e comunque non compatibile». In realtà, la normativa statale consente alle aziende pubbliche della salute di acquistare ausili del genere in casi come quello di Luca, che purtroppo non si alzerà in piedi a mo’ del Lazzaro evangelico e non ha le gambe bioniche del colonnello Steve Austin, “L’uomo da sei milioni di dollari” del piccolo schermo anni ’80. Nei confronti del disabile, un pezzo della burocrazia dell’Asp di Crotone, per fortuna non tutta, ha dato una dimostrazione di ragionierismo disumano e dispettosa cattiveria, dimenticando due capisaldi della Costituzione: che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»; che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».Diritti scambiati per favori
Ma che cosa è la Repubblica, laddove, a Sud come a Nord, i diritti sono spesso scambiati per favori e negli uffici non si tollera il controllo dei cittadini e dell’informazione, manca l’abitudine di vestire i panni altrui ed è frequente scaricare le proprie responsabilità sui livelli superiori o giustificare fatti imbarazzanti con istituti di comodo quali «il sistema» e «l’andazzo»? E tornando a Luca: se gli avesse comprato la carrozzina elettrica 4×4, l’Asp di Crotone sarebbe fallita di colpo o non avrebbe più potuto pagare la diagnostica e la chirurgia affidate (regolarmente) a privati convenzionati? Perché, inoltre, qualcuno ha sentito il bisogno di delegittimare il ragazzo, di farlo passare come un beneficiato sul piano dell’assistenza protesica, per non dire dell’altro di cui abbiamo solide prove? E chi doveva ritirare le carrozzine che per Luca non vanno ormai più bene? È giusto, per riprendere un motto di Paul Valéry, colpire il ragionatore se non si può attaccare il ragionamento?
L’incontro con Stanganelli
Di sicuro Luca ha un carattere, che altrove dà merito: non si piega, non supplica il suo interlocutore e non attende concessioni, ma pretende rispetto e ciò che gli tocca in base alla legge e al diritto. In questa settimana siamo andati a trovarlo, e sarebbe bene che lo facesse quella burocrazia che gli ha voltato le spalle, in modo da rendersi conto degli spazi domestici e delle condizioni personali del giovane, della maturità che mostra e di quanto e perché è seguito e apprezzato a Cotronei e nel resto della Calabria: dai suoi datori di lavoro al sindaco Antonio Ammirati, dal direttore del mensile locale, Pino Fabiano, all’impegnato Giuseppe Pipicelli, dai vicini di casa agli altri concittadini, alla Garante regionale della salute, Anna Maria Stanganelli, che l’ha inserito nel proprio ufficio per raccogliere a titolo gratuito le segnalazioni dei più deboli. Senza scordare il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, che già una volta era intervenuto per Luca, sempre a proposito di una carrozzina, e di recente avrebbe avuto tre telefonate di fuoco, raccontano al piano di comando della Cittadella, riguardo all’ultimo episodio che mortifica il ragazzo.
Una “spina nel fianco”
Forse qualcuno avrebbe preferito vedere Luca allettato, remissivo, silente, ma lui ha un pregio esemplare: sa che nelle amministrazioni pubbliche della Calabria si guarda poco con gli occhi dei disabili, dunque non si arrende e, anzi, si allena a combattere meglio, non soltanto per sé. Peraltro, c’è chi l’ha addirittura definito «stalker» e ha confuso un messaggio preimpostato con un eccesso di confidenza del giovanotto. Sono equivoci generati dal pregiudizio mentale, come quello del monaco e blogger che, rincorso da un commerciante tunisino intento a restituirgli il resto di 50 euro, stava preparandosi allo scontro fisico temendo di venire derubato. Luca è una spina nel fianco della burocrazia nostrana. Una volta l’Asp di Crotone gli aveva certificato: «Non ha potuto espletare nostro malgrado la visita medico-sportiva agonistica per mancanza di attrezzatura idonea ad atleti diversamente abili». Se ci sono carenze strumentali e comportamentali, si possono risolvere, come del resto chiede Stanganelli e vuole Occhiuto, senza scontri o tensioni. Luca agisce per principio perché ha un profondo senso della giustizia. «Vorrei sapere – ci dice – se la domanda di una nuova carrozzina l’avesse fatta il figlio di qualche dirigente sanitario. Perciò io voglio che sia l’Asp a comprarla, non un privato. E non mi fermerò finché non avrò raggiunto l’obiettivo». Per via dell’interessamento della Garante Stanganelli, un club filantropico e alcuni imprenditori avevano prospettato una donazione in favore del ragazzo, che ha risposto: «No, grazie. Non può passare il messaggio che con atti di carità si debbano risolvere i problemi in carico al sistema pubblico».
La storia del piccolo Mariano
La vicenda di Luca ricorda quella del piccolo Mariano, che aspettava da molto una carrozzina su misura e infine l’ha ottenuta grazie al racconto del Corriere della Calabria, all’impegno della Garante Stanganelli e alla sensibilità del commissario dell’Asp di Catanzaro, il generale Antonio Battistini. Anche stavolta può prevalere il buon senso. Anche stavolta può vincere l’umanità. Anche stavolta può passare il principio, che Battistini condivise con Stanganelli, secondo cui «il dovere di alleviare la sofferenza prevale sempre su ogni altra ragione».
(redazione@corrierecal.it)
lo sterco del diavolo...ehm...il denaro non ha confini etnici Rapina choc in un gioielleria di Brescia: il leader della banda è un fotomodello frequentatore delle passerelle milanesi
Oltre a titolo del post penso che , lo stesso vale pe r tutti a prescindere dall'appartenenenza etnica , che chi tropo vuole nulla stringe . Capisco e posso comprendere , ma non giustifico , che tu venga in italia ed delinqui per vivere . Ma quando : non sei sfruttato cioè devi pagare i il debito a chi ha fatto venire , non hai lavoro , ecc . ma hai un lavoro che ti permette di vivere dignitosamente o anche bene come il caso in questione allora sei una 💩
da https://www.msn.com/it-it/channel/source/Leggo/
Sono stati arrestati tre rapinatori ritenuti responsabili di due rapine violente e a mano armata avvenute a Brescia in un compro oro di via Orzinuovi a inizio gennaio e all'interno di una gioielleria sotto i portici in pieno centro di due settimane fa. Il leader della banda criminale è un fotomodello di 22 anni di origini senegalesi, che ha sfilato sulle passerelle milanesi per i più grandi marchi di moda.Stando a quanto emerso dalle indagini, la banda, composta da giovanissimi, commetteva le rapine per poter fare poi una vita di lusso tra potenti auto e cene nei migliori ristoranti.
Gli arrestati: Sylla il modello era il capo banda
Il fotomodello si faceva chiamare “Sylla”. «Faccio il modello a Milano», diceva nelle telefonate intercettate dagli investigatori. Sul suo profilo social, e nella sua abitazione di Mazzano, nel Bresciano, sono state trovate le foto colori e in bianco e nero, mentre indossa le ultime collezioni uomo nei defilé, prova i capi e il portamento nel backstage con tanto di fotografo, si prepara nei camerini professionali di un mondo che conosceva. Origini senegalesi, ha appena 22 anni. E per gli inquirenti sarebbe stato proprio lui, la sera del 23 febbraio scorso, a mettere a segno la rapina violenta alla gioielleria «I gioielli di Rossana» sotto i portici di via X Giornate insieme a un complice albanese di 26 anni (l’unico incensurato). In cella sono finiti in tre: c’è anche un 27enne di origini marocchine nato in Italia, anche lui di casa a Mazzano. Due i colpi che vengono loro contestati: quello in gioielleria e al compro oro «Oro in euro» del 10 gennaio scorso, in via Orzinuovi, sempre in città. Tutti e tre avevano un alto tenore di vita, dalle auto ai ristoranti di lusso.
Banda sgominata grazie ai filmati di videosorveglianza
Filmati di videosorveglianza sono stati fondamentali per dare un volto alla banda di rapinatori, che tra gennaio e febbraio, ha colpito un compro oro e una gioielleria a Brescia.Grazie alle immagini carabinieri e polizia sono risaliti ai presunti membri. I tre uomini, che stavano preparando un altro colpo, sono stati fermati a Mazzano e portati in carcere.
Spinto il titolare del negozio e picchiato il figlio
Nel video del 23 febbraio si vede una donna uscire dalla gioielleria. Fuori, sotto i portici del centro, aspettano due uomini vestiti da rider a bordo di monopattini e con il casco. Approfittano della porta aperta e fanno irruzione in negozio. Spingono la titolare e picchiano il figlio, e dopo aver sparato un colpo a salve, scappano con 300mila euro di refurtiva. Il 10 gennaio i rapinatori avevano usato i passamontagna per camuffarsi. Sempre con la pistola in pugno avevano portato a termine il colpo.
Oltre ai tre fermati ci sono sette indagati
Oltre ai tre fermati ci sono altri sette indagati. Tra loro la donna, indagata per concorso in rapina. La complice, secondo le ricostruzioni, si fingeva cliente, entrava in negozio e così apriva la strada ai rapinatori. Gli altri sei sono indagati per ricettazione. Le forze dell'ordine durante le perquisizioni nella case degli indagati, tutti residenti nel bresciano, hanno recuperato parte della refurtiva: orologi e gioielli.Le rapine avevano creato allarme tra i negozianti. La titolare della gioielleria Renata Dini aveva incontrato il questore. Dopo gli arresti, ha raccontato, ha ritrovato la serenità.
Le parole del prefetto di Brescia
«Sono particolarmente felice del risultato di questa operazione di Polizia e carabinieri avvenuto in tempi rapidi. Erano fatti che hanno preoccupato molto la comunità bresciana Lo Stato ha risposto», ha detto il prefetto di Brescia, Maria Rosaria Laganà, introducendo la conferenza stampa sugli arresti. «Abbiamo dato una risposta concreta - ha aggiunto -, al di là delle rassicurazioni, a chi opera nel centro di Brescia.Dopo la rapina in gioielleria si era diffusa la paura».
LE ANIME BELLE ESISTONO E RESISTONO ... Lei si chiama Chiara Trevisan, ha 46 anni e di mestiere legge libri agli sconosciuti.
da Mauro Domenico Bufi 21 dicembre alle ore 11:05 il suo carretto carico di libri, frasi, parole, storie. In testa un buffo cappell...
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