Ci avviciniamo al 25 novembre e si parla di femminicidio e violenza sulle donne . Il problema è che tale giornata viene affrontata parlano solo di
violenza fisica , dimenticando o facendo passare in secondo piano e senza l'autrocritica delle istituzioni politico ecconomiche che con l'ottusa burocazia , quando ne parlano , la violenza psicologica e ed economica che una donna subisce . Ed apunto il caso della storia che riporto nel post d'oggi
corriere della sera tramite msn.it del 7\10\2024
«Si parla tanto di violenza di genere, quella fisica. Ma io sono l’esempio vivente di come si possa essere annientati anche da un altro tipo di violenza di cui si parla molto meno: quella economica. L’uomo con il quale ho avuto una relazione per quasi trent’anni e che ho avuto la sventura di amare mi ha portato via tutto. Avevo uno studio odontoiatrico ben avviato, avevo attrezzature costosissime, avevo pazienti che stravedevano per me. Non ho più nulla e soltanto la mia tenacia mi ha consentito di ricominciare daccapo, anche se lavoro per pagare i debiti. Ma la cosa che mi fa più male è che in mezzo a tutto questo, adesso, mi ritrovo ad avere come nemico anche lo Stato, o meglio: le sue rigidità, la sua burocrazia. Ma come? Il tribunale stabilisce con decreto ingiuntivo che lui mi deve 90 mila euro (una miseria rispetto a quel che mi dovrebbe) e non soltanto lui non me li da ma l’Agenzia delle entrate viene a bussare alla mia porta con una cartella esattoriale da 53 mila euro. Dicono che devo pagare per l’evasione commessa in cinque anni dallo studio che condividevo con lui. Peccato che io non ero lì in quei cinque anni! Posso provarlo, ma a quanto pare nessuno vuole ascoltarmi. Io questa la chiamo ingiustizia». Maria Rosaria Mattia ha 64 anni e una vita vissuta in Irpinia, in un paesino della provincia di Avellino. Se la senti raccontare la sua storia capisci che, malgrado tutto, ha scartato dalla sua vita l’ipotesi della resa. È medico e odontoiatra, appunto, ma la sua professione vera, oggi, è quella di combattente per la causa delle donne chesubiscono violenza economicacome lei. «Io non ho ricevuto mai un ceffone, mai mi è stato torto un capello», assicura, «ma la manipolazione, il comportamento subdolo, quelli sì che li ho conosciuti. Parole che ti fanno a pezzi psicologicamente: insulti, oltraggi, offese profonde. Sono arrivata a un passo dal suicidio, e lui: perché non ti uccidi? chi ti piange? sei una squilibrata, fallita. Una cattiveria che non potrò mai dimenticare». La storia vissuta con quell’uomo è finita nel 2018, e quando lei ha preteso che lui uscisse di casa la promessa è stata chiara: «Ti farò impazzire». La cartella esattoriale da 53 mila euro è parte di quel piano. Quando la guardia di finanza ha fatto accertamenti sull’attività di lui nello studio, ha scoperto un’evasione fiscale «importante», come la definisce lei. Sulle prime lui ha dichiarato ai finanzieri che «no, lei non c’entra niente. Ho fatto tutto io», salvo cambiare poi versione con l’Agenzia delle entrate tirando in ballo la doppia intestazione dell’attività. «Non sono tanto i 53 mila euro, che pure mi farebbero molto comodo», giura lei. «È sentirsi ancora una volta sbagliata per non essermi ribellata prima a quell’uomo. Lo studio era una mia creatura, funzionava benissimo. Per molti anni, dato che lui era sgarbato con me davanti ai pazienti, mi sono fatta da parte; ho lasciato che lo conducesse lui e non ho mai visto un soldo. E quando alla fine si è laureato sono stata pure così sprovveduta da farlo diventare studio associato fra noi due. Sono i danni della manipolazione, ma me ne sono resa conto soltanto dopo» Comunque la domanda di Maria Rosaria Mattia, adesso, è : «Possibile che non si possa trovare una strada per non fare un altro torto a me o a chi come me si ritrova in mezzo a guai economici per colpa di relazioni intime disgraziate?» Mentre lei cerca una risposta, la sua non-resa è diventata attivismo su più fronti. La dottoressa è riuscita con le sue sole forze e indebitandosi fino al collo, ad aprire in provincia di Salerno una casa rifugio per donne maltrattate che ha chiamato Le Ninfee. Non solo: ha aperto un Centro di diagnostica per immagini e una cooperativa (Namasté) per la gestione di una casa di riposo per anziani, sempre in provincia di Salerno. E c’è dell’altro. È lei stessa che annuncia: «Finalmente dopo 6 anni da quando sono stata cacciata fuori da quello che era uno studio associato, io sono riuscita finalmente a riaprire il mio nuovo studio odontoiatrico. Alla fine di ottobre, spero, dovrei inaugurarlo. Prerogativa di questo studio saranno le prestazioni odontoiatriche assolutamente gratuite alle donne vittime di violenza. Anche questo mi rende fiera di me dopo essermi sentita meno di niente».
Mattia Marotta aveva 15 anni. Nel 2022 ha deciso di salutare questo mondo. i genitori Emanuela e Christian hanno voluto dedicato una lunga riflessione al loro figlio. Ha ottenuto migliaia di like e condivisioni.E ancora continua a circolare sui social La pubblichiamo anzi lo ripubblicoo
ché un mamma e un papà che si affidano a Facebook per ricordare il loro figlio, sentono forte il bisogno di convididere il dolore. Di raggiungere rapidamente tutti quelli che ci sono stati in questo tempo di lutto e disperazione. La lettera l’ha scritto mamma Emanuela usando la pagina social del marito. Perché non ci sia un altro Mattia. Ma soprattutto funga da riflessione in virtù degli ultimi suicidi
"Mattia era il nostro bambino, aveva 15 anni ed era estremamente intelligente e, come tutte le
persone particolarmente intelligenti, era tremendamente sensibile. Una sensibilità che lo faceva sentire diverso e non compreso.
Gentile e affettuoso, vivace, allegro... Ma si sentiva anche incompreso, spesso con poca autostima causata da quegli adulti che sin da piccolo lo hanno tormentato, umiliato, bullizzato solo perché non si uniformava ai suoi compagnetti, perché amava abbracciare gli amici o perché per lui stare seduto per 6 ore era difficile.
Mattia ci ha scritto: "Sono morto a 6 anni" per farci capire che il suo tormento ha origini lontane.
In seconda media, nell'animo sensibile del nostro bambino qualcosa si spezza; non sappiamo cosa sia stato, forse l'esclusione dalla gita scolastica o forse il fatto di essersi sentito per l'ennesima volta tradito da quegli adulti che avrebbero dovuto comprenderlo e guidarlo.
Qualunque cosa sia stato, Mattia ci ha detto che quell'anno ha capito quanto dolore avesse dentro, e quanto questo lo logorasse.
Si sentiva tanto solo, aveva tolto Whatsapp perché nessuno dei suoi amici lo chiamava per chiedergli: "Come stai"? e poi è arrivato il buio a riempire la sua stanza e i pianti tutte le notti.
La scuola non lo comprendeva, e per Mattia era solo un posto in cui si sentiva etichettato.
Mattia in tutto questo tempo ci ha nascosto il suo disagio; solo tra gennaio e febbraio siamo riusciti a percepire che non stava bene. Abbiamo informato la scuola, contattato un consulente psicologico, cercato di prenotare una visita in neuro psichiatria infantile. Abbiamo cercato di chiedere aiuto e purtroppo, per Mattia e per noi, ci siamo scontrati con l'indifferenza della scuola, con un consulente psicologico che lo ha abbandonato quando il suo supporto si rendeva ancora più necessario, e per finire un reparto di neuropsichiatria che mi ha contattata solo il giorno dopo la scomparsa di mio figlio a causa della pessima gestione della mia richiesta di aiuto.
Perché ho raccontato tutto questo? Perché io e mio marito siamo stanchi di sentire che la morte del nostro bambino viene trattata dai nostri concittadini come un pettegolezzo da bar.
Mio figlio era un bambino di 15 anni, era deluso dagli adulti, dalle istituzioni, le stesse che non hanno reputato neanche di dover proclamare il lutto cittadino, nonostante il mio bambino abbia scelto un parco diventato luogo degradato, per porre fine alla sua vita, e la sua non è stata una scelta casuale.
Nostro figlio sarebbe potuto essere uno dei vostri figli, il figlio del sindaco, dello psicologo e di chi risponde al maledetto telefono di un reparto di neuropsichiatria infantile. I suoi pensieri sono i pensieri dei vostri figli, e chiunque potrebbe ritrovarsi come me e Christian, disperati per non essere riusciti a salvare il proprio figlio.
Sono trascorsi mesi da quel maledetto giorno, mesi in cui noi non ci diamo pace, in cui nostro figlio ci manca come il respiro; sono trascorsi mesi e ne passeranno tanti, tanti altri in cui noi continueremo a soffrire. Ma sono passati anche mesi che avrebbero dovuto far riflettere tutti quegli adulti che, in un modo o nell'altro, hanno tradito nostro figlio e tradiscono ogni giorno i figli di qualcun altro.
Mattia ci ha detto che ci amava, e soltanto di questo purtroppo noi ci potremo nutrire. Concludo chiedendovi di condividere, nella speranza che qualcuno comprenda quanto sia necessario tacere se non si sa o non si conosce, ma soprattutto portare rispetto ad un bambino di 15 anni che non è riuscito a sopportare il male del mondo.
Grazie a tutti coloro che ci sono vicini, Emanuela e Christian, i genitori di Mattia"
Non mi riconosco in un paese dove ci sono tale persone che hanno mandato il cervllo all'ammasso e si sono fatte abbindolare dalla propaganda . Infatti come ho detto nel titolo No. Io non mi riconosco in una politica che dopo la morte di qualcuno, sia pure un delinquente, dice “non ci mancherà”.
Io non mi riconosco in una politica che invece di proteggermi dai delinquenti e insegnarmi, contemporaneamente, a non odiare, ma solo a pretendere giustizia e sicurezza – e magari eliminare le ingiustizie e le insicurezze che seminano altra violenza e altro odio – , mi spinge ogni giorno a cercare un nemico, e odiarlo.Io non mi riconosco in una politica che cerca tutti i giorni di convincermi che se sono povero, senza prospettive, senza servizi, è colpa degli immigrati.
Io non mi riconosco in una politica che non fa che additarmi chi delinque, chi aggredisce, chi spaccia – ma solo se è di un altro colore, o è nato fuori dall’Italia – per farmi dimenticare chi evade, chi truffa, chi si approfitta di me, chi non vuole pagare le tasse e ci riesce, chi anche grazie al mio lavoro accumula patrimoni su cui non pagherà, in proporzione, quanto io pago per il poco che ho: tutti italianissimi. Per farmi dimenticare le mafie che possiedono e governano territori (contrastate dai magistrati che quella stessa politica tenta di svilire e ridimensionare, contrastate da quelle forze di polizia che non vengono rinforzate e adeguate: anzi, le esportiamo in Albania a guardare il barile).Io non mi riconosco in una politica che sul tema epocale e universale (questo sì) delle migrazioni sa rispondermi solo creando lager: al “modello Albania” io preferisco il “modello Riace”, che pure è scomparso, e non si capisce( almeno che tu guardi avanti cioè : << [...] Il matto parla con lo sguardo perso\Sogna forte \E vede lontano >> * o fai ipotesi che vengono definite complottiste \ seghe mentali dalla stessa classe politica ) perché. Chi quel modello lo ha conosciuto da vicino – nelle strade dove correvano i bambini, tra le botteghe artigiane dove si lavorava, nelle case che riaprivano le finestre – sa come fosse l’unico che produceva comunità, e non esclusione. Che dava senso alle vite, e vita ai luoghi. E no, non parlatemi delle vicende giudiziarie di Mimmo Lucano: se i ministri indagati sono innocenti fino all’ultimo grado di giudizio, anche lui lo è (la sentenza d’appello, vi ricordo, ha fatto cadere tutte le accuse più gravi, ed è stato certificato che lui non ha tratto alcun profitto personale da quello che ha fatto). Ma soprattutto vi do una notizia: il modello Riace può prescindere da Lucano. Basta chiarirci cosa vogliamo, chi vogliamo essere. E no, non mi riconosco in una politica per cui ogni straniero è un nemico, ogni clandestino vuole venire qui a rubarmi la casa e la vita – tranne quelli che teniamo qui, chiudendo un occhio o tutti e due, per raccogliere i nostri pomodori o badare ai nostri anziani – , e il problema si affronta con più muri e più ostacoli: tutti nel fienile col fucile spianato.
No, io non mi riconosco in una politica che da un lato non fa che parlarmi delle mie “radici cristiane” e si fa scudo d’un granitico “Dio, patria e famiglia” – qualcuno invoca anche il Cuore Immacolato di Maria, o bacia i rosari – , ma dall’altro sostituisce “ama il prossimo tuo” (ricordo un cartello con questa scritta, e un ministro che tramite forze dell'ordine lo fece rimuovere) con “odia e non accogliere il prossimo tuo”, e lo giustifica.
Non mi riconosco in una politica che mi segnala solo i Moussa Diarra – il maliano ucciso a Verona da un poliziotto dopo una serie di aggressioni – e mai le Angela Isaac – la nigeriana che a Catania si è lanciata dentro un fiume d’acqua per salvare una persona. Una politica che lavora per enfatizzare la presenza dei Moussa (che va colpita, per carità, ma certo non dicendo che tutti sono Moussa, e certo non creando condizioni disumane che facilitano la nascita dei Moussa ) e non per valorizzare le Angela.No, io non mi riconosco in una politica che di Moussa dice “non ci mancherà”, e non dice di Angela “ci mancano, le persone così”.No, non mi riconosco in una politica che non fa che dirmi che se “lo vuole la maggioranza” – qualunque cosa sia – è legittimo. Non mi riconosco in una politica che irride le minoranze perché ne ignora il ruolo e il posto, e il dovere che verso di esse hanno le maggioranze, in democrazia. No, io no.
Inoltre sfatiamo uno stereotpo cioè quello che la Gpa sia solo uno sfizio per coppie Gay e etero che vogliono un figlio a 70 anni o a tutti i costi , senza capire il travaglio interiore come la storia soitto riportata che ho preso da https://www.open.online del 18\10\2024
A maggio, a Kiev, partorirà la donna che sta portando avanti la maternità surrogata per lui (dipendente pubblico) e sua moglie. La coppia aveva perso un figlio per una complicazione durante il parto: «Il nostro bambino è morto tra le mie braccia, chi sono questi politici per accusarci di egoismo?» La gestazione per altri è reato universale in Italia. Ma sono ancora tutte da tarare le implicazioni che la nuova legge avrà nelle vite di padri e madri che vi hanno fatto ricorso. Un effetto, tuttavia, c’è già: «I cittadini italiani che hanno avviato il percorso nelle cliniche di Stati esteri dove la pratica è consentita sono nel panico». Stanno iniziando ad arrivare le richieste di interruzione di gravidanza. «Volevano fare una legge, hanno dato il via a una mattanza». Fulvio è in contatto con diverse persone che hanno scelto la surrogazione di maternità. A differenza di molte di loro, il trentanovenne romano ha deciso di proseguire, nonostante l’inasprimento della norma. A maggio, ci sarà un bambino a Kiev ad aspettarlo. Lo andranno a prendere lui, sua moglie e la loro prima figlia, Gioia, di cinque anni. «Lo dico chiaramente ai politici: è colpa vostra se mi licenzieranno o se finirò in carcere. Però, preferisco essere condannato io che condannare mia moglie a un’infelicità eterna, a toglierle il sorriso».
Fulvio, perché lei e sua moglie avete scelto di ricorrere alla maternità surrogata?
«Tutto è iniziato due anni fa, quando io e mia moglie abbiamo deciso di dare un fratellino a nostra figlia Gioia, che allora aveva tre anni. La gravidanza sembrava perfetta, ma alla fine dei nove mesi, il giorno prima del parto, mia moglie si è sentita male. Provava delle contrazioni all’addome. Abbiamo chiamato l’ambulanza, che è arrivata dopo due ore. All’ospedale San Pietro ci hanno detto che il bambino, Marco, non aveva più battito. È nato con un cesareo d’emergenza, sofferente e con gravi problemi di ossigenazione e probabili lesioni cerebrali. Nel frattempo, mia moglie era in condizioni disperate, intubata e con emorragie interne. Hanno fatto di tutto per salvarla. Intanto Marco era stato trasportato all’ospedale pediatrico Bambino Gesù. Ho passato dieci giorni tra due ospedali».
E dopo?
«Purtroppo Marco aveva una disfunzione multiorgano. I medici, dopo alcuni esami, mi hanno detto che il bambino non reagiva ad alcun stimolo esterno. Con profonda sofferenza, io e mia moglie abbiamo deciso di non andare avanti con l’accanimento terapeutico. La scelta più dura della nostra vita. Le condizioni di Marco erano tragiche, dopo una settimana è arrivata una crisi respiratoria. Da quel momento, per 48 ore, l’ho tenuto stretto a me: Marco è morto tra le mie braccia. Abbiamo fatto il funerale, mentre tutto a casa ci ricordava lui: la macchina più grande per trasportarlo nel seggiolino, la cameretta nuova, la culla. Quando siamo tornati a casa senza bambino e senza mamma con la pancia, Gioia ha cominciato a chiedere dove fosse il suo fratellino. Una scena straziante».
Sua moglie?
«Si è salvata, ma è stato devastante. I medici hanno dovuto toglierle l’utero. Se non ricordo male, il suo problema è stato la rottura della varice posteriore dell’utero da cui è partita l’emorragia. Sono riusciti a lasciarle, però, le ovaie. Dopo quella tragedia, mi sono preso del tempo per elaborare il lutto. Lei ha trovato il coraggio di proporre la gestazione per altri: era l’unico modo per avere un altro figlio. Io avevo pensato all’adozione, ma lei non si sentiva pronta per quel percorso. Così abbiamo iniziato a informarci sulla surrogata e abbiamo visto che in America aveva un costo inaccessibile per noi. Poi abbiamo scoperto che era possibile farla in Ucraina a costi molto più contenuti. Contattata la clinica via mail, ci hanno girato tutti i documenti e ci hanno proposto un contratto più alla nostra portata, utilizzando il materiale biologico mio e di mia moglie».
Ma era già iniziata l’invasione russa.
«Nonostante la guerra, abbiamo deciso di andare avanti. La disperazione e il desiderio di diventare di nuovo genitori erano più forti. In Ucraina c’era la no fly zone. Abbiamo preso un aereo per la Polonia, poi un autobus fino al confine, dove l’aria di guerra la senti tutta, la respiri. Siamo saliti su un treno verso Kiev, pieno di militari con i mitra spianati. Dopo 10 ore di treno, siamo arrivati nella capitale. Lì in stazione ci aspettava un’auto della clinica che ci ha portato in un appartamento, sempre predisposto da loro, dove siamo rimasti tre settimane. Il secondo giorno che eravamo lì, una bomba è scoppiata a due chilometri di distanza: ricordo che è scattato l’allarme e ci hanno fatto nascondere in un bunker. Comunque, abbiamo lasciato il nostro materiale biologico, ma a causa dei problemi di salute di mia moglie, gli ovuli non erano idonei e l’embrione non cresceva».
Quindi il viaggio è stato inutile?
«Io, mia moglie e Gioia siamo rientrati in Italia. Ci siamo presi un po’ di tempo, anche perché stava iniziando la discussione di questa legge, alla Camera, per rendere il reato della maternità surrogata universale. Avevamo paura, per il lavoro e soprattutto per il futuro di nostro figlio. Poi, però, dalla clinica ci hanno prospettato un’altra opzione: usare il mio sperma, che avevano congelato, e gli ovuli di un’ovodonatrice. E ci siamo riusciti. L’embrione, poi, è stato impiantato in una terza donna, come vogliono le regole ucraine. Il primo transfert nella mamma surrogata non è andato a buon fine. Il secondo tentativo, il 23 agosto scorso, sì. Noi, per le norme ucraine, non possiamo conoscere la donna che sta portando avanti la gravidanza. Ma ora sappiamo che c’è una vita nella sua pancia. Tra poco – devono passare 12 settimane – ci invieranno la prima ecografia di nostro figlio. Insomma, stiamo già vivendo questa gravidanza. A maggio, torneremo a Kiev, e ad aspettarci ci sarà nostro figlio».
Arriviamo a oggi. Che impatto ha avuto su di voi la notizia dell’approvazione definitiva della legge che “universalizza” il reato della Gpa?
«Ho seguito in diretta la votazione in Senato. Sentivo i politici dire cose aberranti. Io ci sono stato in quelle cliniche, a differenza loro. Ho conosciuto ventenni che hanno avuto un tumore all’utero e non hanno altra soluzione che questa, per diventare madri. Perché privare queste persone disperate dell’unica possibilità di diventare genitori, che è la cosa più bella al mondo? Nonostante la guerra, la clinica di Kiev era piena di persone che erano lì con il solo obiettivo di donare amore a un figlio. A differenza di quello che descrivono i nostri politici, non ho trovato coppie di omosessuali oppure persone di 80 anni che pretendono di avere un figlio. Nulla era come lo descrivono in Parlamento o nei comizi. E allora io voglio dire ai politici: “Mettetevi nei miei panni, per un secondo. Mi è morto un bambino in braccio e ho solo il desiderio di crescere un altro figlio”. Sono arrabbiato perché sono disconnessi dalla realtà. “Perché non volete ascoltare la voce di tutta quella gente che per disperazione e amore va sotto le bombe pur di avere un figlio?”».
Ha paura, adesso?
«Subito dopo il voto definitivo che ha approvato la legge, ho chiamato mia moglie. Ci siamo domandati: “Come può lo Stato, come possono i senatori distruggere le nostre vite schiacciando un semplice pulsante?”. Subito dopo, però, abbiamo concordato di proseguire il percorso. Quando ti muore un figlio tra le braccia sei pronto a tutto, anche ad andare in prigione. Ma non posso permettere che mia moglie venga condannata a una vita di dolore senza questo bambino. Noi non abbiamo fatto nulla di male. Viviamo in campagna, in un posto bellissimo, e questo bambino avrà tutto l’amore del mondo. Certo è che ora, con la possibilità di multe milionarie e il rischio di carcere, non dormo più sereno. I politici volevano fare una legge, invece hanno dato il via a una mattanza di bambini».
È un’affermazione forte, me la può spiegare?
«La prima conseguenza di questa legge è che i cittadini italiani che hanno avviato il percorso nelle cliniche di Stati esteri dove la pratica è consentita, adesso, sono nel panico. Conosco persone che hanno iniziato a mandare mail alle cliniche per interrompere le gravidanze. Io non dormirò più sonni tranquilli sapendo che mi aspetta un procedimento penale, ma se devo farmi dei mesi in carcere li farò. Preferisco essere condannato io che condannare mia moglie a vivere senza il sorriso. Condannatemi, sono colpevole di avere come obiettivo quello di donare amore a un figlio. Ciò che non mancherà a mio figlio sarà tutto l’amore del mondo. Forse ne avrà più di un bambino nato senza questo tipo di percorso: siamo andati sotto le bombe pur di averlo, è figlio di un sacrificio enorme. E quando qualcosa deriva da un sacrificio, ci tieni ancora di più».
Cosa direbbe ai politici che hanno approvato questa legge e, visto che lavora nella pubblica amministrazione, teme di perdere il lavoro qualora finisca a processo?
«Li inviterei a guardare negli occhi chi, come noi, ha affrontato una tragedia per cercare la felicità attraverso la Gpa. Stanno distruggendo le vite di persone che non hanno fatto nulla di male, persone che vogliono solo essere genitori. Voglio dirlo chiaramente ai politici: “Se la mia vita cambierà radicalmente a maggio, se mi licenzieranno, sarà colpa vostra”. Esistono lavori, sia nel pubblico sia nel privato, dove i carichi pendenti comportano l’allontanamento. Un effetto secondario di questa legge potrebbe essere quello di lasciare le famiglie che hanno fatto ricorso alla Gpa senza fonte di reddito. Molte aziende, anche nel settore privato, nei contratti mettono delle clausole che escludono chi ha precedenti penali. Lo stesso vale per chi vuole partecipare a un concorso pubblico: un giovane di 20 anni che tenta di costruirsi un futuro deve presentare un casellario giudiziale pulito. C’è il rischio che perda il lavoro? Può darsi, sicuramente se subissi un procedimento penale avrei delle difficoltà anche in quell’ambito».
Alcuni sostengono che la Gpa sia una scelta egoista di chi vuole un figlio a tutti i costi. Cosa risponde a queste critiche?
«Egosimo? Io ho tenuto un bambino morto tra le braccia. Noi non siamo egoisti. Siamo persone che cercano di costruire una famiglia in mezzo a un dolore immenso. E la Gpa, per noi, è l’unica speranza. In Ucraina, le donne che fanno le madri surrogate lo fanno in condizioni regolamentate, nessuno le costringe. Non sono disperate, lo fanno per dare una mano e, insieme, ricevono un aiuto economico. Proprio come ci sono donne ucraine che abbandonano i propri figli per venire a fare le badanti in Italia. In America pure lo fanno e non mi pare ci sia una questione di povertà. In Portogallo ci sono presso le strutture sanitarie delle liste di donne volontarie che vogliono fare la gestazioni per altri. Noi siamo andati sotto le bombe di Kiev per amore, non per egoismo».
Gioia, la vostra bimba, già sa che avrà un fratellino?
«Per ora no. Quando Marco è morto, lei continuava a chiedere di lui, a domandarci dov’era. Non è facile spiegare a una bambina di tre anni che suo fratello non c’è più. Le abbiamo detto che si trovava tra gli angioletti. È stato un momento straziante, per noi genitori, doverle spiegare qualcosa che non possiamo nemmeno accettare pienamente noi stessi. Adesso stiamo procedendo a piccoli passi, senza caricarla di troppe informazioni. Le diremo della “cicogna”, quando ci avvicineremo al momento. Questo viaggio che abbiamo intrapreso per avere un altro bambino è stato lungo, difficile, pieno di sacrifici. Quando sarà più grande, le racconteremo tutta la verità, con la stessa onestà con cui abbiamo vissuto questo percorso. Lei è parte della nostra famiglia e del nostro viaggio, e un giorno capirà che questo fratellino è il risultato di un amore e di un desiderio così profondi da non farci tremare davanti alle bombe russe».
La ragazza qui sotto si chiama Angela Isaac, ha 28 anni, è nigeriana, e ieri ha letteralmente salvato un
uomo travolto dall’onda di piena a Catania.
Quando si è accorta di quell’uomo in scooter in balia dell’acqua, Angela non ci ha pensato su un attimo, si è lanciata verso di lui afferrandolo per un braccio e portandolo in salvo.
Il tutto mentre diversi italianissimi passanti patriotticamente filmavano l’intera scena coi cellulari. Senza muovere un dito.
Angela non ha filmato, ha salvato una vita. Lo ha fatto a rischio della sua. Lo ha fatto nelle stesse ore in cui Salvini sul Tg1 evocava stupri, rapine e omicidi dei dodici migranti provenienti dall’Albania in quanto tali.Angela Isaac non è un’eroina. È semplicemente un essere umano capace di gesti di enorme altruismo e coraggio in un Paese governato da gente che vorrebbe convincervi a odiare stranieri, migranti, extracomunitari.Una straordinaria lezione civile urlata a qualcuno che non la capirà mai. Anche solo per questo meriterebbe una medaglia al merito dal Presidente della Repubblica.E un Grazie da parte di tutti.
Da giorni ci bombardano con attacchi violentissimi alla magistratura, sit-in contro i giudici di Palermo, post razzisti, comizi xenofobi al Tg1, e nessuno del governo Meloni a cui sia venuto in mente di spendere due parole due sulla catastrofe climatica che sta investendo l’Italia, da Nord a Sud, provocandoallagamenti, frane, esondazioni, addirittura un morto nel bolognese. Anche perché avrebbero dovuto spiegare agli italiani che non basta il “maltempo” a spiegare questo disastro. Che continuare a negare l’esistenza della crisi climatica li ha resi complici di quello che sta succedendo. Che una ragazza di 28 anni nigeriana a Catania ha salvato un uomo dall’onda di fango, mentre intorno a lei gli italiani “patriotticamente” filmavano tutto coi cellulari. In una parola, avrebbero dovuto riconoscere la loro vergognosa ipocrisia. La verità è che un governo che passa il tempo a dichiarare guerra alle istituzioni, invece di occuparsi dei propri cittadini in emergenza, è un governo tecnicamente, politicamente, morto. Infatti Giorgia io lo so che devi portare avanti l'eredità di Silvio, ma non sono i giudici che sono comunisti, sei tu che non sai fare il tuo lavoro. Cioè amo prima di insediarti a Palazzo Chigi una ripassatina veloce di diritto internazionale e di diritto comunitario io l'avrei fatta, così, giusto per non fare figure di merda a livello mondiale e sperperare i nostri soldi (che potevano andare a sanità e istruzione) per cazzate contrarie ai diritti umani.
Le tigri nel camion e la
pinguina che.fa le uova sono
ormaî cose di altri tempi. Altro
che tendone montato in piazza e lunghe file di bambini con
lo zucchero filato in mano: il
Circo sardo lotta ogni giorno
per non morire e una soluzione può essere quella di indos-
sare una nuova veste, | piccoli
spettacoli nei paesi e nelle
piazze dei quartieri — messi in
piedi quando possibile — non
finiscono in soffitta. Restano
comunque il cuore dina tradizione di famiglia cominciata più di un secolo fa. Ma si va
oltre. E si punta dunque sull'animazione nelle stanze e nei
corridoi dei reparti di pediatria degli ospedali. Spettacoli
di giocoleria, di equilibrismo,
di contorsionismo, di verticalismo. E naturalmente dei clo-
wn con il naso rosso e gli abiti
abbondanti. È un po' la nuova
vita del Circo sardo, un pezzo di storia in qualche modo ancora vivo e vegeto grazie a una duralotta di resistenza contro il tempo che passa messa in campo da Priamo Casu, olbiese originario di Berchidda, titolare dello storico , e da alcuni anni anche dalla figlia Shamira, che dal padre e dalla madre Paola ha ereditato l'arte di far divertire la gente.
Negli ospedali Ed è soprattutto Shamira Casu che, insieme ad altri artisti del Circo sardo, da qualche tempo si è presa l'impegno di animare le pediatrie degli ospedali di tutta
Italia attraverso spettacoli gra-
tuiti di due ore. Cinquanta le
tappe messe insieme solo lo
scorso anno. E tutto questo insieme ai colleghi del celebre
circo Maya Orfei Madagascar.
«Anche i medici ci hanno spiegato che facciamo una cosa
Pe ni
Mn.
molto importante peri bambini, che, in quelle ore, mettono
da parte brutti pensieri» spiega Priamo Casu, 64 anni. Ma
per îl Circo sardo la vita non è
mai troppo indiscesa.I guadagni dagli spettacoli nelle piazze
sono quasi sempre legati alle offerte e quindi praticamen-
te minimi. E anche il fatto di
poter animare le
ALCUNI
degli artisti
del Circo
e del Circo
Maya Orfei
in un reparto ospedaliero
pediatrie porta con sé un costo. La speranza
è che arrivi dunque qualche
contributo, .almeno da parte
delle istituzioni, «La cosa che
ci importa di più è far divertire
i bambini - dice Casu —. Non
so se avremola forza economica di ripetere questo progetto.
Ci fa male. Ma, come diceva
mio padre, non bisogna mai
mollare perché la gente ha bisogno di ridere ancora».
Lunga storia
Non tutti conoscono Priamo con il suo vero
nome, Molta gente lo identifica come Po 0. «È il mio
nome d'arte da clown. E sono
orgoglioso e felice quando in-
contro persone anche di 40 anni che ancora mi chiamano così. Mi dicono che sono il più
bel ricordo della loro infanzia». Ineffetti Pompelmo lo conoscono praticamente tutti. Il
Circo sardo, nei decenni, ha
fatto tappa ovunque: in tutte
le piazze dell'isola, poi qual-
che tour in E , ma anche
nellescuole e nei borghi turistici Una.storia cominciata più
di'un secolo fa con Peppino,
uno zio di Berchidda. Il padre
di Priamo, che si chiamava Pie*
ro “Bello bello”, nel 1954 fu invece il primo sardo a finire in
televisione insieme al suo ca-
vallo matematico. In Sarde-
gna non se ne accorse nessuno, visto che la tv sarebbe arrivata due anni dopo. Sfogliare
l'album dei ricordi di Priamo,
insomma, significa fare un
viaggio in un mondo che non
esiste più. Basti pensare che
un tempo il suo circo, il primo
natoin Sardegna e che non ha
cessato di vivere nemmeno du-
rante la guerra, poteva conta-
fe su un tendone con un mi-
gliaio di posti a sedere, E poi
animali di ogni tipo: serpenti,
tigri, leoni, foche, pinguini, cavalli.
Un archivio di tutto rispetto custodito gelosamente da Casu raccoglie decine
di fotografie in bianco e nero e
ritagli di giornale. Memorie di
tempi andati e che forse non
torneranno. più. Ma il “vecchio” Pompelmo, in ogni caso, come gli ha sempre consigliato il padre, nonha nessuna
intenzione di mollare. E così;
ancora una volta, torna a chie-
dere una mano alle istituzioni,
alle associazioni o alle fonda»
zioni. Obiettivo: continuare a
vivere per far divertire gli altri.
Quando vi
avvicinate a casa
non aspettate a
cercare le chiavi
quando vi trovate
davanti al portone,
ma preparatele in
anticipo. Fate lo
stesso quando andate
a prendere la vostra
auto, in modo da non
perdere tempo
prezioso per mettervi
al sicuro da
un’eventuale
aggressione. Se davvero vogliamo sentirci al sicuro, è fondamentale saper riconoscere le condizioni di pericolo che possono presentarsi nel quotidiano e che potrebbero sfociare
in un’aggressione a scopo di
violenza fisica o sessuale. Le
statistiche dicono che i luoghi maggiormente a rischio
sono il portone di casa, i parcheggi deserti o quelli sotterranei, le strade senza illuminazione e i parchi pubblici.
In questi casi sarà il vostro
istinto a comunicarvi che c’è
qualcosa che non funziona o
che non vi convince, mandandovi un segnale di allerta
che vi farà prestare maggiore
attenzione a quanto accade
accanto a voi. Pensiamo al
nostro comportamento, per
esempio, quando guidiamo
un’automobile.
Su un’autostrada deserta in
un giorno di
sole la nostra
guida sarà in
totale relax, ma
se la stessa autostrada è avvolta da una
nebbia fittissima, allagata
per un violento
t e m p o r a l e , trafficata per
auto e camion
in un’ora di
punta, i nostri
sensi saranno
t o t a l m e n t e
concentrati sulla strada, sulle
condizioni dell’asfalto e sul
comportamento degli altri
automobilisti. Questa concentrazione estrema può arrivare a rendere impossibile
dialogare con qualcuno seduto al nostro fianco o ascoltare la musica. Questo non
significa che ogni volta che ci
si siede alla guida della propria auto si debba essere sotto tensione, ma soltanto che
il nostro atteggiamento cambia in presenza di situazioni
che possono comportare pericolo di incidente. Così deve essere anche se il pericolo
che sentiamo o che identifichiamo è quello di una situazione di possibile aggressione.
Se avete l’impressione che
un uomo vi stia seguendo,
cambiate strada, fermatevi
di fronte a una
vetrina illuminata o fingete
di parlare al
cellulare. In
questo modo
avrete la possibilità di capire
se sta davvero
seguendo voi e
se la condizione di allarme è
giustificata. Attenzione e prevenzione sono
due armi potentissime .
Usatele.
conquesto è tutto caroi amici vicini e lontani alla prossima puntata
Lo so che tali articoli potranno sembrare ovvi e scontati , ma in una regione del sud o centro italia , dopve l'interno si spopola a scapito delle dei grossi centri delle coste o s'emigra tali notizie \ storie sono importanti .
da la nuova sardegna 18\10\2024
La piccola Landhe Yuèstata partorita incasa ed è diventata la 123esima abitante del paese Sui tetti di Semestene ritorna la cicogna dopo 57 anni di attesa Giovedì scorso è nata in casa la piccola Landhe Yu Dal 2010 nel paese solo 4bambini e nessun parto domestico La sindaca: «Ogni nuovo arrivo rappresenta perla comunità un dono prezioso . È la vita che sboccia»
Semestene Si chiama LandheYue già il suono sta per raccontare una storia, che mette insieme la Sardegna con l'oriente più estremo, Cina e Mongolia.Se poi si aggiunge che la bimba è nata inuno dei paesi più piccoli della Sardegna e che lo ha fatto non in una fredda stanza di ospedale, ma fra le mura di casa sua, 57 anni dopo l’ultimo parto domestico nel paese,la storia si fa ancora più in teressante. La piccola è diventata la 123esima abitante di Semestene, piccolissimo comune del Meliogu, il 10 ottobre alle 10 di sera.I genitori sono Antonio Sotgiu, semestenese, e Jean Se-Jing, nata negli Stati Uniti e di origini sino-mongole. Il nome della bimba mette insieme il sardo landhe, ghianda, con un omaggio ai nonni materni
una veduta del piccolo centro del Meilogu
che furono storici cineasti cinesi. A dare la notizia dell'arrivo della piccola Landhe Yu sono stati proprio i due genitori, che hanno affisso sul balcone di casa, nel quartiere di Cantara Jana, un cartello con su scritto semplicemente:“Est nada”. Antonio e Jean si sono conobbero durante un progetto di agroecologia e arte e decisero di vivere nel piccolo paesino, ponendosi fin da subito l’obiettivo del parto in casa.«Lagravidanza di Jean è stata seguita e monitorata dai servizi ospedalieri — spiega il marito, ma durante tutto il periodo abbiamo ricevuto l'’accompagnamento di due ostetriche straordinarie, Viola Usai e Silvia Collu, che da anni lavorano in tutta l'isola per assistere le famiglie di genitori che vogliono far nascere i propri figli in casa. A loro va tutta la nostra riconoscenza». Tra professionisti e neo genitori si è creato subito un legame strettissimo, come racconta Viola Usai: «Ci siamo conosciuti a Oristano, la scorsa primavera. Ho raccontato a loro di me e di come lavoro con le coppie insieme alla mia collega Silvia Collu. Ho spiegato che seguiamo un percorso fatto inizialmente di incontri mensili che poi si fanno più frequenti. Creiamo un rapporto di fiducia reciproca, conosciamo le famiglie e le case dove avvengono i parti. Da quell'incontro Jean e Antonio sono andati via con il desiderio più forte di voler vivere a casa la nascita della loro bimba. Daliè iniziato il percorso con Silvia, fatto di incontri periodico fino all'alba del 10 ottobre, quando mamma Jean e la piccola Landhe Yu hanno iniziato il loro viaggio insieme, seguendo il ritmo delle contrazioni che, come onde, hanno accompagnato dolcemente questa bimba su questa ter ra, avvolte e coccolate dalle braccia, dalle mani, dalle parole e dall'emozione di babbo Antonio fino alle 22, quando èatterrata fra le nostre mani». A gioire con la famiglia è l'intero paese rappresentato dalla sindaca Antonella Buda: «Ogni nuova nascita rappresenta perla comunità undono prezioso. È la vita chesboccia, fonte di speranza e promessa di futuro. Landhe Yu arriva nella nostra piccola comunità a distanza di un anno dall’ultima nascita». Nel piccolo centro del Meilogu, le nasci tesono eventi speciali: «Andando a ritroso, dopo il gioioso evento del 2023, dobbiamo arrivare al 2021 per trovare un nuovo nato, poi il 2015 e infine al 2012. Però oggi con altrettanta gioia salutiamo e diamo il benvenuto alla piccola Landhe Yu. A nome dell'amministrazione comunale e della comunità di Semestene auguro a lei e ai suoi genitori una vita lunga e felice, circondata dall'affetto dei suoi cari». Le reazioni: «Siamo felicissimi, è il simbolo della rinascita»
Un uomo sulla quarantina, in evidente silenzio stampa, intento a fumare una sigaretta sui gradini di casa, alla domanda se avessesaputo della
bella notizia risponde con un lapidario cenno affermativo con il capo . Un'altra signora, evidentemente informata sui fatti, liquida la questione con un ieratico: «Eja, già lo sappiamo!».
Ci pensa, la guida alpina (non autoctona) Marco Corti, che possiede una casa a Semestene e passa diversi periodi dell’anno in
paese, a riaccenderel’entusiasmo: « Finalmente! Siamo contentissimi e speriamo che sia indice che qualcosa sta cambiando. Noi ci
mettiamo del nostro, abbiamo organizzato da poco una tre giorni dedicata alle esplorazioni, e alla visione di documentari sul conspe-
leologi e docenti universitari e in conclusione una cena offerta a base di polenta taragna, c'è stata grande partecipazione. Questo
paese merita tanto». Ed eeffettivamente il paese merita: pulito, accogliente e decorato dai bellissimi murales di Pina Monne, che sve-
lano un'anima vagamente artistica del luogo. Inoltre il piccolo centro è dotato di un’area camper, un anfiteatro e una piscina comunale Quella che non è presente invece, è la linea telefonica e figurarsi quella internet. Mancanze che riportano agli anni in cui era nata in casal’ultima semestenese, esclusa Landhe Yu. E alla guida aplina Marco Corti fa coro l'indispensabile cicerone Enzo Piu, gestore del bar: «Nel paese ultimamente ci sono tanti eventi culturali e non solo, una delle ultime serate di karoke del mio locale ha visto la partecipazione di 120 persone. Inoltre abbiamo ospitato la presentazione del libro di Vindice Lecis “L’Alternos-il romanzo della sarda rivoluzione”».
Il bar, come in tutti i piccoli paesi, è il perno sociale su cui ruota tutta la vitalità del paese: «Semestene si trova in una via di mezzo,adappena 6chilometri dalla 131, dunque riusciamo ad intercettare tutti i ragazzi dei paesi, è fondamentale che in qualche modo ci incontri e nonsi perda la voglia di incontrarsi, punto a far diventare il locale un centrosociale, è l’unico modo. Il paese è stato infatti fortemente colpito dallo spopolamento, e dagli anni '60 a oggi si è passati dai circa 600 abitanti ai poco più
di 120, enon tutti sono residenti, però resistiamo» conclude Enzo Piu.
Ma
N.B scusate ma ho oco tempo per estrapolare il testo dal pdf
sempre sullo stesso tema è la storia riportatami via watsapp dall'amico Emiliano Morrone di san giovanni in fiore piccolo paese della calabria
da Emiliano Morrone
Buongiorno per tutto il giorno. Sul Corriere della Calabria è appena uscita la storia di Leonardo Barberio, chef di San Giovanni in Fiore che ha studiato e lavorato fuori regione, dall'Inghilterra al Trentino, con il desiderio di aprire un ristorante a casa sua. Il suo sogno si è infine realizzato: il giovane ha comprato e ripreso un locale nel centro storico della città silana, nel suggestivo quartiere "Curtigliu". Dopo tanti sacrifici e anni di emigrazione, questo ragazzo è rientrato e ci ha raccontato la sua scelta, i suoi obiettivi. È una storia di volontà, tenacia, passione per il mestiere. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria
la lente di emiliano
«Era il momento di tornare a casa e di mettermi in gioco»
Lo chef Leonardo Barberio: «Per me il ritorno era rimasto un pallino fisso, non avevo mai dubitato delle mie intenzioni né perduto la meta del Sud»
Pubblicato il: 18/10/2024 – 10:25 Emiliano Morrone
«Ero rimasto con soli 1000 euro, avevo speso tutti i risparmi per aprire un ristorante a casa mia, il sogno della vita». Occhi vivi, volto disteso, lo chef Leonardo Barberio, trentaseienne, sorride e si racconta mentre sorseggia un caffè cremoso in un locale à la page di San Giovanni in Fiore, di cui è originario. Da adolescente, Leonardo aveva lavorato in diverse cucine del Crotonese, per guadagnare i soldi necessari allo studio e all’aggiornamento continuo; a conoscere indirizzi, culture e orizzonti della gastronomia; ad acquisire le basi idonee a lanciarsi nella ristorazione in proprio. Sacrifici, consapevolezza, visione. E la «doppia sfida personale»: viaggiare in modo da formarsi bene e poi rientrare nella propria terra per contribuire alla crescita collettiva con una cucina originale di qualità, successo, richiamo. Diplomato all’istituto alberghiero di Soverato, nel 2007 il giovane parte per Coventry, in Inghilterra, insieme al suo amico Cristian, altro sangiovannese. È un’occasione d’oro per impratichirsi, perfezionare la lingua anglosassone, incrementare le entrate e capire le abitudini degli inglesi: ai fornelli, a tavola, nel quotidiano. Nel 2009 Leonardo si iscrive all’Alma, scuola internazionale di Cucina italiana ubicata nel palazzo ducale di Colorno (Parma) e a lungo diretta dal grande Gualtiero Marchesi. Lì il ragazzo impara che ogni piatto si crea, come diceva Marchesi, «partendo dal perché» e comprende l’importanza delle materie prime per il palato e il benessere del cliente. Poi si concentra sugli impasti, tra i fondamenti della cucina, e ne sperimenta regole e segreti, affascinato dalle loro alchimie.
Il percorso
Leonardo completa il percorso all’Alma e, data la reputazione della scuola, subito viene chiamato nell’area del Garda: dalla storica Bardolino all’incantevole Sirmione e oltre. Dopo trova posto a Verona e più avanti in varie località del Trentino-Alto Adige. «Avevo alle spalle – precisa lo chef – 14 stagioni estive e otto invernali: una fatica immane perché gli orari dell’estate erano quasi ininterrotti e dovevi essere efficiente ed efficace ogni giorno. Era il momento di tornare a casa, di costruire il mio futuro a San Giovanni in Fiore, di mettermi in gioco, di portare nella mia comunità tutto il bagaglio personale di saperi, sapori, idee e motivazioni legato alla mia progettualità. Per me il ritorno era rimasto un pallino fisso, non avevo mai dubitato delle mie intenzioni né perduto la meta del Sud». Sentire queste parole fa effetto, soprattutto davanti all’incertezza del presente, allo spopolamento delle aree interne, ai giudizi prevalenti sulla Calabria; in cui, va riconosciuto, in genere si preferisce l’assistenza pubblica all’intraprendenza privata. Nel 2015 Leonardo era rimasto colpito da un ristorantino che affaccia sull’Abbazia florense di San Giovanni in Fiore, dove aveva cenato con amici. Gli era piaciuta la posizione, l’odore di antico del quartiere “Curtigliu” – a forma di spirale come il Draco magnus et rufus di Gioacchino da Fiore – e delle mura del locale, già oggetto di ristrutturazione. Nel 2019, lo chef avvia la trattativa per comprare l’immobile e la licenza. A febbraio 2020 conclude l’accordo, poi arrivano il Covid e lo stop forzato. Pertanto, con un investimento di circa 100mila euro, il giovane riattrezza la cucina e realizza un forno di sua progettazione per proporre la pizza contemporanea, che, spiega, «si basa su nuovi sistemi di impasto e, per quanto mi riguarda, sulla selezione e lavorazione delle farine». Tuttavia, Leonardo deve attendere il Primo maggio 2021, per iniziare l’attività. «Non c’era data migliore per festeggiare il valore del lavoro», commenta. Era ancora il periodo delle mascherine, dei timori, dei cibi da asporto. «Ma – ricorda il ragazzo – avevo una fila interminabile, all’esterno, per la leggerezza, la fragranza, la digeribilità e la bontà della mia pizza».
La valorizzazione del territorio
Da allora, lo chef – anche grazie al laboratorio ricavato di fronte al suo ristorante – crea abbinamenti con prodotti del territorio, punta sul biologico, prepara tortellini, tortelloni, ravioli e raviolacci ripieni di selvaggina, carne di struzzo, ricotta di capra e porcini, funghi disidratati e
fermentati. Ancora, Leonardo inventa particolari farciture delle pizze, prosegue la ricerca sugli impasti, parte spesso per frequentare corsi specifici e ha pronto il «”forno verde” con gli ortaggi della zona, coltivati secondo la tradizione contadina del luogo». Il suo piatto forte è però «il padellino», ispirato dai consigli della nonna Barbara, che gli aveva descritto una pietanza tipica degli abitanti di Lorica, in cui l’anziana viveva in mezzo alla natura. «L’ho ricreata – chiarisce lo chef – impastando farine di ceci e grano, tassativamente biologiche. La cottura avviene poi al vapore, all’interno di un tegamino. È un lievitato alternativo che condisco intanto con porcini, culatta di suino nero, scaglie di tartufo, una mousse di pecorino e una riduzione di basilico. Ho battezzato le sue versioni principali con i nomi “Da dove veniamo” e “Ricordo di infanzia”, per ribadire che il futuro dipende dal passato».
Emigrazione, volontà, ingegno, carisma
Pieno di stupore per la propria terra, Leonardo è aiutato da alcuni giovani, tra cui Desirée, ragazza salernitana innamorata della Sila; Luigi, cantautore ed ex cameraman della tv nazionale; Alessandro, che in località Serrisi si dedica, nel tempo libero, all’agricoltura di nicchia privilegiando la patata a pasta viola. Il gruppo è affiatato «e – sottolinea lo chef – partecipe degli sforzi incessanti per elevare la qualità del servizio, l’unico obiettivo di chi crede che il lavoro renda liberi». Leonardo ha una biografia di emigrazione, volontà, ingegno, carisma. Di amore per le radici. A San Giovanni in Fiore e dintorni è un periodo felice nel campo della ristorazione. Lo chef Antonio Biafora ha confermato la stella Michelin e ottenuto quella verde per l’impegno nella sostenibilità ambientale. Studio, cura dei dettagli, coraggio e determinazione si stanno imponendo in questo settore. Oggi esiste una marcata consapevolezza delle potenzialità turistiche e ricettive della Sila, favorita dalla competizione costruttiva tra giovani professionisti, che si stimano a vicenda e collaborano fra di loro. Vincenzo Ammirati, per esempio, è un pizzaiolo che si è fatto notare al Festival di Sanremo e Federica Greco, di cui avevamo scritto (leggi qui), è un’apprezzata pasticciera nel panorama italiano. Sono ragazzi che sognano lo sviluppo sostenibile del territorio, che lavorano per questa causa. Senza rumore, senza paura, senza complessi di inferiorità. (redazione@corrierecal.it)
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Il dibattito in Italia e nel mondo sulla GPA è sempre molto polarizzato tra favorevoli e contrari. E quindi prendere una decisione cioè decidere da che paerte schirarsi è per un libertario o chi vede in caso di argomenti eticamente comlessi come questo nel mezzo un modo di operare e di vivere una vita da mediano è difficile è schierarsi a favore dell'uno o dell'altro . Tra gli argomenti utilizzati a favore della maternità surrogata spiccano la realizzazione del desiderio di genitorialità perché la GPA può offrire una possibilità di genitorialità a coppie o individui che altrimenti non potrebbero avere figli biologici, la libertà riproduttiva (i sostenitori della GPA argomentano che le
persone dovrebbero avere il diritto di fare scelte riguardo alla propria riproduzione e famiglia) ed il beneficio economico per la gestante surrogata: la GPA offrirebbe un’opportunità economica per le donne che scelgono di diventare gestanti surrogati. Tra le posizioni critiche sulla GPA spiccano soprattutto la la critica radicale a forme di sfruttamento e commercializzazione del corpo – i critici sostengono che la compensazione finanziaria può creare una situazione in cui le donne si trovano di fatto costrette a vendere il proprio corpo e la loro capacità riproduttiva -, i potenziali danni fisici e psicologici per la gestante surrogata con conseguenze negative sulla sua salute ed il suo benessere psicofisico ed infine i diritti ed il benessere del bambino: molti sostengono che il bambino potrebbe subire un senso di separazione e identità confusa, poiché potrebbe essere coinvolto in dinamiche complesse tra genitori biologici e gestante surrogata.
Ecco che a quanto già detto a quanto già detto nel post precedente aggiungo che rendere la GPA reato universale mi sembra frutto di una ideologia selvaggia e feroce. Infatti la legge approvata è difficilmente applicabile, in quanto risulterebbero ignote le eventuali indagini da compiere per individuare le coppie che ricorrono alla maternità surrogata. Bisogna considerare, anche, che la Gpa è regolamentata in sessantasei Paesi, il che renderebbe ancora più complicata la collaborazione della polizia, nella fase di acquisizione di fonti di prova del reato .Qundi Quindi io penso che anche da mnoi andrebbe regolamentata meglio . Come ?
1) specificando , se la si vuole proibire , come negli altri paesi europei in cui è ammessa la fecondazione eterologa , cosa è proibito e cos'è amesso
2) favorendo le adozioni o eventualmente l'affido ai single uomini e donne , etero ed gay
3) permettere a coppie etero e Lgbtq di riconoscere come figlio\a il figlio del partner adottato in un paese estero o avuto da una relazione precedente . Esempio nelle coppie omosessuali aderenti o non aderenti al movimento Lgbtq quando un uomo o una donnna ha scoperto la proria omosessualità dopo una relazione matrimoniale e non da cui sono nati dei figli
4) non punendo chi decide di ricorrere o si presta a tale pratica se non c'è sfruttamento in quanto ci sono anche se in quantita infinitesimale rispetto agli altri dei casi eccezionali o viene fatta senza scopo di lucro e di sfruttamento ma per scopo solidale . i quanto esiste anche se è minoritaria ed di difficile individuaziuone rispetto all'altra quella altruistica . Eccone una definizione presa da : << GPA altruistica: cosa è la maternità surrogata, dove è consentita, come funziona >> del ilriformista
[...]
COS’È LA GPA ALTRUISTICA
La GPA altruistica si verifica quando una donna decide di diventare gestante surrogata senza ricevere alcun compenso finanziario per i suoi servizi. In questo caso, la motivazione principale della gestante surrogata è quella di aiutare una coppia o un individuo che non può portare avanti una gravidanza a realizzare il loro desiderio di avere un figlio. Nella gestazione per altri altruistica, la gestante surrogata può avere un legame emotivo o di parentela con la coppia o l’individuo commissionante. Ad esempio, potrebbe essere un’amica o una parente stretta che offre volontariamente il proprio aiuto.
[.... ]
Insomma il male minore in quanto se ben gestita si dovrebbe eliminare oltre che la fuga definitiva all'estero visto che in italia i foigli ottenuti dalla Gpa non sono riconosciuti ., il rischio di cadere visto la confusione del dibattito in quelle agenzie che praticano quella non solidale
5) moratoria di tutti\e le bambine nate con tale pratica se nate prima dell'approvazionme di una legge civile su tale argomento . Visto che secondo le ultime notizie
Sono trenta le coppie che hanno deciso di fare ricorso contro la legge Varchi,
che ha reso reato universale la maternità surrogata. Esse si sono
rivolte all’avvocata Filomena Gallo, segretaria nazionale
dell’Associazione Luca Coscioni.Delle coppie in questione, quattro sono dello stesso sesso, mentre le
altre ventisei eterosessuali. Quali coppie hanno presentato ricorso?
Le persone che hanno presentato ricorso in tribunale circa la maternità surrogata compongono coppie giovani, provengono da tutta Italia e, soprattutto, sono già coinvolte nel percorso di gestazione per altri. Si tratta in prevalenza di donne che hanno superato il cancro e hanno deciso di congelare i propri ovuli. L’avvocata Gallo, commentando la situazione, afferma a semre a : << Maternità surrogata: sono 30 le coppie pronte a fare ricorso di Giorgia Fazio >> del https://www.ildigitale.it/ del 18 Ott 24 10:43
Ci sono 10 coppie che sono all’estero e stanno attendendo il parto e sono quindi nella fase finale.Poi ci sono 20 coppie che hanno intrapreso il percorso, ovvero che
già sono stati presso un centro straniero, hanno firmato il consenso ed
alcuni hanno già fatto il prelievo dei gameti.C’è una coppia, ad esempio, che in Grecia sta aspettando l’autorizzazione del giudice.La maggioranza sono coppie con donne che hanno superato il cancro ma
hanno preservato i propri gameti o hanno patologie che mettono a rischio
la vita e non possono portare avanti una gravidanza.
Quindi da contrario alla Gpa preferisco che sia regolamentata come ho detto prima e sia lasciata liberà scelta perchè chi sono io per proibire a gli altri ciò che io reputo contrario ? se poi invece si dovesse decidere per la proibizione va bene uguale l'importanza è che sia rispettosa dal punto umano e non criminalizzante come è questo provvedimento liberticida