Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
16.9.05
Senza titolo 803
Se Villa Certosa fa dimenticare Caprera
SASSARI. Già visto. “Repubblica” lancia dalla settimana ventura un’altra delle sue belle collane di letteratura. Stavolta è dedicata agli Immortali. E infatti le copertine dicono cose così: «La Divina Commedia di Dante Alighieri» e poi tra parentesi le date estreme della vita (1265-vivente); così Shakespeare con le sue tragedie (1564-vivente): e così I Canti e le Operette morali di Giacomo Leopardi (1798-vivente). La pagina di pubblicità mi ha ricordato il mio primo giorno di scuola al Liceo: un ricordo che va bene di questi giorni, che i ragazzi tornano (di malavoglia) a scuola. Quel giorno il professor Giovanni Pittalis, una sorta di Zeus benevolo ma temutissimo dell’“Azuni”, fece la sua prima interrogazione: “Quando è morto Omero?”. C’era chi lo sapeva, c’era chi no. Ma Pittalis mandava subito a posto e proclamava: “Ci dò zero”. Diede zero a tutti, qualunque fosse la data che dicevamo. Si fece un silenzio di piombo. Lui camminava tra i banchi a grandi valchi. Poi si fermò, sollevò la sua imperturbata testa di Giove bittese e disse: “Omero non può morire!”. Quella lezione non ce la siamo mai dimenticata. Garibaldi. Su “Repubblica” di ieri c’era la lettera di un lettore che lamentava il lamentevolissimo stato in cui è tenuta la casa-museo di Caprera. Quando l’ha vista, chiusa a metà per mancanza di custodi e abbandonata nelle altre stanze per mancanza di guide, c’erano anche due francesi, che - dice il lettore - facevano commenti «fra lo stupito e il divertito per il trattamento indegno riservato dallo Stato italiano all’eroe dei Due mondi». Se fossero stati due italiani sarebbero stati molto poco divertiti e, soprattutto, per niente stupiti: questo Stato, questo Governo forse non sa neanche dove sta Caprera. Al massimo, pensa che sia dalle parti di Villa Certosa. Attenti al cane. Davanti all’edicola mi incontra una signora, elegante e gentile. Mi dice: «Professore, possiano scrivere al sindaco?». Risposta obbligata: «Perché no? La democrazia è proprio questa, che i cittadini scrivono e parlano al sindaco. E lui, se può, risponde. Che cosa dobbiamo scrivergli?». E la signora elegante e gentile, ma forte della virtù sassarese della chiarezza implacabile, dice: «Sassari è tutta cagata dai cani». «Va bene, signora - dico io, non il sindaco -. Chiameremo i vigili». «Quando arrivano i vigili, i cani hanno fatto tutto quello che dovevano fare. Perché i vigili escono alle otto - ribatte la signora - e i cani si sbizzarriscono alle sette. Stamane ho visto una signora che guardava divertita il suo cane che procedeva alla bisogna. Le ho detto: «Signora, non raccoglie?». E lei: «Non ho neanche un pezzo di carta. Se le dà fastidio, raccolga lei». I vecchi. Dice: «Abbiamo bisogno di una nuova classe dirigente». Forse, quella che occorre è la vecchia, non la nuova. Quando chiuse il “Corriere dell’isola” (dicembre 1957) non si trovarono i soldi per le liquidazioni. Un po’ ne trovò, con grande fatica, il cavalier Celestino Serra, un notabile democristiano che quando c’era da sfaticare a gratis chiamavano lui. Era presidente dell’Eca, ma aveva accettato di occuparsi anche del “Corriere”, un quotidiano che aveva fatto acqua (di cassa e di lettori) fin dal primo giorno. Una liquidazione, forse, toccava anche a lui. E siccome il posto dove lavoravamo era lo stesso dove ora si stende il (quasi) avveniristico open space della nuova “Nuova”, sopra la tipografia dove Giuseppe Biasi stampava le xilografie a colori, trovarono un grande quadro di Biasi appena abbozzato e glielo regalarono. il cavalier Serra prese il quadro, affittò un carrettino e se lo fece portare a casa. Forse era la prima volta che qualcuno gli remunerava una fatica pubblica.
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