Senza titolo 811

 sempre dala nuova  sardegna  di oggi  dall’inviato Agostino Murgia Il sangue che scatenò la stagione dell’odio Una messa e canti strazianti per ricordare i cinquant’anni della strage di San Cosimo Gli assassini sbagliarono auto e nell’agguato morirono tre amici che tornavano dalla festa



MAMOIADA. Una cerimonia funebre accompagnata dai canti del coro di Nuoro. Strazianti, per ricordare il cinquantesimo anniversario della “Strage di San Cosimo”. Un capitolo che ancora oggi tutti ricordano, un tragico sbaglio. I rapporti di allora parlano di “tre ignari viaggiatori” che si trovarono a transitare in quei posti. Avevano un “Fiat Giardinetta”, vecchio modello. Mentre tornavano dalla festa vennero investiti da una tempesta di piombo. Morirono Ettore Tola, ex segretario comunale. Pietro Porcheri, veterinario. Ernesto Spinelli, direttore dell’allora “Sita”, società di trasporti automobilistici. Nicolino Caria, all’epoca vicedirettore dell’Ept, sopravvisse. Pare che prima di svenire avesse sentito gli assassini dire: «Accidenti, ci siamo sbagliati». In realtà, al posto degli uccisi, nel luogo sarebbe dovuto transitare un certo personaggio di Mamoiada che aveva una vettura perfettamente uguale a quella delle vittime. La cerimonia funebre di ieri non ha voluto ricordare i tragici fatti di sangue che seguirono a quell’errore. Sono stati pianti i morti, che niente avevano a che vedere con quanto andava maturando in quegli anni a Mamoiada. Tola, Spinelli e Porcheri sono morti per il semplice fatto di essere stati a bordo di una vettura simile a quella della potenziale vittima. Ci fu anche un processo che vide come imputati alcune delle persone di maggior rilievo, all’epoca, a Mamoiada. La corte d’assise prese atto dell’esistenza di alcuni “clan”, cercando di catalogare l’evolversi degli avvenimenti. Nel dibattimento nei confronti dei sospettati - dei quali non facciamo i nomi - si arrivò a una condanna in primo grado, seguita da un’assoluzione in appello. Indipendendemente dal processo, però, questo fatto avrebbe innescato una delle più sanguinose faide mai viste in Sardegna. I “vecchi” venivano lasciati vivi, per farli assistere alla morte dei loro congiunti giovani. Solo in seguito sono stati regolati i conti anche con loro. Pochi dei protagonisti di questa vicenda sono morti a letto, di malattia. Anzi: si dice che un anziano sia stato ucciso quando si era saputo che aveva una malattia che non gli avrebbe lasciato scampo. Ucciso, anche lui. L’uomo che doveva essere ucciso al posto di Tola, Spinelli e Porcheri, pare che non sia rimasto a guardare. Formò una sorta di “clan”: ancora prima che la corte d’assise d’appello di Cagliari riformasse la sentenza, cadde la prima testa. Nel 1958 avvenne il secondo delitto di “risposta”, seguto da ulteriori repliche. Si viaggiò con una certa media di omicidi, sino al 1965. A partire da quella data, si instaurò un apparente clima di distensione, tale da far ritenere alle autorità che fosse stato raggiunto un accordo tra le parti: ma così non era. Le ostilità ripresero in tutta la loro irruenza, dopo lo sgarrettamento e l’uccisione di alcuni capi di bestiame appartenenti alla persona che doveva essere la vittima predestinata di San Cosimo. Costui, dopo alterne vicende, venne assassinato nel 1973, a colpi di scure. Nel frattempo, però, i “clan” erano andati via via consolidandosi, portando a diramazioni della “rete” che in ogni caso ritornavano a quella che ormai poteva essere definta la “faida storica”. Ci furono rami estemporanei, altri essenziali, ma sempre all’interno di una logica che non lasciava scampo. Bisogna naturalmente precisare che mentre tutto ciò accadeva, la popolazione di Mamoiada assisteva impotente all’evolversi dei fatti. Grandi lavoratari, gente che teneva curva la schiena dalla mattina alla sera nelle vigne e nei campi, o dietro il bestiame: vedeva i propri compaesani cadere uno dietro l’altro, in una logica defficilmente decifrabile. Eppure, tra tante faide, quella di Mamoiada è la più “leggibile”: i “clan” - formatisi al principio - hanno delle caratterisitiche proprie. Al loro interno si sono costituiti dei sottoinsiemi, formati da aggregazioni non appartenti al gruppo iniziale come “sangue”, ma in ogni caso affini. L’inferno scoppiò quando gli appartenenti al sottogruppo - per motivi momentaneamente indecifrabili - si rivoltarono innescarono una guerra senza quartiere nei confronti dei loro ex alleati. È in quel momento che la faida perse i suoi connotati storici e si trasformò in guerra tra gruppi. Senza quartiere, con un susseguirsi di morti che sarebbe molto difficile elencare. Ma ora tutto è passato. Da anni sembra regnare la pace, ed è per qusto che sono stati ricordati i morti di cinquant’anni fa.




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