5.9.05

IN CORSO D'OPERA

Colonna sonora del post   disamistade di F. De Andrè   qui il testo 


Salve a tutti\è                                                                                                                                                                                          


Come promesso   la settimana  scorsa  eccovi  un  altro articolo tratto   dalla rubrica  gente&paesi della  nuova  sardegna  Ma  prima dell'articolo  per i  Non sardi  ( o per  quei  sardi  che  hanno una conoscenza  superficiale  o quasi  nulla  della  loro  cultura  e  identità   )  introduco  il, post  fornedo alcunme  news  su    cosa  è la desamistade   e  come  si  è trasformata  attualmente    fino a perdere quel  carattere antropologico che aveva  in se                                                      


Ecco quello che  ho trovato in rete e  appreso dall'esame  di storia  delle tradizioni i popolari dela  sardegna  , oltre  che  da  miei nonni  materni ( sono originari  di quelle zone  )   e  da letture  mie  (  di libri  di mia madre  ex insegnante di lettere e mio padre  ex insegnante di estimo ma  appassionato  di antropologia  e  storia  della sardegna  oltre  che politica  di cui ho parlato   nei miei "viaggi" del blog  )  . la  desamistade  come  dice   questo sito  <<  La famigerata faida  che spesso insanguina la cronaca sarda , è un tipico fenomeno legato all'ambiente barbaricino ( anche  se    si  è  avuta   in altre parti  dell'isola  ) , che nasce e trae origine dalla sete di vendetta. Nella fattispecie la faida non è altro che un susseguirsi di azioni conflittuali, che indirizzi o gruppi si scambiano fra di loro. Si attua per riscattare quelle che sono ritenute gravi offese, per chi le subisce, e che hanno in qualche modo leso l'onore e l'integrità morale di una persona. Il ricorso a una vendetta privata nasce fondamentalmente da una sfiducia nei confronti dello stato e del suo sistema giudiziario, ritenuto inadeguato a far fronte a tale tipo di conflitto. C'è quindi un forte divario e una netta differenziazione tra il codice nazionale e quello locale, che si ritrovano ad essere in conflitto. Il codice barbaricino, è un codice culturale che nutre e alimenta quella che viene definita la "cultura della vendetta", e che si manifesta inevitabilmente sul corpo. Il fenomeno della faida è stato, fra l' altro, studiato e analizzato da una grande figura della cultura sarda, Antonio Pigliaru, che come studioso di diritto penale si era interessato a curarne l'aspetto socio-giuridico  affermando che  : << il codice della vendetta non è statico . E' dinamico: si adegua. Bisogna dire, a differenza dell'interpretazione romantica, che esso non è senza crudeltà. Anzi nel suo processo di adeguamento alla società storica, è l'aggravarsi stesso delle contraddizioni che maggiormente lo incrudelisce. Questa  Tesi  è  piuttosot  contrasta  da molti  studiosi e  antropologi  , infatti  il mio prof  d'esame  M.Atzori  (   di cui trovate   il libro   alla  fine del post   ) afferma   : << (... )




Il fatto è che la Barbagia non è così perchè c'è il codice della vendetta, ma c'è il codice della vendetta perchè la Barbagia è così">> ... continua qui  . dicono   in sintesi  che la desamistade , insieme  a  parenmtela  allargataq   e suuull'amicizia  ( companatico ) e  e sul clientelismop \  mezzadria  ( patronato )   sopravvissutra  intatta  fino agl anni  50\60 , quando la crisi del sistema  economico  \ sociale   dell'italia contadina  non s'era  ancora  maniifesta    e il sistema  di sviluppo più semplice e immediato per  il  meridione  rapressentava  una rapida  industrializzazione , quando già si riscontravano  i primi esiti   del  fenomeno sociale  dell'immigrazione   dalle campagne   e l'immigrazione  verso el metropoli settentrionali  industrializzate , per  poi  fondersi  con la crinminalità comune  e ora  specialmente  nel nord sardegna     con l'usura  e  la mafia  . 


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dalla nuova  del  5..IX.2005       


                                                                                                                                                                                                                                                        Vi VILAGRANDE .Un centro tribolato dalle faide Il paese che non sa dimenticare  Neanche l’economia in crescita spezza l’antica catena    Nessuno tenta più di sostenere che i killer arrivano da lontano ma riconoscono che la vendetta cova in alcune famiglie    È vero. Molti non parlano o - almeno - non amano emettere facili sentenze. Anche perché a dire faida si fa presto. Ma poi bisogna vedere se, davanti ad alcuni eventi tragici che ammutoliscono intere comunità, si colpisce nel segno rievocando il diritto germanico medievale e le lotte tribali. Certo è che le faide sono rimaste di casa in Sardegna. Hanno martoriato per decenni i paesi più interni della Barbagia. È successo a Orgosolo e Mamoiada, a Oniferi e Sarule. Non una ma tante faide, indipendenti o intrecciate fra loro, con gruppi familiari contrapposti. Ma in alcuni di questi villaggi sembra avvenuto un miracolo sociale. Il fuoco non cova, ma è stato spento dalla cenere. E se è pur vero che la cronaca nera ha i suoi rigurgiti di sangue, gli omicidi martellanti dei primi decenni del dopoguerra o di vent’anni fa sono un ricordo triste ma archiviato. Nei cimiteri sono stati sepolti anche odi e rancori antichi. Qualcuno ha cambiato regione (e nazione). Chi è rimasto ha spezzato la catena di vendette. E sotto il Gennargentu vedete giocare insieme, studiare insieme, viaggiare insieme ragazzi e ragazze di famiglie che si erano dichiarate odio eterno, anche con liste pubbliche di proscrizione. Poi qualcuno ha detto basta. E si è fatto rispettare. Però in qualche altra parte della “Sardegna di dentro” l’odio resta. Ma quando in uno di questi paesi c’è un delitto è come se il lutto colpisse tutti perché per settimane non cogliete un sorriso e non vedete una finestra aperta, le strade sono deserte, si sta chiusi in casa, più d’uno impreca contro le telecamere, non si parla né con gli inquirenti né con i magistrati. Omertà dicevano. E omertà continuano a chiamarla. A sicut erat. Succede ancora a Orune, o a Burgos, nelle campagne di “Monte Rughe” di Pozzomaggiore o nei pascoli di “Marchinzones” ad Anela. Le campane per i morti ammazzati risuonano spesso a Villagrande, nel cuore di un’Ogliastra, avamposto ribollente di vecchia e nuova criminalità, di bombe e fucilate a sindaci e amministratori. I nomi e i cognomi, sui manifesti del lutto, si rincorrono perché qui, in alcuni gruppi sociali quasi sempre legati al mondo della campagna, resiste la legge del muretto a secco. Accompagnata dall’assalto con nuove tecnologie criminali. Ed ecco ruspe e tritolo davanti al Bancomat di un ufficio postale, di una banca o l’assalto da squadrone della morte a un furgone portavalori. C’è il crimine moderno e resiste il delitto da preistoria. Perché ? La risposta non è più nelle analisi delle cento commissioni d’inchiesta sulla criminalità in Sardegna. E non da oggi. Perché qualcuno, certo molto superficialmente, più che di malessere sociale parla di forme aberranti di benessere economico, di caccia al denaro immediato. È difficile parlare di disagio davanti ai fuoristrada Mitsubishi e ai Kalasnikhov. La ragione non è “la miseria”.A cinque giorni dall’ultimo delitto, Villagrande è ancora choccata anche se reagisce per apparire un paese normale. Lo aveva dimostrato a tutta la Sardegna dopo la tragica alluvione del 6 dicembre con uno scatto d’orgoglio commovente, col pensiero a chi nel mondo e in Europa viveva i drammi più sconvolgenti della fame e della guerra. Ieri le donne di sempre alla messa nella parrocchia di San Gabriele Arcangelo, il caffè e la lettura dei giornali attorno ai tavolini della strada centrale, un gruppo di cinquantenni nella piazzetta con le pietre di Pinuccio Sciola davanti allo sfondo magico delle rocce a segaccio di monte Isàdalu. Tra le case e nelle strade ancora le ferite dello tsunami sardo che uccise nonna e nipotina lo scorso inverno. Ma soprattutto l’immagine consolidata della Villagrande operosa. Perché questo paese di tormenti è quello più dinamico in Ogliastra. Sotto Punta La Marmora e il corso del Flumendosa, negli ultimi dieci anni lo spirito imprenditoriale ha fatto sorgere piccole aziende modello-Emilia e che sfruttano quella grande risorsa che si chiama ambiente. L’altipiano di “Genna Antìne”, sulla strada fra Lanusei e Fonni, è diventato una delle zone artigianali e industriali più produttive della Sardegna. Quasi ogni azienda ha il suo sito internet. Due prosciuttifici e salumifici di alto livello conoscono entrambi le regole dell’export. Qui, prima che scattasse la sana emulazione, è stato commercializzato il pistoccu, il pane tradizionale di grano duro transitato dalle capanne dei pastori agli scaffali dei supermarket di Londra e Parigi. I panifici sono quattro, da Demurtas a Peddio, da Orrù a Rais. In questo nascente distretto agroalimentare di qualità trovate Ovoantine e Murgioni-Rubiu. E ancora l’allevamento delle trote nel lago Flumendosa e “La quaglia sarda” in mano a giovani capaci e intraprendenti, il latte caprino “Galidhà” e la “Gennargentu Caprini” gestito da due sorelle piene di voglia di fare giunte da Arzana, Vanda e Pina Piras che piazzano l’80 per cento della produzione al di fuori dell’isola. “Sapori di Sardegna” vi garantisce prodotti sardi tipici, “Nutrizoo” produce e vende mangimi agli allevatori tra Barbagia e Ogliastra. Quattro ristoranti di buon livello tra il bosco di Santa Barbara e la frazione di Villanova. Va bene l’artigianato con attività le più diverse: Mario Tronci e Roberto Loi lavorano il ferro, Paolo Loi è lattoniere, falegnamerie di Romano Mulas, Sandrino Mossudu, Basilio Sette. Mobilifici, termoidraulica, tutto per l’edilizia, tra poco aprirà i battenti la segheria di Giomaria Murgia “sceso” da Desulo e creerà altre buste paga. Aggiungiamo che tra un anno sarà pronto un residence con 150 tra camere e suite, piscine, centro benessere, saloni per congressi, il tutto all’interno del bosco di Santa Barbara tra lecci secolari e la vista sui monti del Gennargentu e, se fate qualche passo, vedete anche il mare blu della costa orientale di Arbatax e Santa Maria Navarrese. In Ogliastra non c’è un solo paese che abbia un rapporto così elavato tra popolazione e imprese. L’economia, quindi, non langue. Anzi. E il sociale? Anche in questo campo Villagrande non conosce l’apatia generalizzata. Gruppi musicali e un buon coro di voci maschili e femminili. La chiesa, col parroco don Franco, è attenta alla società che le sta attorno. Tre anni fa è nata l’Associazione “Amistade”, punta proprio a rinsaldare rapporti e legami sociali, a valorizzare le tradizioni, i soci sono più di cento, professionisti e studenti, presidente è un funzionario della Asl di Lanusei, Ninetto Sette. Molti i club sportivi tra calcio, pallavolo (”Sa teula”) e trekking (”Praidas”). A Villanova è attivo un altro gruppo di volontariato, ambulanza e assistenza agli anziani e ammalati. E poi c’è una delle Pro loco più presenti in Sardegna. Una Pro loco che guarda alla cronaca ma che sa andare anche oltre i fatti e i misfatti quotidiani. Dibattiti con esperti di livello nazionale su “Villagrande, terra di rose terra di spine”, oppure sul passaggio “Da su pistoccu agli hamburger Mc Donald’s”. I ruoli sociali analizzati nel convegno”A dognunu s’arte sua”, cioè ciascuno al proprio posto. Incontri ripetuti sul disagio giovanile. Tra un mese un altro seminario sulla tutela del paesaggio dopo aver ospitato - mesi fa- il convegno di tutti i laureati italiani in Scienze ambientali alla presenza dell’assessore regionale Tonino Dessì e del direttore dell’Arpa Sardegna Carla Testa. E allora? Paese abulico, indifferente a ciò che si muove intorno in Sardegna e nel mondo? La risposta è un grande no. Se un disagio reale esiste va identificato soprattutto nella disoccupazione intellettuale, in decine di laureati e diplomati (soprattutto donne) che stentano a trovare lavoro nelle discipline scelte per i propri studi.E non sono certo loro - con i corsi e ricorsi criminali - a far precipitare il paese nel vuoto, a renderlo muto.C’è anche chi parla. Qualcuno per dire che i killer di oggi e di ieri sono venuti da lontano. Ma è tesi senza seguaci (”es cosa nostra”). E quando si pone la domanda “Ma perché a Villagrande qualcuno continua a farsi vendetta da solo?” la risposta ricorrente, soprattutto da chi ha superato i sessant’anni e sa di poter ragionare a cuore aperto, va nel segno: “Poitte bi tenet familias treulàdas”, perché in alcune famiglie c’è tormento. Quale tormento e quale tormenta? Pedru Casu, il grande letterato di Berchidda, nel suo vocabolario-monumento, a pagina 1324, parla proprio di “bidda, familia, mente treulada”. Nel significato metaforico è lo stesso Casu che vuole intendere paesi, famiglie “sconvolte, intorbidate”, con i valori sociali “sottosopra”, con la mente confusa. “Sa trèula” - si sa - è la trebbia. Che non è solo la mietitura del grano, ma è (o così era fino a qualche decennio fa) seguire il giogo dei buoi o il cavallo che traina e fa girare la pietra vulcanica da macina, usare il forcone, smuovere i covoni, separare i chicchi dalla paglia e dal terriccio, insaccare. Tutte queste azioni, anche in giornate senza vento, offuscano il cielo e il sole. Non ci si vede l’un l’altro, si annebbia la vista. Eccolo allora il buio tormento di alcuni “trebbiatori” di Villagrande: col cielo “intorbidato” ripeterebbe Casu. Sono le nuvole che sconvolgono e stravolgono i valori: la violenza privata più forte della legge. È la giustizia tribale “a non firmare su sambene”e quindi ad alimentare la “faida”. È stata questa la ragione degli ultimi delitti? E poi: perché alcuni paesi - prendiamo Mamoiada e forse anche Orgosolo - hanno saputo dimenticare e altri no? Perché da una parte le ferite si rimarginano e altrove restano aperte ? Sentiamo alcuni pareri esterni all’Ogliastra. Si rifanno al concetto generale di faida ma con tanta cautela perché - si sa - dire faida è facile ma ogni croce ha un suo calvario. Quello di Villagrande non è il Golgota di Burgos o di Orune. Salvatore Mannuzzu, magistrato e scritttore di successo, premette di non conoscere bene né l’Ogliastra né Villagrande ma si sente “coinvolto e sconvolto dagli eventi” e intravede in alcune zone dell’isola “gli epicentri, i punti di maggiore resistenza alla modernizzazione”. Sa che è un atteggiamento di “molto pochi” ma questi “offuscano intere comunità”. Detta legge l’egoismo, non l’altruismo e perciò parla di “indifferenza morale al vincolo sociale”. E se è pur vero che soffia un vento nuovo Mannuzzu avverte “un fondo tradizionale, arcaico stravolto da inquinamenti recenti”. Che fare? “Occorre una riparazione civile, civica, che coinvolga tutta la popolazione” anche se è evidente che Villagrande sta facendo tutto il possibile per favorire il dialogo, per far capire che la risposta non può essere quella violenta dell’autodifesa ma è più efficace una mediazione pubblica. Antonietta Mazzette, sociologa dell’Università di Sassari, dice che “manca un dato scientifico, una ricerca metodica su cui ragionare”. E quando parla di alcuni paesi dell’antico e moderno malessere sottolinea “condizioni culturali diverse fra le singole comunità e fra esse e il resto del territorio isolano”. Una diversità “sia nelle aperture che nelle chiusure sociali, perché della modernizzazione si accettano alcuni valori ma non altri e la vendetta privata resta ancora una valore soggettivo”. Perché? “Perché la modernizzazione non si è sedimentata, è stata di breve durata, il passaggio del pre al post-industriale è stato fugace per cui sono rimasti i precipizi non gli equilibri”. Francesco Mariani, sacerdote, sociologo, direttore di “Radio Barbagia”, orunese doc, esterna prudenza anche sulle “faide sopìte” perché - dice - “vanno osservate nel lungo periodo, spesso si riaccendono anche dopo venti, trent’anni. Finiscono quando i contendenti lasciano il campo perché nulla, in Barbagia come nel resto del mondo, è più duraturo dell’odio. Dai paesi insanguinati da lotte familiari i protagonisti hanno voluto dire basta e sono andati via emigrando. E andar via è una scelta precisa. Perché chi resta nel paese vive sempre in un clima di sospetto dove le occasioni non mancano e prima o poi armano una mano. In altri paesi c’è stato chi ha detto basta anche dopo aver visto fratelli o genitori uccisi. Ecco: occorre aver quel valore in più che fa dire la parola fine, trovare il probhomime che abbia l’autorevolezza nel farsi ascoltare”. Villagrande troverà questo saggio? Ci sarà uno che saprà dire basta perché ha capito che ogni delitto ne fa nascere un altro fino all’infinito con tante “trèulas”, infiniti tormenti? Uno dei dibattiti organizzati dalla Pro loco vedeva Villagrande “terra di spine” e “terra di rose”. Basterebbe che solo uno rifiutasse le spine. Si può. Un rifiuto di nome balentìa. Quella autentica. 
 


APPROFFONDIMENTI 

LIBRI  ( SAGGI e  ROMANZI, RACCONTI , POESIE   ) 




  • Banditi   dell'Aggese  Giovanni Francesco Ricci L'autore  è un Ufficiale dei CC con il grado di Capitano, e' attualmente il Comandante della Compagnia di Valledoria (SS). Ha studiato al Liceo Classico di Tempio, e proprio in quel periodo e' nata in lui la passione per la storia della Sardegna, della "sua" Gallura in particolare, per le storie e le leggende della sua terra. Come lui stesso ama ricordare, lo attraevano in modo particolare le tragiche nimmistai di quel periodo, le leggendarie imprese dei banditi di Gallura, la travagliata storia di questa terra a cavallo tra il '700 e l'800.  )           



  •  Il Muto di Gallura  ENRICO COSTA
    Scritto da uno dei piu' prodigiosi poligrafi della cultura isolana tra Ottocento e Novecento, il libro narra, anche con una certa pretesa di verita' storica, la romantica e crudele vicenda di Bastiano Addis Tansu, detto "Il Muto di Gallura", uno dei piu' feroci e disperati vendicatori della lunga faida che insanguino' Aggius e la  gallura  a meta del secolo scorso, facendo oltre  settanta vittime. un centinaio secondo alcuni 


  • Arcipeklaghi di Maria Giacobbe.
    Nata a Nuoro 14 agosto 1928, vive e lavora come pubblicista in Danimarca dall'autunno del 1958. Per ragioni di famiglia, dal 1962 ha preso la cittadinanza daneseLe Opere:Il Diario d'una maestrina 1957 ;Piccole Cronache 1965 ;Il mare 1967;Eurydike 1970 I ragazzi del veliero 1991;Gli arcipelaghi 1995 

  • BANDITI A ORGOSOLO  di Franco Cagnetta
    che uscì prima  d'essere enmsso su libro  come inchiesta su "Nuovi Argomenti" e che costò negli anni '60 l'esilio in Francia dell'autore per  la  vicenda   

  • Vittorio De Seta: il mondo perduto di: Goffredo Fofi – Gianni Volpi Edizioni Lindau qui  peravere ulteriori   news 

  • G. Angioni: Disamistade

  • Solitudine del popolo sardo, di  G.Dessì “Riscossa”, Cagliari, 1974, pp. 326-332       


  •  Bibliografia  Demo-Etno-Antropologia ( qui l'elenco  )  della Sardegna del sito internazionale del istituto H(umanities)A(nd)S(ocial)S(ciences)  . La Bibliografia è composta essenzialmente da libri riguardanti la demo-etno-antropologia della Sardegna; non mancano però alcuni titoli riguardanti l'aspetto archeologico,linguistico, politico e storico dell'isola, utili ad offrire una panoramica generale della cultura sarda. 



  •  tutta la  biografia di sergio atzeni  oppure  nel mio post  in particolare  la storia  di rosario moro  tratta  da  Il  quinmto passo dell'addio



SITI ,  ARTICOLI



  • ntervista  a francesco cossiga  sulla desamistade  


  • http://web.tiscalinet.it/Banditismo   Sito interamente dedicato al Banditismo in Sardegna. All'interno di esso potrete trovare la storia del banditismo, gli avvenimenti, il codice barbaricino e le poesie dedicate al banditismo sardo



  • http://tinyurl.com/859pb un altro sito  interessante  non solo  sul codice  Barbaricino ma sulle altre  Usanze  di cui parlo nel post                                                                                                                                                                                 



FILM e docvumentari




  • desamistade  ( trama  e analisi critica   )    e passaggi di tempo  ( trama  e recensione )  di G.Cabiddu            

  • banditi ad  orgosolo di Vittorio De Seta  trama   arcipelaghi di  Giovanni Columbu trama    


  • intervista del  sito  www.cinemaindipendente.it  al regista Nico d 'alessandria  L'intervista è stata realizzata il 4 dicembre 2000 nello studio di Nico D'Alessandria, al quartiere Trieste a Roma. L'intervista è stata realizzata il 4 dicembre 2000 nello studio di Nico D'Alessandria, al quartiere Trieste a Roma.



  •  La Sardegna: un itinerario nel tempo di Giuseppe Dessì, regia: Libero Bizzarri. soggetto e testo: Giuseppe Dessì. musiche: Egisto Macchi. canti eseguiti dal Coro di Orgosolo, dal Coro di Aggius e da Gavino Gabriel, Italia: 1963. Società Umanitaria, 2004. Documento televisivo Rai in tre puntate.  



  • Il disertore, regia di Giuliana Berlinguer. soggetto dal romanzo omonimo di Giuseppe Dessì. Italia : Società Umanitaria, 2003.                                                     



               

 

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