Senza titolo 795

Nel supramonte del sud, un tempo regno dei bracconieri, torrenti, vallate e cascate spettacolari Linas, il parco dei sogni   Tutelata l’area dove sorge la miniera di Perd’e Pibera Itinerario nella Sardegna più segreta, in uno dei siti ambientali più preziosi del Mediterraneo 



GIANNI OLLA 


 VILLACIDRO. «Sul Linas ci vanno i bracconieri, non i turisti...». Breve scambio di battute prima di un ennesimo viaggio in cerca dei parchi che ci sono e non ci sono. Il nostro interlocutore è un geometra dell’ente foreste, che conosce bene quei luoghi. I bracconieri li combatte da anni, e ne conosce le mosse, i sentieri che utilizzano, le trappole, anche micidiali, e non solo per gli animali. Chi scrive ha semplicemente chiesto notizie della strada sterrata che, da Gonnosfanadiga arriva alla base delle cime, ed in particolare a Perda’e Sa mesa, 1236 mt, facilmente raggiungibile, a piedi, dall’altipiano di Nuraxi Togoro. Infatti nella primavera scorsa la strada, comunale, è stata resa inagibile per qualche settimana dalle piogge torrenziali. In effetti, non sembra credibile - anche per esperienza personale - che quell’area che molti chiamano il Supramonte del sud, con i suoi spazi vastissimi dai quali si vede mezza Sardegna e tutta la costa marina occidentale, con i suoi torrenti e le sue cascate spettacolari, con le sue vallate boscose che affascinarono anche Lamarmora, preoccupato dell’assalto selvaggio al legno, sia solo il regno dei bracconieri. Non lo è neanche per l’ente foreste e per i due comuni interessati. Il comune di Gonnosfanadiga, ad esempio, divenuto proprietario dell’ampia area occupata dalla miniera di Perd’e Pibera, ne ha fatto un parco, affidandolo in gestione all’ente foreste che sta ristrutturando gli edifici minerari. Da Perd’e Pibera parte il percorso più bello, più lungo e spettacolare verso tutto l’arco del Linas, descritto in tutte le guide e segnato dal Club Alpino Italiano. Sul versante opposto, alla fine della strada comunale che parte dalla chiesetta bizantina di S. Severa, il punto di partenza per altre escursioni è la località che, nelle carte IGM, è chiamato Ovile Linas, a quota 732mt. Era il centro di una vasta proprietà ad uso prevalentemente pastorale, ma i padroni, cagliaritani, non disdegnavano qualche gita. Infatti, incongruamente, a due passi da quello che è oggi un cantiere dell’ente foreste e che dovrebbe diventare un rifugio per i visitatori, vi è una costruzione rossastra in legno, con grande tetto spiovente in stile alpino: la cosiddetta «casa formaggino», oggi sbarrata, che potrebbe anch’essa diventare un buon luogo di sosta. Da questo punto di arrivo le «ripartente» a piedi, in bici, a cavallo, sono innumerevoli. Attraverso vecchie carrarecce utilizzate dai carbonai e dai minatori, si arriva in poche ore fino a Fluminimaggiore. Oppure, proseguendo lungo altri sentieri, ugualmente ben segnati, ci si inoltra nella valle dei Rio Linas, Cannissoni, Leni, in vista della lunga sequenza di cascate spettacolari (Linas: quattro salti tra i trenta e i dieci metri; Muru Mannu, settanta metri; Piscin’Irgas, 40 metri) che hanno avuto l’onore di diverse ricognizioni da parte delle riviste specializzate di viaggi e turismo. E il titolo di uno dei servizi era significativo: la Sardegna che non ti aspetti. In alternativa, un altro sentiero lungo le pendici di quel Muru Mannu da cui scende il torrente che forma la cascata, si arriva alla valle di Oridda, cioè al confine tra i comuni di Villacidro e Domusnovas. Scortato dai responsabili dell’ente foreste (il dottor Mole e il responsabile del complesso, dottor Maxia), chi scrive è arrivato invece a Oridda da una strada sbarrata che parte dagli ex complessi minerari di Tinì-Arenas, in territorio di Fluminimaggiore. Giornata straordinaria d’inverno. Sole e neve, che imbiancava non solo le cime del Linas, ma tutto il bosco: paesaggio incantato da stampa giapponese o da film di Zhang Yimou, con le impronte degli animali del bosco ben visibili sul bianco della neve. Poi dal Rio Orrida, che dà origine alla cascata di Piscina Irgas, un’altra strada sbarrata - vecchio percorso dei lavoratori che da Villacidro raggiungevano le miniere dell’Iglesiente - ci ha portato direttamente alla sede dell’ente foreste di Villacidro, nella foresta di Monti Mannu, divisa da un altro torrente, il rio Leni, che dava l’acqua potabile al comune. La palazzina dell’ente foreste, circondata di maestosi cedri del Libano, assomiglia ad un alberghetto della campagna francese, elegante, squadrato e invitante. Un tempo era la direzione della miniera di Canale Serci, luogo, in qualche modo storico-letterario. Alle spalle delle costruzioni ristrutturate stanno in bell’evidenza i resti della laveria e della fonderia, descritte da Giuseppe Dessì in una delle sequenze western di «Paese d’ombre». Scrive Dessì che, alla fonderia della miniera arrivavano i carichi di legname dalla foresta di Mazzanni, in alto, sul monte, dove oggi si sta scavando un tempio punico. I vagoni ferroviari venivano portati a valle, in andata, dalla semplice forza d’inerzia e, al ritorno, erano trascinati dai muli. La descrizione del terrore dei muli, legati e bendati dentro i vagoni, durante la rumorosa discesa, è uno dei pezzi più belli del romanzo. Ed è altrettanto bella l’evocazione misteriosa della fucilata che uccide il rapace «disboscatore» toscano che scendeva anch’esso a valle dentro uno dei vagoni. La sinergia cultura/ambiente è una delle sfide che il parco - chiamiamolo finalmente così, perché esiste, almeno quello letterario intitolato allo scrittore di Villacidro - ha lanciato da qualche tempo. E non si può dire che non abbia prodotto risultati, nonostante le tipiche indecisioni isolane (politiche e mentali) e la ricerca di professionalità da formare. Comunque, per chiudere in bellezza e ottimisticamente questa puntata, non solo vanno segnalati gli sforzi della fondazione Dessì per porsi come ponte tra la geografia, la storia e la letteratura ma anche la volontà di rendere fruibili questi luoghi con sentieri ben tracciati, accessibili a tutti e con la possibilità di soggiornarvi. Mentre il comune sta costruendo, su vecchi ruderi di carbonai, una locanda in mezzo al bosco, l’ente foreste ha quasi finito di ristrutturare, nella stessa area di Monti Mannu, la vecchia caserma che diverrà un rifugio. L’area del Linas/Monti Mannu non è più misteriosa e la sua attrazione non è più solo la cascata di Sa Spendula (ai margini del paese) celebrata da D’Annunzio. Siti Internet molto belli (che l’ente foreste, colpevolmente, non ha) e molto curati mostrano gli accessi e i sentieri anche più difficili, nonché i luoghi ancora poco battuti (come la misteriosa serie di cascatelle di S’Ega Sizzoris, nella valle di Villa Scema) e mettono a disposizione numeri di telefono per le guide. In primavera si svolgono spesso manifestazioni di escursionismo per professionisti che scalano le cascate e in luglio, sul lago artificiale Leni, c’è una manifestazioni internazionale di triathlon. Insomma, la strada maestra per fare davvero dei parchi che non taglino fuori i comuni e la popolazione. E che producano anche reddito.
 
 

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