Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
27.2.14
le delizie del carnevale - le frittelle II
dopo quelle " virtuali " ( vedere post precedente ) eccovi quelle fatte dalla mia vecchia da mia madre
le delizie del carnevale
nel prossimo post riporterò anche delle mie foto sule frittelle di mia madre per il momento prendete queste
non ricordo la data dell'articolo della nuova sardegna
non ricordo la data dell'articolo della nuova sardegna
LE DELIZIE
I segreti della nonna per le frittelle del Carnevale
di Dario Budroni
OLBIA Industria di serpentelli dorati. Si comincia con un impasto profumato, si termina con una abbondante nevicata di zucchero. La macchina della frittella accende i motori. E con dinamismo si prepara a contenere l’assalto di un esercito divoratore. «Quante ne prepariamo? Beh, nei giorni clou anche 400 chili» confessa Maria Rossella Cassitta, 33 anni, tutta dolci e fantasia. In ogni forno, in ogni pasticceria: da ora in poi si penserà innanzitutto alla frittella. «Durante il Carnevale è così, spesso
abbiamo file lunghissime da smaltire» continua Maria Rossella, dal 2000 titolare della pasticceria Le Delizie, una delle più rinomate della città. «Prima era di mio zio. Diciamo che sono cresciuta in pasticceria, così ho ereditato anche tutte le ricette di famiglia – racconta davanti al suo bancone carico di dolci -. Per esempio quella della frittella. Io le preparo seguendo la ricetta di mia nonna. Il segreto è comunque usare ingredienti naturali e genuini, la farina che utilizziamo arriva da Tempio». Maria Rossella, con l’aiuto di sua zia Domenica, vera esperta da competizione, comincia a preparare le sue frittelle in piena notte, spesso anche alle 3. Prima prepara l’impasto e poi, con l’immancabile saccapoche, lo si riversa pian piano in grossi padelloni pieni di olio, fino a creare frittelle che spesso superano il metro di lunghezza. «Seguiamo solo la ricetta gallurese, figlia di una lunga tradizione. Cioè farina, acqua, lievito, uova e aromi. E poi a seconda dei gusti anche zucchero o miele – continua Maria Rossella, originaria di Priatu, nella sua pasticceria che si affaccia su via Mameli -. Qui il cliente può acquistare solo la frittella del giorno. Non vendiamo mai quelle del giorno prima. Quelle che avanzano, per esempio, le regalo». Ovviamente la pasticceria Le Delizie prepara le frittelle per tutti quei clienti che, durante la settimana del Carnevale, spuntano con l’acquolina in bocca dietro il bancone di vetro. Ma lavora molto anche con supermercati e feste private. E ovviamente non dimentica la produzione di tanti altri tipi di dolci. Le Delizie è infatti specializzata in dolci sardi, in pasticceria secca o fresca. Realizza anche ottime torte, in collaborazione con Monia Cake Design, piccola impresa che si occupa della decorazione in pasta da zucchero. «Questo è il mio mondo, ho iniziato da piccola a dare una mano ai miei familiari, fino a diventare la titolare all’età di 20 anni. Per me è una grande passione» conclude Maria Rossella Cassitta, prima di tornare al lavoro dietro le sue immense montagne di frittelle.
I termini, i personaggi e gli oggetti per capireil carnevale un universo arcaico ancora vivo Ballos, sonazzos e viseras Tutte le parole di un rito antico e contemporaneo
per tutti\e queli che mi hanno chiesto leggendo questi articoli postati nei giorni precedenti
ulteriori news su nostri carnevali trovate qui sotto , preso dalla nuova sardegna del 27.2.2014 un mini dizionario che potrebbe essere il punto di partenza per chi vuole saperne di più insieme a http://www.leviedellasardegna.eu/il_carnevale_in_sardegna.html
In Sardegna è il tempo delle tradizioni che arrivano da un passato lontano I termini, i personaggi e gli oggetti per capire un universo arcaico ancora vivo Ballos, sonazzos e viseras Tutte le parole di un rito
antico e contemporaneo
ATTITIDU A Bosa il Carnevale mantiene la caratteristica del festeggiamento spontaneo e improvvisato. Il martedì grasso è dedicato alla sfilata i cui personaggi principali sono Gioldzi e le maschere di “s'attittidu” (lamento funebre). Le Attittadoras, piangono la morte di Gioldzi facendo riecheggiare i loro esagerati lamenti. Gioldzi è raffigurato da un bambolotto, spesso smembrato, portato in braccio o su una carriola. Le Attittadoras chiedono al pubblico “unu tikkirigheddu de latte” (un goccio di latte) per il neonato Gioldzi, abbandonato dalla madre distratta dalla festa. La richiesta di latte (che poi in pratica si trasforma in richiesta di vino o Malvasia di Bosa), permette di allacciare rapporti metaforici giocati a livello di allusioni-sessuali. Al tramonto del sole si assiste ad un cambio di scena: le maschere delle Attittadoras scompaiono per lasciare il posto alle maschere in bianco ovvero le anime del Carnevale che sta finendo. BUNDU Su Bundu è la maschera protagonista del carnevale di Orani. Su Bundu indossa abiti da contadino; la maschera è in sughero tinto di rosso con lunghe corna, un grosso naso e baffi. Durante il rituale, Sos Bundos mimano il rito della semina, impugnando su trivuthu, un forcone di legno, accompagnandosi da grida cupe. Un essere metà uomo e metà bue che, con i suoi spaventosi muggiti, emula i suoni del vento. Ancora oggi, in molti paesi, in giornate particolarmente ventose si usa dire “parete chi vi suni sos bundos”, ossia “pare che fuori ci siano i demoni” accostando il personaggio bundu proprio al demonio. COMPONIDORI Su Componidori è il protagonista assoluto della Sartiglia. La sfida equestre prevede una prova di estrema abilità compiuta appunto da un uomo a cavallo, Su Componidori, e da altri cavalieri che devono tentare di infilzare con lo stocco una stella di metallo posta, tramite una fune, lungo il percorso. La parola Sartiglia si suppone derivi dal castigliano sortija, ossia anello, corsa all'anello; questo appassionante gioco pare sia arrivato da noi a partire dal 1100 proprio. La Sartiglia è organizzata da due Gremi: quello dei contadini, posto sotto la tutela di san Giovanni Battista e quello dei falegnami, protetto da san Giuseppe. Le due corporazioni organizzano rispettivamente i tornei la domenica e il martedì. DIONISO Era uno dei più inquietanti dei dell'Olimpo greco, signore dell'irrazionalità e dell'ebbrezza. Era un dio molto chiassoso che veniva chiamato anche Bacco, che in greco significa “clamore”, da cui deriva la parola italiana baccano. Legato alla linfa vitale che scorre nei vegetali, linfa che si ritrae durante i mesi invernali e che poi torna a scorrere vivida in quelli estivi, ed infatti gli erano cari tutti quei frutti ricchi di succo dolce, come l'uva, il melograno o il fico. Una divinità che rappresenta in particolare lo stato di natura dell'uomo, la sua parte primordiale, che resta presente anche nell'uomo più civilizzato. Non pochi vedono nel Carnevale Sardo una rappresentazione delle feste dionisie, che nell'antica Grecia venivano celebrate tra febbraio e marzo, periodo che segnava il passaggio tra inverno e primavera. La morte del dio, nelle sue rappresentazioni di toro, cervo e cinghiale, viene pianta amaramente da queste maschere tetre, luttuose. Ma la rinascita è immediata ed il riferimento è sin troppo chiaro al ciclo delle stagioni. Ancora oggi le maschere sarde replicano i loro riti per un dio chiamato Maimone, di cui si ricordano ancora le invocazioni per la richiesta della pioggia. Un dio del quale si rappresentava la passione che aveva subito, attraverso la sofferenza che si infliggeva a una vittima umana che solo all'ultimo momento, prima di essere gettata sul rogo, veniva sostituita da un fantoccio, spesso chiamato Zorzi (il fecondatore). ERITHAIOS Nel Carnevale di Orotelli, insieme ai Thurpos, è presente anche la figura de S'Erithaju (parola che deriva da eritu, cioè riccio) che per alcuni studiosi potrebbe essere riconducibile ad antichi rituali di iniziazione sessuale. S'Erithaju porta sul viso una benda di tela rossa e un saio bianco, sotto il quale si cela una collana di cuoio, cui sono applicati tappi di sughero ricoperti di pelli di riccio con aculei. Durante il rito si avvicinano alle donne presenti e, abbracciandole le pungono con gli aculei simboleggiando così la metafora della penetrazione e fecondazione connessa con i rituali di propiziazione di una futura annata agraria. I Thurpos invece, hanno il viso nero, dipinto con il sughero bruciato, su zizziveddu o tintieddhu; con questo gesto perdono la propria identità umana e, attraverso la simbiosi uomo-animale, si trasformano in buoi aggiogati che mimano le varie fasi del lavoro contadino. FILONZANA Nel carnevale di Ottana, insieme ai Boes e Merdules, sfila la maschera de sa Filonzana (la filatrice). La sua è una figura tanto ambigua quanto affascinante, è un uomo vestito da donna vecchia che, gobba e con andatura distorta, si infila tra il pubblico e il corteo delle maschere. La maschera de sa filonzana deriva dalle tre parche greche o moire romane, che secondo la mitologia erano delle divinità simboleggianti il destino degli uomini e inesorabili filatrici della vita di tutti gli esseri umani. Sa Filonzana infatti, durante il rituale va in giro con fuso e conocchia e, con delle forbici da tosare appese al collo, minaccia il pubblico di recidere il filo in caso in cui non le venga offerto da bere. Gli altri protagonisti del carnevale ottanese sono i Merdules e i Boes che in un cerimoniale cruento e affascinante ripropongono scene della vita del mondo contadino: Sos Merdùles, ossia gli uomini, i contadini, vestiti con mastruche (pelli bianche o nere), il viso coperto da maschere lignee e antropomorfe, dai tratti spesso deformati, procedono lentamente, ricurvi su stessi e con delle redini (socas), guidano e tengono a bada Sos Boes; il loro significato è reso più evidente, oltre che dalla pantomima, anche dall'etimologia della parola Mèrdule che, con molta probabilità, deriva dal termine ottanese “mere de ule”, letteralmente padrone del bue. Sos Boes indossano pelli di pecora bianche, abito in velluto, e portano in spalla una cintola, generalmente di cuoio, da dove pende un pesante grappolo di campanacci. Il viso dei Boes è coperto anch'esso da “sas caratzas” (maschere) con sembianze zoomorfe, con corna più o meno lunghe che donano maestosità all'intera figura. GAVOI Il carnevale di Gavoi conserva l'ancestrale valore apotropaico e rigenerativo determinato dal suono, che vuole risvegliare la natura dal letargo invernale, allontanare gli influssi negativi e propiziare l'abbondanza della comunità. L'evento di questa giornata è “sa sortilla 'e tumbarinos”, il raduno di centinaia di tamburi suonati da donne, uomini e bambini che sfilano per le vie del paese indossando l'abito di velluto maschile dei pastori, le scarpe chiamate “sos cosinzos” e “sos cambales” o l'abito femminile delle vedove con il viso rigorosamente dipinto di nero. Anche nel caso del vestito vale l'inversione dei ruoli. I tamburi realizzati con pelli di pecora o capra su una struttura di legno, rappresentano gli strumenti principali della festa insieme a “su pipiolu”, il flauto di canna, “su triangulu”, il triangolo di ferro battuto, “su tumborro”, uno strumento realizzato da una vescica di animale essiccata e rigonfiata come cassa di risonanza che viene fatta vibrare da una corda come se fosse un violino. CARRASECARE Con il termine Carrasecare (o Harrasehare) si vuole indicare il Carnevale sardo, un carnevale tragico, lontano dall'allegoria e dai termini burleschi dei carnevali di Viareggio o di Venezia. Il termine Harrasehare, infatti, parrebbe derivare dal sardo harre 'e sehare, vale a dire carne umana fatta a pezzi, fatta a brandelli, proprio come era stato sbranato Dioniso dai Titani; attraverso questa interpretazione si voleva ricordare la presenza in questi riti di vittime sacrificali, residui di antichi riti pagani propiziatori di morte e rinascita. INTINTOS A Ovodda non esiste una vera e propria maschera tipica, ma si assiste al mascheramento in massa di tutti gli abitanti del paese, che dipingendosi il viso di nero con la fuliggine si trasformano in uomini Intintos. A differenza degli altri paesi sardi, in cui il carnevale termina il martedì grasso, a Ovodda si conclude il giorno successivo, ovvero "su merhulis 'è lessia", il Mercoledi delle ceneri, data che coincide co il primo giorno di Quaresima. Questo fa del Carnevale di Ovodda una festa trasgressiva visto che per la chiesa, il mercoledì delle ceneri è il giorno dedicato al digiuno e alla penitenza, esattamente l'opposto del carnevale. Il culmine della festa si raggiunge quando la ribellione sfocia nel processo e nell'eliminazione, con il rogo, di Don Conte, la sua morte viene vista come una liberazione dal malocchio lasciando una rinascita della terra e del bestiame, e auspica inoltre prosperità e gioia per i giorni restanti! nLULA Le maschere più importanti del carnevale di Lula sono tre: Su Battileddu,( la figura principale), sas Gattias (le vedove) e sos Battileddos issocadores. La denominazione Battileddu deriva dalla parola sarda battile, una sorta di tappetto usato come sotto-sella per gli asini e i cavalli; in seguito però il suo significato si riferisce ad un oggetto di scarso valore o, se riferito a persona, allude al suo essere trascurato e sporco. Su Battileddu ha il viso sporco di sangue e annerito dalla fuliggine e il corpo ricoperto di pelli di pecora e montone. cadores fanno da contorno al rituale. Intorno a lui si muovono altre maschere dal volto nero che lo aggrediscono fino ad ucciderlo. Su Battileddu viene quindi fatto sfilare su un carro, ma alla fine risorgerà, caratteristica che dimostrerebbe come anche la maschera di Lula, come la maggior parte delle maschere sarde, tragga origine dai riti Dionisiaci. MAMUTHONES E ISSOHADORES I misteriosi protagonisti del Carnevale di Mamoiada, Mamuthones e Issohadores, sono arrivati a noi come arcani testimoni di una millenaria tradizione orale. I Mamuthones, maschere nere e tragiche dall'espressione sofferente e affaticata, avanzano in gruppo di dodici con salti cadenzati che provocano il suono assordante dei campanacci, elemento propiziatorio ed apotropaico. Si muovono in maniera composta e solenne, osservando un assoluto silenzio e rappresentano l'immagine dell'oscurità, della natura morente nei suoi molteplici aspetti di uomo, donna, animale. Gli Issohadores, chiari e leggiadri nei loro costumi colorati, scortano il gruppo dei Mamuthones con un incedere più aggraziato dando il ritmo alla processione delle maschere nere. In mano tengono un laccio di giunco (sa soha), che lanciano con abilità verso le persone per acchiapparle, coinvolgendo in tal modo la comunità nel rito e donandole simbolicamente benessere e fertilità. nOLZAI Il carnevale di Olzai, come quello di Ovodda, ha la particolarità di proseguire fino al mercoledì delle Ceneri e poi fino alla domenica delle pentolacce; le strade del paese vengono animate dalle tre maschere caratteristiche del carnevale olzaese: sos Intintos, sos Murronarzos e sos Maimones. Sos Intintos, vestiti con “zippone e antalera”, hanno i visi imbrattati di nero, sono travestiti da vedove a lutto per la morte del carnevale e sfilano il mercoledì delle ceneri. Sos Murronarzos, indossano abiti d'orbace e campanacci; usano imbrattarsi il viso col sughero bruciato, originariamente lo coprivano con veri musi di maiale o cinghiale, oggi sostituiti da maschere lignee. Sfilano sempre in coppia. Sos Maimones, mezzo uomini e mezzo fantocci dalle fattezze femminili, hanno quattro braccia, quattro gambe e due teste. Sono maschere particolarmente allegre ed esplicite che personificano la fertilità umana. PASSU TORRAU Sino alla prima metà del Novecento, la buona riuscita di una festa dipendeva quasi esclusivamente da come si svolgevano le danze e particolare attenzione si prestava all'aspetto sonoro e coreutico. Sos Ballos, inoltre, rappresentavano anche una delle più importanti occasioni di socializzazione offerte alla comunità, e, in particolare, erano occasione per uomini e donne di poter stare a stretto contatto e comunicare le proprie simpatie amorose. Tra gli strumenti musicali nel cui repertorio vi sono molte musiche da ballo si possono menzionare “is launeddas, sas benas, su pipiolu, sa trunfa, s'affuente, su tumbarinu, su triangulu, sa chitarra”, “su sonette a bucca” (l'armonica a bocca), “su sonette” (l'organetto diatonico), “su sonu” (la fisarmonica). Lo studioso Giovanni Lilliu vedeva nel ballo «una vera orgia mimico-musicale propiziatrice d'amore», abbastanza vicina ad una danza rituale magico-erotico-sessuale. Per altri studiosi il ballo sardo è di origine greca. Il ballo più diffuso nell'isola è su ballu tundu (il ballo tondo) o duru-duru, imperniato su un cerchio che si ricompone più volte dopo ogni variazione coreografica. Da molte parti si balla su passu torràu (il passo che ritorna), detto anche ballu sèriu (ballo serio), una danza imponente, caratterizzata da un passo che si ripete e si conclude con una genuflessione. In tutta l'isola a seconda delle zone, degli strumenti che li accompagnano e dalle coreografie i balli e le danze tradizionali assumono nomi e connotazioni differenti. TEMPIO Il Carnevale di Tempiopausania ha subito nel corso degli anni diverse trasformazioni, fino a diventare uno spettacolo folkloristico con una sfilata di carri allegorici che inscenano per le strade della cittadina una pantomima satirica con risvolti anche politici, diventando una sorta di Viareggio in miniatura. Il carnevale nella Gallura in generale, ha origine antica. ma risalire al principio non è facile perché molte tradizioni sono completamente scomparse. Le sfilate dei carri allegorici sono iniziate nel 1956, mentre prima vi era semplicemente un'esibizione di costumi composti da stracci e vestiti vecchi con particolari acconciature, all'insegna dell'improvvisazione e della spontaneità. VÍSERA ( O BÍSERA) È la maschera utilizzata nel carnevale, sono presenti diverse tipologie di vìseras, con varianti relative al materiale (legno, sughero, ceramica), alla tipologia (antropomorfe o zoomorfe) e al significato. Comune a innumerevoli popolazioni era l'utilizzo di tale simbolo sin dall'età arcaica, raramente sostituito, ma spesso affiancato da pitture corporali e tatuaggi. La maschera si configura come un'efficace mezzo di comunicazione tra gli uomini e le divinità, un tramite che consente di proiettarsi all'interno di un mondo “altro”, divino, rituale, mistico. Colui che indossa la maschera perde la propria identità per assumere quella dall'oggetto rituale rappresentata. In linea molto generale, la maschera è strumento con cui ingraziarsi la volontà dei numi agricoli e pastorali, utilizzandola a beneficio della comunità. La maschera, spesso, è associata al culto degli antenati ed il soggetto umano o animale è il più diffuso.
Zidicosu, Zorzi, Gioldzi e Radjolu, chi è il capro espiatorio che verrà sacrificato
Il re fantoccio morirà sul rogo
MAMOIADA La maggior parte dei Carnevali sardi è riconducibile ad arcaici rituali propiziatori; quasi tutti sono caratterizzati dal sacrificio di una vittima che a seconda del paese assume nomi diversi: il nome più comune per identificare il re del Carnevale è Zorzi. Ma sono tante le varianti con le quali viene
chiamato il Dio del Carnevale: Isili lo chiama S'urdi de s'antecoru, a Desulo è detto Zidicosu, a Dorgali Radjolu, a Tempio Re Giorgio e Ghjòlglju, Gioldzi a Bosa, Juvanne Martis sero a Mamoiada, Olzai, Ollolai, Narcisu o ce homo, è il pupazzo tipico del carnevale fonnese. Don Conte a Ovodda, Cancioffàli di Cagliari, Zizzaròne a Gavoi, Zorzi conchi-tortu a Silanus. Si tratta di una maschera-pupazzo, simbolo del dio o del capro espiatorio, che in tutti i carnevali scompare di morte violenta: viene impiccato, bruciato o gettato in un fosso, affinché le sue ceneri fecondino la terra. I fantocci per lo più finiscono al rogo, ma non mancano i casi di annegamento, defenestrazione, decapitazione, impiccagione ed altre morti ingloriose. Il reato del quale viene ritenuto colpevole è quello di essere causa delle pene che l'umanità sopporta durante l'anno. In passato, il sacrificio si concludeva con delle vere e proprie orge, durante le quali gli uomini in età virile gridavano e cantavano versi scurrili al grido di “Andira, andira, andirò”, forse variazione di Andrìa (appellativo di Dioniso e del membro virile). Ancora oggi in molti paesi il fantoccio viene accompagnato da uomini mascherati da prefiche e da canti dal linguaggio scurrile. A Bolotana il fantoccio è seguito dal coro «Zorzi lassa su piachere-ca torra sa pacha Santa, lassa su piantu chi torra Sabadu Santu…», a Norbello cantano «Zorzi non ti c'andes- aspetta ca ti frio duos oos», a Mamoiada le prefiche lo piangono cosi: «Juvanne meu, prenu 'e pazza, mesu meazza, meazza 'e mesu, torrami sa vresa chi m hii c'has pihau, Juvanne». Nella Roma antica il dio dei saturnali veniva personificato da un uomo che veniva sacrificato per il bene della collettività; poi venne sostituito con un fantoccio di paglia. La sera del martedì grasso veniva bruciato come vittima designata che, morendo purificava gli uomini e la comunità, e attraverso l'esorcismo della sua morte diveniva simbolo di rinnovamento della fecondità.
una mia foto carnevale 2012 del nostro Re Giorgio e Ghjòlglju |
25.2.14
viaggio nel tempo attraverso la soffitta
.
le foto sono di https://www.facebook.com/andrea.deianaP.s se non riuscite a leggere il commento sotto rieccovelo
Per un vero fotografo una storia non è un indirizzo a cui recarsi con delle macchine sofisticate e filtri giusti.
Una storia vuol dire leggere, studiare, prepararsi. Fotografare vuol dire cercare nelle cose quel che uno ha capito con la testa. La grande foto è l’immagine di un’ idea.
Tiziano Terzani
concludo con in sottofondo La grande famiglia - Modena city Ramblers
La fattoria diventa scuola di vita e legalità giustizia minorile Il sistema educativo è fondamentale e questo forse è migliore dei quello delle comunità
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http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/02/intervista-carmelo-musumeci.html
http://www.istentales.com/ e le loro pagine su fb 1 2 )
da la nuova sardegna del 23\2\2014
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giustizia minorile
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di Luciano Piras
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NUORO La sveglia suona puntuale ogni mattina alle 6 e 30. «E poi cosa fanno? Totu, totu su chi b’est de fachere fachen... ». Nessuno sconto per i ragazzi appena condannati. «Mungono le pecore, fanno il formaggio, sa sartitza, sichin su fruteto, cullin s’ulìa, tagliano la legna, pesan i muretti a secco... totu, fanno
tutto quello che c’è da fare in campagna, senza orari come nella vita reale dei pastori». Gigi Sanna parla all’ombra di una quercia secolare, in un costone di Badde Manna, nei tancati poco fuori Mughina, a due passi dalla strada provinciale che porta a Orgosolo. «Qui i ragazzi imparano a lavorare, a essere orgogliosi del proprio lavoro» racconta il pastore-cantante degli Istentales. Una band popagropastorale, certo, ma anche cooperativa sociale che a Badde Manna ha il suo paradiso terrestre protetto dall’imponenza del vicino Monte Ortobene. È in questo ovile-fattoria di Nuoro che la giustizia minorile ha trovato la nuova via della redenzione. Nel giro di quattro anni, sono già quindici i ragazzi passati all’aria aperta dopo l’esperienza in un istituto penale come quello di Quartucciu ( foto sotto al centro )
o per scelta diretta. Una realtà unica in Sardegna, una rarità in tutta Italia. «È una opportunità che diamo ai nostri ragazzi» dice Isabella Mastropasqua, dirigente del Centro giustizia minorile per la Sardegna. «La Giustizia minorile – spiega – si deve espandere e deve coinvolgere quanti più enti, istituzioni e soggetti possibili». Come dire: le responsabilità dei minorenni che hanno sbagliato sono di tutti e tutti dobbiamo risponderne. «A Nuoro – va avanti Mastropasqua – trovano l’accoglienza propria di una famiglia che apre loro le porte e gli dà il benvenuto». «Benvenuto, sei dei nostri» è la formula adottata alla reception da Maria Paola Masala, la compagna di Gigi Sanna che cura e segue passo passo il progetto. «E ora rimboccati le maniche, si comincia a lavorare» la frase successiva. E se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, altrettanto vero è che Badde Manna regala dignità ai ragazzi smarriti. Giovani e giovanissimi che arrivano da tutte le parti dell’isola, dal Capo di Sotto o dal Capo di Sopra. Due sono anche stati assunti con contratto a tempo indeterminato. Minorenni finiti in carcere per furto, rapina o spaccio di droga e che all’orizzonte vedono ben poche stelle luccicare. «Poi invece finisce che da qui non vorrebbero più andar via anche se hanno finito di scontare la loro pena» sottolinea con orgoglio Gigi Sanna. «Il sistema educativo è fondamentale e questo, forse, è migliore di quello delle comunità, che restano un sistema protetto mentre qui l’inserimento lavorativo è diretto, reale» sottoscrive Battista Cualbu, presidente della Coldiretti Sardegna che da subito ha sposato il progetto “Insieme nella fattoria”, finanziato dalla Fondazione Banco di Sardegna, dal Centro giustizia minorile, dalla Regione e dai Comuni di appartenenza dei singoli ragazzi ospiti della coop Istentales, oltre che dalla stessa federazione regionale dei coltivatori diretti. «È una opportunità reale di riscatto» insiste Cualbu. Un percorso riabilitativo che dura sei mesi, i ragazzi prendono una borsa-lavoro, hanno vitto e alloggio assicurati a Badde Manna, «imparana unu travallu» e due giorni la settimana fanno volontariato a Nuoro città «con i disabili o con gli anziani, a seconda dei casi e del momento» spiega ancora il leader barbudo degli Istentales. Azienda sociale e multifunzionale, ma anche agriturismo e fattoria didattica che fa dei minorenni condannati maestri di vita. Spesso, infatti, sono proprio loro a indossare i panni degli insegnanti così da far lezione ad altri giovani e giovanissimi e scolaresche che a Badde Manna vogliono sapere come si fa il formaggio o come si preparano salsicce e prosciutti. «È così che si dà un’altra possibilità a chi ha sbagliato, e magari ha sbagliato a causa di noi adulti» chiude Sanna.
Il leader della band: «Sarebbe bello inserire nelle aziende anche gli adulti che lasciano il carcere»
Galeotto fu un concerto a Su Pezzu Mannu
NUORO «Sì, certo, il decreto svuota-carceri... l’esperienza di Badde Manna si potrebbe estendere anche agli adulti, perché no?, sarebbe bello avere la possibilità di inserire nelle aziende agricole della Sardegna ragazzi e adulti che quando escono dal carcere non sanno neppure dove andare». A lanciare l’idea è Gigi Sanna, leader degli Istentales, che da quattro anni a questa parte ospita i ragazzi di Quartucciu nella sua coop sociale di Badde Manna. «Per loro sarebbe un’occasione di lavoro e al contempo le campagne avrebbero un ricambio generazionale assicurato. Se poi venisse creato un marchio doc, una rete commerciale di prodotti “galeotti”... beh, sarebbe il massimo» aggiunge. Un sogno cominciato già sette anni fa, quando la band nuorese mise piede per la prima volta nell’Istituto penale minorile di Quartucciu. Era il 6 giugno 2007. Per gli Istentales era la sesta tappa di un intenso tour nelle carceri. Concerto a Su Pezzu Mannu, dunque, a 13 chilometri dal capoluogo isolano, vicino ai comuni di Settimo San Pietro e Selargius.Naturalmente, a firmare il beneplacito ci pensarono i funzionari del Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della Giustizia. «La nostra è voglia di libertà e vogliamo darla a chi non ce l’ha» aveva esordito il pastore-cantante davanti a un pubblico davvero speciale: dieci ragazzi, quasi tutti extracomunitari, molti ex clandestini, adolescenti che attraversavano la fase forse più critica della loro crescita. Quasi tutti avevano già avuto esperienze traumatiche con l’alcool e la droga. Loro che per un’ora e passa ascoltavano la musica dei quattro baronetti di Badde Manna: Gigi Sanna, Tattino, Luca Floris e Daniele Barbato. Indelebile il ricordo lasciato da Abdulah, un marocchino che diede il via alle danze, benché la limba e il ballo sardo fossero per lui segni di un’identità straniera. Il messaggio delle canzoni di Quartucciu fu uno soltanto: «Per chi ha sbagliato e ora sta dentro, c’è un mondo che aspetta e sta oltre le sbarre». Così alla fine, gli Istentales salutarono con una promessa: «Torneremo. Ma sia chiaro: non per vedere le stesse facce». E gli Istentales sono tornati aprendo le porte dell’ovile di Badde Manna, per una nuova possibilità, una nuova occasione di vita e di rinascita dalla terra. (l.p.)
Il leader della band: «Sarebbe bello inserire nelle aziende anche gli adulti che lasciano il carcere»
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NUORO «Sì, certo, il decreto svuota-carceri... l’esperienza di Badde Manna si potrebbe estendere anche agli adulti, perché no?, sarebbe bello avere la possibilità di inserire nelle aziende agricole della Sardegna ragazzi e adulti che quando escono dal carcere non sanno neppure dove andare». A lanciare l’idea è Gigi Sanna, leader degli Istentales, che da quattro anni a questa parte ospita i ragazzi di Quartucciu nella sua coop sociale di Badde Manna. «Per loro sarebbe un’occasione di lavoro e al contempo le campagne avrebbero un ricambio generazionale assicurato. Se poi venisse creato un marchio doc, una rete commerciale di prodotti “galeotti”... beh, sarebbe il massimo» aggiunge. Un sogno cominciato già sette anni fa, quando la band nuorese mise piede per la prima volta nell’Istituto penale minorile di Quartucciu. Era il 6 giugno 2007. Per gli Istentales era la sesta tappa di un intenso tour nelle carceri. Concerto a Su Pezzu Mannu, dunque, a 13 chilometri dal capoluogo isolano, vicino ai comuni di Settimo San Pietro e Selargius.Naturalmente, a firmare il beneplacito ci pensarono i funzionari del Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della Giustizia. «La nostra è voglia di libertà e vogliamo darla a chi non ce l’ha» aveva esordito il pastore-cantante davanti a un pubblico davvero speciale: dieci ragazzi, quasi tutti extracomunitari, molti ex clandestini, adolescenti che attraversavano la fase forse più critica della loro crescita. Quasi tutti avevano già avuto esperienze traumatiche con l’alcool e la droga. Loro che per un’ora e passa ascoltavano la musica dei quattro baronetti di Badde Manna: Gigi Sanna, Tattino, Luca Floris e Daniele Barbato. Indelebile il ricordo lasciato da Abdulah, un marocchino che diede il via alle danze, benché la limba e il ballo sardo fossero per lui segni di un’identità straniera. Il messaggio delle canzoni di Quartucciu fu uno soltanto: «Per chi ha sbagliato e ora sta dentro, c’è un mondo che aspetta e sta oltre le sbarre». Così alla fine, gli Istentales salutarono con una promessa: «Torneremo. Ma sia chiaro: non per vedere le stesse facce». E gli Istentales sono tornati aprendo le porte dell’ovile di Badde Manna, per una nuova possibilità, una nuova occasione di vita e di rinascita dalla terra. (l.p.)
aiuto fra poveri un mendicante aiuta il suo compagno di sventura a curarsi dal tumore ed ad ottenere la residenza
una storia ne avevo già parlato qui sul blog che finisce bene
da la nuova sardegna cronaca di Sassari del 23\2\2014
da la nuova sardegna cronaca di Sassari del 23\2\2014
Una bellissima storia, a cavallo dei primi anni ’60. Tra fiaba d’amore e vita reale di una Sardegna dimenticata.
Visto che l'unione sarda non permette ( prima era free dopo le 19 anche se senza immagini ) di leggere online l'edizione quotidiana , ripiego :1) sulla nuova sardegna fin quando i miei amici decideranno se continuare a fare e a dividere l'abbonamento ., 2) sul le news online dell'unione ., ma soprattutto in siti come questo http://galluranews.altervista.org/ da cui è tratta la storia che oggi vado a raccontare
da gallura news del 25.2.2014
Girovagando in rete, a volte capita di leggere storie molto interessanti, quasi al limite della credibilità, che testimoniano di una Sardegna del boom economico ma anche dell’attuale degrado che sposa in pieno il momento di estrema difficoltà in cui tutti ci troviamo. Ho chiesto il permesso ad un amico (Marco Pola) di poter pubblicare questa storia, fantastica per i personaggi che l’hanno vissuta e per il ricordo, che in un figlio non muore mai, di un padre antesignano di un’architettura straordinariamente innovativa e del tutto integrata nell’ambiente selvaggio ormai quasi del tutto scomparso sotto i colpi del attorno e delle speculazioni ( corsivo mio ) della nostra terra.
La storia è stata raccontata da un giornalista tedesco che intervistò Sebastiano Pola, il costruttore di una cupola a Costa Paradiso e che ora sta andando in totale rovina rappresentando oramai uno dei tanti patrimoni scordati, di una Sardegna abbandonata (http://www.sardegnaabbandonata.it/). Ecco la storia riportata dal giornalista e scrittore tedesco Niklas Maak sul quotidiano Frankfurter Allgemeine Zeitung il 26 Giugno 2012.
La Cupola: Amore nel cemento della Costa Paradiso (25.06.2012)
.La relazione tra l ́attrice Monica Vitti ed il regista Michelangelo Antonioni è considerata una delle grandi storie d ́amore del 20° secolo. In Sardegna costruirono una casa spettacolare, che è un dovere salvare. Pola si ricorda come scesero per la strada costiera, in una piccola Fiat o un Alfa, forse una macchina a noleggio, sicuramente non una delle macchine sportive con cui giravano per Roma. Ci sono alcune foto di questo viaggio che sembrano delle foto del radar. L uomo al volante ha un aspetto pensieroso ma fiducioso, quasi non riuscisse a credere alla propria fortuna, lei ha lo sguardo rivolto lontano, ed i suoi capelli , di un biondo lucente, turbinosamente scompigliati sono più di un acconciatura: sembrano una dedica dovuta alle bizze del vento di viaggio.
Quando Monica Vitti e Michelangelo Antonioni arrivarono, attraverso le strade tortuose della macchia , alla costa nordovest della Sardegna, avevano già girato assieme quattro film: “L’Avventura“ , „La Notte“, „L’Eclisse“ e “Deserto Rosso“. La loro relazione, che durava da diversi anni , stupì prima alcuni iniziati (conniventi) di Cinecittà, e poi tutta la cronaca rosa di Roma.
Una casa, come non si era mai vista. Meno conosciuto è il fatto, che all ́inizio degli anni settanta la coppia si fece costruire una casa particolare. Incaricarono i costruttori Giovanni e Sebastiano Pola di costruire, in questa costa rocciosa, un immobile di nuova concezione: una Binishell, il cui nome deriva dall’architetto Dante Bini, non una casa con un tetto,ma piuttosto un guscio di cemento,che assomigliava ad un misto fra un cenotafio rivoluzionario-,in stile Boullée, sommerso ed un laboratorio per esperimenti, con una gas raro, complesso che rischia una rapida fuga o per forze magnetiche particolari. In un certo senso la costruzione rappresentava proprio questo. Quando la Vitti ed Antonioni si conobbero, lui era a metà dei quaranta,regista di mediocre successo. Aveva studiato cinetecnica al Centro Sperimentale di Cinematografia e conosciuto Roberto Rossellini. Durante la guerra fu assistente di Marcel Carné ed aveva redatto alcuni apprezzamenti obbrobriosi su film di propaganda fascista per la rivista “Cinema” del figlio di Mussolini, Vittorio. Aveva girato “cronaca di un amore”, il film, che lo ha reso famoso, e il “Il Grido”,che si rivelò un disastro economico. Impiegò poi tre anni per mettere insieme i soldi per girare “L ́Avventura” ed altri film, che lo renderanno famoso come cronista di una società che non prova più sentimenti. Monica Vitti, il cui nome di nascita era Maria Luisa Ceciarelli ed era nata a Roma nel 1931, aveva 29 anni quando diventò famosa, dopo aver girato “L ́Avventura”. Aveva già lavorato come attrice nel gruppo teatrale di Sergio Tofano, recitando Shakespeare e sembra che proprio Antonioni ne scoprì il talento,facendola recitare in un pezzo teatrale messo in scena da lui.
Le Riprese: una catastrofe
Le porte verso il passato
.La relazione tra l ́attrice Monica Vitti ed il regista Michelangelo Antonioni è considerata una delle grandi storie d ́amore del 20° secolo. In Sardegna costruirono una casa spettacolare, che è un dovere salvare. Pola si ricorda come scesero per la strada costiera, in una piccola Fiat o un Alfa, forse una macchina a noleggio, sicuramente non una delle macchine sportive con cui giravano per Roma. Ci sono alcune foto di questo viaggio che sembrano delle foto del radar. L uomo al volante ha un aspetto pensieroso ma fiducioso, quasi non riuscisse a credere alla propria fortuna, lei ha lo sguardo rivolto lontano, ed i suoi capelli , di un biondo lucente, turbinosamente scompigliati sono più di un acconciatura: sembrano una dedica dovuta alle bizze del vento di viaggio.
Quando Monica Vitti e Michelangelo Antonioni arrivarono, attraverso le strade tortuose della macchia , alla costa nordovest della Sardegna, avevano già girato assieme quattro film: “L’Avventura“ , „La Notte“, „L’Eclisse“ e “Deserto Rosso“. La loro relazione, che durava da diversi anni , stupì prima alcuni iniziati (conniventi) di Cinecittà, e poi tutta la cronaca rosa di Roma.
Una casa, come non si era mai vista. Meno conosciuto è il fatto, che all ́inizio degli anni settanta la coppia si fece costruire una casa particolare. Incaricarono i costruttori Giovanni e Sebastiano Pola di costruire, in questa costa rocciosa, un immobile di nuova concezione: una Binishell, il cui nome deriva dall’architetto Dante Bini, non una casa con un tetto,ma piuttosto un guscio di cemento,che assomigliava ad un misto fra un cenotafio rivoluzionario-,in stile Boullée, sommerso ed un laboratorio per esperimenti, con una gas raro, complesso che rischia una rapida fuga o per forze magnetiche particolari. In un certo senso la costruzione rappresentava proprio questo. Quando la Vitti ed Antonioni si conobbero, lui era a metà dei quaranta,regista di mediocre successo. Aveva studiato cinetecnica al Centro Sperimentale di Cinematografia e conosciuto Roberto Rossellini. Durante la guerra fu assistente di Marcel Carné ed aveva redatto alcuni apprezzamenti obbrobriosi su film di propaganda fascista per la rivista “Cinema” del figlio di Mussolini, Vittorio. Aveva girato “cronaca di un amore”, il film, che lo ha reso famoso, e il “Il Grido”,che si rivelò un disastro economico. Impiegò poi tre anni per mettere insieme i soldi per girare “L ́Avventura” ed altri film, che lo renderanno famoso come cronista di una società che non prova più sentimenti. Monica Vitti, il cui nome di nascita era Maria Luisa Ceciarelli ed era nata a Roma nel 1931, aveva 29 anni quando diventò famosa, dopo aver girato “L ́Avventura”. Aveva già lavorato come attrice nel gruppo teatrale di Sergio Tofano, recitando Shakespeare e sembra che proprio Antonioni ne scoprì il talento,facendola recitare in un pezzo teatrale messo in scena da lui.
Le Riprese: una catastrofe
Se si vede “L ́Avventura” e si è a conoscenza della relazione amorosa tra la Vitti ed Antonioni, si nota come vita e finzione qui si sovrappongano in modo particolare: Monica Vitti recita Claudia, amica di Anna, che, con il fidanzato Sandro, un architetto attempato, fa una gita all ́isola eolica Lisca Bianca. La coppia litiga, Anna sparisce, arriva un temporale, i gitanti cercano riparo in una capanna e mentre cercano Anna, si avvicinano la bellezza fantastica dallo sguardo ammaliante- penetrante di Claudia e Sandro. Le riprese, secondo il racconto di alcuni storici del cinema, furono un disastro: mentre giravano a Lisca Bianca, la società di produzione fallì. Lea Massari,che interpretava Anna, si ammalò e lo yacht a motore, su cui dovevano essere effettuate le riprese,non arrivò mai. Poi a novembre,a causa del mare mosso, la barca dei rifornimenti non riuscì ad attraccare sull’isola e così il team cinematografico dovette razionare il cibo e pernottare sull’isola in capanne abbandonate, così come,nel film, Claudia e Sandro. Nella vita reale è però Antonioni a ricoprire il ruolo di Sandro. nel 1960, al pubblico della prima “L ́Avventura”non piace; ma Vitti viene proclamata stella. Rappresentava un nuovo tipo di donna, autonoma e sicura di sè: non l’ochetta smorfiosa che vuole essere scoperta, come Sophia Loren ne “La fortuna di essere donna” e neanche come la Lea Massari de “L ́Avventura”,bellezza sofferente passiva che desidera solo essere sposata.
Le porte verso il passato
La Vitti girò con Antonioni quattro film in quattro anni e si buttò in una lunga relazione, la cui turbolenza si nota già negli spazi che le fanno da teatro: a Roma, così scrive la biografa Charlotte Chandler, vivevano in due appartamenti sovrapposti, “che erano collegati da una botola con scala a chiocciola, cosicché potessero incontrarsi senza essere visti.
Alla fine della loro relazione fecero murare la botola nel pavimento. Enrica, la seconda donna di Antonioni, che lui sposò alla fine della relazione con la Vitti , alzando il tappeto mi fece vedere quella botola.” Ma si trattava già, come nei tardi film simbolistici di Antonioni, di una porta verso il passato, che non si aprirà mai più. Nei rari documenti esistenti in relazione alla costruzione della “Cupola”fra gli scogli di Costa Paradiso?, si racconta sempre che nei primi anni sessanta Michelangelo Antonioni costruì la casa per far colpo su Monica Vitti, che,così come si era rifiutata di andare a vivere con lui, si rifiutò anche di andarlo a trovare nella“Cupola”– e lui, da vero cavaliere, le fece costruire la stessa casa in copia ridotta su uno scoglio vicino, che doveva esprimere ́estensione della sua,nonché l’espressione fisica della sua relazione con una donna,che aveva posto come premessa di ogni forma di relazione intima, l ́autonomia,data anche dalla distanza fisica. Effettivamente a meno di cento metri dalla “Grande Cupola” c’è un’identica “Piccola Cupola”. Le due costruzioni sono simbolo della nostalgia e della tensione nel rapporto fra questi due spiriti autonomi – questa però non è l’unica rappresentazione della realtà. Che verità nascondono allora le due cupole al mare ?
Scogli nel segno del leone
Da Olbia, in quasi un ora, si raggiunge Costa Paradiso. Passando da Santa Teresa di Gallura si viaggia sulla SP90, che si snoda lungo le scogliere tra ginestre, cespugli di cisto, ulivi e pini selvaggiamente piegati dal vento del mare. Non ce quasi traffico qui, in questo periodo del anno, la notte qualche cinghiale affaccendato attraversa la stretta strada che porta a Boncaminu e sparisce nella macchia. In questo ruvido tratto di costa esposto al mare aperto, contrariamente all ́idilliaca Costa Smeralda, allora non c’era molto altro che qualche pista asfaltata di fresco e le capanne della ditta edile di Pola. Sebastiano Pola, nato nel 1928, vive qui ancora oggi ( la morte di Sebastiano Pola risale allo scorso giugno 2013, quindi dopo l’articolo), adesso sono suo figlio e suo nipote a dirigere l’azienda.“All ́epoca, nel 1965”, racconta Pola, “qui non c ́era praticamente niente. Tutto il terreno apparteneva ad un certo signor Tizzoni. Lui voleva costruire un villaggio turistico, un qualcosa di molto grande. Per lui noi abbiamo tracciato le strade, aperto le proprietà e costruito la foresteria, nella quale dormirono anche Antonioni e la Vitti, mentre costruivamo loro la casa.”
Tizzoni portò sulla costa diversi amici romani, fra i quali anche cantanti e attori. Antonioni e la Vitti scoprirono questo posto grazie a lui, racconta Pola. Nel 1972 gli ordinarono una casa secondo un progetto di Dante Bini; la Vitti firmò il contratto. Non si sa esattamente cosa la Vitti ed Antonioni stessero cercando e perché costruirono la loro casa estiva proprio qui. Si sa però , che Antonioni era attratto dallo scrittore Curzio Malaparte, che, verso la fine degli anni trenta, a Capri, si era fatto costruire un altrettanto arcaica quanto moderna casa su di uno scoglio di Punta Masullo, nella quale più tardi Godard con Brigitte Bardot girò “Le Mépris”.
La calura della macchia di sughera
Ci sono scene ne “La Notte” di Antonioni che fanno riferimento alla morte di Malaparte, che a Roma nel 1957 morì di cancro ai polmoni. E se si osserva la bizzarra scala di pietra che si slancia verso il primo piano della cupola, dove si trovava la stanza di Monica Vitti, come se un masso “colpito dalla samba” si fosse attorcigliato in una strana danza, come se un ufo super futurista avesse prelevato un bizzarro campione di roccia. Scendendo attraverso la piatta calura della macchia di sughera, si arriva alla bizzarra scogliera piatta che scende a picco sul mare, sulla quale Monica Vitti si sdraiava durante i giorni estivi dei primi anni settanta. Fermi su questa terrazza, si può solo immaginare cosa successe qui: la casa sembra essere una sfida architettonica a Casa Malaparte, e al film che lì venne girato –ma il “film” che venne vissuto qui, è sicuramente migliore.
l'unione di cibo e musica Note di jazz in salsa sarda Giammy sax alias Gian Marco Caboni da Calasetta a Roma
Gian Marco Caboni, emigrato 46enne, lavora come cameriere e si esibisce con brani jazz in sardo.
Per inseguire il suo sogno, la musica, ha lasciato Calasetta 17 anni fa. Sassofono in mano e Sardegna nel cuore, è stato accolto a Roma da una panchina della stazione Termini, su cui ha dormito per venti giorni. Sono passati tanti anni e Gian Marco Caboni, nome d'arte Giammy sax, classe 1968, ne ha fatta di strada, a colpi di jazz: lavora come cameriere nel ristorante sardo "Isola d'Oro" e, tra un piatto di malloreddus e uno di bottarga, allieta i clienti sulle note dei testi che compone: "Il mio repertorio è ricco di canzoni dedicate alla mia terra come 'Sos zingaros e sos sale' che racconta la mia storia, quella di un emigrato sardo che non dimentica mai il sale del suo mare".
24.2.14
non è vero che noi tempiesi siamo solo paddosi e questa storia lo dimostra
Bologna: una tempiese e il suo negozio di usato di lusso “Con i miei eventi voglio creare emozioni, arrivare alla pancia. Io così scelgo di parlare attraverso la moda”.
Tempio-Bologna, 24 febbraio 2014
Una tempiese a Bologna, Donatella Dettori, nota come Dodi. Il suo negozio vende gesti impulsivi, regali sbagliati e desideri esauditi e quindi oramai privi di interesse. Qualche metro quadrato in cui si possono fare i conti con la psicologia femminile applicata allo shopping, scorrendo le appenderie ricche di abiti griffati e buttando un occhio tra scarpe e borse che, se fossero in boutique, costerebbero qualche migliaio di euro. Da Dodidi Vintage in via Andrea Costa 121/a però molti sogni a qualche zero di signore e signorine si realizzano con agio, basta andare a curiosare spesso o seguire un blog o sulla pagina FB che Dodi Dettori, la proprietaria di questo spazio, aggiorna periodicamente con i nuovi e preziosi arrivi. Dodidi Vintage non è il solito negozietto di usato cui siamo abituati ma, dice Dodi “un’agenzia di conto vendita per second hand di fascia alta”.
L’avventura è partita nel 2010 e all’inizio convivevano le due nature, il vintage e ilseconda mano di lusso poi nel tempo Dodidi si è assestato più sul gusto contemporaneo con pezzi pressoché nuovi pur trattando ancora il vintage sia in negozio sia fornendoarchivi e musei storici come il Mazzuchelli di Brescia. E’ la stessa Dodi che descrive il suo assortimento come una rassegna di sbagli, errori o impulsi di donne che si rendono conto che quel pezzo nell’armadio è di troppo e allora lo portano qui per rivenderlo. Il giorno per le trattative con i fornitori è il lunedì.Dodi conosce la storia di ciò che vende, spesso è andata nelle case a ritirare scarpe, borse e abiti ma mantiene il segreto professionale. Dalle sue grucce e dai suoi scaffali i suoi capi partono per nuove storie dimenticando il passato. “Il mio desiderio è che la cliente esca da qua con la sensazione di aver fatto un grande affare” spiega Dodi “tempo fa avevo dei cappotti di Scervino in cashmere del valore di circa 3mila euro, io li ho venduti a 300″.La clientela che frequenta Dodidi è esperta e si alimenta soprattutto con il passaparola tra amiche che sanno che qua capitano pezzi di Vuitton, Hermes, Celine, Givenchy.Dodi si è specializzata molto sulle borse perché sa che le donne per questi oggetti hanno una particolare debolezza, tanto da aver realizzato un pannello con alcuni tra i suoi arrivi degli ultimi mesi dietro il bancone che, guarda caso, racconta anch’esso una storia, insieme a tutto il resto dell’arredamento.
23.2.14
Lady Mafia, uccide per vendetta L’Antimafia boccia il fumetto: sospendetelo . Libera: serie «diseducativa che ferisce le vittime dei clan»
riporto a tali di cronaca i siti del fumetto non per farli pubblicità
Stavo contattando l'amico Francesco Artibani per chiederli informazioni su una sua opera , quando sulla sua bacheca leggo , che riporta ( vedere sotto ) l'articolo del corriere della sera , questo post
Un fumetto patetico e dilettantesco riporta la considerazione del fumetto in Italia indietro di cinquant'anni. Parlare male del lavoro degli altri non sarà il massimo dell'eleganza ma io non sono elegante e dico che questa merda non ce la meritiamo
vado a leggermi questo articolo del corriere della sera del 22\2\2014
un immagine del fumetto |
Si chiama«Lady Mafia», è una serie a fumetti noir che vede protagonista una donna del Sud a metà tra mala, sete di vendetta e voglia di giustizia. Il fumetto è in edicola da neanche 48 ore ed è già diventato un caso. Tanto da essere bocciato dalla commissione parlamentare Antimafia che, per bocca del deputato Pd Davide Mattiello, parla di «operazione editoriale offensiva che deve essere sospesa», siamo davanti a un albo «che non trova di meglio che esaltare la violenza mafiosa come una risposta alla violenza mafiosa». Dello stesso tenore il comunicato di Libera, l’associazione antimafia fondata da don Ciotti. «Ancora una volta si gioca con le parole e si sfrutta il “fascino” della mafia per un’attività commerciale che di educativo e formativo non ha nulla».
l'albo in edicola |
TRA VENDETTE E GIUSTIZIA - Ma cos’è Lady Mafia? L’albo ammicca alle suggestioni del fumetto noir anni Sessanta/Settanta, Diabolik in testa. Formato bonelliano, 132 pagine bimestrali. Una programmazione di 10 uscite. Pubblicato dalla «Cuore Noir Edizioni», casa editrice pugliese che ora prova l’esperimento dell’edicola. Per ora Lady Mafia ha ricevuto recensioni e anticipazioni lusinghiere dalle riviste specializzate. La storia è quella di una ragazza del Sud, che nella fantasia dell’autore, Pietro Favorito, prende il nome di Veronica De Donato. Una storia dura, una saga familiare che mescola sangue e violenza. Alle spalle una famiglia distrutta dalla mafia in modo truce. E un presente volto a cercare una giustizia che sa molto di vendetta. Feroce.
Il deputato Pd Davide Mattiello |
LIBERA: DISEDUCATIVO - Libera però ritiene l’uscita di questo albo « un’operazione che ferisce la memoria di tante donne vittime delle mafie e dei loro familiari, impegnati a promuovere con le loro testimonianze il valore della giustizia contro la barbarie anche culturale della vendetta». Non solo. « nel paese di Lea Garofalo e di tante donne come lei che hanno scelto, anche a prezzo della vita - si legge in un comunicato - il coraggio della denuncia, il fumetto Lady Mafia rappresenta un vero e proprio insulto alla loro memoria».
LA REPLICA DELLO SCENEGGIATORE - Lo sceneggiatore dell’albo Favorito replica così alle accuse: «Innanzitutto teniamo a precisare che non è nelle nostre intenzioni ferire nessuna delle tante donne vittime della mafia - dice a Corriere.it - né tantomeno oltraggiare la loro memoria. Ma certe accuse arrivano da chi il fumetto non lo ha nemmeno letto. La violenza? Il nostro obiettivo è quello di demistificarla raccontandola». L’autore spiega che «Lady Mafia è un fumetto noir, che si tinge di tinte forti come previsto dal filone narrativo cui fa capo, e le parole Lady Mafia altro non vogliono essere che un sostantivo femminile della parola boss. Se invece di chiamarlo Lady Mafia, il nostro fumetto l’avessimo chiamato mister mafia, avremmo fatto lo stesso scalpore?».
Alessandro Fulloni
Un fumetto che , cosa strana visto che hanno già pubblicato a livello locale ed ora rincominciato a livello nazionale , sta creando come potete leggere l'articolo sopra . Come al solito tutto ciò si risolve in ottima pubblicità gratuita al fumetto, fa sorridere questa volontà di censurare qualcosa che raggiunge un pubblico limitatissimo, selezionato e consapevole a fronte della tranquillità con cui si è trasmesso in prima serata su rete nazionale una serie pressoché "agiografica" come "Il capo dei capi".
dal blog del fumetto
Io sto con l'autore perchè : 1) certe accuse arrivano da chi il fumetto non lo ha nemmeno letto. e che << La violenza? Il nostro obiettivo è quello di demistificarla raccontandola >> come spiega l'autore nell'articolo del corriere sopracitato ., 2) perchè c'è articolo 21 dellla costituzione italiana che cita testualmente :
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'Autorità giudiziaria.Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Quindi siamo ( o almeno dovremo essere ) in un Paese libero e ognuno e' libero di esprimere le proprie opinioni, anche intellettualmente disoneste, senza incorrere in censura. Ci resta, pero', la riprovazione, e operazioni come queste sono riprovevoli o .Ma senza per questo invocare censure , divieti , sequestri di giornali \ riviste Ma soprattutto per l'indignazione a senso unico in quanto un approccio nel raccontare le mafie ( le quali per vari motivi , che ora non sto qui ad elencare per evitare d'uscire fuori tema ma che chi si guarda intorno capisce benissimo quali sono ,in l'italia soprattutto le zone del Nord-Est sono in mano alle mafie . Non solo alle nostre mafie \ criminalità organizzata da 40\50 a questa parte , ma dall'ultimo decennio del secolo scorso in mani alle mafie cinesi e dell'est europa ) è stato fatto dai due romanzi di Mila ( Regina Nera - la ballata di Milia e la Ballata di Mila --- foto a sinistra tratta dal http://www.matteostrukul.com/ ---- di Matteo Stukul
Per quanto riguarda la mia critica al fumetto in se , insieme a quella di altri professionisti la trovate qui sotto nella feconda discussione avvenuta sulla bacheca di Francesco
[....]
Samuele Perini Per non parlare delle pubblicità all'interno delle didascalie del fumetto. Un'operazione a parte per coinvolgere le attività nella distribuzione.
E il Lady Mafia tour? Avevano pure la ballerina di pole dance!
Pablito Caracciolo L'ho fatto! Tutto questo parlare male mi ha messo la curiosità e l'ho comprato...ammirevole il coraggio di presentare al grande pubblico un prodotto come questo...
Giuseppe Scano non sarebbe meglio per dare un giudizio globale leggerlo o quanto meno aspettare ala fine ?
Samuele Perini Hai visto il sito, Giuseppe? O i disegni? Almeno un giudizio su queste due cose si può dare.
Ciro Il Cane Cangialosi Già l'idea di base è tremenda, creare un personaggio del genere è sintomo di chi la mafia non sa neanche cosa sia. Sinceramente non gli darei tutta 'sta importanza quindi oltre a questo commento continuerò ad ignorare l'intera vicenda
Giuseppe Scano no . adesso vado a vedere
Giuseppe Scano il sito si e le copertine pure la penso come Ciro Il Cane Cangialosi
5 ore fa · Modificato · Mi piace · 1
Ugo D'Orazio in effetti viene voglia di andarsi a prendere una copia per collezione. Ma graficamente bella non si può proprio dire, non so i contenuti, ma l'accanimento di Francesco mi fa pensare che pure quelli siano inesistenti.
Francesco Artibani @ Paolo: Il punto, secondo me, non è il valore artistico o morale dell'opera ma il ruolo dell'informazione rispetto il mondo del fumetto. Per tanti giornalisti preparati e attenti ci sono questi giornalisti da buffet appecoronati agli uffici stampa. Io mi interrogherei su queste figure e sui danni che fanno a un settore che già stenta di suo per affermarsi e per trovare riconoscibilità al di fuori del suo recinto.
Francesco Paolo Cusano scusate ma qualcuno ha letto l'intestazione dell articolo? " l'antimafia boccia il fumetto", ma come è possibile ? era iniziato come un innocuo "fumetto" disegnato male
Pablito Caracciolo Nel bene e nel male il fumetto è riuscito nell'intento di far parlare di sé...molti, come me, lo avranno comprato per curiosità e il primo numero avrà forse un riscontro positivo di vendite...poi se la testata avrà un suo seguito è tutto un altro discorso.
Alessio Licheri Non c'è miglior pubblicità di quando si mette in bocca all'Autorità un divieto. Sia che questo divieto sia stato realmente espresso, oppure no...
Ugo D'Orazio è come lo strategismo sentimentale di Marra, il libro ora è nelle bancarelle a 1€ ma io non lo compro lo stesso
Giuseppe Scano Infatti confermo quanto dice Ugo D'Orazio e nuovamente quanto dice Ciro Il Cane Cangialosi. io non ci vedo niente d'innovativo , almeno dalle copertine e dalla trama , mi sembra una scopiazzatura \ remarke di diabolik . non vale la pena sprecarci € con i tempi di crisi che corrono . Ma neppure censurare . Se invece di chiederne il ritiro , proponessero la politica e l'antimafia sia quella da salotto / casta , sia quella dal basso ponessero dei modelli alternativi nel mondo del fumetto e delle arti , invece di lanciarsi nelle solite e vecchie \ stantie campagne s'eviterebbero casi del genere e pubblicità a gratis ad un opera dozzinale
Giuseppe Scano riconfermo opera dozzinale vedendo i disegni ( da quel poco che ne capisco , non ho fatto scuole d'arte e in disegno era medie ero una capra ) sulla pagina facebook , che qui non metto per farli pubblicità gratuita , del fumetto .
5 ore fa · Modificato · Mi piace · 1
Samuele Perini E' finito al Tg2. Come diavolo è possibile?
Fortuna che già sembrava un'impresa essere sul Sole 24 Ore.
Edizione delle ore 13:00
Francesco Artibani Per dirla con il saggio Ferretti, la qualità c'ha rotto er cazzo!
Paolo Di Orazio II mi state convincendo a comprarlo, per la paletta!
Francesco Artibani In realtà anch'io lavoro per Lady Mafia
Paolo Di Orazio II allora mi fiondo in edicola a doppia mandata
Mattia Surroz ma chi lo disegna?
Paolo Altibrandi chi fa televisione di qualità ne vede ben poca e chi la vede (la Tivvù) non la cerca, che lo mostri anche il Tg2 è normale... considerando il livello di preparazione sul fumetto di certi giornalisti!
Giacomo Vallarino l'ho comprato. stasera recensisco.
Paolo Altibrandi ho schivato sanremo in TV e me lo sono ritrovato qui su FB triturandomi i maroni, questo vorrei risparmiarmelo, grazie
Francesco Artibani No, devi soffrire come tutti. Chi siamo noi, i figli della serva?
Paolo Altibrandi nun je la faccio... sono troppo sensibile, sono cresciuto con il Corriere dei Piccoli degli anni '60 e devo ancora metabolizzare il disastro Corrier Boy
Paolo Fizzarotti Ma la poppa prorompente è funzionale alla vendetta antimafia?
Simone Paoloni perdonate il complottismo, ma visto l'incredibile risalto a un fumetto fatto da "non professionisti" ... per non usare le parole volgari, e visto che si parla di mafia, ma nn di come è veramente la mafia e visto che ha contro l'antimafia, nn è la pubblicità sia pagata dalla... aifam?
Samuele Perini Non per turbare animi sensibili maaaaaaaaaaaa ci sarebbe anche questo. L'ho notato poco fa.
Rosaria Sannino Samuele Perini oddio! hahahha assurdo...mi auguro che nessuno prenda parte a tali "corsi" ahahahah cioè io sono basita!
Francesco Artibani Questo anche merita:http://www.youtube.com/watch?v=w7TPCTinUj0#t=138
Un vortice di violenza, di colpi di scena e di inconfessabili verità, nel nuovo...Altro...
36 minuti fa · Mi piace · 1
Giorgio Pedrazzi C' è stato un tempo (a cavallo anni Sessanta-Settanta) che chiunque sapesse appena tenere in mano una matita oppure una penna trovava spazio per pubblicare. Bene, 'roba simile' non si è mai vista.
A voi l'ultima parola
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