Dopo aver letto le motivazioni del Si ho sconfitto \ è venuto meno quel dubbio che avevo dopo aver eltto le motivazioni del No postate su questo post dall'utente solaria in questo post qui
ecco secondo il giornale liberale la www.lavoce.info/ e il comitato pe il Si ecco le 10 ragioni per firmare e votare SI da oggi le risposte degli autori ai commenti sono anche in streaming audio (ascolta 1,2) .
Intervista a Giovanni Guzzetta, Presidente del Comitato promotore dei referendum elettoraliA cura di Tina Giunta e Nicolle Purificati
1 Perché una riforma elettorale tramite il referendum?
L’approvazione della legge elettorale (l. n. 270 del 2005) è stata accompagnata, sin dall’inizio, da numerose critiche, delle quali, tuttavia, nessuno è riuscito a farsi carico. Le proposte di miglioramento da tutti auspicate, non hanno trovato riscontro nei dibattiti parlamentari.
Lo strumento referendario, dunque, sembra l’unico in grado di raggiungere il duplice obiettivo di modificare, in senso migliorativo, la legge ed al contempo riaprire il relativo dibattito, anche in vista di un eventuale intervento legislativo.
Si tenga presente, inoltre, che le uniche modifiche sistematiche delle leggi elettorali e del sistema politico centrale sono state sempre approvate per via referendaria (con i referendum del 1991 e del 1993).
2.Non pensa che sia ormai impossibile raggiungere il quorum?
Credo sinceramente di no. Questo referendum non è un referendum qualunque. Ha ad oggetto, infatti, una legge di sistema, che è alla base del funzionamento della democrazia rappresentativa. In altre parole, se si approvasse questo referendum, la vita parlamentare funzionerebbe meglio e, di conseguenza, sarebbe sempre meno necessario ricorrere ad un’altra tipologia di referendum, quelli che intervengono laddove il Parlamento non è stato in grado di rispondere alle esigenze del Paese. La nostra iniziativa si propone di scardinare un’idea oligarchica e paternalistica della politica, colpendo il cuore dei meccanismi di ricambio della classe dirigente, ed incontra la pressante domanda di modernizzazione rivolta a tale scopo. È, inoltre, coerente con un’idea dell’Italia come il paese delle opportunità e non delle rendite, della competizione e non della cooptazione. Per questi motivi non vi è ragione di ritenere che l’elettorato non coglierà l’occasione per essere partecipe di tale auspicato processo di modernizzazione.
3.Qual è l’oggetto dei quesiti?
Il primo quesito riguarda l’abrogazione delle coalizioni.
Secondo l’attuale legge elettorale di Camera e Senato (così come introdotta con l. legge n. 270 del 2005) a beneficiarie del premio di maggioranza possono essere alternativamente “liste” o “coalizioni di liste”. Il I quesito si propone di abrogare la disciplina che permette il collegamento tra liste. In caso di esito positivo la conseguenza sarebbe che il premio di maggioranza verrebbe attribuito solo alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi. E, di conseguenza, verrebbero innalzate le soglie di sbarramento, che sarebbero ad essere del 4% per l’accesso alla Camera e dell’8% per essere rappresentati in Senato.
Un secondo quesito è relativo al divieto di candidature plurime in più di una circoscrizione per uno stresso candidato.
Esso mira a colpire l’ulteriore aspetto di scandalo rappresentato dalle candidature multiple e dalla cooptazione oligarchica della classe politica. L’eletto in più circoscrizioni, cd. “plurieletto”, è infatti signore del destino di tutti gli altri candidati, la cui elezione dipende, appunto, dal fatto che egli, scegliendo uno dei seggi che ha conquistato, lascia liberi gli altri. Il fenomeno descritto è oggi di dimensioni tali che non sembra inopportuno parlare di una vera e propria patologia del sistema. Basti pensare che ben 1/3 dei parlamentari attualmente in carica sonop stati “eletti” per grazia ricevuta. Tutto ciò induce inevitabilmente ad atteggiamenti di sudditanza e di disponibilità alla subordinazione dei cooptandi, atteggiamenti che danneggiano fortemente la dignità e la natura della funzione parlamentare. Per questa ragione è auspicabile l’eliminazione – sempre mediante referendum - della facoltà di candidature multiple sia alla Camera che al Senato.
4.Quali sono i motivi ispiratori della proposta referendaria?
Unità e trasparenza.
Quanto al primo obiettivo, il sistema elettorale risultante dal referendum spingerebbe gli attuali soggetti politici a perseguire, sin dalla fase preelettorale, la costruzione di un unico raggruppamento, rendendo impraticabili soluzioni equivoche ed incentivando una significativa ristrutturazione del sistema partitico. Si aprirebbe, per l’Italia, una prospettiva tendenzialmente bipartitica, con conseguente eliminazione della frammentazione dentro le coalizioni.
La proposta referendaria va incontro, inoltre, ad un’esigenza di trasparenza, la quale è realizzabile tramite l’eliminazione della facoltà di candidature plurime sia alla Camera che al Senato.
5.Che cosa succederebbe al sistema politico italiano se venisse approvato il referendum?
L’approvazione del referendum produrrebbe un radicale rinnovamento dell’attuale sistema elettorale – e, attraverso quello, del sistema politico – in grado di assicurare all’intero contesto politico più trasparenza, agli schieramenti più unità, ai cittadini più opportunità di spendersi per far valere le proprie capacità e meriti. L’eliminazione del frazionismo e dello sbriciolamento della rappresentanza, garantirebbero una ristrutturazione profonda del sistema dei partiti. I quali sono sempre più avvitati su se stessi e stentano ad operare qualsiasi ricambio.
Selezionano le proprie classi dirigenti in base a criteri poco trasparenti che spesso non hanno nulla a che vedere con il merito, le capacità o la passione disinteressata.
I partiti, inoltre non riescono a realizzare l’unità negli schieramenti, con una strisciante, continua guerra di posizione ed uno scontro di paralizzanti veti incrociati, all’interno delle coalizioni.
I partiti sono divisi e l’attuale legge elettorale ha ancor più esasperato le tendenze alla divisione e alla frammentazione.
Tutto ciò è un freno per il cambiamento e impedisce di realizzare politiche ambiziose che migliorino effettivamente la nostra qualità di vita di cittadini comuni.
L’auspicio è quello di partiti aperti, sensibili ai flussi di novità che provengono dalla società e più capaci di resistere alle pressioni degli interessi consolidati.
Partiti responsabili, capaci di realizzare obiettivi, di innovare, di inventare il cambiamento.
Partiti dinamici, che non cedano alla tentazione di ripiegarsi su se stessi, di diventare oligarchie autoconcluse sorde al futuro.
Per ciò crediamo che ci sia un modo migliore di scegliere i parlamentari, evitando cosi’ che centinaia di essi siano nominati per grazia ricevuta da chi già è stato eletto.
Per ciò crediamo che gli attuali partiti debbano rimettersi in gioco e reinvestire le proprie tradizioni in qualcosa di più grande e di più coeso: soggetti unitari che si candidino a guidare il Paese, impiegando il proprio tempo nella realizzazione degli obiettivi promessi.
6 Qualcuno obietta che il referendum sarebbe inutile perché i partiti si alleerebbero in un grande listone per poi dividersi dopo le elezioni.
L’obiezione muove dall’assunto che i sistemi elettorali siano del tutto ininfluenti sui comportamenti dei partiti e degli elettori. I partiti italiani, in particolare, troverebbero il modo di “aggirare l’ostacolo” unendosi fittiziamente per poi ridividersi dopo. Come dire: fatta la legge trovato l’inganno.
Tuttavia, gli studiosi sono concordi nel ritenere che i sistemi elettorali non siano assolutamente irrilevanti sul modo in cui si strutturano il sistema dei partiti ed i comportamenti elettorali. Si può discutere sul tasso di incidenza delle regole, ma nessuno ha mai messo in dubbio la connessione tra regole e politica.
Penso che ormai il modello delle democrazie avanzate in cui due principali soggetti si contendono la guida politica del paese - fermo restando uno spazio per partiti minori non coalizzabili - sia ormai interiorizzato anche in Italia
Trovare sulla scheda 15 simboli di partito per una sola coalizione (della quale manca, peraltro simbolo, nome, e leader) è cosa ben diversa che trovare un simbolo unico, un nome solo, l’indicazione di un solo candidato a Primo Ministro. Certo, i partiti potranno sempre “sganciarsi” dopo. Soprattutto fin quando non introdurremo in Italia regole come quelle tedesche che interpretano il principio del libero mandato parlamentare in modo meno trasformistico. Ma quali saranno i costi politici di rompere un’aggregazione suggellata da elettori che hanno votato il “tutto” e non le singole parti? Non solo, ma l’assenza dei simboli dei singoli partiti impedirebbe loro di potere censire il proprio consenso. Il che non è di poco conto, perché li priva del potere di ricatto per così dire “certificato”.
Il referendum, in definitiva, massimizza i costi politici delle divisioni e riduce la litigiosità,
Gli elettori, infine, hanno già dimostrato in diverse occasioni che vogliono unità, sintesi, visione univoca. E che sono disposti a premiare - la lista dell’Ulivo docet - chi riesce a trasmettere questi valori.
7. Il referendum non è contro i piccoli partiti e contro il pluralismo?
Questo referendum non è contro nessuno. E, soprattutto, non è contro il pluralismo. Semmai è per un’Italia moderna e dinamica. L’obiettivo di indurre diversi soggetti politici a fondersi in grandi partiti non impedisce alle istanze minoritarie di avere un loro ruolo all’interno degli stessi. In tutte le grandi democrazie, anche laddove a contendersi la possibilità di governare sono soltanto due o tre partiti, sono presenti anime e correnti diverse all’interno di essi. Il fatto poi che si scoraggi il multipartitismo estremo non è da biasimare. È sin dall’epoca dell’Assemblea costituente, infatti, che si deprecano l’instabilità e la frammentazione dei governi di coalizione.
Il sistema elettorale che risulterebbe dall’approvazione dei quesiti referendari è una sfida per tutti i partiti, grandi e piccoli. Questi ultimi, in particolare, si troverebbero a dover scegliere se difendere le proprie istanze all’interno di partiti più ampi, arricchendo, in un processo di sintesi, l’identità degli stessi, ovvero concorrere autonomamente nelle elezioni, cosa che rimarrebbe comunque possibile, previo superamento delle soglie di sbarramento (del 4%e dell’8%). Sarebbe, in altre parole, comunque garantito a chi decidesse di competere al di fuori dei partiti unitari la possibilità di un ampio “diritto di tribuna”.
8.Non si tratta di un’iniziativa astratta d’ingegneria costituzionale?
Lo strumento referendario, per sua natura, non può introdurre nuove leggi, ma soltanto abrogare singole norme di leggi già esistenti. E se si riesce a far ciò in modo tale che la c.d. normativa di risulta sia migliore della precedente, può forse parlarsi di “ingegneria costituzionale”, ma la definizione non sarebbe affatto offensiva.
Basti, in tal senso citare, l’incipit di un saggio di Sartori (Ingegneria costituzionale comparata): “Bentam disse una volta che i grandi ‘motori’ (engines) della realtà sono la punizione e il premio. E sicuramente ‘ingegneria’ (engineering) deriva da engine. Mettendo assieme metafora e etimologia, sono arrivato a ‘ingegneria costituzionale’ per rendere l’idea, primo che le costituzioni sono qualcosa di simile a macchine o meccanismi che devono ‘funzionare’ e che devono dare comunque risultati; e, secondo, che è improbabile che le costituzioni funzionino a dovere (come dovrebbero), a meno che non impieghino i ‘motori’ di Bentham, e cioè punizioni e premi.”
Se con l’espressione “ingegneria costituzionale”, cioè, si allude alla circostanza che, mediante, la c.d. “tecnica del ritaglio” si interviene sulla legge elettorale ricavando, legittimamente, un sistema migliore di quello vigente, non mi dispiace affatto essere considerato un ingegnere costituzionale.
9. È giusto esautorare il Parlamento in una questione così delicata?
Il Parlamento non viene affatto esautorato. Il referendum è strumento nella disponibilità del corpo elettorale per esercitare un’azione abrogativa sulle leggi, ma ciò non toglie che l’organo legislativo resti pur sempre e pienamente titolare del potere di disciplinare le materie che ne formano oggetto, nel caso di specie il sistema elettorale. Piuttosto, tale strumento di democrazia diretta si dimostra idoneo a stimolare il dibattito politico sull’argomento, con la possibile conseguenza, addirittura, di propiziare un eventuale intervento legislativo, e non già di tagliare fuori il Parlamento.
Certo, se il Parlamento non sarà in grado di fare una buona riforma e rimarrà paralizzato da veti incrociati, dovremo dire grazie al cielo che c’è lo strumento del referendum.
Aggiungo che questo referendum ha la pretesa di intercettare una spinta al cambiamento al già esistente nella società. Il processo di aggregazione nel Partito democratico e la e la prospettiva della nascita del Partito dei moderati sono il segno che l’attesa di unità è molto forte nella società. Il referendum è uno strumento per dar voce a questo desiderio.
10. Quindi il referendum non riguarda solo la legge elettorale?
No, il referendum esprime un’idea della politica e della società, come società aperta e fondata sulla competizione, sulle qualità, sulla valorizzazione dei meriti e delle opportunità. Una società in cui ogni cittadino si possa sentire artefice del proprio destino.
da oggi le risposte degli autori ai commenti sono anche in streaming audio (ascolta 1,2) .