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11.5.14

riscoperte : robert capa a colori

Eravamo (  compreso  il sottoscritto   prima della  mostra  al man  di   Nuoro   ne  ho  parlato qui  qualche tempo fa  sul blog  )   abituati a pensarlo   come il grande fotografo del bianco e nero e della guerra E non avevamo ancora visto tutto

 dall'edizione di repubblica  del  13.4.2014  qui per il download   (  dove  trovate  meglio  le  foto  che  dal  pdf  si possono  copiare  male  ) 

NEW YORK
Nelle  gare  di apnea   da ragazzino  arrivavo fino a tre minuti. L’apnea è disciplina mentale, se riesci a trattenere il respiro, a non cedere  alla dittatura del diaframma, allora riesci anche a controllare le emozioni.
Arrivo all’International Center of Photography di New York e tiro con il naso tutta l’aria possibile per riempire i polmoni. Davvero non so se davanti alle immagini che hanno costruito segmento dopo segmento la visione  che ho del mondo, le mie funzioni vitali  resteranno inalterate. Incontrare le foto di  Robert Capa è
come stare davanti a Raffaello  o Caravaggio. Tutte le immagini che avete  in mente sulla Seconda guerra mondiale,sulle truppe americane in Italia, sulla guerra  in Spagna, sugli ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento, sulle città bombardate,ecco, tutte queste immagini nascoste in qualche angolo remoto della vostra  memoria, esistono in voi perché è esistito Robert Capa. Un fotoreporter che aveva quasi sempre la sua macchina fotografica pignorata e riusciva a riscattarla solo quando riceveva i soldi di anticipo per un servizio fotografico.
I suoi scatti più noti sono ormai proprietà della memoria di tutti: il miliziano anarchico colpito a morte nella guerra di Spagna, la sua foto forse più citata, le madri in lutto intorno
alle bare dei ragazzi del liceo Sannazaro morti combattendo i tedeschi nelle Quattro Giornate di Napoli. Le immagini sfocate dello sbarco in Normandia, quelle a cui Spielberg si ispirò per la sequenza iniziale di Salvate
il soldato Ryan. Foto per definizione in bianco e nero. Per questo la mostra “Capa in Color” allestita qui per celebrarne il centenario rappresenta una sorta di shock visivo.
Prima di tutte c’è quella, incredibile, di Capucine,donna bellissima e sfortunata, morta suicida a sessantadue anni. Incredibile perché standole accanto senti le sue narici  respirare. Il mento posato sul pugno, la luce
di Piazza di Spagna, la camicia rossa. In quello scatto sembra esserci già tutto il suo destino,ed è la prova dell’arte di Capa che con  il suo occhio, con il suo sguardo unico fonda un genere letterario.

La mia  formazione, tutto ciò che ho scritto e tutto ciò che hanno scritto gli autori che mi hanno influenzato, discende direttamente da lui. Il neorealismo letterario, iconografico e cinematografico si è nutrito di Robert Capa. Di questo fotografo che arrivava a stento al metro e sessanta ed è raccontato dalle biografie come indomito amante, cronometrico nello sparire quando l’amata mostrava di volerglisi legare in un progetto di vita assieme. Aveva amato anche Ingrid Bergman, e proprio lui l’aveva introdotta al cinema italiano neorealista. Rossellini si è nutrito del rigore estetico di Capa, che non era solo scovare il dramma, ma la sua pericolosa bellezza comunicativa, per rendere il dramma in grado di trasformare chi lo osserva. Questo, l’insegnamento più profondo di Capa al cinema. Il suo lavoro non ci ha solo consentito di costruire un personalissimo e sontuoso mosaico.



 No, Capa ha fatto moltodi più: ha fatto letteratura e comunicazione, nelle loro accezioni più moderne. Il suo modo di scattare non è denuncia, non è indignazione, non è scelta d’arte, ma è tutte e tre queste cose insieme. E può esserlo solo perché il suo è uno sguardo che compromette, immerso nella vita,che della vita si bagna e si sporca. Che della vita non ha paura. Che dell’uomo non ha paura.“Se le tue foto non sono abbastanza buone vuol dire che non eri abbastanza vicino”, recita la sua massima più famosa. Stare dentro le cose. Le foto di Capa a colori mostrano proprio questo: che lui non è in guerra ma è dentro la guerra, è tra i soldati, talmente vicino da rischiare la pelle. E questo vale per ogni sua fotografia. Anche per quando fotografa Truman Capote a Ravello, o Martha Gellhorn mentre passeggia tra le rovine del tempio di Cerere a
Paestum. È dentro tutto ciò che fotografa. Dentro tutte le persone che fotografa.I suoi scatti gli sono costati odi eterni, profondi. Non è mai stato perdonato per la foto del miliziano anarchico, sulla cui inautenticità esiste un’intera letteratura. Così come non gli sono mai state perdonate le foto a colori dell’Urss stalinista pubblicate con i testi di John Steinbeck,detestate dai comunisti perché anticomuniste e dagli anticomunisti perché filocomuniste.Qualunque foto facesse sapeva che avrebbe smosso reazioni istintive. Gli piaceva portare immagini di mondo e trasformare lo sguardo delle persone sul mondo.Ma le foto che sto osservando
non cambiano  solo il mio sguardo sul mondo, è come se facessero  nascere un’urgenza, come se lanciassero
un allarme: ritornate a guardare il mondo e non limitatevi a prenderne dei calchi,a strappare dal quotidiano una qualunque  immagine per reimmetterla in circuito, per bombardare di fotogrammi inutili che saturano la vista e non raccontano nulla. Questi  scatti di Capa, infatti, non basta vederli, non  è sufficiente guardarli e poi passare oltre: bisogna  fermarsi e leggerli. Sulla rivista Holiday  Capa scrive: «Sono tornato a fotografare  Budapest perché mi è capitato di essere nato lì; ho avuto modo di fotografare Mosca che di solito non si offre a nessuno; ho fotografato Parigi perché ho vissuto lì prima della guerra; Londra perché ho vissuto lì durante la guerra; e Roma perché mi dispiaceva non averla mai vista e avrei invece voluto viverci ». Ci sono foto di famiglie americane in Svizzera, patinate, da riviste per turisti, o di quelle che si distribuiscono nelle agenzie di viaggio.
C’è la Magnani durante le riprese di Bellissima. Capa fotografa chiunque in qualsiasi situazione, persone note o sconosciuti, senza snobismo, perché a lui non interessava avere un ruolo, perché per lui la priorità era stare
dentro la vita. Sapeva che l’osservazione era compromissione e questo non lo spaventava.
Aveva imparato da Gerda Taro, che fu sua compagna. Gerda morì a ventisette anni, investita da un carrarmato “amico” del Fronte Popolare Repubblicano. Stava guardando in camera mentre era sul predellino di un mezzo  militare. Urtato, lei cadde e finì sotto i cingolati.  Anche Robert Capa nel 1954 in Indocina stava guardando in camera. Aveva deciso di anticipare una colonna militare francese mentre avanzava. Andò su un terrapieno.
Indietreggiando mise il piede su una mina. Gerda e Robert non avevano messo alcuna distanza tra loro stessi e i soggetti delle loro foto. E questo essere dentro, dentro gli occhi di chi ti è davanti, dentro le sue fasce muscolari,dentro i paesaggi, le pieghe dello sguardo di una modella, l’orgoglio e l’insoddisfazione di un imprenditore borghese, tutto questo è ricerca. Capa fotografa con la consapevolezza che nel momento stesso in cui inizi a credere che la vita ti sia preclusa, che sia vano cercare verità, ecco, proprio allora hai perso l’unica possibilità che avevi di essere davvero vivo, e di poter incidere su questo mondo.
Nel momento in cui decidi di imboccare una delle migliaia di scorciatoie possibili per mimare la vita, hai già perso. Il segreto di Robert Capa non sta nel risultato finale, ma nella ricerca,nel viaggio, che non può esistere se non compromettendo tutto se stesso. Non c’è altra salvezza se non stare dentro ciò che vuoi capire. Se non stare dentro la vita.

                  Due macchine al collo  e una sola  per la guerra
                                        MICHELE SMARGIASSI


Per quindici anni, quelli della sua celebrità mondiale, Bob Capa girò il mondo con due fotocamere al collo. Una era caricata con rullini di Kodachrome. Sì, il grande narratore delmonocromo vedeva a colori, fotografava a colori. Ma per sessant’anni tanti hanno preferito ignorarlo. Quelle 4200 diapositive policrome erano lì, negli archivi dell’Icp di New York, la casa del foto giornalismo impegnato creata dal fratello di Bob, Cornell. Ma, a parte alcune in un volume di dieci anni fa,nessuno le aveva più tirate fuori dal cassetto. Ne escono adesso, per una mostra, quando Capa compirebbe cent’anni. Forse perché col tempo i suoi colori (nessun colore, in fotografia, è “naturale”) hanno preso la patina della storia. O forse perché era ora di infrangere certi tabù, come quello che il  colore fosse roba per la pubblicità o al massimo la moda.
Non erano tutte, come qualche biografo ha affermato, “istantanee private”. Per quanto avesse fama di disordinato pokerista e scommettitore sui cavalli, l’apolide esule ungherese Endre Ernö  Friedmann, rinato a Parigi come finto americano Robert Capa, è sempre stato un hard worker, per lui la fotografia era mestiere, non scherzo. Le sue foto a colori non sono una curiosità biografica,vederle cambia l’idea che abbiamo di lui.
Cominciò a farle nel 1938, in Cina,sperimentando la nuova pellicola per diapositive che la Kodak aveva messo sul mercato solo due anni prima, perché pensava di poterle vendere. Life infatti gliene pubblicò quattro, su Hankou in fiamme. Poi, dal 1941, Capa non viaggiò mai senza rullini a colori nella bisaccia.
Ma la guerra in Capacolor non è la stessa guerra che Capa scattava in bianco e nero. È quasi sempre sorpresa “a riposo”. Capa “sente” il colore, non fotografa a colori, ma fotografa i colori: marines in Tunisia sventolano come trofeo una rossa bandiera nazista, soldati britannici scrutano un azzurrissimo cielo di Normandia su un verdissimo prato. E non sono tutte foto di guerra, anzi. I rotocalchi che gli chiedevano foto a colori, più che le corazzate del  foto giornalismo come Life, erano spesso quelli di viaggio, come Holiday, o i  femminili come il Ladies’Home Journal.
Per i quali il nostro fotografava  montagne svizzere  e giornate sugli sci, o i retroscena delle celebrità, Hemingway cacciatore col figlio, Picasso al mare con figli e amanti, i divi dei cinema dietro le quinte.
Finito il secondo macello mondiale,fondando la Magnum, Capa proclamò di voler diventar il più grande fotografo di guerra disoccupato del mondo. Non ci  riuscì, e la guerra lo ebbe fino alla fine.Ma queste sue tavolozze fotografiche, queste palette inaspettate, sono forse  un’ipotesi, un tentativo di quell’altro Capa che voleva essere e non fu.


Riapre biblioteca Sarajevo dopo 22 anni

musica    consigliata oltre  la  consueta  cupe vampe  dei Csi  consiglio  :
ho appreso   che  avant'ieri   che




Sono andato  a    rinfrescarmi  la  memoria  cercando in rete    ,  avevo all'epoca  16anni e  il ricordo  più diretto che  ho è legato a questa  canzone  Cupe  Vampe   degli ex  Csi    , ed  è questo  il primo risultato che  ho trovato 



Werther e Quasimodo. Raskolnikov e Mersault. Tom Sawyer, Yossarian e tutti gli altri stanno finalmente tornando a casa. Nell’agosto del 1992, mentre osservava l’antica biblioteca di Sarajevo bruciare dalla finestra di casa sua, il poeta bosniaco Goran Simić aveva immaginato che i protagonisti di molti capolavori indimenticabili stessero volando via alla ricerca di un’altra dimora, insieme alla cenere nera che si levava dall’edificio sventrato dalle bombe incendiarie dei nazionalisti serbi





In appena tre giorni quelle bombe distrussero la Vijećnica, la storica biblioteca nazionale e universitaria di Sarajevo, l’unico archivio nazionale del paese, cancellando con essa il patrimonio culturale della Bosnia multietnica. In poche ore furono spazzate via per sempre circa due milioni di opere, tra cui libri rari, manoscritti antichi e incunaboli del XV e del XVI secolo. Quell’orribile rogo fu il preludio del più lungo assedio di una città europea dai tempi della Seconda guerra mondiale, durante il quale oltre dodicimila sarajevesi rimasero uccisi, e riportò alla memoria il triste ammonimento di un altro poeta, Heinrich Heine,“dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”.
Ecco perché la riapertura ufficiale della biblioteca nazionale di Sarajevo, fissata per venerdì 9 maggio dopo un complesso restauro durato quasi diciotto anni, sarà un momento fortemente evocativo che testimonierà il trionfo della civiltà contro la barbarie, proprio come accadde a Mostar nel 2004, quando venne inaugurato il restauro del Ponte Vecchio, anch’esso abbattuto a cannonate durante il conflitto. La Vijećnica, restituita al suo antico splendore dopo enormi ostacoli organizzativi, burocratici e finanziari, riaprirà al pubblico nel giorno in cui l’Europa celebra la sconfitta del nazismo e l’unità del vecchio continente.
E quello stesso giorno Sarajevo, la capitale europea che ha visto l’inizio e la conclusione del “secolo breve”, ricorderà al mondo che i nazionalisti serbi bruciarono i libri proprio come i nazisti e che niente, neanche questo scintillante restauro, potrà lenire le ferite aperte durante la pagina più nera della recente storia europea. Ancora oggi, i lunghi giorni di un assedio durato oltre quattro anni e lo straziante ricordo delle migliaia di vittime civili restano ben scolpiti nella memoria della città e dei suoi abitanti.
La fisionomia esterna dell’edificio, risalente al 1894 [il progetto, in stile neo-moresco, si all'architetto boemo Karel Pařík durante l'amministrazione austro-ungarica, ndr], è da tempo tornata quella originaria, con le splendide facciate rosso e ocra che si specchiano nelle acque del fiume Miljacka. Le foto rese pubbliche in anteprima hanno poi mostrato tutto lo sfarzo degli interni. Grazie al progetto originale ritrovato nell’archivio di Zagabria, intorno ai tremila metri quadrati di parquet sono stati riprodotti com’erano in precedenza i muri e i soffitti affrescati e decorati a mano, gli sfarzosi arabeschi e le finestre in legno, i vetri a mosaico e le porte
intarsiate. Senza dimenticare la scalinata centrale in marmo, le cui macerie sono state per anni il simbolo dell’urbicidio ( come viene  chiamato   prendendo  spunto dal libro  : <<  Urbicidio. Il senso dei luoghi tra distruzioni e ricostruzioni nella ex Jugoslavia   di  Francesco Mazzucchelli  ] della capitale bosniaca.
La ricostruzione è costata sedici milioni di euro – oltre la metà dei quali erogati dall’Unione europea – e ogni ragionevole sforzo è stato compiuto per donare alla Vijecnica un aspetto esattamente uguale a prima. A cambiare, in parte, sarà invece la destinazione d’uso degli spazi interni: l’edificio non ospiterà più soltanto la biblioteca universitaria ma riacquisterà anche la funzione di sede di rappresentanza della città che aveva avuto fino al 1949. La municipalità di Sarajevo potrà disporre di uffici al primo e al secondo piano, mentre la biblioteca avrà spazi al piano terra, al mezzanino e al secondo piano. Alla cultura è stato destinato anche il piano interrato, che ospiterà un museo sulla storia della biblioteca, la caffetteria e il deposito librario, oltre a locali di servizio.
Ma nessun restauro, per quanto approfondito e fedele all’originale, potrà far dimenticare che appena il dieci per cento delle opere conservate al suo interno prima della guerra è scampato al grande rogo del 1992, un gesto criminale premeditato allo scopo di cancellare un passato comune. In tanti si prodigarono per salvarli, quei libri, ma l’eroica catena umana spontanea che si formò in quei giorni fu costretta a soccombere di fronte ai colpi d’obice e ai cecchini che colpivano senza pietà anche i volontari e i vigili del fuoco.
Una giovane bibliotecaria, Aida Buturovic, perse la vita mentre cercava di strappare i volumi alle fiamme. I pochi resti di quell’immenso patrimonio librario sono rimasti a lungo stivati in un rifugio antiatomico, prima di essere trasferito nei sotterranei del ministero dell’istruzione e in seguito in un’ex caserma dell’esercito jugoslavo. La rinascita del luogo simbolo di Sarajevo sarà suggellata con una grande cerimonia il 28 giugno,nel centenario dell’assassinio dell’erede al trono austroungarico Francesco Ferdinando, evento che innescò il primo conflitto mondiale. In quell’occasione, l’Orchestra Filarmonica di Vienna diretta dal maestro Franz Welser-Möst si esibirà nell’antica biblioteca in un repertorio di brani di Haydn, Schubert, Berg, Brahms e Ravel.

La ricostruzione   e  la riapertura   avvenuta  propria ad  un mese dal  centenario delll'omicidio  dell'imperatore  d'Austria   che  usciva proprio  da  questa  biblioteca    e quindi  dello scoppio della  1  guerra  mondiale  ,  è  simbolo  di reazione  ai  nazionalismi esasperati  .

cosa non si fa per avere clienti il primo calice si paga con un bacio iniziativa di una enoteca di Milano




'In Wineria non vogliamo i vostri soldi, vogliamo i vostri baci'. Grazie all'originale e coraggiosa proposta
“Paga con un bacio” un'enoteca di Milano (  Vedere locandina  sopra  in alto al  post  )   ha attirato decine di clienti intrigati da questa nuova formula che mixa Bacco e... amore.
Il locale, che ha aperto i battenti nell'estate 2013 in Piazza Caneva 4, ha sorpreso tutti fra novembre e gennaio con questa iniziativa che ha riscosso un notevole successo e che - assicurano i titolari - verrà riproposta a breve L'originale iniziativa proposta i mercoledì degli scorsi mesi di novembre, dicembre e gennaio prevedeva che le coppie che si recavano nel locale per prendere l'aperitivo avrebbero ottenuto gratuitamente la prima consumazione. Bastava baciare il proprio partner.


il locale
Spiega il fondatore del locale Stefano Rimassa: 'A Milano, e lo dico da milanese, siamo sempre tutti poco propensi ai rapporti con gli altri, a mostrare i nostri sentimenti. Così abbiamo pensato ci volesse un gesto forte'.Un'iniziativa di stampo romantico e amica del portafoglio, che prende ispirazione da una promozione

  analoga creata dall’altra parte del mondo, precisamente nella città australiana di Sidney al caffè Metro St. James.
Il gioco del bacio vuole essere una trasposizione pratica della filosofia dell'enoteca: gesti semplici e dichiaratamente buoni come i vini semplici e dichiaratamente buoni.Metro St. James è un caffè in stile francese di Sydney, in Australia. Ha guadagnato popolarità grazie a una geniale offerta promozionale che permette ai clienti di pagare il caffè con i baci.l promo del Metro St. James di Sydney recitava così: 'Stiamo riportando il romanticismo in voga! Portate il vostro partner per il caffè dalle 9 alle 11 e sorprendetelo con un bacio quando si ordina un caffè. Non accettiamo i soldi, solo i tuoi baci'


Non è  una  novità  in se   se  un esperiemnto simile  è stato fatto   tempo fa  , più precisamente  ,   Per il giorno di San Valentino 2014, la città di Bari ha promosso un'iniziativa particolare. Tutte le coppie che si sarebbero baciate in uno dei negozi aderenti, avrebbero avuto uno sconto sull'acquisto.
In un momento in cui alcuni  (  per  coerenza  o  per opportunismo )   mettono in discussione l'euro, il bacio potrebbe essere una buona moneta di scambio...

anche con il sarcasmo e l'ironia si può raccontare la mafia . La mafia uccide solo d'estate NO SPOILER



Nel quotidiano la catastrofe, quando deflagra violenta e totale, non la puoi evitare: ma dalle macerie si può far uscire qualcosa, lavorando sull’onesta condivisione del dolore e la memoria.





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Un film bello e divertente , sagace , che riesce a dire ( farebbero bene a vederselo anche chi le conosce già ) cose note e stra note anche ai muri , parlando del futuro e con un finale pieno di speranza e carico di un messaggio .
Nonostante a tratti sia , per chi ha sentito e risentito parlare di tali avvenimenti , prevedibile a l limite dello scontato , in quanto << ( .. )  Pif ha colto una verità di per sé poco appariscente, e ce la mostra da dietro una maschera di apparente ingenuità e goffaggine, che fa ridere e commuovere, di quelle lacrime che arrivano da non si sa bene dove e rimangono anche dopo che le hai asciugate. Perché nel quotidiano la catastrofe non la puoi evitare, quando deflagra violenta e totale, decisa da altri e messa in moto da mani occulte: ma dalle macerie si può far uscire qualcosa, lavorando sull’onesta condivisione del dolore e la memoria. (....) da http://www.valigiablu.it/la-mafia-uccide-solo-destate-il-quasi-capolavoro-di-pif/ è un film da vedere e far vedere nelle scuole anche alle elementari .
Questa è vera antimafia non quella da salotto o da professionisti .Un modo nuovo di raccontare la mafia. Un film che dissacra i boss e restituisce l’umanità dei grandi eroi dell’antimafia. Un sorriso ironico e mai banale sugli anni terribili degli omicidi eccellenti.Un modo originale , quindi , nel trattare il tema mafie non retorico e stereotipato o classico ( il padrino , la piovra , bronx , cento passi ,-- a cui lo stesso pif vi ha partecipato come auto regista --- ecc ) . Un film che sulla scia de il dolce e l'amaro , va alle origini sociali ed affronta la zona grigia fatta di silenzio assenso , e sdramatizzazione del fenomeno mafioso , vedere il titolo del film che è anche un dialogo del film : << Ma la mafia ucciderà anche noi?  Tranquillo. Ora siamo d’inverno. La mafia uccide solo d’estate.[IL padre al piccolo Arturo, prima di andare a dormire] >>
Lo stile del film utilizza, per molti aspetti, il linguaggio tipico della trasmissione televisiva Il Testimone di MTV di cui Pif è autore e conduttore. Gli argomenti, anche quelli più scabrosi e delicati, vengono trattati con un doppio registro fatto di ironia e fredda presentazione dei fatti, in una originale alternanza tra momenti comici e pugni allo stomaco . Infatti da http://www.mymovies.it/film/2013/solodestate/

Costruito come un romanzo di formazione, La mafia uccide solo d'estate trova la sua rilevanza in quello che racconta e la sua forza in come lo racconta e come rappresenta la mafia senza indulgenze celebrative. Infilato il terreno minato dell'universo criminale, Pif contempla il fascino sinistro dell'eroe del male, incarnato nel film da Giulio Andreotti e allargato a una lunga serie di 'persone perbene'e istituzionali fino alla bassa macelleria criminale, scartando i sentimenti retorici e i cliché che veicolano l'idea dell'immutabilità della Mafia. Nato in una regione incline al fatalismo come la Sicilia, Pif fa qualcosa di più che dimostrare la parabola discendente di Cosa Nostra, scegliendo come protagonista un ragazzino che coltiva sogni, speranze e illusioni e che imparerà a sottrarsi alle regole del gioco sentendosi e volendosi 'diverso' rispetto alla cultura diffusa di cui la criminalità organizzata è espressione. I padrini forti e arcaici visti sempre nella loro sacralità di potenti e cattivi vengono 'rovesciati' in una storia drammaturgicamente valida e capace di scendere dentro le cose.
Cinema impegnato in prima linea, che arriva col sorriso fino in fondo, fino a sentire e a far sentire un dolore lancinante, La Mafia uccide solo d'estate capovolge il comico in tragico ricordandoci che ribellarsi è possibile. Il film porta a coscienza del protagonista e della sua città i mostri che stanno anche dentro chi li vorrebbe cacciare e che decide per questo di dichiarare guerra a una parte di sé. Lo sguardo attonito e incredulo di Arturo bambino sulle omertà e le brutalità del mondo degli adulti, che lo hanno sedotto (Giulio Andreotti), innescato (il giornalista esiliato di Claudio Gioè) e (ri)educato (i 'retroscena' del potere mafioso), si posa adesso consapevole sul figlio e sulle targhe di marmo.
Targhe che 'medicano' le ferite di Palermo, targhe fissate sui suoi muri e nella sua memoria, targhe su cui Arturo legge i nomi dei caduti per la Mafia. Legge il loro impegno, le loro imprese, rompendo l'ordine delle cose (nostre) e avviando il processo di eredità di chi ha saputo far esistere la cultura come possibilità della comunità.






http://www.lamafiauccidesolodestate.com
http://it.wikipedia.org/wiki/La_mafia_uccide_solo_d'estate
http://www.valigiablu.it/la-mafia-uccide-solo-destate-il-quasi-capolavoro-di-pif/

9.5.14

Il pensionato "ciclo-ecologista" Nel 2013 raccolti centinaia di sacchi di rifiuti

Speriamo   che sia  coerente  e  non sia  uno di quelli che  lo fanno per  moda   \  per  farsi vedere    ,  e poi girato l'angolo  , buttano  cartacce  ed  altro  


Il signor Felice Carelli, 77enne pensionato residente a Zorlesco di Casalpusterlengo (Lodi), da dieci anni combatte una battaglia molto personale contro l’abbandono di rifiuti lungo le strade del Lodigiano. Per tre giorni alla settimana percorre chilometri e chilometri in sella alla sua 'eco-bicicletta' perlustrando le campagne, raccogliendo i rifiuti abbandonati dai suoi concittadini lungo le strade e consegnandoli a chi di dovere per lo smaltimento.


Sveglia all'alba, 'per evitare il caldo' e missioni da 8 ore al giorno per il signor Felice Carelli. 'Inizio la mia battaglia contro l'immondizia con la bella stagione, le strade devono essere asciutte per domare la bicicletta e io non ho più l'età per affrontare determinate intemperie', confessa il pensionato Felice Carelli  ha un passato da agricoltore e corridore agonistico di ciclismo. 'Dalle mie passioni e dal mio lavoro è scattata la scintilla per iniziare questa causa. Perché lo faccio? Per educare le nuove generazioni'.L'ecobici di Carelli, così il pensionato lodigiano ama chiamare il suo 'destriero', è stata recuperata in campagna, abbandonata in un fossato. 'Da semplice bicicletta è diventata un veromezzo di nettezza urbana, con separatori per effettuare già la differenziata sul posto'.
Felice Carelli snocciola fiero qualche numero relativo solo all'ultimo anno di attività, il 2013: 'Ho raccolto 106 sacchi da 12 litri di bottiglie di plastica e 108 sacchi della stessa capienza di rifiuti generici secchi'. Numeri incredibili considerata anche l'età di Carelli.Carelli dichiara che molto dello sporco che rinviene nelle campagne, è attribuibile alla maleducazione di chi si dedica ai picnic. 'Ci vorrebbe maggior rispetto per l'ambiente - tuona il pensionato -, se il mondo fosse più pulito sarebbe migliore per tutti'. si augura che le sue gesta possano diventare d'esempio per chi lo vede all'opera: 'Molti mi fanno i complimenti per quello che faccio, altri dicono che dovrei occuparmi degli affari miei. 



L'ambiente è affare mio, lo è di tutti, e spero che i più giovani si uniscano a me'.'Rispetto a dieci anni fa l'immondizia di certo non è diminuita. La colpa è anche del malcostume italiano. Sul profilo del rispetto dell'ambiente abbiamo ancora molto da imparare'. Felice Carelli ha commentato così i cambiamenti dal primo giorno della sua missione, iniziato pochi giorni dopo il suo pensionamento'.La cosa che più sorprende il pensionato di Zorlesco è la varietà di rifiuti che gli capita di raccogliere per le strade: 'Si trova davvero di tutto e di più, solo seguendomi in una delle mie uscite [ ma  anche  non corsivo  mio ] L'unica cosa che non ho trovato fra i rifiuti - è la chiosa scherzosa del pensionato - sono lingotti d'oro e banconote'. Ma il tesoro più grande, Carelli lo porta a casa ogni giorno: la certezza di aver fatto qualcosa di buono per l'ambiente. ci si può rendere conto di quel che dico'.

Giocare a calcio: diventa realtà il sogno di Francesco, nato senza una gamba A Cagliari due giorni di sport all’aria aperta per il Centro sportivo Day con la Nazionale Calcio Amputati

alla  bellezza dei  margini  - yo yo mundi




da la nuova sardegna di qualche giorno fa e da http://www.castedduonline.it/sport/altri-sport/14987/



CAGLIARI. Due giornate di gioco e di gare tra Coni e piazza dei Centomila organizzate dal Centro sportivo italiano, con la partecipazione della Nazionale di Calcio Amputati. Vale la pena di raccontare la storia di questa Nazionale. È cominciato tutto nel 2011 – si spiega in una nota. Francesco Messori, dodicenne di Correggio in provincia di Reggio Emilia, nato senza una gamba, esprime due desideri: "Voglio giocare a calcio da tesserato, non solo in amichevole, con la squadra con cui mi alleno (la Virtus Mandrio), ma anche formare una Nazionale di Calcio Amputati con ragazzi col mio stesso problema, per misurarmi alla pari con altre nazionali amputati che esistono all'estero". Da allora, passo dopo passo, iI Centro Sportivo Italiano ha realizzato entrambi i sogni di Francesco: viene tesserato al CSI e gioca il suo primo torneo ufficiale il 5 febbraio 2012 a Cremona, inoltre, grazie al gruppo Facebook da lui creato, viene contattato da diversi ragazzi e così l'8 Dicembre 2012 ad Assisi nasce la Nazionale Italiana Calcio Amputati.
nazionale  calcio amputati  da http://www.castedduonline.it/


Il resto è storia recente: 27 aprile 2013 prima partita amichevole internazionale ad Annecy (Francia) e ritorno a Cremona II 5 ottobre 2013. Ma l'anno appena trascorso è fatto anche di allenamenti mensili di preparazione svolti in giro per l'Italia grazie alla Generosità di amministrazioni comunali Società sportive. Associazioni varie. Comitati territoriali e regionali CSI.
Ora la Nazionale Italiana può considerarsi all'altezza delle altre nazionali europee. Gli azzurri, che recentemente hanno aderito alla WAFF (World Amputee Football Federation), hanno in programma amichevoli e tornei con altre nazionali europee, ma il sogno del 2014 è poter partecipare at mondiali in Messico di fine anno. Il sogno continua.

Infatti   secondo  castedduonline  da  cui  ho preso la  foto

Il Centro Sportivo Italiano quest’anno compie 70 anni e in contemporanea in tutta Italia si terrà il CSI Day, due giornate all’insegna dello sport all’aria aperta e gratuito per tutti. Anche il Comitato Provinciale di Cagliari festeggia sabato 10 e domenica 11 maggio in Piazza dei Centomila con un weekend dedicato a “Sport, Giovani e Disabilità” per avvicinare i cittadini al mondo dello sport e dei disabili con tornei e giochi. Ospiti della manifestazione saranno gli atleti della Nazionale Italiana di Calcio a 11 Amputati, che sfideranno i ragazzi degli oratori cagliaritani in un’amichevole, per un’esperienza di vita e di divertimento.Il CSI Day sarà un’occasione di festa e riflessione sui valori dello sport come gioco e sana competizione nel rispetto delle regole. Altro obiettivo della manifestazione è dimostrare, grazie alle partite disabili-normodotati, che nello sport le barriere fisiche e mentali possono essere superate. Il CSI Day è anche colore e divertimento: verranno allestiti aree giochi (con campi per minibasket, pallavolo calcio balilla umano), gonfiabili e stand colorati.La giornata di sabato. La prima giornata (dalle 9.00 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 19.30) si apre con le finali del progetto Stand Up, che ha coinvolto degli Istituti superiori di Cagliari in un torneo interscolastico e polisportivo (unihokey, dodgeball, pallavolo e basket). Nel pomeriggio sarà la volta delle semifinali e finali regionali de “I Campanili”, campionato di calcio a 5 delle squadre degli oratori, per le categorie Under 14 e Allievi. A seguire, quadrangolare di calcio A 5. Durante tutta la giornata è possibile usufruire delle aree giochi e del campo CONI per tornei di pallavolo, minibasket e calcio balilla umano con squadre genitori contro figli.La giornata di domenica. L’11 maggio alle 9.30 prenderà il via la manifestazione podistica a staffetta di mezzo chilometro per bambini e ragazzi dai 7 ai 15 anni, con partenza da piazza dei Centomila. Nel mentre sarà possibile divertirsi con il calcio balilla umano genitori/figli. Alle 10 circa la premiazione de “I Campanili”, e alle 11.00, dopo l’Inno di Mameli, si disputerà l’amichevole di calcio a 5 tra la Nazionale Italiana Calcio Amputati e una rappresentanza dei ragazzi degli oratori del cagliaritano. Alle 13.00 saranno consegnati dei defibrillatori dal CSI Cagliari all’Arcivescovo Mons. Arrigo Miglio, quale dono dell’ente alle squadre degli oratori. La cena di gala “MareSolidale” chiude il CSI Day ed è organizzata dal CSI Cagliari nel ristorante di Luigi Pomata, per ringraziare le aziende che hanno sostenuto la causa sociale del CSI Day con un contributo

8.5.14

Da disoccupata a imprenditrice di successo realizzando un suo hobby arredare con oggetti riciclati e altre storie

le prime tre  storie  sono tratte da http://notizie.it.msn.com/
Lo so che molti mi diranno che mi sto effeminando , visto che questa settimana è la seconda volta che riport storie di donne , ma ( almeno in base ala mi esperienza che di solito come tute le esperienze può essere sempre pronta ad essere abbattuta , il  figlio del re -    pietro marras ,   docet )  esse sono  le  più resistenti  ai  mutamenti sono quelle che quando cadano si riprendono vedere meglio  o dono capaci di  fare  grandi cose  .


immagine simbolo
 A fare una buona azione si guadagna sempre. Lo sa bene Sarah Hoidahl, una cameriera statunitense di 21 anni che, per avere offerto un pranzo, si è vista ricompensare con un assegno da 10mila dollari. Sembra una favola, eppure è realtà.Andiamo per ordine. Era una giornata come tante quella di Sarah, tra ordini da prendere, clienti scontrosi, poche mance e piedi doloranti per il continuo avanti e indietro dai tavoli alla cucina 
Però anche quel giorno, come sempre, Sarah non aveva perso il buon umore e la sua bontà d'animo. Quella mattina, nel ristornate di Concord nel New Hampshire dove lavora, sono entrate due donne soldato che si sono sedute a un tavolo. Le due donne hanno chiesto di poter avere quello che di più economico offriva il ristorante perché, a causa della crisi, i loro stipendi erano stati bloccati.Sarah non ci ha pensato due volte e ha deciso di offrire alle due donne soldato il pasto, per un totale di 27 dollari. E già questa sarebbe una buona notizia.C'è un dettaglio che, però, ha commosso le due donne soldato: la cameriera, al posto del conto, ha portato al tavolo un biglietto con scritto: 'A causa della crisi governativa persone come voi che proteggono il nostro paese, non ricevono lo stipendio. Io, invece, lo prendo ancora e vi offro il pranzo. Signore, grazie per il servizio che svolgete. Vi auguro una buona giornata!


                                    la  protagonista  e il  suo messaggio

'Le due donne soldato sono rimaste così toccate dal gesto di Sarah che hanno deciso di raccontare la vicenda ai giornali.La notizia è rimbalzata sulla stampa statunitense, tanto che Sarah è stata invitata a partecipare alla famosa trasmissione di Ellen DeGenres
                     per essere intervistata.C'è un dettaglio che, però, ha commosso le due donne soldato: la cameriera, al posto del conto, ha portato al tavolo un biglietto con scritto: 'A causa della crisi governativa persone come voi che proteggono il nostro paese, non ricevono lo stipendio. Io, invece, lo prendo ancora e vi offro il pranzo. Signore, grazie per il servizio che svolgete. Vi auguro una buona giornata!'La buona azione ha portato a Sarah un regalo inaspettato: la cameriera si è vista consegnare da Ellen DeGenres un assegno da 10 mila dollari (che le ha donato anche un televisore da 50 pollici),


 a titolo di ringraziamento da parte della comunità.'Ellen DeGeneres è una delle persone più brave e generose d’America' ha commentato Sarah, dopo aver ricevuto l'assegno. Quindi è dimostrato, una buona azione ne porta un'altra, e viene sempre ripagata come merita.

da  repubblica.it 

Francia: sorpresa a Clermont, il nuovo tecnico è una donna
La portoghese Helena Costa guiderà la compagine di Ligue 2 nella prossima stagione e la notizia incuriosisce i calciatori: ''Circolavano diversi nomi, lei è spuntata dal nulla. All’inizio sarà uno shock ma non siamo
maschilisti, andrà tutto bene''

CLERMONT-FERRAND – Una notizia a dir poco inattesa sta sconvolgendo il calcio francese, facendo balzare in prima pagina il Clermont, compagine di Ligue 2. Il club dell’Alvernia, infatti, ha annunciato il nome del nuovo tecnico, una donna: a guidare la squadra, infatti, sarà Helena Costa 36enne portoghese che in carriera ha allenato la nazionale femminile iraniana e quella del Qatar, oltre ad aver collaborato con il Celtic.
”NON CI SARANNO PROBLEMI” – Non si sono fatte attendere le reazioni dei calciatori del Clermont. ”Lo abbiamo saputo stamattina. Non sappiamo molto di lei, non sappiamo quale sia stato il suo percorso – dice l’attaccante Remy Dugimont, come si legge sul quotidiano L’Equipe – è stata una grossa sorpresa, circolavano diversi nomi. Questo è uscito fuori dal nulla. Io non sono un maschilista, so che la Costa ha già lavorato nel mondo professionistico con gli uomini e quindi sa come funzionano le cose. Se le

6.5.14

Ambasciatrice vegana e La ragazza che sussurra alle capre, giovane imprenditrice sarda premiata a Roma

musica in sottofondo  Rimmel -Francesco de  Gregori
  dala nuova  sardegna   Cronaca  di Olbia -Gallra  del 4\5\2014    e dall nuova sardegna online del 6\5\2015




La ragazza che sussurra alle capre, giovane imprenditrice sarda premiata a Roma

Arbus, importante riconoscimento per Monica Saba da parte del ministero delle Politiche agricole. Eccellenti e originali i prodotti del suo caseificio

di Luciano Onnis

ARBUS. Monica Saba, giovane imprenditrice di Arbus, ha ritirato oggi a Roma dalle mani del sottosegretario Giuseppe Castiglione il Premio “De@Terra”. Si tratta di un riconoscimento che il ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali assegna ogni anno a sei donne che in tutta Italia si sono distinte per l’impegno e la passione in attività agricole. Tra i requisiti richiesti per partecipare al concorso ci sono la c
reatività e originalità di idea d’impresa, il rispetto dell’ambiente, la volontà e la capacità di mettere sul mercato prodotti di alta qualità, caratterizzati da tipicità e salubrità. Monica Saba è arrivata ai primi posti della graduatoria italiana delle donne che aiutano l’agricoltura contribuendo alla crescita economica, sociale e culturale delle aree rurali. È stata la giovane imprenditrice arburese a rappresentare la Sardegna con il suo curriculum ricco di esperienze che hanno inizio nel 2001 quando, seguendo una tradizione di famiglia, diventa coltivatrice diretta e allevatrice di capre. Pochi anni dopo, nel 2005, ha aperto il minicaseificio “Gennè Sciria” per trasformare il latte che proviene dal gregge che vive allo stato brado nutrendosi di macchia mediterranea, erbe aromatiche ed endemiche, dal quale ricava formaggi e ricotte dalle particolari qualità nutrizionali, sensoriali e dalle caratteristiche organolettiche eccellenti. La sua scelta di rispettare la natura fino in fondo l’ha spinta, con l’aiuto di importanti partner quali Edilana e Casa Verde Co2, a diventare una Food Cheese Designer: ha introdotto nella sua azienda un packaging realizzato con tessili selvatici di lana autoctona sarda termo igrometrica (firmata Edilana) che permette di mantenere inalterate le caratteristiche organolettiche del formaggio. Con fantasia e impegno ha creato un binomio tra arte e sapori realizzando abiti e cofanetti che avvolgono i suoi formaggi. Pluripremiata in numerosi concorsi (tra i più importanti c’è una menzione speciale per il packaging al Caprino d'Oro2012), Monica è attualmente vicepresidente del Consorzio turistico Ciao e vice coordinatrice regionale Coldiretti Sardegna. Nel 2013 si è avvicinata a nuovi progetti come l’utilizzo dei forni solari del Re Sole, realizzati sempre con isolante termico di Edilana, che consentono di cucinare senza gas ed elettricità usando semplicemente la radiazione solare diretta, eliminando così totalmente le emissioni di C02. Questo le ha fatto vincere il primo premio regionale e il titolo di “cuoca solare” durante un evento organizzato dal Distretto di democrazia solare. Oggi Monica organizza a Gennè Sciria, in collaborazione con esperti del settore, dei percorsi sensoriali e workshop di food designer. L'arte di fare il formaggio si trasforma così in un'attività laboratoriale che coinvolge visitatori e scolaresche che visitano l’azienda per vedere le capre e le pecore nere, imparando le fasi di lavorazione del latte e unendosi in un morbido abbraccio con la terra e i suoi doni.

5.5.14

alla faccia della lentezza 32 anni per riparare e restituire un orologio e altre storie

 La  prima storia    è tratta  dalla   cronaca  di  Olbia-Gallura  del 5\5\2014   della nuova sardegna


Orologio riparato e restituito dopo 32 anni
Tempio, storia incredibile ma vera di un commerciante: «Ora mi chiedono 170mila lire per la riparazione, ma io pagherò fra 3 decenni»


TEMPIO. Trentadue anni per la riparazione di un orologio da polso. Tanto ha dovuto aspettare un noto commerciante di Tempio per vedersi finalmente restituire da una nota oreficeria gallurese, un orologio che il commerciante aveva ricevuto in dono da suo padre sul letto di morte. Oltre la lunga attesa, altrettanto insolito il costo della riparazione: centosettanta mila lire.
A raccontare il curioso episodio è Antonio Azzena, ex presidente della Confcommercio e presidente onorario della stessa, notissimo commerciante cittadino. «Mio padre (Enea Azzena, storico e benestante commerciante di Tempio, ndc), attacca Azzena, mi regalò, nel 1981, poco prima di morire, un orologio da polso, allora di ultimissima generazione, che mia madre gli aveva regalato, a suo tempo, per i suoi sessant’anni. Un ricordo carissimo per me, che decisi di farlo diventare il mio orologio da polso quotidiano».
Poi il secondo capitolo della vicenda. «Dopo qualche mese – racconta Azzena –, però l’orologio si fermò e fui costretto a portarlo per la riparazione, presso la nostra oreficeria di fiducia, di stanza in un centro Gallurese, dove ci servivamo regolarmente e dove anche l’orologio era stato acquistato. Di questo oggetto, per me di enorme valore affettivo, nonostante le richieste, diventate sempre più pressanti con il passare degli anni, non ho più saputo nulla per 32 anni. Di volta in volta, mi è stato detto che “l’orologio era in riparazione, che il pezzo da sostituire, era di difficile reperibilità e che comunque tutto sarebbe stato sistemato”. Poi, per 


un certo periodo, mi è stato detto che non era più riparabile ed inutilmente l’ho richiesto indietro. Poi addirittura, per qualche tempo ancora, l’orefice ha cercato di convincermi che l’orologio mi era stato restituito e che forse lo avevo dimenticato io da qualche parte. Poi – dice raggiante Antonio Azzena – qualche giorno fa, dopo 32 anni, l’orologio è riapparso dalle nebbie del tempo, riparato, perfettamente funzionante e con ancora attaccato…lo scontrino della riparazione. Centosettanta mila lire».
Felicissimo della restituzione, Antonio Azzena, tramite la “Nuova”, fa sapere all’orefice, «che forse leggerà la mia e la sua storia, di essere già alla ricerca delle centosettantamila lire che, se Dio vuole, consegnerò solo ai primi di maggio del 2046. Fra 32 anni».(a.m.)

la seconda  dall'0unione sarda del  4\5\2014

  e per  finire  la classica  delle storie ,  molto spesso  frutto di  leggende   metropolitane  o catene di  sant'antonio  ma  a volte   (  non si sa  mai  cosa  può riservarti la  vita  )   vere  ,  quele  di  zii  o  parenti emigrati  che  diventan o ricchi \  fanno fortuna  e  lasciano in eredità a parenti lontani . Tratto dalla  nuova sardegna del  4\5\2014 


Zio d’Australia sparito fa la “sorpresa”
UnA EREDITA’ choc
SASSARI Quando hanno visto quella lettera, consegnata dal postino il primo aprile, hanno pensato ad uno scherzo. Ma dopo un primo momento di stupore a leggere e rileggere quello che c’era scritto su quel pezzo di carta che arrivava dall’Australia si sono dovuti ricredere. L’iniziale sbigottimento ha lasciato spazio alla sorpresa. Già, perché con quella lettera un funzionario comunale di Wilson, elegante sobborgo residenziale di Perth, cercava contatti con «gli eventuali eredi di Saccu Costantino, nato a Pozzomaggiore nel 1925 e scomparso a Perth il 21 luglio 2013». 
 
Costantino, che in Australia era diventato Constantin e, a quanto pare, non aveva mai messo sù famiglia, era morto lasciando un bel patrimonio: in particolare un ranch con allevamento di cavalli. Ecco quindi la necessità da parte delle autorità di Perth di risalire agli eredi di Costantino (che aveva trascorso i suoi ultimi anni di vita in una casa di riposo) ai quali affidare il patrimonio dell'anziano scomparso «Non ci volevamo credere, per noi è stato come tornare indietro nel tempo, a quando eravamo bambini», spiega Patrizia, una dei venti nipoti rimasti in Sardegna. Nipoti che Costantino non ha mai conosciuto e dei quali, forse, non sospettava nemmeno l’esistenza. «Abbiamo sempre sentito parlare di questo zio, lo abbiamo visto in alcune fotografie che a casa venivano conservate come una specie di reliquia – va avanti Patrizia, che vive a Sassari – Percepivamo il dolore nel racconto di mia madre e delle mie zie, tutte molto legate a questo fratello». Già, perché Costantino, che a Pozzomaggiore aveva tre sorelle (Paolina, Giovanna e Antonietta) nel 1949, a soli ventiquattro anni, aveva scelto di lasciare il paese e di emigrare. Voleva raggiungere l’Australia (dove lo avevano preceduto qualche anno prima un fratello e un’altra sorella) per cercare fortuna. Un viaggio avventuroso, quello di Costantino Saccu, a bordo di un transantlantico. Una traversata lunga più di un mese e poi l’arrivo a Fremantle per raggiungere i fratelli. Costantino scrive a casa, rassicura le sorelle rimaste a Pozzomaggiore. Ma dopo qualche mese il giovane decide di trasferirsi, saluta il fratello e la sorella e cambia città, trova lavoro in una miniera. Racconta alle sorelle di Pozzomaggiore di essere
contento, poi improvvisamente verso la metà degli anni Cinquanta, il giovane Costantino non dà più notizie di sè. Inghiottito nel nulla. I familiari ne denunciano la scomparsa. Viene informato il ministero degli Esteri, i fratelli “australiani” cercano disperatamente un possibile contatto, ma inutilmente. Passano i mesi e poi gli anni, niente. Nelle sorelle di Costantino subentra la rassegnazione e quel ragazzo, diventato nel frattempo uomo, viene dato per morto. «Tra i miei ricordi di bambina – racconta ancora Patrizia – prevale quello di mia madre che piange per questo fratello “morto”, per tutta la vita lei e le sorelle non si sono mai date pace». E invece Costantino (il più piccolo dei fratelli Saccu) è morto lo scorso anno a 88 anni. E ora, pian piano, i nipoti cercano di rimettere insieme le tessere della lunga e solitaria esistenza di Costantino in Australia, dall’altra parte del mondo. «Abbiamo scoperto che si era trasferito nelle vicinanze di Perth forse dopo un grave incidente nella miniera in cui lavorava – spiega ancora la nipote Patrizia – Forse proprio a causa di quell’incidente ha perso la memoria e non si è più ricordato di avere parenti in Sardegna». Ma riempire un “buco nero” lungo oltre sessant'anni non sarà facile. Tra i nipoti sardi un’unica consolazione: «Ci ha fatto piacere sapere che zio Costantino abbia comunque trascorso una lunga vita serena e agiata. Vorremmo sapere tutto di lui, ma sappiamo che sarà difficile. Per il momento questo zio mai conosciuto ci ha fatto comunque un bellissimo regalo: ha riunito tutti i nipoti. Con diversi cugini avevamo perso i contatti, è stato bello rincontrarsi e riscoprire i legami della famiglia». E l’eredità? «Vedremo – sorride Patrizia – L'Australia è così lontana... E ancora non sappiamo esattamente cosa dovremo fare». Ri.Fi.

4.5.14

Padre Generoso da Pontedecimo alias di attilio ghiglione


sulla    vicenda di Attilio Ghiglione  e  sugli alpini 




sulla 1  guerra mondiale  


  • gli articoli usciti  ad  agosto  dell'anno  scorso su repubblica  (     ora   ripresi con  video ed  altro materiale  nel dvd    l'albero delle trincee )   di Pietro rumiz   sul  suo  viaggio attraverso i luoghi dove nostri bis nonni   e prozii  - come nel mio caso -   combatterono il  primo conflitto  , ne  ho parlato   in questo precedente  post    disponibile  su  dvd 


visto che da  quest'anno fino  al 2018    si  celebra  il 100  della  I guerra mondiale  ,  racconterò  storie    riguardanti tali eventi  .Iniziamo  con questa   di Padre Generoso da Ponte decimo alias di  attilio ghiglione

Navigando per  conto di  un mia amica  che  mi ha chiesto  un riassunto  di una puntata    sul sito della trasmissione chi l'ha  visto  mi  sono imbattuto  in questa  storia  

Genova - L’unico indizio, trovato accanto ai resti di un uomo sepolto ai margini di un bosco, è un nome di donna inciso su un bastone di legno. Nel corso della puntata di “Chi l’ha visto?” in onda domani sera su RaiTre si parlerà anche di una vicenda di settant’anni fa, nel tentativo di dare un volto ai protagonisti: una storia d’amore che riemerge dalla tragedia della seconda guerra mondiale
                                                                                  da il secolo XIX .it

Di Erminia Riva, la donna al centro della ricerca, non si sa nulla. Probabilmente era la giovane fidanzata di un alpino richiamato alle armi da Mussolini («Spezzeremo le reni alla Grecia») per quella che si sarebbe rivelata una spedizione disastrosa, se a ribaltare provvisoriamente le sorti non fossero intervenute le armate tedesche. Erminia, la donna senza volto, aveva forse vent’anni, oggi se è viva sarebbe ultranovantenne.
Dell’alpino che ha inciso il suo nome si sa con certezza che faceva parte della Brigata Julia, battaglione Gemona, ma poteva provenire da qualsiasi parte d’Italia ed essere stato aggregato all’ultimo ai militari inviati in Grecia. mandati al massacro e costretti a retrocedere fino al monte Golico in terra albanese; l’ultimo confine dove gli alpini arginarono la reazione dei greci per quaranta giorni, pagando però un prezzo altissimo.
«Gli alpini non dimenticano i loro morti», racconta Giancarlo Militello, curatore (cinque anni fa) della pubblicazione delle memorie di padre Generoso da Pontedecimo, il cappellano degli alpini che avrebbe aiutato migliaia di feriti e seppellito un numero inimmaginabile di morti proprio sul Golico e poi in Russia. Ma i diari di padre Generoso, al secolo Attilio Ghiglione, accanto alle descrizioni minuziose della quotidianità della guerra accompagnate da fotografie, conservano qualcosa di unico: la dettagliata mappatura dei luoghi delle sepolture, realizzata con l’aiuto di un cartografo dell’esercito, con l’indicazione per ciascun tumulo di ogni elemento utile alla futura individuazione dei resti: a cominciare dalla quota e dalla collocazione della sepoltura.
Padre Generoso in realtà benediceva e seppelliva tutti i morti che poteva, italiani o greci o russi, così come assisteva i feriti di ogni nazionalità. I resti dell’alpino senza nome di cui si parlerà nella puntata di “Chi l’ha visto?” sono interrati sul monte Golico in un luogo indicato da padre Generoso come «bosco tra quota 1143 e quota 1250, tomba numero 34». Padre Generoso lo aveva poi identificato così: «Sconosciuto con segno identificativo giberne ed accanto un bastone con scritta Riva Erminia».
«Gli alpini tornano ogni anno nei luoghi dove hanno perso tanti compagni - riprende Militello - e non perdono mai la speranza di dare un nome e una sepoltura onorevole ai corpi ritrovati lontano da casa».

Incuriosito  da  questo frate   ho fatto in base  agli indizi ivi contenuti  delle ricerche ed  ecco cosa  ho trovato  su di lui

la prima news  è  questo libro   tratta  da http://www.avianieditori.com/

l'altra     da  due siti :   il primo  dell'Ana ( associazione nazionale alpini  )    di cui  trovate  l'url sopra  ad  inizio post  ., il secondo    da  http://www.polcevera.net/


da www.ilgiornaledivicenza.it/galleries/Foto/fotodelgiorno/400484/?refresh_ce


Padre Generoso da Pontedecimo, Attilio Ghiglione fu Tenente Cappellano Militare degli Alpini (8° Battaglione Gemona ) Ha partecipato dal 16.12.1940 al 23.Aprile 1941 col Btg. Alpini e dal 23.4.1941 col Btg. Gemona alle operazioni di guerra sul fronteGreco-Albanese.Dal 8.8.1942 al 13.3.1943 è in Russia col Btg.Alpini Gemona. Dal 25 Settebre 1943 al 28 Aprile 1945 opera con la formazione partigiana 1° Div: Ioppo Friuli ,.Gli viene riconosciuta la qualifica di "Partigiano Combattente" del Triveneto. Decorato con medaglia di guerra al V.M.
Ad Arma di Taggia il suo nome è ricordato sul cippo dedicato agli Alpini.Era sempre presente ai raduni. Ogni tanto tornava in Friuli per trovare i coetanei Alpini, era un Alpino tra gli Alpini.Morì nell'ospedale di Pontedecimo il 26 Novembre 1962. La funzione funebre alla presenza di molti Alpini e confratelli religiosi si tenne nella chiesa del Convento di Pontedecimo. Il suo corpo riposa nel cimitero di Cesino.Il 29 aprile 1995 gli è stato dedicato il nuovo piazzale antistante la piscina.



Era sempre presente ai raduni. Ogni tanto tornava in Friuli per trovare i coetanei Alpini, era un Alpino tra gli Alpini.Morì nell'ospedale di Pontedecimo il 26 Novembre 1962. La funzione funebre alla presenza di molti Alpini e confratelli religiosi si tenne nella chiesa del Convento di Pontedecimo. Il suo corpo riposa nel cimitero di Cesino.Il 29 aprile 1995 gli è stato dedicato il nuovo piazzale antistante la piscina.



Per desiderio della sorella il suo cappello da alpino è stato donato alla Sez. Alpini di Pontedecimo.


l'ombra della vendetta \ five minutes of heaven e l'arbitro

Per il primo film oltre alla colonna sonora in particolare  :    holy pictures e  biry di david  holmes     io ci aggiungerei    Bloody Sunday  - U2

Per  il  secondo
La leva calcistica del'68 - Francesco de Gregori
e  infine   una  che  le riassume  anche  quello che   è  avvenuto  durante  Napoli -  fiorentina 




Nel mio consueto fine settimana   ho visto   due film profondi  , soprattutto il primo  almeno per la situazione che sto passando  . Cercando di  Non di non Pensare al passato,,,.ma assaporare il.presente.... per sentire   Il.profumo del futuro.... .

ecco i film

l'ombra della vendetta \   five minutes of  heaven Gran Bretagna 2009
Regia di Oliver Hirschbiegel
Con Liam Neeson, James Nesbitt, Anamaria Marinca, Juliet Crawford, Niamh Cusack, Mark David, Gerry Doherty, Richard Dormer, Paul Garret

Buono


Un film   che  dalla  traduzione italiana    sembra  scontato  per  come  debba  finire  \  concludersi   invece ..   alt    altrimenti   vi guasto   tutto  .
Un film lento , ma intenso  e  tormentato   per  entrambi  i protagonisti  ( familiare  vittima  )    che per  l'assassino . Un film  che mette i brividi talmente   è ricco di colpi di scena  ( un po' prevedibili   certo  nell'ultimo mezz'ora  ) . <<  un  dramma  politico e psicologico , tesissimo  , ricco di suspence con un ritmo incalzante  >> .(  dal bugiardino  del dvd  )



scelto dopo   la  lettura    dei  nuovi  fatti di cronaca   che  giuingono   dal nord irlanda    , che  rischiano  di minare il faticso  processo di pace  ,:  1) l'arresto  di  jerry adams  .,2)  l'immunità   scoperta    solo  ora   ai terroristi  .
Un film che    tutti i protagonisti  e   i familiari  (  vittime  e carnefici ) degli anni '70\80  anno di piombo e  di strategia della tensione ,  dovrebbero   vedere in modo  da  chiudere definitamente  e lasciarsi ale spalle   quel periodo  che  ancora  come una ferita  aperta  ritorna a  tormentarci  .

per  chi volesse approfondire

http://it.wikipedia.org/wiki/Ulster_Volunteer_Force
http://it.wikipedia.org/wiki/The_Troubles


L'arbitro 

                                    

  -  medio   buono 

un film discreto , un po' prevedibile  , specialmente   la  punizione di  stefano accorsi  e  il suo trasferimento in sardegna  ,  ma  non scontato  . Divertente . Un film  in cui il regista  usa   delle tecniche particolari  :  «. Una delle strade percorse nella mia ricerca estetica è quella della commistione dei toni e dei generi cinematografici. Il tono prevalente è quello comico e leggero, ma ho scelto di contrappuntarlo con dei momenti dalle tinte più cupe, per esempio in alcune delle tappe del percorso che porterà l'arbitro internazionale Cruciani alla "dannazione" professionale, oppure in un'esile sotto trama legata ai codici ancestrali del mondo pastorale della Sardegna. Allo stesso modo, il registro epico e quello grottesco, i toni alti e quelli bassi coesistono e talvolta si alternano in maniera imprevedibile. Da un lato la musica evocativa di Andrea Guerra, la retorica del ralenti e la fotografia elegante e ricercata in bianco e nero, dall'altro i corpi tutt'altro che statuari dei calciatori di infimo livello, il burlesco, il grottesco e una comicità spesso semplice e molto diretta. Ho scelto di usare il bianco e nero anche per ottenere il grado massimo di astrazione dalla realtà e dal tempo, per evitare che il film venga percepito come una rappresentazione oggettiva del mondo del calcio o di un particolare contesto geografico.» (  da http://www.retedeglispettatori.it/ )  .  Un film  che dopo gli scandali  della corruzione  e   i fatti di Fiorentina - Napoli ,  solo per  citarne  gli ultimi  è proprio in tema  .Il regista  è  riuscito  a   fondere   le  due   opere  calcistiche di   stefano  Benni : 1  ) La compagnia dei Celestini; Autore., 2)   bar  dello sport



la felicità cammina piano

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

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