Cerca nel blog

28.12.18

spesso le canzoni edulcorate sono migliori ed incisive di quelle non censurate il caso de la canzone di marinella di De andrè

   a  confermare    quello che  dico  nel  titolo  e   testimoniare  che   non sono  nè complottista    né   un illuso  od  un che si  fa  troppe storie     o  che     ha  una  fervida  immaginazione       c'è      questo articolo di https://www.ragusanews.com/


La prima versione, censurata, de La Canzone di Marinella






In pochi sanno che Fabrizio De Andrè tenne per anni "La Canzone di Marinella" nel cassetto, sapendo che mai avrebbe potuta pubblicarla, per via del suo testo spinto e degno di censura. La prima stesura della canzone è del 1962
De Andrè cantò la versione originale di quel brano solo molti anni dopo la sua pubblicazione ufficiale, in occasione del famoso concerto a "La Bussola" di Viareggio (18 marzo 1975). A raccontare qualche retroscena è l'amico e collega Francesco De Gregori. 
Un giovanissimo Francesco (aveva 18 anni) si divertiva a parodiare un suo mito, Fabrizio De Andrè, cantando "La cacca di Piero". Peccato che una sera, al Folkstudio, si sia presentato Fabrizio De Andrè. De Andrè era in compagnia dell'amico Luigi De Gregori (in arte Luigi Grechi), fratello di Francesco, e sfidò Francesco: "Dai, belìn, faccela sentire". 
"Mio fratello conobbe De André in un bar di Roma, fecero amicizia, bevvero insieme e qualche giorno dopo mio fratello lo porto al Folkstudio dove io suonavo insieme a Venditti e altri, tutti assolutamente sconosciuti. E questo disgraziato di mio fratello dice a De André che io avevo fatto questa ignobile cosa! E De André, che era luciferino, insistette perché la facessi: io non avrei mai osato farlo. Sarebbe stata veramente una cosa da idioti. E invece lui: 'Dai belin, fai sentire questa canzone!'. De André si divertì molto e da lì nacque il nostro rapporto, diventammo amici, tanto che tempo dopo mi invitò persino da lui in Sardegna a lavorare insieme".
Francesco De Gregori racconta: "Lo stesso De Andrè aveva scritto una versione non pubblicabile de La canzone di Marinella". 
Furono gli amici a spiegare a De Andrè che quel testo meritava di essere pubblicato, dopo una revisione dei versi più crudi e volgari.

Ecco il testo:   il pezzo  mancante è in  corsivo  


Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella

sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla tua porta


bianco come la luna il suo cappello
come l’amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue l’aquilone

e c’era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c’era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose le sue mani sui tuoi fianchi


prima fu una carezza ed un bacino
poi si passò decisi sul pompino
e sotto la minaccia del rasoio
fosti costretta al biascico e all’ingoio


dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent’anni ancora alla tua porta

questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno , come le rose

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose.

La prima versione cruda e volgare della canzone è databile, come abbiamo scritto, al 1962. De Andrè disse: “È nata in una versione quasi pornografica, molto spinta. Poi una persona che allora mi era particolarmente vicina mi ha fatto capire che quella canzone poteva diventare un grosso successo, quindi ne è venuta fuori una canzone a cui ci si poteva avvicinare tranquillamente, senza il pericolo di offendere la morale o il buon costume”. 
Ed  diventare  un  

[.... ]   

Dai criteri visti prima si capisce subito che praticamente tutto il canzoniere di De Andrè sembrava fatto apposta per incappare nelle maglie della commissione, dal tema del sesso con annessa terminologia esplicita: Via del Campo o Bocca di rosa, agli sberleffi all'ordine costituito come ne Il gorilla, all'anti-militarismo della Guerra di Piero, alla storia riscritta e sbeffeggiata di Carlo Martello, ai temi "inadatti" trattati nel Cantico dei drogati o nella Ballata del Michè, persino il classico tra i classici di De Andrè, La Canzone di Marinella, era oscurata perché parlava in modo troppo chiaro del rapporto tra Marinella e il Re senza corona e senza scorta e di come fremeva la pelle di Marinella tra le sue braccia: la commissione bocciava tutto, e senza possibilità di accordo. E così proprio in questo modo De Andrè diventava un autore proibito, ma di culto, anzi con nesso forse non casuale, il preferito della generazione del '68. Quando poi, essendo ormai così noto, qualcuno cercava di fare sentire la sua opera, si pescava qualche canzone (peraltro bellissima) ma meno diretta, che quindi poteva passare, ed era ad esempio Fila la lana di ambiente medioevale, oppure una canzone d'amore, come Amore che vieni amore che vai oppure La canzone dell'amore perduto.


[... ]

Fu Mina, nel 1967, a cantare la versione censurata e  "pudica"(mica  tanto  per   il potere  culturale  d'allora    vedi  l'articolo citato  di musicaememoria  )  che fece diventare universalmente noto il suo schivo e dissacrante autore.

Ora  ho  avuto su  facebook una discussione   con    un amico dei miei ed anche mio ex prof      di francese  alle superiori 

*****   
A parte il pompino che mi sembra un verso aggiunto per postare questa cazzata non leggo versi diversi da quelli che ho sempre sentito

Giuseppe Scano caro ***** invece non è una .... perchè un verso fu censurato .infatti se riascolti la canzone o rileggi il testo normale vedrai che manca questo verso

prima fu una carezza ed un bacino
poi si passò decisi sul pompino
e sotto la minaccia del rasoio
fosti costretta al biascico e all’ingoio




27.12.18

che ne dite d'estendere "il buonismo " del natale e delle sue feste anche oltre

  Cercherò di far e mia  la proposta    dell'editoriale di     Angela  Lantosca     per il  numero di dicembre  2018  la  rivista  gratuita  di   https://www.ioacquaesapone.it 




C’è chi si lamenta, chi lo attende con ansia, chi vorrebbe addormentarsi fino al termine delle feste e chi vive per quel giorno. C’è chi lo aspetta per ricevere soldi da spendere in modi poco leciti, chi ha dimenticato perché lo aspetta, chi non vede l’ora dei regali, chi del pranzo, chi di quella quiete di quando vanno via tutti. Poi c’è chi vorrebbe, ma non può. Chi ricorda come era e come non sarà più. Per me il Natale ha acquisito negli anni tanti significati diversi. C’è stato quello dell’infanzia, quello ‘casalingo’. E poi quello passato alla mensa dei poveri o quello in una comunità di recupero per tossicodipendenti. Natali forti, pieni di amore, pieni di senso. Natali lontano dalla famiglia, sia per me che per loro, ma così intensi da farmi sentire più che mai amata e innamorata. Natali che mi hanno fatto comprendere quanto queste feste siano ancora più importanti per chi non ha una famiglia, per chi ha perso tutto, per chi ha in strada la sua casa, per chi sta provando a crederci di nuovo. Sono giorni difficili per chi ha già una vita difficile. Giorni che fanno sentire più forte a volte quel dolore, quella spina che fa fatica ad andare via. Giorni in cui noi, i più fortunati, possiamo rinunciare ad una tradizionale assemblea familiare, che spesso neanche ci fa felici, per donarci a chi ha bisogno di un abbraccio in più. Ma soprattutto per donare a noi stessi ciò che per noi ha più senso (qualunque scelta facciate, importante che sia vera). Ma il Natale non basta. Ho sempre sentito un certo fastidio nel registrare il buonismo tipico di questo periodo dell’anno. O meglio: pur accogliendo sempre con gioia la bontà, seppur indotta, dalle feste, mi sono sempre interrogata su quanto fosse vera e sentita... E soprattutto quanto fosse utile limitarla ad alcuni giorni. è un po’ come quando - giusto per fare un parallelismo - noi giornalisti ci occupiamo di una questione solo perché tutti ne parlano e ci dimentichiamo di trattarla nel resto dell’anno... Allora perché non proviamo a trattenere anche in altri giorni dell’anno quell’atmosfera di accoglienza, di sospensione di ogni belligeranza, di tregua? Perché non proviamo ad arrivare almeno alla Befana!?

anche le risposte ovvie e scontate posso far riflettee . cosa fare sul femminicidio oltre scarpe rosse e panchine rosa ?

non insegnare a tua figlia ad essere preda ,insegna a tuo figlio a non essere cacciatore
 joumana haddad poetessa libanese





La domanda più frequente che mi viene fatta ogni qualvolta che     riporto   storie    o  notizie  di femminicidi   ( veri post precedente    )     o condivido       post    come   questo  della carisma  amica   ed  utente  di questo  blog  e  della  pagina  fb  adesso collegata   #danielatuscano  
© 
L'immagine può contenere: 7 persone, persone che sorridono

     ma   sai solo   dire  bla....  bla.... sul femminicidio   ,  cosa  faresti di concreto     oltre    a raccontare  le loro storie   ed  a  criticare    quando  fanno delle manifestazioni   ( creative  o meno  )    ?  Questa  è   la  domanda  che  mi  è stata  rivolta    da  un parente  durante   che    evidentemnte    sà o ,i segue     un incontro 2 mangereccio "  - conviviale    natalizio 

La  risposta   è semplice  quasi banale  ,  scontata  , ma  di difficile applicazione   ( salvo  qualche caso  sporadico     di gente  coraggiosa   che affronta le  forti resistenze  culturali😒🤔 , ideologiche    e  conservatrici    e  che  se   ne  frega  di  "quelli che  ben pensano " ) perché
se  t'indigni perchè  un bambino   africano    muore  di   fame    va bene   ma  se ne denunci   il perchè    sei un comunista  .   
Comunque  anche e  dovrebbe  essere  chiaro  per  quello che  scrivo  e\o  condivido con i i miei post  o  "  editoriali  ( come li  chiamano i miei    familiari  )  qui  e    sui  miei social  Facebook   in particolare     dovrebbe essere  chiaro     che   cosa  farai   o che  cosa  proporrei   . per   ridurre  e  portare  via   via    alla scomparsa    o   quanto meno  a ridurlo    quasi a zero     tale  becero fenomeno    da  cui nessuno  di noi  , sottoscritto  compreso  può  dirsi immune  .  Lo ripeto in quanto  il  femminicidio  , vedi il caso  Carolina picchio  solo  per citare  il  più noto ,  è  collegato    ed  è l'estrema  conseguenza  del   Cyber  \ nuovo bullismo  

  •  educazione  sessuale  e  all'affettività     , in maniera  graduale     dai  2 ai 18  quella  che queli che   ben pensano    chiamano  impropriamente  educazione  \  cultura  gender  
  •   educazione   alla diversità , alla  comprensione  ,  rispetto  dell'altro   
  • educare   i ragazzi \ e a    combattere   le  idee  sbagliate  ( razzismo  ,  dittature , ecc )   senza odiare  le persone    ad  non essere prevaricatori      su gli altri\e  
  •   educarli    ad  andare  al di là  degli stereotipi  preda     e cacciatore  
 Insomma   partire  o ripartire    da   ,  mi  scuso    se    mi ripeto   visto che  l'ho  proposta    altre  volte  ma   Gaber   uno di quelli che    vede  lontano ,  da  questa   canzone 






24.12.18

Violenza sulle donne | La storia di Marta che dopo le botte e lo stalking ha detto basta e trovato la forza per denunciarlo






LEGGI ANCHE:



Risultati immagini per amore malato
lo so che siano a natale e nessuno \ a di voi vorrai sentire o leggerle storie come questa , ma purtroppo le vigliaccate ed i femminicidi non conoscono pause e riposo  come  dimostra quello  successo ieri ad   Alghero    . Tale  storia  sarà pure  di  novembre       ma  tali  vicende   e testimonianze  non hanno   tempo  .  Noi altro prchè il video e la storia dice tutto . Ma un appello   voglio dirlo  quindi care donne ribellatevi e picchateci pure quando noi uomini vi trattiamo cosi .

Ecco da   https://www.tpi.it/2018/11/28/  una  classica  storia    d'amore  malato      diventato quaso  femminicidio  . Deriva  bloccata  dalla  protagonista   che   dopo le  numerose   botte  e violenze  ha  saputo dire    BASTA    e r ribellarsi   ad  tale situazione  .  Dopo     queto spiegone  ecco la storia  






Quando aveva 18 anni Marta si è innamorata di un ragazzo e i due hanno iniziato una relazione che “all’inizio sembrava normalissima”. Poi è arrivato il controllo, e poi i sospetti, la violenza e i ricoveri in ospedale.
All’inizio sono i genitori di Marta che provano a salvarla: denunciano il fidanzato e cercano di allontanarlo da lei. Ma lei non vuole, lo difende, lo ama e ha paura. Resta con lui per tre anni: “Lui riusciva a raggirarmi con le parole. Ma non era amore. L’amore vero è un altro”, racconta.
Poi la svolta: una nuova relazione, il ritorno a casa dai genitori e il desiderio di cominciare a vivere. Ora è Marta a volersi salvare. E finalmente lo denuncia. In questo video, 

vincitore del premio giornalistico Tania Passa (sezione scuole di giornalismo), Marta racconta la sua storia e come è riuscita a sopravvivere.


23.12.18

Ludovico Spròcani, detto Vico, il ragazzo che s'oppose alle leggi razziali italiani



di Alessandro Marzo Magno

L'eroe del liceo Marco Polo, il ragazzo che si oppose alle leggi razziali, riemerge dalle brume della storia. FinalmenteLudovico Spròcani, detto Vico, ha un volto e una storia. D'altra parte niente di strano che i suoi familiari non sapessero nulla di cosa fosse accaduto all'esame di maturità classica del 1939: da uomo riservato qual era, non l'aveva mai raccontato. L'ebrea veneziana protagonista di quell'episodio era Giuliana Coen, che dopo aver sposato Guido Camerino ed esser divenuta una stilista, sarebbe diventata famosa come Roberta di Camerino.Nel suo libro di memorie, R come Roberta, pubblicato nel 1981, spiega com'era andata: «Quella mattina entriamo in classe e assisto alla prima sorpresa. Tutti i banchi sono in fila, come sempre. Ma ce ne sono due in un canto, un po' scostati. Io faccio per sedermi a caso, quando mi arriva alle spalle un professore e mi dice: No, laggiù per favore, e indica uno dei banchi messi da parte. Quasi nessuno si accorge di quel che sta accadendo perché c'è il solito trambusto, gli amici cercano di stare insieme, c'è chi cambia idea all'ultimo momento, chi baratta il suo con un altro posto. Alla fine siamo tutti seduti. C'è un attimo di silenzio, finalmente. Ed è in quel momento che, da un banco centrale, si alza un ragazzo. Non è bianco, è un mulatto. Alza la mano, per poter parlare. È il figlio di una principessa eritrea e d'un generale italiano. Volevo sapere perché quei candidati son tenuti da parte. Ha una voce sonora, un accento romanesco, ma elegante. Il professore ha un momento d'imbarazzo, ma si riprende. Sono privatisti. Il mulatto sorride. Certo: privatisti. Ma perché sono ebrei, non è vero?. Questa volta l'imbarazzo del professore è più evidente. Se è per una questione di razza, nemmeno io sono ariano, come certo non vi sarà sfuggito, non è vero? Perciò, con il suo permesso.... Ma non aspetta il permesso di nessuno. Prende l'ultimo banco della fila, che era vuoto, e lo spinge verso i nostri, di lato. Allora accade l'imprevedibile, davvero. Tutta la classe si alza, prendono anche il mio banco. In un niente la classe è tornata normale: tutti i banchi tornano in tre file, noi siamo con gli altri. Il giovane mulatto, prima di sedersi a sua volta, fa un rigoroso inchino al professore. C'è un attimo di silenzio. L'insegnante è turbato. Si leva gli occhiali, passa una mano sugli occhi. Poi, quasi parlando a se stesso, ma lo sentiamo benissimo dal posto, si lascia scappare un: Vorrei abbracciarvi tutti quanti».
IL PROTAGONISTA
Il ragazzo mulatto che si alza per primo e scatena una reazione da Attimo fuggente è Vico Sprocani; il registro della maturità dice che è nato a Cheren (colonia eritrea) oggi Keren e che viene promosso a settembre dopo aver ridato l'esame di matematica e fisica. Giuliana non è l'unica Coen a dare l'esame: c'è anche Lilla (sua grande amica, ma non parente) e un'altra privatista ebrea si chiama Nelly Basevi.
Di Sprocani non si sapeva altro, se non che nel dopoguerra diventa direttore a Venezia di un giornale dell'Uomo Qualunque, la formazione politica che ebbe grande successo nelle elezioni del 1946, e poi si trasferisce a Gallarate con la moglie veneziana. Ora, grazie a un articolo su internet e a un messaggio su Facebook, è possibile ripercorrerne la vita.
Sprocani durante la guerra è ufficiale di cavalleria e va a combattere in Russia. Quando torna si laurea in giurisprudenza a Padova e va a fare pratica nello studio legale Dian, di fronte al teatro Goldoni. Conosce quella che diventerà sua moglie, Adalgisa Cendali, zia di Giancarlo e Andrea Faccini, ovvero coloro che hanno rintracciato chi scrive e che raccontano la storia del congiunto. Nel frattempo Vico era rimasto orfano di madre e poco prima di sposarsi perde anche il padre. Dopo il matrimonio, siamo all'inizio degli anni Cinquanta, si trasferisce a Gallarate dove fa l'agente di commercio. Giancarlo Faccini, che diventa direttore acquisti della Coin, lo incontra quando va per lavoro a Milano (poi si trasferirà a Monza con la famiglia).
IL LEGAME CON VENEZIA
Vico e Adalgisa rimangono legati ai loro parenti veneziani: d'estate vanno in vacanza al Lido, d'inverno a Falcade, dove acquistano una casa. Come spesso accade alle coppie senza figli, si affezionano moltissimo ai nipoti. Andrea è il primo nato tra i nipoti e ricorda le partite a briscola con lo zio che amava giocare a carte, mentre non amava affatto perdere.
Era un uomo affabile, generoso, riservato, istruito, di portamento quasi aristocratico (un vero ufficiale di cavalleria, si potrebbe dire), amava lo sport e praticava il tennis. Parlava poco di sé: oltre a non aver mai detto nulla dell'episodio del Marco Polo, l'unica cosa che raccontava della campagna di Russia era il pericolo dei gatti selvatici che attaccavano in branchi (ma non costituivano l'unico rischio per i soldati in Russia). I vecchi amici di Gallarate lo ricordano alto, elegante, e sottolineano che la moglie era una donna bellissima. Fumava sigarette svizzere.
Gli piaceva socializzare e odiava le discriminazioni. Mantiene per sempre il vizietto di intervenire per evitare i soprusi. Sprocani era un convinto monarchico, disprezzava Vittorio Emauele III, mentre apprezzava moltissimo Umberto II che considerava «il suo re» e andava tutti gli anni a trovarlo a Cascais, in occasione del compleanno. Proprio durante uno di quei viaggi, mentre si trovava a tavola con l'ex sovrano esiliato, Vico Sprocani muore all'improvviso. Era il 1983. La moglie va in Portogallo per riportarlo in Italia e seppellirlo nella tomba di famiglia, nell'isola di San Michele. Poco tempo dopo la vedova lascia Gallarate e si trasferisce a vivere con la sorella a Mestre, dove muore nel 2015.
IL RICORDO
Sprocani non aveva discendenti diretti e i parenti della moglie oggi vivono tra Monza, Mestre e il Lido di Venezia. Nessuno di loro conosceva la storia della maturità del 1939, tra l'altro Giuliana Coen Camerino nel suo libro non faceva il nome dell'eroico compagno di scuola. Chi scrive l'aveva intervistata nella sua casa di Lugano nel marzo del 2009 poco più di un anno dopo è morta e la stilista aveva rivelato il nome del giovane; l'allora preside del Marco Polo aveva recuperato i verbali di quella maturità. Ora, quasi dieci anni più tardi, il cerchio si chiude e il «ragazzo mulatto» ha un nome, un volto e una storia. E tutti dovremmo ringraziarlo per quello che ha fatto

Soprattutto in periodo  , in italia  ,  dove   nessuno o  quasi  s'oppose   .  in quanto la maggior pare  rimasero  zitti  ed  indifferenti  

Un percorso rieducativo può bastare? E la violenza sessuale di gruppo? Ci sono sentenze incomprensibili e ingiuste, come quellla sul caso di carolina picchio

in sottofondo





 per  chi  lo avesse dimenticato   o  non   lo sapesse ( anhe se   ne  dubito )





A me non basta che se la cavino servendo pasti alla mensa dei poveri  ,  come    alcuni  d'essi  ,nobilissima attività che può fare chiunque senza aver commesso alcun reato. Ma cosi hanno deciso i giudici, ci tocca accettarlo.  come  sembra  dire il legale della famiglia Picchio   a https://www.quotidiano.net/cronaca/carolina-picchio-1.4354245
[...]

«Questo istituto della messa alla prova – ha commentato anna Livia Pennetta, avvocato della famiglia picchio – è considerato fiore all’occhiello del processo penale minorile perché consente l’applicazione della mediazione penale e delle altre strategie di giustizia riparativa. Mi rendo conto che questi giovani all’epoca dei fatti erano minorenni e quindi della necessità di un loro recupero perché sicuramente dopo questo periodo di messa alla prova non commetteranno più atti violenti dettati da immaturità e da un uso non consapevole del web, ma come avvocato della famiglia credo che il dolore per la scomparsa di Carolina non possa essere compensato da qualsiasi esito di proscioglimento».                                                                                                                  [...] 



Infatti   Fa molto effetto. Bisogna soffermarsi a pensare che anche i colpevoli sono minorenni. . Però resta questa sensazione di ingiustizia profonda di fronte a una morte del genere. Un femminicidio via cyberbullismo.  Infatti    siamo  una società sottosviluppata, incivile, maleducata, estremamente ma profondamente superficiale, bestiale e vile. Una società fittiziamente moralista dove la sessualità è "strumentalizzata","discriminata" e reputata "turpe o vanto a seconda del genere- uomo o donna che la praticano". Una società dove nelle scuole l' educazione sessuale è azzerata,manca  l'educazione  all'effettività  perchè  ciò viene scambiato per   cultura  gender  ,  dove si "scrutano" le persone che comprano i preservativi alle macchinette, dove si isolano e denigrano bambini di coppie omosessuali ed omosessuali stessi e dall' altro lato troviamo una pseudo e rigorosa morale cattolica costituita da finto perbenismo celante casi su casi di pedofilia  ecclessiastica .

Una società insomma  dove rientrare a casa la sera o prendere il treno la mattina presto è: "Pericoloso"o  fastidioso   per una donna o una ragazza sola.Una società dove -tendenzialmente - il maschio  l'uomo non  si imita    solo  a  "guardare e lusingare  una Donna", bensì "la ammicca con tono e ghigno beffardo!" Una società vittima e artefice del suo irrimediabile "Vuoto".



odio e pregiudizio




quanto odio che c'è e quanti pregiudizi . se avevi i sospetto che ti abbiano o abbiano rubato chiamo la polizia e le denunci .

la risposta è nel vento

  canzone  consigliata  
una delle mie tante elucubrazioni \ seghe mentali destinate a finire nel vento a che serve creare \ vivere se la tua opera viene ditrutta e tu devi semore ricostruire , villipesa o usata d'altri magari spacciandola per propria ?
   credo che  la  risposta   ,  per  il momento  ,    ,  sia    qui   in questa  canzone  in particolare  in queste  rime  qua 



Ma c'è un gioco da fare e una ruota che riparte E un vagabondo sa che deve andare avanti. in fondo non è niente È la vita È la vita soltanto

22.12.18

Mamma suicida nel Tevere, in quel gesto tutta l’indifferenza della società per le donne e il inismo dei giornali

Mamma suicida nel Tevere, in quel gesto tutta l’indifferenza della società per le donne
A mente fredda e e mettendo da parte il mio intento di giudicare e di fare considerazioni sulle motivazioni del suo gesto insomma   fare  cosi  :
<< ( .... ) Se tu penserai, se giudicherai \ da buon borghese li condannerai a cinquemila anni più le spese \ma se capirai, se li cercherai fino in fondo \se non sono gigli son pur sempre figli \ vittime di questo mondo. ( cit musicale ) >>   se  non  qualcosa  di simile  a  quanti scrive 
 Maddy Gabry  un  mio contatto  facebook : << Siamo diventati troppo egoisti...non abbiamo piu spazio per gli altri !! Capisco la sua disperazione e sono indignata poiche non c e' stato nessuno ad aiutarla nel suo dramna😢>>come riesco a parlare di questa tragedia . Ma come spesso mi accade davani a simili eventi non riesco a trovare parole che non sian le classiche e di circostanza , riporto un belllissim pensiero della nostra utente Daniela Tuscano ch ha perfettamente nel giudicare tale giornalaccio ( metaforicamente parlando ) come una cloaca .







Daniela Tuscano ha condiviso un post nel gruppo: ColorPorpora.

Salvo Di Grazia Mi piace
7 h · 


La prima volta che l'ho visto sono rimasto allibito, pensavo al solito titolo finto, a "humor nero", invece è tutto vero.
Il giornale Libero, a proposito della notizia di una donna neonamma che si è suicidata uccidendo anche i propri figli, pubblica un articolo a firma di Brunella Bolloli che si intitola "Mamma poco affettuosa si uccide con due bimbe".

La giornalista non si crea problemi a giudicare dall'alto della sua perfezione l'affetto di una donna che si uccide e uccide ciò che più ha di caro nella vita: nessuna pietà, quella mamma era "poco affettuosa".
I giornalisti però ogni tanto devono aggiornarsi e qualcuno un giorno dirà alla signora Bolloli che esiste un male terribile, molto difficile da curare. Si chiama "depressione post partum".
Gli inglese tentanto di alleggerire questo problema chiamandolo "post partum blues" ma non cambia il problema di fondo.

Il parto, evento bellissimo, è spesso un cambiamento importante nella vita fisica e psicologica della donna e questo è vissuto da ognuna in maniera diversa. Ci sono poi i contorni. Donne letteralmente abbandonate, altre trascurate, famiglie inesistenti, doveri, obblighi, responsabilità. Poco sonno. Stanchezza.Questo può causare gravissime conseguenze, un male profondo.Ci sono due modi per curare questo male: la medicina e l'affetto di chi ti sta attorno. Spesso funzionano.Quella giornalista, che sicuramente mai ha sofferto e mai soffrirà di depressione post partum, ha condannato la "mamma poco affettuosa", non le ha dato nessuna possibilità, l'ha giudicata e ha deciso la causa della tragedia.
Invece io sono dispiaciuto per quella mamma che ha fatto il gesto più pesante per lei ma anche per la società, una mamma che ha ucciso i propri figli non è "poco affettuosa", probabilmente ha ricevuto "poco affetto". Questo titolo è un po' lo specchio della nostra società, pronta a giudicare il prossimo e pensare solo a se stessi e non agli altri, specie se non ci servono.
Alla signora Bolloli, sicuramente bravissima giornalista e mamma, auguro buone feste, piene di calore, di amore e di affetto.

Niente  di  più  vero .   infatti    come  dice  Manuela Campitelli   Giornalista e ideatrice di www.genitoriprecari.it 
 Su  ilfattoquotidiano del  22\12\2018
Fa male leggere la vicenda della donna che a Roma si è buttata nel Tevere con le due bambine in braccio con la prospettiva del giudizio. È una prospettiva filtrata dal sentenze facili, da verdetti e processi ingiusti. Lei, 38 anni e un vissuto che nessuno può sindacare, deve aver sofferto molto perché nessuno decide di togliersi la vita se è felice. Solo questo possiamo dire di lei.
Non possiamo dire se fosse stata o meno una buona madre (in base a quali parametri?), una madre affettiva o anaffettiva. Non lo possiamo dire perché noi giornalisti non la conoscevamo e perché non è questo il punto da cui partire.Il punto di partenza è raccontare, semmai, della fragilità comune che lega tante mamme, di come sia possibile e necessario aiutarle, di come i nonni non sempre servano e non sempre ci siano, di come l’unica a essere veramente anaffettiva è la società che ci circonda, fatta di solitudini immense, di cadute quotidiane senza paracolpi, di mamme lontane mille miglia dall’idea che si erano costruite di loro stesse, perché oggi se fallisci e non sei invincibile non puoi competere.Nei giudizi dati a quella mamma c’è tutta l’indifferenza che è cucita dietro a quel gesto estremo. C’è tutta la verità di donne che vivono in un sistema che non contempla la persona dopo la gravidanza, la donna dietro la mamma, la fatica dietro ogni gesto. Che non contempla persino la fatica di lavorare fino al nono mese di gravidanza e del ricatto che dovranno scontare per questa decisione le tante mamme precarie. Mamme tirate da ogni parte, da un lato devi allattare, dall’altro devi tornare a lavoro, da un lato devi produrre, dall’altro devi accudire. [ .... ] Una fatica complessa, la nostra: psicologica, lavorativa, fisica, senza identità e senza riconoscimento. Una fatica legata alla spossatezza dopo il parto, all’incertezza, alla città che ci fa sentire sempre un po’ più sole in mezzo a tanta gente. Sole le mamme e soli i papà, che non è detto possano sempre sopperire a tantoCiao Pina, la verità è che non abbiamo saputo ascoltarti.






la buona creanza da scandalo in un periodo di maleducazione imperante . il caso di cuffaro che alza la mano per chiedere di parlare e non interrompe




premetto che non mi piace la sua filosofia di stampo sofista o di filosofo da salotto ma in tempi come questi fatti di volgarità e di discorsi e dibattiti urlati gli do ragione .  Una  cpsa  simile  la  dicevo   nel precedente  post  : << se impariamo  l'importanza  delle parole inparemo ad : odiare  di meno    e   le persone  giuste     e  non quelle  che  ci  dice  la propaganda  >>


 da   ilfattoquotidiano


Alzo la mano per chiedere la parola. Sì, sono scandaloso





Società | 22 dicembre 2018



Diego Fusaro
Filosofo

Ho riflettuto lungamente prima di mettere nero su bianco queste poche righe su un tema che può, prima facie, apparire del tutto irrilevante. E tale, in effetti, sarebbe, se non fosse rivelativo di qualcosa di più profondo, che invece marginale non è affatto. Quando mi capita di prendere parte alle trasmissioni televisive e di confrontarmi, per mia consuetudine non mi sovrappongo alle altre voci. Né interrompo. Né, ancora, procedo per ingiurie strillate. Mi limito, invece, a un gesto placido e rispettoso, che – lo so bene – non va più di moda da parecchio tempo. Alludo al vetusto garbo del dito alzato, con il quale pacatamente chiedo la parola al moderatore o alla moderatrice di turno.Lo ammetto e lo svelo: se alzo con inflessibile tenacia il dito, è anche per rovesciare gli schemi più collaudati. Il pensare altrimenti non parte, forse, anche da piccoli gesti quotidiani, da semplici posture e da immediati contegni che rovesciano quelli, particolarmente sgarbati e violenti, della prosaica società omologata di cui siamo abitatori? È ad effetto – ne converrete – assistere al triste spettacolo di schiamazzi e urla, ma poi anche di interruzioni fastidiose e repentine prima che un discorso e un concetto siano stati svolti compiutamente, e poi, inatteso, vedere qualcuno che alza con olimpica compostezza e atarassica quiete il dito per chiedere la parola. È un’inversione completa rispetto ai moduli imperanti.Nell’odierna epoca del “cogito interrotto” è già, nel suo piccolo, un gesto di rivolta. Una vibrante protesta contro la società della maleducazione e dello sgarbo, la società cioè che, ove non appaia insoddisfatta di sé, è sempre e solo volgare. La cosa più esilarante è la reazione degli interlocutori. I quali, sempre intenti a sovrapporsi e a togliersi la parola, si rivelano palesemente infastiditi da quel gesto d’altri tempi, da quel garbo non richiesto, che – ancor prima che si dica alcunché – già smaschera la falsità completa della società a forma di merce e del suo spettacolo elogiativo permanente, fintamente pluralistico.Le urla e le interruzioni passano per fisiologiche. Ma il dito alzato no. Esso è inaccettabile e scandaloso, fuori posto e, di più, già in contrasto con la struttura dominante. Rivela un importuno non allineamento, una mancata omologazione con il disordinato ordine dominante.


 finamente  qualcuno    sra iniziando  a protestare  contro tale  forma  di televisione   soprattutto  nelle  erasmissioni  d'attualità  e  di politica   dove  non si capisce niente     o  non  riesce  a seguire  un dibattito perchè  tutti urlano  e    si parlano  sopra  e  fanno  a  gara  a  chi   alza  di  più la  voce   .  Ecco  perchè il  gesto  di  un filosofo da  salotto     da  scandalo

ma come ..... funzionano i servizi sociali ? il caso di marco 3 anni e 4 case diverse ogni volta

Molti mi diranno ma  che  ne  sai  tu   di queste  cose    ?  sei  un assistente  sociale  ?  hai studiato psicologia  o diritto  ?  .  No  non ho  studiato   nessuna dele due  , però  il buon senso  mi dice   che  ciò non  va   ed  non  un bene  per  un bambino  ,  in particolare  di quest'età  . Ma  soprattutto  il giro di denaro  e  d'interessi  che   ci sono dietro  gli affidi  .  Il caso  , ne  ho parlato  precedentemente    ,  di Mirandola    racontato  dall'inchiesta  veleno  di Paolo Trincia ,   lo   dimostra  .  



Quattro case in tre anni. Una vita che nemmeno un bandito in fuga accetterebbe di fare. Ma il protagonista della storiaccia è obbligato, perché ha appena tre anni di età e perché a decidere più o meno allegramente della sua vita sono gli adulti.
Tutto accade nella civile e tranquilla Verona. Per Marco l’inizio è l’allontanamento – poco dopo la nascita – dalla madre tossicodipendente. Viene affidato ai nonni materni, entrambi meno che sessantenni e quindi con la giusta età per poter gestire il bimbo.
Situazione ideale? Per ben poco tempo, perché la stessa assistente sociale – si badi bene, la stessa – compila una relazione nella quale in buona sostanza sostiene che se la nonna non è stata in grado di evitare alla figlia di cadere nella tossicodipendenza, figuriamoci se potrà allevare nei modi dovuti il nipotino.
Un’analisi che si presta a cento diverse opinioni in merito, ma che – questa è la vera cosa bizzarra – viene spedita al Tribunale Dei Minori ad affido già iniziato, quando sarebbe stata decisamente più plausibile al momento di decidere presso chi collocare il piccolo.
A questo punto Marco entra nella sua terza casa. Presso conoscenti di famiglia, nel cosiddetto regime di affidamento eterofamigliare. Tutto secondo le leggi 184 del 1983 e 149 del 2001 che stabiliscono tra l’altro – attenzione! – che il minore mantenga i rapporti stabili con la famiglia di origine. Non accade quasi mai, ma questa volta sì: i genitori affidatari consentono a Marco di avere frequenti contatti con i nonni (la mamma è in un centro di recupero) e a questi di interessarsi dello stato del nipotino.Un caso esemplare.
Eppure entra di nuovo in campo la stessa assistente sociale che compila una nuova relazione nella quale sostiene che così non va bene, che si tratta di un affido per modo di dire. E Marco entra in una casa famiglia. La sua quarta casa, che di casa ha assai poco e di famiglia non ha più nulla.
Fin qui la storia. Ma ora si passa alla cronaca delle reazioni e alle riflessioni sul sistema.
Cominciamo col dire che l’assistente sociale in questione appartiene ai servizi del Comune di Verona, diretta dell’assessorato relativo e con responsabilità giuridica del sindaco, sotto la cui tutela vanno per legge i bambini tolti alle famiglie di origine. Aggiungiamo poi anche che a prendere le decisioni sui destini del bambino è il Giudice dei Minori competente per territorio, nel caso del Tribunale Minorile di Venezia, ma che di fatto le relazioni degli assistenti sociali assai raramente vengono messe in discussione, al massimo mitigate un poco, ma sono comunque la prova principale sulla quale il giudice basa la sua decisione.
Solo per dovere di cronaca – dal momento che il tema ha frequentemente trovato spazio nel dibattito pubblico e di stampa – va detto che la famiglia affidataria gode (almeno in Veneto) di circa 500 euro al mese di fondo regionale e la casa famiglia viene finanziata con una cifra giornaliera che va dai 70 ai 400 euro, cioè un minimo di oltre 2000 euro al mese, con una media di circa 3000.
Passiamo alla cronaca delle reazioni. Ovviamente tutte di denuncia, ma con una bizzarra presa di posizione da parte del Comune e del sindaco di Verona in particolare: scandalizzato per l’odissea del piccolo Marco ha assicurato il suo intervento sul Giudice minorile.
Qualcosa però non torna. E si tratta sempre di norme che esistono solo sulla carta e di discrezionalità pericolose. Molto pericolose. Gli articoli 354 e 402 fanno attribuire al sindaco del Comune dove il minore è residente una responsabilità direttache dovrebbe consentirgli di intervenire presto ed efficacemente, al di fuori dalla pastoie burocratiche. Ma è evidente che non può essere così.
Il primo cittadino è anche responsabile delle azioni dell’assistente sociale, dipendente del Comune. Quindi non è sul Giudice dei Minori che si deve intervenire a questo punto, ma invece sull’operatore. Eventualità decisamente remota, anche perché danneggerebbe gravemente l’immagine politica dell’amministrazione.
C’è poi la questione dei rapporti che il minore affidato dovrebbe continuare ad avere con la famiglia di origine: una norma in genere disattesa e che – per una volta che si realizza – è stata in questo casomotivo di censura. Ancora il fatto che il giudice minorile di fatto non abbia strumenti per mettere in discussione la relazione dei servizi sociali, che è quindi sempre determinate.
Infine la questione economica. In genere le case famiglia accolgono non più di sei minori in tenera età. Quindi nel caso del contributo minimo, una struttura incassa 12.000 euro al mese. Cosa non funziona in definitiva? Tutto o quasi. E andarlo a raccontare a Marco è dura.

Concludo   anticipando l'eventuali domande  : <<  ma  cosa  ne  sai tu sei uno psicologo \  psichiatra  ?    hai studiato  sociologia    o sienze  dell'educazione  ?   per  giudicare   ed  intervenire     \ parlare  di ciò  >>  oppure  tu cosa  faresti    al loro  posto ?
No    non ho studiato  e  non sono  ciò  che non sono  cioè uno psicologo \ psichiatra  . ,  ma parlo attraverso il buon senso  , non si  può  endere   imposibile  la  vita , soprattutto in una età   simile  ad  un bambino\a  . Cosa  avrei fatto ?     Lo lascerei o  al 1  o  al  II  affido   ed  avrei fatto  tali cambiamenti   solo  dopo  una perizia  definitiva   , laciando  ai genitori di ei la possibiità  di  poter rimediare  ad  i  loro  precedenti errori  la  tossicodipendenza della madre . 

Fenomeno Marcin: tra classica e flamenco, la Quinta di Beethoven alla chitarra è da brivido

  chi lo dice   che  la  musica  classica      anzi meglio ,  in quanto  :  i confini della categoria sono sfumati e opinabili, in quanto il marchio di classicità viene in genere assegnato dai posteri; dunque, ciò che oggi si definisce "classico" non lo era necessariamente ai tempi in cui venne composto. In particolare, a seconda dei contesti il concetto di "musica classica" può includere o no la musica colta contemporanea  , sinfonica       non abbia  futuro e  sia  solo anticaglie    o roba per  nostalgici     credo che  cambierà idea   dopo  questa  rielaborazione   della  5  sinfonia     di Beethoven




A metà strada tra le sonorità classiche e i ritmi spagnoleggianti, una versione così della Quinta Sinfonia di Beethoven non l'avete mai sentita. L'ha inventata Marcin Patrzalek, 18 anni, polacco. Conquistando 10 milioni di visualizzazioni su Facebook. Marcin ha appena vinto la nuova edizione di 'Tu si que vales', il talent show di Mediaset, conquistando il 54% degli spettatori e 100mila euro, con i quali andrà a studiare negli Stati Uniti. Il suo talento è esploso grazie a YouTube, dove ha registrato 30milioni di visualizzazioni con una cover di Toxicity e 12 milioni con la sua Paganini rendition. La sua specialità è il il fingerstyle, la tecnica di pizzicare le corde col dito senza plettro. A questa ha unito l'uso della cassa della chitarra nel "Percussive Fingerstyle". Ha iniziato a suonare a 10 anni per caso, quando il padre lo iscrisse a un corso di chitarra per occuparlo durante l'estate. Dopo tre mesi è arrivato il suo primo premio. Poi, a soli 14 anni, ha vinto il talent Must Be The Music Poland


ottima rielaborazione specie dell'incipit ovvero de Il primo movimento ("Allegro con brio") è forse la pagina più celebre e drammatica scritta dall'autore: inizia con il famoso motivo di quattro note (riportato qui sopra) che, secondo le parole dello stesso Beethoven, rappresenta "il destino che bussa alla porta", popolarmente interpretato come l'inquietudine per la sordità crescente [2]. Strutturalmente, si tratta di un movimento in forma-sonata, in cui il tema principale deriva integralmente da questo motivo iniziale di quattro note; lo stesso tema secondario, esposto, conformemente alle regole scolastiche, in Mi bemolle maggiore (che è per l'appunto la tonalità relativa maggiore di Do minore), appare contrappuntato dal motivo iniziale della sinfonia e rimane del tutto escluso dal successivo sviluppo, basato esclusivamente sul primo tema.

La favola di Pio, portiere che non sente campione nel silenzio

coraggio Pio , anche se non sono completamente non udente come te , capisco benissimo la tua lotta , in quanto anch'io ho fortissimi problemi d'udito .



La favola di Pio, portiere che non sente campione nel silenzio
Calcio e inclusione. Il ragazzo di 17 anni, non udente dalla nascita, gioca coi “normodotati” dell’Atletico Vitalica di Sarno

di  PASQUALE RAICALDO

In fondo ha dovuto semplicemente fare quello che ama più di tutto: parare. Però era emozionato, Pio Grimaldi, classe 2001, quando domenica 9 dicembre ha esordito tra i pali dell'Under 19 dell'Atletico Vitalica, una squadra di calcio a 5 di Sarno, nel Salernitano, il cui nome che è già un inno alla gioia di vivere. Per lui è stata una prima volta importante: mai aveva giocato tra i cosiddetti "normodotati", lui che è non udente dalla...  continua  nella  versione a pagamento di    https://rep.repubblica.it/

ma  curioso  cme sono   ho cercato altri siti free    ecco cosa  ho trovato   cercando con google  
  

da  https://www.lacittadisalerno.it/


Salerno Calcio a 5

La favola di Pio, diciassettenne portiere senza parola ed udito

Ha esordito con la maglia del Vitalica Sarno contro la Nocerina
Sergio Macellaro
Pubblicato: martedì 11.12.2018 alle 12:10
SALERNO – Una storia d’amore per lo sport che supera tutta le barriere. Lui non può parlare né sentire come gli altri, lo fa con gli occhi e con il cuore. Il diciassettenne Pio Grimaldi ha esordito nel campionato Under 19 regionale di calcio a 5 come portiere dell’Atletico Vitalica, nonostante sia un non udente. «Noi il nostro campionato lo abbiamo già vinto», sottolinea Nello Gaito, presidente del club sarnese.I calciatori del Vitalica a fine gara hanno festeggiato la vittoria 4-2 con i pari età della Nocerina, ma più di tutto hanno voluto rivivere insieme l’esordio del loro compagno che con gli occhi sprizzava felicità. «Si sta davvero impegnando a fondo e meritava senza ombra di dubbio l’esordio – le parole dell’allenatore Francesco Manco -. Quando gli ho detto di prepararsi ci siamo guardati negli occhi, entrambi ci siamo emozionati. Una volta in campo ha dato una bella dimostrazione di gioco e gli ho spiegato che pian piano avrà sempre più spazio.Un grazie va anche a Daniele Mazzuolo, altro nostro portiere, che gli sta dando una grande mano. Francamente il risultato è passato davvero in secondo piano, vedere la gioia di quel ragazzo ci ha reso tutti più felici. Lo sport può veramente dare tanto a tutti noi».


Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...