20.3.21

Parigi, se la parola “donna” fa paura: mostra di ritratti femminili vandalizzata dalle transfemministe

premetto che ho un altra idea sulla prostituzione dev'essere lasciata libertà alla donnao anche se minoritaria quella maschile se vuole esercitarla in proprio o unendosi facendo una cooperativa se maggiorenne e non sotto pappone \ magniaccia magari pagando le tasse ed avendo una pensione . Ma un conto è una discussione(  come  quella  avvenuta    sui  social    fra  me  ed  alcune  femministe  )  anche dura con qualche insulto da parte delle femministe dure e pure , ma arrivare come è successo recentemente , vedere per ulteriore approffondimento articolo sotto , proprio non ci sto . Questo è un attivismo che anziché costruire e lottare per un proprio spazio, condivisibile o meno che sia distrugge e invade quello degli altri. Il preludio a tale atto di vandalismo è stata l‘agguato alla manifestazione del Collettivo abolizionista Anti Prostituzione CAPP a Place de la République del 7 marzo. Un manipolo di adolescenti ha assalito le donne che manifestavano contro la prostituzione con insulti, lanci di uova, minacce, cartelli stracciati e aggressioni fisiche. Le stesse scene sono state viste in Italia, a Firenze. L’episodio ha creato sconcerto sui social e non solo, coinvolgendo numerose associazioni e collettivi femministi.

Parigi, se la parola “donna” fa paura: mostra di ritratti femminili vandalizzata dalle transfemministe


Parigi, se la parola “donna” fa paura: mostra di ritratti femminili vandalizzata dalle transfemministe


 Il tempo è arrivato, per le donne, di riprendere il loro posto nello spazio pubblico. Non dobbiamo più avere paura negli spazi comuni. Dobbiamo vivere senza la paura di uscire, di giorno come di notte. Dobbiamo essere libere di vestirci come vogliamo, frequentare i luoghi che ci piacciono, senza imporci coprifuoco. Lo spazio pubblico deve essere condiviso, tra donne e uomini.
 

 Dobbiamo essere libere. Sono gli aggressori a non doverlo essere, sono le loro azioni a dover essere condannate, non la nostra libertà di essere e di esistere. La paura deve cambiare fronte”Sguardo dritto verso l’obiettivo. Mani incrociate o appoggiate sui fianchi. Dietro, il buio della notte. In primo piano, la fierezza di essere, di esistere. Senza paura.
 Si chiama proprio
 Women are not afraid, la mostra fotografica dell’artista Pauline Makoveitchoux.
Circa 150 ritratti di donne che non posano ma si stagliano in quel buio che per molte ha significato aggressione, violenza di strada, paura, stupro. L’artista ne ha scelti sessanta per l’esposizione cominciata l’8 marzo scorso a Vitry-sur-Seine, comune a sud di Parigi.  Non è questo il primo lavoro dedicato alle donne per Makoveitchoux. Intenso e quasi ancestrale il suo lavoro Les Sorcières, le streghe, sul sapere antico e guaritrice delle donne e il valore della sorellanza, o ancora sulla compagnia Les Clameuses, in periferia. Nasce invece dal movimento dei collage (affissioni) contro il femminicidio la serie Les ColleusesSono diverse, diversissime le donne di Makoveitchoux, ma nonostante tutto la sola parola “women” è ormai offensiva per l’attivismo transfemminista locale che non ha tardato a reagire, affiancando ai collage di Makoveitchoux altre affissioni, esigendo una maggiore rappresentanza di trans e “sex worker”. Un intervento quanto mai inopportuno, semplicemente perché i soli ritratti non identificano le donne né dal punto di vista del genere, né della professione. “Non abbiamo vandalizzato, ma completato” è stata la loro unica spiegazione sull’account instagram di Collage Féministes Vitry. Intorno al movimento dei collage femministi a Parigi e dintorni si assiste a una vera e propria spaccatura. Pioniera e iniziatrice dei collage contro il femminicidio è stata Marguerite Stern, autrice del volume Héroines de la rue letteralmente “eroine della strada”, che ha progressivamente preso le distanze da numerosi collettivi di collage soprattutto dopo la deriva transattivista di questi ultimi e gli atti vandalici presso l’edificio L’Amazone, a Parigi, casa rifugio per donne vittime di violenza, oltraggiato con falli e altri insulti.  
Quella all’esposizione di Makoveitchoux è cronologicamente solo l’ultima ingerenza di un attivismo che anziché costruire e lottare per un proprio spazio distrugge e invade quello degli altri. Il preludio a tale atto di vandalismo è stata l‘agguato alla manifestazione del Collettivo abolizionista Anti Prostituzione CAPP a Place de la République del 7 marzo. Un manipolo di adolescenti ha assalito le donne che manifestavano contro la prostituzione con insulti, lanci di uova, minacce, cartelli stracciati e aggressioni fisiche. Le stesse scene sono state viste in Italia, a Firenze. L’episodio ha creato sconcerto sui social e non solo, coinvolgendo numerose associazioni e collettivi femministi.

Makoveitchoux ha chiuso le discussioni rilasciando una potente dichiarazione su Instagram:

Io Pauline Makoveitchoux, residente in periferia, figlia di immigrati poveri, attivista femminista e fotografa autodidatta, rivendico la maternità e il rispetto della mia serie fotografica Women are not afraid. 

Noi, donne, siamo il 52 per cento della popolazione francese e la metà dell’umanità, e subiamo le violenze sistematiche, misogine, universali e millenarie. La mia serie fotografica Women are not afraid mette in prospettiva la legittimità delle donne a essere nello spazio pubblico e denuncia le aggressioni sessuali e sessiste quotidiane, commesse nell’indifferenza generale.
Da un anno e mezzo realizzo gratuitamente questi scatti e diffondo il mio lavoro con l’intenzione di offrire alle donne il potere di riappropriarsi degli spazi e di interpellare gli uomini sui loro comportamenti da aggressori o da testimoni passivi.
Dopo aver posato, tutte le donne hanno manifestato le emozioni forti e potenti che hanno provato durante le sedute fotografiche.

Alcune mi scrivono ancora adesso, mesi dopo, per dirmi che quando si sentono male tornano a guardare il loro ritratto per ritrovare forza.
Ho realizzato due mostre gratuite, la prima a Ivry-sur-Seine (periferia sud di Parigi), a ottobre scorso, pagata da me stessa. La seconda a Vitry-sur-Seine, lunedì 8 marzo 2021, con il sostegno economico della municipalità di Vitry, che è anche il mio comune d’origine.
Queste mostre mirano a offrire gratuitamente il mio lavoro a tutte le ragazze e a tutte le donne attraverso spazi accessibili a tutte e lontani dai musei e dalle gallerie d’élite.
Oggi, la mia esposizione a Vitry-sur-Seine è stata vandalizzata. Questo atto di vandalismo è stato rivendicato da un gruppo di donne dissimulate dietro uno pseudonimo.
Durante tutta la mia vita, gli uomini mi hanno spiegato come dovevo agire, in quanto donna, inferiore. Come dovevo parlare, perché venivo dalla periferia, senza educazione né linguaggio appropriato.
Oggi, rifiuto le invasioni sui miei pensieri, le mie azioni, il mio linguaggio.
Queste persone hanno scritto numerose frasi, uscite dalla propoaganda liberale alla moda e lontana dalla realtà:

  • il femminismo deve essere inclusivo: vi sfido a trovare un’altra serie fotografica che rappresenta tante donne differenti quanto la mia
  • le donne trans sono nostre sorelle: le donne trans non sono donne, le mie sorelle non hanno il pene
  • non esiste femminismo senza sex worker: non conosco sex worker, conosco solo la mia storia violenta di prostituzione e quelle delle sopravvissute alla prostituzione, con le quali lotto ogni per esigere diritti e mezzi perché le donne possano uscire da questo inferno.

Un promemoria: le statistiche mostrano che più del 90 per cento delle donne in prostituzione (soprattutto donne) vogliono uscirne. La media delle età d’entrata nelle maglie della prostituzione in Francia è di 14 anni, e questo unico dato è sufficiente a dimostrare che questo non è un “lavoro”, un’attività come le altre. La speranza di vita per le persone in situazione di prostituzione è di 39 anni, e il tasso di suicidio tra le persone che si prostituiscono è 9 volte più alto che nel resto della popolazione”.

                                         Valeria Nicoletti

15.3.21

coraggio di denunciare ed andare a processo per femminicidio - violenze in famiglia . la storia d Patrizia Cadau

 Giovedì, 18 marzo alle 12.30, al Tribunale di Oristano, c'è l'udienza  che  riguarda  la carissima Patrizia Cadau, per  il processo contro l'ex marito, per le violenze inaudite a cui ha sottoposto per anni  Patrizia e i figli  .  Patrizia, "viva", nonostante le violenze subite, è un simbolo per tutte le donne che non hanno avuto  la forza di denunciare e che non ce l'hanno fatta.

N.b   

ho  provato  a  chiederle  se   raccontava  per  queste pagine   qualcosa  di tale  vicenda   ma  ha  riferito    che  preferisce  non rilasciare   dichiarazioni  Quindi   il  racconto si  basa   su :   quello che ho trovato in rete  


  https://www.corrieresardo.it/cronaca

E’ la triste storia “di una donna forte” quella di Patrizia Cadau, capogruppo del Movimento 5 Stelle presso il consiglio comunale di Oristano, che ieri è apparsa davanti al giudice per l’esame della sua versione dei fatti, esame che continuerà il 19 novembre, nella causa per maltrattamenti subiti. Da sempre attiva e combattiva contro la violenza di genere, in lotta per i diritti delle donne, firmataria a luglio 2020 di una mozione per contrastare la violenza domestica  – accolta all’unanimità dal consiglio comunale – è stata lei stessa vittima di maltrattamenti e violenze da parte del suo ex marito.




Ma non ha taciuto. Ha intrapreso un percorso legale lungo e faticoso, alla ricerca di giustizia, iniziato il 30 luglio 2017 con la denuncia nei confronti del coniuge violento che l’ha ripetutamente, continuativamente percossa per anni, dal 2012 al 2017. “A nulla è valso ricorrere alla Questura che, come avviene nella maggior parte dei casi, ha sottovaluto l’accaduto e mi ha rimandato a casa nelle braccia del maltrattante”, denuncia Patrizia. Un lungo calvario che coraggiosamente affronta per dovere verso i suoi due figli, per liberare se stessa, per le donne e gli uomini che la seguono, la sostengono, le sono vicini e la vedono come esempio, come speranza di un cambiamento verso una vita libera da soprusi, discriminazioni e violenza. La forza che ogni volta, ben 7 rinvii dall’apertura del dibattimento, riesce a trovare – “ogni volta mi sento violata, ma ogni volta non devo far altro che dire la verità” – confida Patrizia, le viene anche dalla solidarietà di tante donne e di tutte le associazioni femminili del territorio. Sono veramente tante con lei ma è soprattutto lei ad essere lì per tante. Per tutte le donne che, grazie alla sua forza e perseveranza, troveranno il coraggio di non subire, di non giustificare soprusi e violenze, ma di denunciarne gli autori


Infatti    sempre  secondo l'articolo  del corrieresardo 


 “Dire la verità, sostenerla negli anni, documentarla, testimoniarla, è una fatica titanica. Ma alla fine paga – e rivolge un invito a tutte le donne – quindi siate sempre solidali, libere e coraggiose. Insieme si può fare tantissimo”. Aver avuto la forza e il coraggio di parlare, di uscire allo scoperto, anche rischiando la gogna pubblica, è stato per lei importante e di molto aiuto per liberarsi e non sentirsi sola. Un sentito incoraggiamento a Patrizia nel prosieguo della sua difficile impresa per ottenere giustizia; un ringraziamento le è dovuto per tutte le donne che salverà e da parte di tutte le donne che come lei vorrebbero vivere in una società dove l’amore prevalga sull’odio e la violenza. Corriere Sardo oggi – diversamente da altre volte – ha scelto, di comune accordo con Patrizia, di mettere il suo viso maltrattato in apertura “è un’immagine forte   ma è il messaggio che è necessario comunicare”, ci siamo dette con lei, ma non è l’unico che vogliamo lasciare alle nostre lettrici e ai nostri lettori. C’è una storia altrettanto importante che va raccontata ed è quella delle donne che si sono unite per farsi coraggio, delle donne che erano lì, fuori dal tribunale ad aspettare Patrizia; è la storia delle Reti delle Donne e dei Centri Ascolto che supportano e accolgono situazioni difficili è la storia di Coordinamento3 Donne di Sardegna sempre presente come GiuLia Giornaliste Sardegna. Associazioni, movimenti, gruppi di donne che si battono contro la violenza.


 Speriamo   che  il suo coraggio     di aver  denunciato   ed  averne parlato   sul suo  Facebook insieme alla  foto  sopra  riportata  (  non  per  morbosità e  gusto del macabro  , ma perchè sembra   che l'opinione  pubblica  capisca  solo  vedendo immagini forti  )   

   Una donna che denuncia una violenza deve combattere per anni contro le accuse di essere una "finta vittima" e una "falsa martire".Deve difendersi dallo stigma sociale di essere sopravvissuta. Di avere osato ribellarsi al violento. Di avere prima di tutto pensato a mettere in sicurezza i suoi figli.Mentre il bastardo gioca al gatto col topo nell'evidenza collettiva, protetto dal pregiudizio che lui è comunque un poverino, e che lei abbia fatto qualcosa per meritarselo, un sacco di persone decidono di fargli da spalla.

Sono quasi sempre donne che hanno un qualche tipo di risentimento nei confronti della vittima e si lasciano usare per affermare una superiorità. Donne che diventano branco, poi naturalmente vittime, ma anche familiari conniventi del mostro per questioni economiche. Di queste donne, nel tempo, ho collezionato insulti, ma anche richieste di aiuto, minacce velate suggerite dal violento, veri e propri teatrini di sfida. Donne che, prima sedotte e coinvolte dal manipolatore, poi hanno cercato di liberarsi dalla vergogna di essere cadute tanto in basso. Una vergogna tipica di chiunque sia sporcato in buonafede da questo tipo di criminali. Associata alla vergogna, la dissociazione e il tentativo di negare le proprie colpe beatificando il violento e criminalizzando la vittima. Quasi mai in buona fede sia chiaro. Figuriamoci poi in un posto come quello in cui abito dove tutti si conoscono. Dove chiunque non può non sapere di essere in compagnia di un imputato per maltrattamenti in famiglia e altri odiosi reati, e decide di mettersi in posa per un selfie con così edificante compagnia. Dire la verità, sostenerla negli anni, documentarla, testimoniarla è una fatica titanica. Ma alla fine paga. Quindi siate sempre donne solidali, libere e coraggiose. Insieme si può fare tantissimo.  


Ma soprattutto la sua  provocazione     \ sfogo   riportata   da  https://www.globalist.it 
del 22 dicembre 2020


L'idea choc della consigliera M5s: "Per fermare gli uomini violenti assoldate un sicario"

Patrizia Cadau, ex candidata sindaca del M5S per Oristano a sua volta vittima di violenza: "Ho scritto quelle cose per denunciare l'imbarazzante vuoto istituzionale su questo tema"

Patrizia Cadau
                                                         
Patrizia Cadau

Lei la definisce una provocazione, Ma per molti è andata oltre il seminato e, di fatto, ha incitato alla violenza: per fermare gli uomini violenti "assoldate un sicario: se vi beccano, ve la cavate con poco e costerà certamente meno di tutto quello che occorre per affrontare venti anni di indagini, integrazioni di indagini, procedimenti civili e penali, ri-vittimizzazione, altra violenza, economica, istituzionale".Questo il 'suggerimento' postato su Facebook dalla consigliera comunale di Oristano Patrizia Cadau, ex candidata sindaca del M5S nel comune sardo. "Una provocazione", precisa Cadau, "ma alla luce di quello che succede, a questo punto, non escluderei l'opzione". Il riferimento è all'ultimo caso di omicidio-suicidio verificatosi a Padova, dove un padre ha assassinato i suoi due figli prima di togliersi la vita. L'uomo, come raccontato dal nonno dei due adolescenti, sarebbe stato segnalato ai carabinieri più volte dalla ex compagna. "Ho scritto quelle cose - ha detto Cadau - per denunciare l'imbarazzante vuoto istituzionale su questo tema. La politica non fa abbastanza e il codice rosso non è una misura sufficiente. L'emendamento Giannone alla legge di bilancio che prevedeva un fondo per le vittime di violenza è stato rigettato". Secondo la consigliera di Oristano "la violenza di genere non viene trattata con la gravità con cui vengono trattati gli altri reati e questo determina anche un vuoto culturale": "Si parla molto di violenza - prosegue - ma non la si capisce, non si ascoltano le vittime: il male di cui soffre una vittima di violenza deve essere 'taciuto' perché quando denunci, stai denunciando le istituzioni che hanno fallito, la gente attorno che fa finta di non accorgersene"...... continua   qui  https://www.globalist.it/news/2020/12/22/l-idea-choc-della-consigliera-m5s-per-fermare-gli-uomini-violenti-assoldate-un-sicario-2070800.html


non   si rivolgano contro in sede   dibattimentale  .  

13.3.21

le donne in oriente vengono oppresse in occidente illuse quando non vengono uccise per femminicidio

leggi anche  
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2021/03/la-sinistra-la-destra-il-velo-daniela.html


mentre   finisco  di leggere  questa  notizia partono le  note  dell'ancora attualissima Il suonatore Jones di Fabrizio De Andrè     ed è sulle sue note che scrivo questo post

da  https://www.ilmessaggero.it/ 7 MARZO 2021

di Alix Amer

Refa, l’influencer saudita perde la custodia figli per i tatuaggi e i capelli verdi: «È una mamma inadatta»

Refa, l influencer saudita perde la custodia figli per i tatuaggi e i capelli verdi: «È una mamma inadatta»


Una famosa influencer saudita ha perso la custodia dei suoi figli «perché ha tatuaggi e capelli verdi». Il marito davanti a un tribunale in Arabia Saudita ha così vinto la causa contro la moglie sottolineando il fatto che «è una mamma inadatta: ha tattoo e capelli colorati». Non solo, Refa Al-Yemi, che ha un grosso seguito su TikTok e Snapchat, sembrerebbe sia stata anche rapita da alcuni parenti che, secondo quanto riferito dai media locali, «ritengono che li stesse svergognando con le sue attività online».
La giovane mamma influencer condivide spesso consigli di salute e bellezza sulle piattaforme social. Secondo i siti di notizie locali, sarebbe stata prelevata con la forza dal suo appartamento a Gedda da membri della sua famiglia. Subito dopo il fatto sono iniziate a circolare strane voci come quella che la popolare influencer fosse stata vittima di un “delitto d’onore” (con l’hashtag #IsRefaKilled? tendenze di punta di Twitter in Arabia).
Tuttavia, è stato successivamente confermato che era stata portata in un altro appartamento a Najran, ma la polizia aveva fermato l’auto e quattro persone erano state arrestate, riferisce Albawaba.







Le autorità hanno spiegato che Refa è al sicuro «i servizi sociali si stanno prendendo cura di lei». Difensori dei diritti umani tra cui Lina Alhathloul - la cui sorella Loujain è stata recentemente rilasciata dal carcere dopo aver chiesto la libertà delle donne in Arabia Saudita - ha espresso sui social, grande preoccupazione per Refa. Lina ha affermato in un tweet: «Rafa è una donna indipendente. Ai suoi parenti maschi non piace e l’hanno rapita. È stata trovata dalla polizia e, invece di essere salvata, è stata messa in una casa di cura, alias una prigione».
La polizia non ha confermato se le quattro persone arrestate siano parenti di Refa. I timori che la star dei social media fosse stata uccisa hanno iniziato a circolare poco dopo aver perso la custodia dei suoi quattro figli. A suo marito è stata assegnata la custodia dopo aver usato i suoi tatuaggi, il colore dei capelli e le immagini dei suoi allenamenti in tribunale come “prova” che non era una brava mamma.

Come dice   l'amica   Maria Patanè 9 marzo  18:43tS pog
 
 

 
Già, siamo in Arabia Saudita un paese dove alle donne non veniva permesso fino a pochi anni fa, oltre ad assistere a spettacoli sportivi maschili, di guidare veicoli a motore! Fortunatamente, dal giugno 2018, dopo 28 anni di divieto, le donne saudite hanno riottenuto il diritto di guidare, sempre però con il consenso del "wali".
Sono sicura che di fronte a queste notizie rimaniamo tutte un po' scioccate, indignate, pensiamo che qui da noi questi soprusi maschilisti non esistono, o quanto meno non sono più così pesanti, e ci sentiamo sollevate, fiere della nostra indipendenza!
Indipendenza che però è soltanto un'illusione! Certo a noi viene concesso di guidare una automobile, e dal 1945 anche di votare, ma siamo sicure di essere libere? Le donne ancor oggi in Italia spesso in condizioni di svantaggio e maggiormente colpite da povertà, ingiustizia, violenza, malattia, discriminazione e dalla grave mancanza di accesso alle risorse e ai servizi.
Dei 444 mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70% è costituito da donne! E nel 2021 le cose non stanno andando meglio. L’aggiornamento dei dati Istat sulla situazione occupazionale del nostro Paese, ha evidenziato che nel 2021, il crollo dell’occupazione sia quasi esclusivamente al femminile: i lavoratori scendono di 101 mila unità, di queste 99 mila sono donne. Due mila sono uomini. Ricordiamoci che il lavoro è indipendenza, è libertà! È anche possibilità di mantenersi e di mantenere i nostri figli. Non sentiamoci tanto diverse da Refa.
Veronica Giannone
  quindo è neccessario pensare  globale     ed  agire  locale  

La sinistra, la destra, il velo ®© Daniela Tuscano

   da   https://feministpost.it/magazine/

La sinistra, la destra, il velo

La presidente del Senato Maria Elena Alberti Casellati è una distinta signora dal sorriso garbato e dal nome roboante. Politicamente si situa a destra. In altri tempi l’avremmo definita una democristiana conservatrice. Al femminismo poi è estranea, cosa che d’altronde non le ha impedito, nel discorso d’insediamento, di pronunciare parole ferme e non retoriche sul fenomeno della violenza misogina.

M’è capitato di ripensare alla signora dopo il webinar su Velo e libertà con Marina Terragni, Sara Punzo e Maryan Ismail. Esattamente due anni fa, un tempo infinito per i ritmi dilatati dell’era-Covid, Casellati incontrava a Doha il primo ministro Abdullah bin Nasser bin Khalifa al-Thani, un altro che quanto a nomi e patronimici non scherza. Nello stesso periodo veniva ricevuta da papa Francesco. In entrambe le occasioni si notava l’abbigliamento composto e formale, eppure disinvolto e in un certo senso volitivo. A fianco del ministro qatariota appariva minuscola, delicata ma radiosa, e piuttosto diretta. Mentre posava col Papa aveva l’aria di un’antica principessa, o una nobildonna devota. Ma nemmeno in quel caso sottomessa o annullata, malgrado il vistoso velo nero.

Precisiamo: il velo l’aveva indossato davanti al Pontefice. In Qatar si era presentata a capo scoperto.

Per mancanza di rispetto verso i costumi islamici? Non diremmo. Piuttosto per quella necessità, probabilmente spontanea, di definirsi e valorizzare le differenze. La conservatrice Casellati pareva aver compreso che il dialogo autentico non comportava la cancellazione della cultura d’appartenenza, ma richiedeva un confronto sullo stesso livello di dignità. La Madame di Palazzo Madama si presentò come una politica italiana, di tradizione cattolica – cioè universale – che svolgeva il proprio ruolo in piena autonomia.

Se scorriamo le fotografie di ministre ed ex-ministre di sinistra, laiche e dichiaratamente femministe, lo scenario è assai differente. Laura Boldrini con un velo fin troppo vistoso nella moschea di Roma (ma senza copricapo e in sandali laccati in presenza del Papa); Federica Mogherini al Parlamento iraniano, anche lei con velo -imitata da Emma Bonino e Debora Serracchiani- suscitando lo sdegno delle femministe di quel paese che combattono a rischio della vita per la libertà d’abbigliarsi come meglio credono.

Chi ignorasse la storia politica di queste donne, a quale attribuirebbe l’epiteto di progressista? Alla prima o alle seconde?

Non per infierire. Può darsi si trattasse davvero di buona fede, oltre che di obbligo. Sappiamo bene che il protocollo vaticano non prevede più, dagli anni Ottanta, il velo obbligatorio per le signore. In alcuni Paesi, e il Qatar non fa eccezione, il pudore femminile è ben più che semplicemente raccomandato. Ma i gesti vanno oltre la prescrizioni; e, a volte, si ha l’impressione che la si vada a cercare, la berlina. L’irritazione verso talune politiche progressiste non può essere (sempre) ascritta a sessismo, qualunquismo o – ci è toccato leggere pure questo – islamofobia. Si tratta di cultura. E di tradizione. Che non è tradizionalismo ma trasmissione. Anche se a volte inconsapevolmente i critici motivati delle politiche di cui sopra hanno loro rimproverato esattamente questo: la mancanza di cultura.

Donne laureate, cosmopolite, sostenitrici d’un migrantismo anche marcato: e nondimeno ignoranti, perché non escono da un esotismo di maniera, pervaso, oltretutto, da un malcelato senso di superiorità.

Il ritratto col Papa lo dimostra pienamente. Il messaggio percepito, magari oltre le intenzioni, è: “Qui posso permettermi i capelli sciolti e le ciabatte, non ci credo, sono moderna. Altrove si deve ostentare devozione, i buoni selvaggi vanno assecondati”. E poi, “fa sinistra”…

Una sinistra dimostratasi finora sorda alle persecuzioni dei cristiani (e soprattutto delle cristiane: merita eterna vergogna il silenzio delle attiviste occidentali su Huma Younus e Leah Sharibu) d’Africa e Asia, perché sono extraeuropee della “concorrenza”; perché la cultura cristiana, in particolare cattolica, va considerata necessariamente un sottoprodotto di epoche oscure, da cui una femminista doc, aperta e libertaria, deve prendere con decisione le distanze. Si aggiunga l’identificazione del cattolicesimo con l’Occidente – stessa equiparazione dei jihadisti – che le occidentalissime liberal vedono come fumo negli occhi; mentre una regina “glamour” come Rania di Giordania non esita a mostrarsi a Bergoglio in stola bianca, con una naturalezza da cui traspare tutto fuorché sottomissione e piaggeria.

La reazione alla spocchia della sinistra attuale è disaffezione e tedio, anche da parte di militanti di lungo corso.

Non stupisce che in questo momento storico le posizioni più riformatrici provengano da settori notoriamente “moderati”. È pure ovvio, comunque. Se l’errore consiste nell’ignoranza – e nella perdita di memoria – il risultato è la confusione, la sovrapposizione tra sviluppo e progresso, lo scardinamento delle prospettive. “Solo i marxisti amano il passato – scriveva Pasolini – i borghesi non amano nulla, le loro affermazioni retoriche di amore per il passato sono semplicemente ciniche e sacrileghe: comunque, nel migliore dei casi, tale amore è decorativo, o ‘monumentale’ […], non certo storicistico, cioè reale e capace di nuova storia”.

Ma è proprio il senso storico, di una storia che avanza e cambia, a mancare oggi alla sinistra non più marxista, ma liberal-capitalista, “borghese”. Appunto, modernista e non moderna. La destra vive di questa spoliazione, più che di valori propri; ma il processo è appena cominciato, e nessuno sembra rendersene conto.

Daniela Tuscano

I nostri governanti maestri di ignoranza

leggendo i  giornali    con   https://www.medialibrary.it/home/index.aspx con  ho   letto  su    Libero  ogni  tanto    è  utile   --- anche    se   si conosce  già  ---    leggere  quello  che dicono  i  giornali (  anzi  gli pseudo  giornali ) ,  i  due   articoli che    trovate  sotto  . 

Il  primo   

Ora   Crepet    non ha  tutti   i  torti   perchè Dad  o  non Dad   se uno\a  non fa  un  ....  nemmeno   il minimo      dev'essere  bocciato  . Ma la    ver a  ignoranza   è dovuta  alla  nostra  classe politica      cioè a quelli   che dovrebbero  curare  l'istruzione    della  popolazione  .  

Infatti    a  confermare  ciò  è i secondo  articolo  

Ora   premetto   che  detesto non  la  persona in se  ,  in quanto è  un caso umano  ,  ma  la  sua ideologia  ed modo  fazioso   che questo  giornalista  (   per  essere buoni   ed non infierire  troppo )   ha   di  esporre    i  fatti   e di     e vedere      solo la  pagliuzza   del suo avversario  ed  non la trave   che    esso  ( ed  il  suo padrone   \  referente  politico   ha )  per  ulteriori dettagli vedere  la sua    biografia  qui  su  wikipedia     .
Ma   non riesco a  biasimarlo completamente  in quanto anche la  merda    ed  i  qualunquismo    contiene      un po'  di verità 

 

I nostri governanti maestri di ignoranza

L’attuale classe dirigente è composta da incompetenti che sproloquiano su tutto. La zucca vuota, ma di successo, è il modello proposto alla gioventù

L’umanità ha riconosciuto dai primordi di avere un nemico: l’ignoranza. Ha sempre cercato di emanciparsi da essa per non consentire alla natura e ai prepotenti di sottomettere la brava gente. È sempre stato così. Fino all’arrivo di Di Maio e dei grillini al Potere. Dopo di che l’ignoranza è diventata un titolo di merito, una conquista agognata sul divano, la prova di una purezza adamantina. (...)

Personalmente ho sempre ritenuta diabolica la pretesa della scienza di impadronirsi del mistero dell’essere. Diabolica e persino ridicola. Non c’era bisogno del Covid e delle baruffe gallinacee tra virologi per scoprirlo. Gli scienziati sono in corsa per darci l’immortalità, ma non sono ancora riusciti a curare la calvizie e il raffreddore. Ma non è un buon motivo per l’instaurazione della dittatura dell’ignoranza, come forma di governo vigente in Italia. Non bisogna confonderla con la confessione di Socrate: «So di non sapere», perché quella era lealtà dinanzi all’infinità dei mondi. Esprimeva la consapevolezza del limite e subito la voglia di andare oltre l’orizzonte, aprendosi all’avventura mai appagata di «virtute e canoscenza», per la quale nacque Ulisse e noi con lui.

Qui siamo invece alla prevalenza del “buon selvaggio” e alla affermazione della superiorità morale e intellettuale del vuoto mentale conclamato come passaporto per essere classe dirigente. Guai a rovinare con lo studio la foresta vergine e riccioluta come le chiome di Toninelli e della Taverna. I social ma anche i talk show sono dominati dalla filosofia dell’uno vale uno. L’opinione sulle origini del virus dell’analfabeta, ma deputato, dunque portavoce del popolo, vale più del giudizio del professor Giuseppe Remuzzi, in odore di Nobel della medicina. Uno uguale uno vuol dire dittatura dell’ignoranza. Il primo teorico della faccenda fu Jean Jacques Rousseau che, inconsapevole di poter essere due secoli dopo trasformato in piattaforma da Casaleggio, era un filosofo e persino un educatore, anche se siamo certi si sarebbe sparato se avesse intuito che cosa avrebbero fatto dell’Italia le sue idee in mano a Grillo. Sosteneva che la “volontà generale” esprimesse la verità. Essa è stata tradotta come volontà della Rete. Risultato: la tabula rasa. Non è additata quale modello la competenza esito della fatica e premiata per questo; è la zucca vuota ma di successo ad essere proposta come esempio alla nostra gioventù.

IL CERTIFICATO DI BATTESIMO

Come ha scritto Antonio D’Anna su Italia Oggi l’unico titolo di studio che non è biasimato è il certificato di battesimo, anche perché nessuno ti può incolpare di aver sgobbato e passato notti insonni per ottenerlo. Siamo portati - e la mia modesta prosa lo dimostra - a scherzarci su. Ma è una tragedia della civiltà. E questo stato di cose è insieme esito e causa dello stato di crisi se non di coma delle agenzie educative. La famiglia, la scuola, la Chiesa, lo Stato, l’esercito sono stati, e dovrebbero tuttora essere, le forme con cui gli individui associandosi consegnano l’eredità di valori e conoscenze alla generazione successiva. I giovani per salire sulle spalle di chi li ha preceduti devono arrampicarsi, giocando la loro libertà: per sviluppare o negare la proposta dei padri e delle madri, dei maestri e dei preti. Si annega tutti nel mar nero dell’uno vale uno, cioè zero, che è il nome della cultura prevalente: il nichilismo. Che non è colpa dei ragazzi ignoranti, ma degli adulti che non hanno saputo accendere la fiaccola affascinante di una bellezza e di una conoscenza da attingere come acqua nel deserto. È uscito un libro illuminante: Sotto il segno dell’ignoranza ( Ed. Egea, pagg. 184, € 22) di Paolo Iacci, che non è un filosofo teoretico ma uno che sta in trincea, grande esperto in gestione delle risorse umane. La prima riga del volume è lapidaria: «In Italia vige la dittatura dell’ignoranza». Quel che segue è una fotografia tremenda. «Questa è la nuova questione morale del Paese. La classe dirigente ha da tempo abdicato a favore di una orda di incompetenti che stanno occupando i posti di potere e che si approfittano della volontà di cambiamento diffusa nel Paese per occupare indegnamente i principali posti di responsabilità».

Dopo di che è arrivato Mario Draghi, che è tutto meno che incompetente e negazionista dei congiuntivi. Esaudendo l’invocazione disperata di Berlusconi a Mattarella e al buon Dio si sarebbe cambiato paradigma. Speranza assai tenue. Il catrame della divina ignoranza ha inzuppato i gangli vitali della società e i meccanismi di selezione della classe politica. La dittatura dell’analfabetismo intellettuale e morale allunga ancora i suoi tentacoli abbrancando poltrone e leve di comando. Tant’è che Draghi e Mattarella hanno “dovuto” stendere il tappeto del governo perché sia calpestato dagli zoccoli di alcuni campioni dell’asineria. Non verrà dai vertici la riparazione del modello (dis)educativo regnante. Si deve ripartire dal basso, dalle famiglie, dalla scuola, dagli oratori. Dal popolo insomma. Campa cavallo.



  concludo    con    gli   ultimi  versi  


Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali \che possa contemplare il cielo e i fiori\che non si parli più di dittature \se avremo ancora un po' da vivere... \ La primavera intanto tarda ad arrivare.
  di     questa  canzone  




  alla  prossima

12.3.21

anche l'amore può diventare schiavitù . Ucraina, incatenati l'uno all'altro da un mese: l'esperimento per salvare la loro storia d'amore

 Litigavano e si lasciavano continuamente finché non hanno deciso di legarsi l’uno all’altro, fisicamente. Sono due giovani ucraini, Alexandr Kudlay, 33 anni, e Viktoria Pustovitova, 28. Una catena unisce i polsi di questa coppia dal giorno di San Valentino con risultati, assicurano loro, molto positivi. "Le liti tra di noi non sono scomparse - racconta Viktoria all'agenzia Reuters - ma quando ci avviciniamo a un punto di non ritorno, smettiamo semplicemente di parlare invece di impacchettare le nostre cose e andare via. Dopo un paio d'ore la rabbia svanisce". Le difficoltà quotidiane non mancano e nessuno ha più un momento di privacy, ma i due cominciano ad abituarsi.

                 A cura di Sofia Gadici


secondo quando dice  il  sito   https://nonelaradio.it/


La catena è a maglia stretta ed è sigillata in modo che non si possano liberare. Alexander e Vika dovranno trascorrere in catene ben 3 mesi.
Quest’anno, Alexander e Viktoria, una giovane coppia ucraina, ha deciso di festeggiare San Valentino in modo un po’ diverso dal solito e si è incatenata per tre mesi. Il 14 febbraio i due si sono recati a Kiev per farsi incatenare. Il loro obiettivo è essere letteralmente uniti in ogni momento. Ciò include dormire, fare il bagno insieme e, ovviamente, anche andare in bagno insieme. “Stiamo facendo questo per raggiungere un record”, ha dichiarato Alexander ai giornalisti ucraini. “Siamo legati da una catena in ferro che unisce ogni parte della nostra giornata. Il collegamento finale sarà il sigillo del registro nazionale dei record”.
La giovane coppia si è detta fiduciosa di riuscire a durare tre mesi incatenata. Nel caso in cui decidessero di separarsi e rinunciare al loro obiettivo, avranno bisogno di qualcuno che tagli la catena con uno strumento apposito.

Vitaly Zorin, rappresentante del registro nazionale dei record dell’Ucraina, ha affermato di aver verificato che Alexander e Viktoria fossero “sani di mente” prima di accettare di supervisionare il loro esperimento romantico. Il giorno di San Valentino la coppia ha deciso di far chiudere la catena da un vero saldatore, davanti alla statua dell’Unità, a Kiev, come simbolo del loro impegno reciproco

11.3.21

I cavallini dell'artista Nivola rimossi a New York, la Sardegna denuncia: "Scempio culturale"

  da   repubblica  10 MARZO 2021

I cavallini dell'artista Nivola rimossi a New York, la Sardegna denuncia: "Scempio culturale"

La più importante opera pubblica del maestro sardo, realizzata nel 1964 per il parco giochi delle Wise Towers, è stata rimossa per un intervento di "rinnovamento urbano". Ora il Consiglio regionale della Sardegna ne chiede la restituzione





"I cavallini di Nivola, ispirati ai cavalli a dondolo dell'infanzia e alla statuaria orientale, sono stati rimossi, le gambe spezzate da colpi di mazza”. Con questa immagine la dirigenza del museo Nivola di Orani, paese natale del grande artista sardo, ha voluto denunciare con un post su Facebook cosa è accaduto alla più importante opera pubblica del maestro a New York: il playground delle Wise Towers, realizzato da Costantino Nivola e Richard Stein nel 1964, è stato distrutto.

“Non si tratta di vandali, ma di un progetto di "rinnovamento" dell'area” si legge ancora nel post, e di seguito: “Dopo la mostra Nivola. Figure in Field alla The Cooper Union nel 2020 e in attesa della mostra Nivola. Sandscapes al Magazzino Italian Art questo atto di vandalismo istituzionale appare inspiegabile e scellerato. La riqualificazione delle torri, attesa e benvenuta, può e deve essere realizzata nel rispetto della storia e dell'arte”. Avvertendo che il Museo Nivola, insieme alla famiglia dell'artista sta cercando di contattare i responsabili dell'intervento edilizio per recuperare le opere rimosse e limitare il danno, i responsabili hanno chiesto di condividere il messaggio, perché “La conoscenza è la migliore difesa contro l'oblio”.

Il playground delle Wise Towers con la traccia delle statue rimosse (foto dal profilo Facebook del museo Nivola di Orani)





L’appello non è caduto nel vuoto, anzi è approdato nell’aula del consiglio regionale della Sardegna. Il consigliere dei Progressisti Massimo Zedda ha invitato l'Aula a far sentire la sua voce presso il ministero dei Beni culturali e la presidenza del Consiglio dei ministri: "È necessario contattare subito il consolato di New York per capire che fine faranno le statue rimosse", spiega l'ex sindaco di Cagliari.

Il presidente dell'Assemblea Michele Pais assicura che "il Consiglio regionale metterà in atto immediatamente tutte le azioni necessarie per tentare di arginare questo scempio culturale che non rispetta l'arte: ci attiveremo immediatamente presso il ministero per capire se la rimozione possa essere fermata e se sia possibile recuperare le opere, alcune delle quali sono state devastate. È un massacro che colpisce al cuore la nostra cultura. Lavoreremo per riportare in Sardegna quel che resta dei 'cavallini' di Nivola". La senatrice della Lega Linetta Lunseu afferma di aver già contattato a proposito il l sottosegretario Borgonzoni, che “ha assicurato la massima attenzione alla vicenda”.



Si aspettano ora le reazioni americane, sperando che le opere siano recuperabili e i danni possano essere almeno parzialmente riparati.
Nato ad Orani, vicino Nuoro, nel 1911, in una famiglia di muratori, Nivola frequentò l'Isia di Monza con una borsa di studio, per poi divenire direttore dell'ufficio grafico della Olivetti. Emigrato in Francia prima e poi negli Stati Uniti per via delle leggi razziali (la moglie Ruth Guggenheim era di origine ebraica), negli Usa ebbe una fruttuosa e fortunata carriera artistica, tornando spesso in Sardegna sia per collaborazioni artistiche sia per commissioni pubbliche, fino alla morte nel 1988. Il museo Nivola di Orani conserva la più importante collezione delle sue opere.

9.3.21

Ladri di portafogli pentiti

  da   https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/  del 7\3\2021

Dopo 33 anni gli restituisce i soldi rubati
Una lettera anonima e 200 euro sono stati spediti a Fabrizio Bassetto. "Chiedo scusa, mi vergogno di quello che ho fatto"

Non aveva fatto i conti col tarlo del rimorso l’anonimo bolognese che pochi giorni fa ha chiuso 200 euro in una busta, ha scritto poche righe di scuse ed ha spedito la raccomandata all’indirizzo attuale dello studente che il 16 febbraio 1988 sul ponte di San Donato perse il borsello che conteneva 90mila lire e i documenti di Fabrizio Bassetto, allora studente all’Università di Bologna

Fabrizio Bassetto mostra la busta che conteneva la lettera di scuse e il denaro

 Lui, il destinatario di questa sorprendente missiva, oggi ha 56 anni, nel frattempo ha fatto in tempo a laurearsi, a mettere su famiglia, trovare lavoro (oggi è titolare dell’agenzia Tecnocasa di Crespellano), impegnarsi in politica (è stato assessore alla Scuola nel Comune di Bazzano) e continuare l’attività associativa (oggi è presidente provinciale di Anama-Confesercenti). "Quella sera ero andato ad una festa di Carnevale, nell’euforia persi il portafoglio con i soldi e tutti i documenti -racconta-. Fu un colpo, mio padre mi aveva appena mandato le 100 mila lire che servivano al mio mantenimento per due settimane. Poi c’erano i documenti". Fece tante volte avanti e indietro la strada percorsa. Ma inutilmente.Pochi giorni dopo i carabinieri di Marostica (il paese del Vicentino del quale è originario) chiamarono la famiglia per restituire i documenti che nel frattempo erano stati ritrovati. Cos’era successo? Lo ha scritto l’anonimo bolognese (forse anche lui all’epoca studente squattrinato) nel biglietto che ha accompagnato la busta con i 200 euro spedita dopo 33 anni dal fatto: "Quella sera trovai un portafoglio. Conteneva 90mila lire e i suoi documenti. Rubai i soldi e getti i documenti in una cassetta delle lettere. Le rendo (in parte) il maltolto. Non mi presento personalmente per la vergogna e perchè se lei decidesse di darmi un pugno in faccia non potrei che tenermelo, zitto e muto. Le chiedo scusa".Un foglio bianco, una busta per raccomandata, nessun indizio del mittente. "Per me la questione era finita lì. Ci rimasi male. Ma poi passò. E devo dire che questo gesto e questa lettera per me è di una bellezza infinita. Testimonia comunque una nobiltà d’animo che mi ha commosso. L’ho perdonato da tanto tempo, ma ora lo vorrei conoscere, abbracciare, ringraziare per questo gesto. Ha vissuto con questo senso di colpa per 33 anni e alla fine ha fatto una scelta che lo riscatta completamente".


                                       Gabriele Mignardi 

Eppure, a leggere tutta la cronaca nazionale, sorge una teoria. Infatti  Qualche tempo fa, in settembre, a Venezia, successe una cosa simile al fatto citato  prima    citato 

Un uomo si è visto recapitare una busta con 200 euro, la somma che gli era stata sottratta, in lire, quarant’anni prima. Lo stesso fatto è avvenuto a macchia di leopardo in tutta Italia e la cifra è sempre quella: 200 euro. Gli stessi soldi girano, a distanza di anni, in pochi mesi. Ricordate il film Ladri di biciclette? L’uomo a cui è rubata una bici, ruba una bici. E se decenni fa fosse iniziata una catena di furti da 200 euro? Il primo derubato si rifece su un secondo e così via. Poi durante la solitudine da pandemia uno dei tanti che si erano appropriati dei 200 euro ha uno scrupolo. Restituisce a chi li aveva tolti, che restituisce a chi li aveva tolti e avanti così, in attesa di un segno. Avanti fino a una donna di Valladolid, Laura Reinoso, che trova un portafogli con 200 euro, lo restituisce e 7 giorni dopo vince 75mila euro alla lotteria.
                       dalla rubrica del quotidiano la repubblica  la prima cosa bella 9\3\2021