12.10.21

Beni confiscati, il grande spreco. Più della metà sono inutilizzati La denuncia delle associazioni: "Immobili in cattivo stato, mancano risorse e personale per gestirli". L'indagine della Regione siciliana : tanti Comuni impreparati, e i finanziamenti per le ristrutturazioni restano nel cassetti o finiscono in altri rivoli

 li  lasciano marcire  oppure   li danno in gestione  a gli amici  loro come il caso  del cerchio magico   di Silvana Saguto


leggete    questa  inchiesta   di repubblica  Palermo    più  precisamente  questo articolo

C'è un numero che indica lo stato di salute dell'antimafia in Sicilia, è la percentuale dei beni confiscati che tornano alla collettività: solo il 45 per cento. Un dato preoccupante, che emerge dall'ultimo rapporto consegnato dall'ufficio della Regione siciliana che tiene sotto controllo il tesoro più grande dell'Isola, quello sottratto ai padrini di Cosa nostra. Da Palermo a Catania, da Trapani ad Agrigento, da Messina a Ragusa, ci sono 997 fabbricati e 278 terreni che ospitano attività sociali e istituzionali, ma ci sono anche 802 fabbricati e 768 terreni inutilizzati: 1570 beni che sono ancora nelle mani di mafiosi e abusivi.Per capire il perché di questa sconfitta per l'antimafia bisogna partire dal pesante atto d'accusa dell'ufficio della Regione - il Servizio Quinto dello staff del direttore generale - diretto da Emanuela Giuliano, la figlia di Boris, il capo della squadra mobile ucciso il 21 luglio 1979: "Il 55 per cento dei beni è rimasto inutilizzato per i seguenti motivi: mancanza delle risorse necessarie alla ristrutturazione e alla riconversione (36,11 per cento), mancato avvio o ultimazione delle relative procedure di assegnazione (30,57 per cento), occupazioni da parte di terzi con o senza titolo (6,82 per cento), avvisi pubblici per l'assegnazione andati deserti (3,06 per cento), strutture in quota indivisa (5,67 per cento)".

La grande incompiuta

Eccola, la mappa siciliana della sconfitta, che ogni mese si allarga sempre più. Perché le forze dell'ordine e la magistratura continuano ad sequestrare beni a cosche in continua riorganizzazione. Intanto, lo Stato non riesce ancora a mettere a punto una macchina efficiente per la gestione dei beni sottratti ai padrini. A partire dalla prima esigenza: un monitoraggio dei dati. È quanto denuncia l'Istat, in una recente pubblicazione ("L'uso dei beni confiscati alla criminalità organizzata"): "L'ambito di policy delle politiche antimafia è caratterizzato da un approccio burocratico centrato sul processo, piuttosto che sul contenuto degli interventi e sui soggetti coinvolti: (...) sono disponibili dati elementari sui beni confiscati e destinati, ma non sul loro effettivo utilizzo". Insomma, l'Agenzia nazionale beni confiscati non ha ancora il controllo effettivo di tutto il patrimonio. La Regione ha chiesto informazioni ai 205 Comuni siciliani che risultano assegnatari dei tesori di mafia, solo 161 hanno risposto. Disinteresse? Incapacità di gestire immobili così importanti? Di sicuro, c'è tanta impreparazione nei Comuni. Ancora il report della Regione ci dice che solo 45 enti locali hanno chiesto finanziamenti per la sistemazione di 80 immobili. E i progetti presentati non devono essere stati neanche di qualità, perché sono stati concessi solo 23 milioni di euro sui 40 richiesti. Le cause di esclusione sono così sintetizzabili: "Mancanza dei requisiti, punteggio insufficiente, progetti presentati fuori termine". Sul tema dei fondi, i funzionari regionali hanno voluto approfondire, chiedendo ai diretti interessati. È emerso un altro dato preoccupante: "C'è una scarsa disponibilità di risorse da destinare alla redazione dei progetti".

Non è più rinviabile una riforma del sistema di gestione dei beni confiscati. La commissione regionale antimafia ha messo in risalto un altro dato allarmante nell'ultima relazione: su 780 imprese definitivamente confiscate solo 39 sono attive. Per quanto riguarda quelle destinate, solo 11 su 459 non sono state poste in liquidazione.

Ha scritto il presidente Claudio Fava: "La disciplina sul sequestro e la confisca dei beni alle mafie pretende subito un investimento di volontà politica e di determinazione istituzionale che fino a ora non c'è stato. Insomma, un sistema da ripensare". Parole che più chiare non potrebbero essere: "Il rischio è che lo Stato, e con lui l'intera comunità nazionale, perda la sfida lanciata alla mafia da Pio La Torre e Virginio Rognoni con la legge che porta il loro nome". Che fare? La commissione nazionale antimafia ha provato a cercare le cause del disastro. E ha stilato un'interessante mappa della ripartenza a partire dai problemi, che sono questi: "La distanza temporale eccessiva tra confisca definitiva e destinazione, le condizioni dei beni da destinare, spesso frattanto vandalizzati o comunque danneggiati dall'incuria, le problematiche degli abusi edilizi, la carenza di personale che consenta di seguire i beni confiscati o redigere il regolamento comunale, i bandi chiusi senza richieste da parte delle associazioni". Ma il problema dei problemi è uno: "La mancanza di fondi" per valorizzare il tesoro inutilizzato.

Palermo capitale

Se quasi quattro beni confiscati su 10 (il 38,7 per cento e circa seimila su 15.500) si trovano in Sicilia, a Palermo sono il 12,1 per cento: da solo il capoluogo siciliano ha ricevuto il 10 per cento di tutti i beni destinati ai comuni italiani. Un onore e un onere non semplice da gestire. Lo studio dell'Istat, curato da Ludovica Ioppolo e Fabrizio Consentino, offre uno spaccato. Erano quasi duemila i beni per il territorio palermitano al 31 dicembre 2019. Tra questi, 1281 sono destinati al Comune; gli altri 700 sono di pertinenza di altre istituzioni, come i Carabinieri (202) la Guardia di finanza (171) e la Regione (68). Ma qui sorge il problema. Dei 1281, soltanto 1050 sono acquisiti al patrimonio, 248 si trovano in una sorta di limbo, ovvero è stato emesso il decreto di destinazione, ma solo sulla carta. Tra i 1050 del patrimonio, 414 beni (il 39,4 per cento) non sono utilizzati.

Beni fatiscenti o occupati

Ma perché 4 beni su 10 non sono assegnati? "Prendere in gestione un bene confiscato non sempre conviene, perché gli immobili sono in cattive condizioni e si può spendere fino a 100mila euro", conferma Marco Farina, direttore dell'Ong palermitana Hryo. A volte passano molti anni tra l'assegnazione e la presa di possesso. "Nel 2017 abbiamo preso 100 punti, il massimo, per gestire un terreno a Ciaculli, ma siamo arrivati alla pari con un'altra associazione che è stata sorteggiata vincitrice - racconta Farina - così siamo rimasti due anni in graduatoria e a gennaio del 2019 ci è stato assegnato un terreno confiscato in via Trabucco a Cruillas per un progetto di inclusione sociale". Ma negli ultimi due anni l'associazione ha trovato mille ostacoli: tra cui i rifiuti speciali da bonificare, con un assegno da 10mila euro. "Può capitare anche di perdere migliaia di euro di fondi per riqualificare un bene, perché non arriva in tempo l'ok degli uffici comunali", aggiunge Farina.


C'è una montagna di carte nell'ufficio del servizio Beni confiscati, demanio e inventario del Comune, che ha un organico di 19 persone, tra cui tre funzionari e un dirigente, per gestire il più grande patrimonio d'Italia. "Molti beni non sono in condizioni ottimali e i comuni avrebbero bisogno di fondi per gestirli - dice l'assessore al Patrimonio Tony Sala - In passato, per ragioni storiche, sono stati acquisiti troppi beni, ma oggi la ragioneria generale è molto rigida, basti vedere l'ultima pratica sull'acquisizione di immobile per il settore scuola a Borgo Nuovo".

Svolta sull'uso abitativo

L'altro grande nodo è rappresentato dalle occupazioni dei senzatetto. A Palermo, 81 immobili risultano occupati abusivamente, quasi l'8 per cento. Basta scorrere l'ultimo elenco sul sito del Comune per trovare la voce: "Occupato abusivamente da nucleo familiare, procedure di sgombero in corso". Un caso recente è quello di Mandarinarte, mandarineto delle legalità di Ciaculli, trasformato con 240mila euro in uno spazio sociale, che a fine 2017 è stato occupato e devastato da due famiglie prima di essere sgomberato e restituito alle associazioni. A maggio scorso, il consiglio comunale ha approvato un nuovo regolamento comunale sui beni confiscati che definisce la prevalenza dell'uso abitativo. E sono in corso di valutazione le proposte per la concessione ad uso sociale di alcuni beni inseriti in un avviso pubblico di aprile del 2020.
Secondo lo studio Istat pubblicato di recente, a Palermo sono 181 i beni con uso abitativo: 140 gestiti da associazioni, 21 da enti ecclesiastici, 17 da cooperative e 2 da fondazioni. "Nella città dell'emergenza abitativa l'utilizzo del patrimonio confiscato per dare una casa a chi non ce l'ha è necessario - dice il consigliere di Sinistra Comune Fausto Melluso, che ha seguito l'iter del regolamento - ora si potranno invece sperimentare anche l'autorecupero o il co-housing e questo consentirà di utilizzare molte più abitazioni".

Palermo, a Cruillas un orto sociale nel terreno confiscato alla mafia

Sicilia prima per il riuso sociale

L'altra faccia della medaglia è l'uso sociale dei beni per cui la Sicilia, secondo un censimento di Libera, è la prima regione in Italia con 204 soggetti gestori. E Palermo i beni a uso sociale sono 180. Storie di riscatto come la Sartoria Sociale della cooperativa Al Reves, che dal 2017 gestisce un immobile confiscato all'immobiliare Raffaello, gestita dal mafioso Antonino Buscemi, e dà lavoro a ex detenuti, vittime di tratta, disabili e migranti. O ancora la "Volpe Astuta" di Fondo Micciulla, al Altarello, confiscato alla famiglia Piraino per farne un campo base scout. Quello che le associazioni - da Libera ad Arci e Addiopizzo- non sono riuscite a ottenere è un osservatorio comunale sui beni confiscati: "A 25 anni dalla legge del '96 sul riuso sociale occorre rilanciare la visione cittadina sui beni confiscati - dice Chiara Natoli di Libera - non esiste una mappa e per superare ostacoli burocratici servirebbe uno sportello unico e uno spazio di confronto tra istituzioni e società civile come un osservatorio".

Che giustizia è se non si rispettano le donne anche da morte?”

IL   caso che     tratto oggi   è  uno  dei tanti   femminicidi   che  quotidianamente  avvengo  in italia  nel silenzio  quasi totale    se  non in trasmissioni di nicchia   ,  o  che non sia  qualche  caso eclatante    magari per  riempire  con la  cronaca nera   qualche   buco  oppure  occultare  \  far passare in secondo piano notizie  scomode     . Esso  è      il   Femminicidio  di   Giordana Distefano, avvenuto  6 anni fa  . Allora qualcuno  si può chiedere    ,ma  come è una storia  di 6  anni fa  perchè   ne  parli . Certo  è una  storia  lontana   cronologicamente  .  Ma Come    è  ovvio   ed  scontato  , tranne che    per  i carnefici  e  i tribunali  la ferita non si rimargina, non può rimarginarsi. 
Infatti   sono  passati ben  sei  anni   ed  la  causa  giudiziaria  è ferma    al primo  grado di  giudizio  . Se non fosse   per  la madre    finirebbe   nel   dimenticatoio  e   fra le  tante  cause  che  si prescrivono 

Femminicidio Giordana Distefano

Il  sito  dayitalianews.com/ in : <<Femminicidio di Giordana Distefano: "Che giustizia è se non si rispettano le donne anche da morte?"  >> ha  incontrato Vera Squatrito, la madre di Giordy, barbaramente uccisa, a Nicolosi, centro delle provincia etnea, dal padre di sua figlia, nell’ottobre del 2015, perché aveva avuto il coraggio di denunciarlo per stalking.
Quella denuncia ancora lasciata in sospeso, nonostante gli anni trascorsi, nonostante l’assassino sia già stato condannato a 30 di reclusione col rito abbreviato: lo scorso mese è stata rinviata per l’ennesima volta l’udienza

Femminicidio Giordana Distefano

Sembra incredibile, ma è quel che accade  quotidianamente   e  continuerà  ad  accadere  se   alla schifo riforma  della  cartabia  non  si porrà rimedio   , mentre il dolore continua a devastare chi resta e non si capacita della lentezza dei procedimenti, dei cavilli, della mostruosa indifferenza dei codici, della burocrazia, della assenza di rispetto per le vittime e le loro famiglie.

Femminicidio Giordana Distefano

Ma Vera non demorde. Infatti

  

Ella parallelamente alla sua lotta per ottenere completa giustizia, nel nome della figlia ha inaugurato la Casa di Giordy,[ foto sopra ] un progetto che da centro di ascolto per le donne che vogliono dire basta alle aberrazioni del maschilismo ambisce a diventare punto di riferimento, rifugio, quartier generale per le denunce e la rinascita.

  • 11.10.21

    Serdiana, il prete "dissidente" Don Cannavera firma per l'eutanasia legalecosa dirà la chiesa fara come il referendum sulla procreazione assistita ?

    Leggo sulla    pagina fb    dell'unione  sarda   11 ottobre 2021 alle 18:23   questa  news  


    Serdiana, il prete "dissidente" Don Cannavera firma per l'eutanasia legale
    "Ho firmato anche io il referendum per l'eutanasia legale e organizzato due incontri con docenti universitari, per questo sono stato 'richiamato' dal vescovo di Cagliari per chiarire le mie idee".

    Lo ha rivelato don Ettore Cannavera (  foto a  destra  )  impegnato in una battaglia culturale all'interno della Chiesa, affinché si affronti e si superi il tabù del fine vita.Il sacerdote è intervenuto al Congresso dell'Associazione Luca Coscioni a Roma.
    Nella mia visione di fede Dio è amore, non siamo individui singoli io io conta la relazione con gli altri, il noi. Una caratteristica fondamentale dell'essere umano è la relazione. Occorre combattere la solitudine più che altro. Non lo chiamerei suicidio assistito, ma condiviso. La vita non viene tolta ma trasformata, perché ti accanisci, lo tieni nella sofferenza, a fare che? A chi appartiene la nostra vita, non al singolo, ma alla comunità, alla nostra famiglia, a tutti. E un bene comunitario. Se a fronte di atroci sofferenze la decisione migliore per qualcuno è interrompere la vita allora io gli dico fallo serenamente, sarai benedetto dal Padre Eterno".

    Incuriosito    sono  andato a    cercare  un video  sulle  sue  dichiarazioni  ed  ho trovato questo  



    Referendum eutanasia, il prete “dissidente” Don Cannavera dice sì Cappato "Nella Chiesa vi è uno scisma sommerso"
    Roma, 11 ott. (askanews) 
    “Ho firmato anche io il referendum per l’eutanasia legale e organizzato due incontri con docenti universitari, per questo sono stato ‘richiamato’ dal vescovo di Cagliari per chiarire le mie idee” rivela don Ettore Cannavera, impegnato in una battaglia culturale all’interno della Chiesa, affinché si affronti e si superi il tabù del fine vita. E’ intervenuto al Congresso dell’Associazione Luca Coscioni a Roma.
    “Nella mia visione di fede Dio è amore, non siamo individui singoli io io conta la relazione con gli altri, il NOI. Una caratteristica fondamentale dell’essere umano è la relazione. Occorre combattere la solitudine più che altro.


     Non lo chiamerei suicidio assistito, ma condiviso. La vita non viene tolta ma trasformata, perché ti accanisci, lo tieni nella sofferenza, a fare che? A chi appartiene la nostra vita, non al singolo, ma alla comunità, alla nostra famiglia, a tutti. E un bene comunitario. Se a fronte di atroci sofferenze la decisione migliore per qualcuno è interrompere la vita allora io gli dico fallo serenamente, sarai benedetto dal Padre Eterno”
    “Sull’eutanasia è ora di aprire un dibattito anche teologico all’interno della Chiesa cattolica – replica Marco Cappato, Tesoriere dell Associazione Luca Coscioni -, intesa non semplicemente come gerarchie vaticane ma come comunità dei credenti. Quel 52 per cento di praticanti assidui della messa che a Nordest sono a favore della possibilità di un medico di terminare la vita del paziente su sua richiesta (fonte IPSOS , Il Gazzettino) indicano l’esistenza di quello che il grande filosofo ed esponente dell’esistenzialismo cristiano Pietro Prini definiva “scisma sommerso”. Ringrazio don Ettore Cannavera perché il suo intervento al Congresso dell’associazione Luca Coscioni aiuta ad aprire finalmente quel dibattito all’interno della Chiesa cattolica, a far emergere quello scisma”.

    10.10.21

    Tattoo Expo Roma, una tatuatrice: "Perché ho detto no a un tatuaggio sulla faccia di un ragazzino" e Tatuaggi, è boom per riemergere dalla pandemia. Nonne e nipoti unite dai tattoo

     Viaggio tra gli stand dell'International Tattoo Roma in corso nella capitale fino al 10 ottobre. Il business dei tatuaggi nel corso degli ultimi anni è cresciuto in maniera esponenziale, ma i tatuatori non sempre sono disposti ad accontentare qualsiasi richiesta dei loro ciascuno  di  loro  ha  una  sua  etica  .



     racconta Gloria  la  tatuatrice   in questione  (  foto a destra    estrapolata  dal  video   riportato sotto    )  :   << Una volta ho rifiutato di tatuare un ragazzo molto giovane sul viso, spiegandogli che secondo me non era il caso, che ci sarebbe dovuto arrivare col tempo">> 

     Inoltre   << Un tatuaggio è un vero e proprio scambio tra chi offre la propria arte e chi mette a disposizione un pezzo di pelle >>, continua l'artista.   E poi << Ogni tatuaggio rappresenta ogni mia esperienza, nessuno dei disegni incisi sulla mia pelle è fatto solo per il gusto di farmelo fare>> dice Pierpaolo, un ospite della rassegna nello spazio di un tatuatore. << Come professionista tatuatore invito i miei clienti a evitare di tatuarsi il nome di una persona che in quel momento è a lei cara ma che poi in futuro potrebbe non esserlo più>>, afferma Stefano, anche lui all'opera nel corso della rassegna. Ed  ha ragione   perchè toglierselo poi  è un casino   perchè  se   poi quella  persona non l'ami più  , o  hai rotto , ecc  ti rimane il " marchio a  vita  e  il rimorso   ed  il  rimpianto   non  ti lascia  più  . Per me una schiena  ed   anche le altre parti del corpo (  corsivo mio ) è come una tela", spiega  sempre  l'artista.  I pareri  per  le motivazioni sul  perchè la  gente  si  fa  i tatuaggi    sono  diversi  "Prima forse tra le persone c'era più consapevolezza riguardo la motivazione che le spingeva a farsi fare un tatuaggio. Oggi molti si tatuano solo per puro estetismo", dice Valentina, un'altra tatuatrice.
    Infatti    Non ci sono più limiti di età e sono le donne a guidare l'impennata di un settore che dal 2012 a oggi è aumentato del 376%. "Subito dopo il lockdown ---- dice a repubblica del 06 OTTOBRE 2021  Alessandro Bonacorsi, conosciuto come Alle Tattoo ---  siamo stati presi d'assalto dai clienti. C'era voglia di imprimersi sulla pelle un simbolo di rinascita". la richiesta è tanta e subito dopo il lockdown è aumentata. Fra i miei clienti, c'è chi si è tatuato nomi di parenti morti per il Covid, le iniziali di fidanzati conosciuti online, la data del vaccino o anche mascherine. Ogni momento della pandemia è stato impresso sul corpo come fosse un album di fotografie". Bonacorsi, cIn Italia, secondo gli ultimi dati di Unioncamere aggiornati al 30 giugno 2021, ci sono 6324 attività di tatuaggi e piercing. Nel 2012 erano 1328, il che si traduce con una crescita vertiginosa del 376%. La regione che ne ha di più è la Lombardia, con 1374 negozi, segue il Lazio, con 677, terza la Toscana, con 573. Ultima in classifica la Valle D'Aosta, che ne conta 14.lasse '75, ha iniziato a tatuare da adolescente. "A 13 anni mia madre, una disegnatrice della Panini, mi ha portato a Londra e lì per la prima volta sono entrato in un negozio di tattoo. Il rumore della macchinetta mi ha catturato". Da allora Bonacorsi, che su Instagram ha più di 370mila follower, ha girato il mondo per convention aggiudicandosi diversi premi, nel suo studio a Modena riceve una clientela internazionale e sta lavorando al progetto del MAT75, il museo del tatuaggio "più grande del mondo" che nascerà a Limidi di Soliera (provincia di Modena) entro l'anno. "Quando ho iniziato io questo lavoro non era considerato una professione, adesso è diventato quasi normale avere un amico tatuatore". Secondo  alcune statistiche   In Italia, secondo gli ultimi dati di Unioncamere aggiornati al 30 giugno 2021, ci sono 6324 attività di tatuaggi e piercing. Nel 2012 erano 1328, il che si traduce con una crescita vertiginosa del 376%. La regione che ne ha di più è la Lombardia, con 1374 negozi, segue il Lazio, con 677, terza la Toscana, con 573. Ultima in classifica la Valle D'Aosta, che ne conta 14.
    Quello che inoltre   stupisce  è  che   stanno aumentando   i laboratori di  Tattoo     aperti da  donne  . Infatti sempre  secondo  repubblica  del  6.10.2021



    "E pensare che solo 9 anni fa era tutta un'altra storia". A parlare è Anna Neudecker, in arte La Bigotta ( ne  trovate    qui  nel post  due  tatuaggi ) 
     nome scelto perché - come spiega ridendo - "sono tutt'altro che una bigotta". Nata in Germania, cresciuta a Roma, un passato da restauratrice, a 30 anni il marito le regala una macchinetta da tatuaggio che lei inizialmente guarda con sospetto. Un anno più tardi, con l'aiuto di un tutorial, ci si cimenta e scopre il suo talento. Inizia a cercare lavoro in alcuni studi romani, ma i titolari - tutti maschi - le chiedono "Vuoi un posto come segretaria, non come artista, vero?". Fra i tanti no, le parole di un tatuatore sono un'epifania: inventa qualcosa di nuovo, perché il mercato è saturo. Si concentra sul surrealismo e sull'arte vittoriana e da lì nasce il suo stile: in bianco e nero, onirico, straniante, vintage.
    "Trovai uno studio a Roma dove pian piano ho iniziato a proporre le mie nuove illustrazioni, come le donna-nuvola e la donna-rosa, e proprio in quel momento ho aperto la pagina Instagram. In 5, 6 mesi ero piuttosto conosciuta. Poi mi sono trasferita a Milano per il lavoro di mio marito e la mia carriera è esplosa". Neudecker ha aperto a Milano Casa Bigotta e dà lavoro ad altre due donne. La pandemia non ha rallentato la sua attività: "Appena abbiamo riaperto dopo il lockdown siamo state sommerse di richieste. Le persone hanno avuto tempo evidentemente di riflettere, di pensare a cosa imprimersi sul corpo. C'era molta voglia di rinascita. C'è un tatuaggio che da 9 anni ripeto uguale: la tuffatrice, che simboleggia appunto un cambiamento nella vita. L'avrò tatuata almeno duemila volte. Siamo un esercito di donne-tuffatrice"


    cari green pass cosa aspettate a prendere le distanze dai fascisti di forza nuova ? volete essere etichettati come fascisti

     Cari no Green pass 
    Capisco  , anche se  non  condivido perchè protestate     senza  proporre  alternative  ,  il vostro malumore  per  un  decreto fato a .... . Ma   almeno  evitate  di  farvi strumentalizzare     e  farvi  scambiare \  etichettare  quando sappiamo benissimo  che  non è cosi   come  fascisti   e  violenti tipo quelli che ieri 


    Alcuni frange  del  vostro  movimento   hanno  assalto squadrista alla Cgil, come ai tempi del ventennio.


    Un simbolo della democrazia (  o  presunta  tale  ) violati. Saccheggi, devastazione, eversione pura guidata da forze dichiaratamente neofasciste.
    Quindi mi chiedo ma  che ....  aspettate  a  prenderne le distanze  e  a  chiedere  di lo scioglimento    di Forza  Nuova  


       conferma  di quello che  ho scritto   è    anche  la notizia  di poco  fa  

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    No Green Pass: assalto all’Umberto I di Roma nella notte: 4 feriti, devastato il Pronto soccorso

    Immagine di copertina

    Al Policlinico era ricoverato uno dei partecipanti alla protesta di ieri, già in stato di fermo

    Non si sono placate nella notte le proteste dei No Green Pass, che già dal tardo pomeriggio di ieri si sono resi protagonisti di violenti scontri e tafferugli con le forze dell’ordine nelle vie del centro di Roma, a seguito della manifestazione indetta a Piazza del Popolo. Una trentina di manifestanti ha assaltato nella notte il pronto soccorso del Policlinico Umberto I della Capitale, dove era ricoverato uno dei partecipanti alla protesta contro il Green Pass, già in stato di fermo. I manifestanti hanno sfondato la porta di ingresso, poi hanno devastato il pronto soccorso.

    9.10.21

    ci sono cure alternative valide e pseudo cure alternative . Il caso di Bella e il caso Stamina non hanno insegnato niente



    Fra le tante email che ricevo  ce  ne  sono  certe  di  questo tenore  

    Ciao
    ti seguo da un po' e devo riconoscere che sei molto colto , ma visto gli ultimi post in particolare   quelli  sui  no  vax  e  sul  covid fra  cui    quello  : << Ne con  i Novak ( quelli attendisti e quelli creduloni ) ne con i Provax / i Vax ( acritici e  critici ) >>mi viene da chiederti oltre al tuo interessarti post ma solo di facciata   alle  cure  alternative perché dici d'essere per la libertà di cura e le medicine / cure medicine alternative ma non vedi che per il covid ci sono e le ignori così come ci sono per il cancro ed i tumori ? ma quanto ti pagano le case farmaceutiche e mainstream per non parlarne parlarne o parlarne male visto che fai la stessa cosa sui social ?
                                                                                           
                                                                 valentina


    Ora  già  dal  tono     di questa  lettera  in particolare  : <<  [...] quanto ti pagano le case farmaceutiche e mainstream per non parlarne  parlarne    o  parlarne  male  visto che  fai  la stessa  cosa   sui  social  ?
    [... ]  >>dovrei       cestinarla  o  mandarle  a  Fncl ed  evitare  di ascoltare  chiunque  ogni lamento come  diceva in una bellissima canzone   un   famoso  cantante.  Ma   come il  solito    : << se son d' umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie:\di solito ho da far cose più serie, costruire su macerie o mantenermi vivo ... (  cit .  musicale vedi   secondo  collegamento ipertestuale  >>.  
    Dopo    questo   sfogo          veniamo   alla  risposta  che  è  si  singola    ma  vale  per  chi mi scrive  lettere  simili   e  che  speriamo  che     lo leggano  anche certi presunti maître à penser che si fanno portatori delle più scombiccherate teorie complottiste  sfruttando    , come  nel  caso  sotto  ,  la  nostra  componente  irrazionale  . Uno di loro, Carlo Freccero, per convincerci che siamo dominati (  ed  in parte  è vero  ) dalla Spectre mondiale del capitalismo, ha detto in tv: «Lo spiegano bene nella Casa di carta ». 


    Spett. Signora \ina  



    ci sono malattie che si possono curare ed in parte guarire  con le  cure  alternative  come  la  cannabis  ad uso terapeutico   o  l'olio    di Lorenzo 

    una miscela di trigliceridi monoinsaturi, usata nel trattamento dell'adrenoleucodistrofia per diluire la concentrazione, nel sangue e nei tessuti, dell'acido grasso saturo C26:0 (acido cerotico), altamente dannoso per la guaina mielinica. La miscela fa abbassare la presenza di acidi grassi saturi, ma porta a un aumento della concentrazione dell'acido grasso insaturo C26:1, la cui tossicità ancora non è ben conosciuta. La somministrazione della miscela, in associazione a una dieta ipolipidica, ha mostrato "buoni risultati"[1]. Tuttavia, nonostante la normalizzazione dei livelli di C26:0 nell'arco di 4-6 settimane, la terapia con l'olio di Lorenzo non ha arrestato la progressione neurologica.Il nome deriva da quello di Lorenzo Odone, un bambino a cui i genitori, Augusto e Michaela, per primi somministrarono questa miscela, nell'ambito di un progetto di ricerca non ufficiale. Alla loro iniziativa si deve anche la fondazione del Progetto Mielina. Per i loro encomiabili sforzi e il loro contributo nel campo della neurologia e della medicina rigenerativa hanno ricevuto la laurea honoris causa in Medicina e Chirurgia dall'Università di Stirling                                                                                     segue  qui   su    https://it.wikipedia.org/wiki/Olio_di_Lorenzo

    Altre come quelle  citate  negli articoli  sotto  che   non si posso curare completamente  ne guarire  ed  altre  come    il  codiv  di cui   si sta  studiando   una  cura  efficace per  guarirle  . Ammettere questa  distinzione  non  significa negare     che   ci  si possa  curare  con  medicine   che  non siano quelle    " ufficiali  "  .  Infatti   ho  usato    da  poco  per  una distorsione  l'Arnica   un farmaco  omeopata   che    viene  usato in 
     traumatologia in caso di edemi post-traumatici (fratture, distorsioni, ecchimosi, contusioni, compressioni, ematomi, strappi muscolari, edemi da frattura), artralgie e disturbi articolari a carattere reumatico, versamenti articolari e flebiti non ulcerative.
    L'arnica trova largo impiego nella formulazione di prodotti per il massaggio sportivo e di cerotti ad azione antireumatica. .... >>  (  da   Arnica in Erboristeria: Proprietà dell'Arnica (my-personaltrainer.it) )

    Le cure di cui lei   parla per  il covid   sono per  il momento  prive di validazione scientifica  o quanto meno   sconsigliate   da  molti scienziati oppure  hanno effetto placebo  come  la famosa  cura  di  bella  o  in alcuni  casi   come  ad  esempio    una  recentissimo 


    L'INCHIESTA / FERRARA

    "Omissione di soccorso", aperta un'inchiesta sulle cure alternative no-vax

    Aveva rifiutato il vaccino e si curava con farmaci vermifughi un uomo di 68 anni morto di Covid a Ferrara dopo aver seguito le terapie 'alternative' di un medico legato all'associazione IppocrateOrg



    Redazione09 ottobre 2021 10:50


    La Procura di Ferrara ha aperto un'inchiesta per omissione di soccorso in merito alla morte di un 68enne deceduto per Covid-19 dopo essere arrivato all'ospedale Sant'Anna di Ferrara in condizioni ormai già compromesse: il paziente aveva "curato" l'infezione da Sars-Cov-2 basandosi esclusivamente sull'assistenza via mail e telefonica di un medico volontario che era legato all'associazione IppocrateOrg.    ......  segue   su  :  "Omissione di soccorso", aperta un'inchiesta sulle cure alternative no-vax (today.it)


     Ora  Concludo questa mia  risposta     riportando  integralmente  questi  due  articoli     presi  da la  nuova  sardegna  del  8\10\2021





    Le cure “alternative” prive di validazione scientifica: i rischi da evitare 
    Da Stamina agli ultrasuoni anti cancro

    08 OTTOBRE 2021

    SASSARI. Il padre di Laura, affetto da un tumore al cervello incurabile, diceva di trarre giovamento dalla terapia alternativa, nel suo caso la cura Di Bella, a cui è stato sottoposto negli ultimi 9 mesi di vita. In realtà il miglioramento non c’era ma la sensazione era dovuta a un fenomeno ben noto, l’effetto placebo: quando si inizia una terapia con la speranza che funzioni, inizialmente si percepisce un beneficio; è una percezione sia psicologica, perché il nostro cervello “sente” di fare qualcosa di attivo per combattere la malattia, sia fisica. Ma l’effetto placebo è temporaneo e si esaurisce passati i primi tempi di “ottimismo” : in alcuni casi, possono addirittura peggiorare i sintomi e il decorso della malattia, se la terapia alternativa interferisce con quella tradizionale o quest’ultima è stata addirittura sospesa. Secondo le ultime stime sono circa 13 milioni gli italiani che ricorrono a cure alternative, con l’omeopatia al primo posto. La percentuale scende vertiginosamente in presenza di malattie gravi come i tumori o patologie neurodegenerative come la sla, la sma (atrofia muscolare spinale), la sclerosi multipla. Tra le terapie alternative di cui si è parlato maggiormente in Italia oltre a quella introdotta dal dottor Luigi Di Bella alla fine degli Anni 90, ebbe grande risonanza il metodo Stamina, basato appunto sulle cellule staminali che venivano prelevate e poi dopo la successione manipolazione infuse nei pazienti. Il metodo Stamina fu proposto da Davide Vannoni, comunicatore pubblicitario, attraverso la Stamina Fondation. Per un breve periodo, dal maggio al settembre 2013, il metodo fu autorizzato dal Ministero della Salute ma poi bloccato per il parere negativo del comitato tecnico scientifico che lo definì totalmente inefficace. In Sardegna suscitò molta indignazione il caso della dottoressa di Cagliari (radiata dall’Ordine) che diceva di curare i tumori agendo sull’inconscio e insultando i pazienti. Ed è in corso il processo nei confronti di un’altra dottoressa, ogliastrina, che invece per curare il cancro utilizzava gli ultrasuoni: è accusata di omicidio volontario.

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    «Mio padre curato da Di Bella: lui morto, noi finiti in miseria»
    Il racconto choc di Laura: «Quando si ammalò persi la testa, avrei fatto di tutto». «La terapia aveva costi esorbitanti, ci rimasero solo i soldi per il suo funerale»
                                               Silvia Sanna


    SASSARI. C’era quel dottore anziano in tv con la faccia bella e i modi garbati e c’era suo padre che da un giorno all’altro perse la luce che gli faceva brillare gli occhi. «Aveva poco più di 60 anni, lavorava tanto, era pieno di energia: noi lo vedevamo come una roccia, una specie di super eroe invincibile». Un giorno, era dicembre del 1997, il padre di Laura cadde dal motorino. «Niente di grave all’apparenza ma non risuciva a muovere due dita di una mano. Allora un amico gli consigliò di fare una Tac».Dall’esame venne fuori una massa nel cervello: era grande e camminava silente chissà da quanto tempo. I medici furono schietti: il tumore era inoperabile e la chemio, in uno stadio così avanzato, non sarebbe servita a niente. Dopo 20 giorni il padre di Laura non riusciva più a muovere la mano, poi iniziò a zoppicare.
    «Quando in tv apparve quel medico, nel salotto del Maurizio Costanzo show, che esaltava l’efficacia della sua terapia non tradizionale, vidi di nuovo la luce negli occhi di mio padre: voglio farmi curare da lui, ci disse, voglio provare, chiamatelo». Quel medico era il dottor Luigi Di Bella.
    La scelta. Sino a quando la vita non la mise di fronte alla malattia, Laura, sassarese all’epoca quarantenne, aveva fatto della razionalità la sua bandiera: «Mi sono sempre ritenuta una persona equilibrata, mediamente intelligente e mediamente colta, capace di ragionare e agire con equilibrio, senza farmi sopraffare dall’impulsività. Tutte balle. Quando mio padre si ammalò precipitai in un buco nero: avrei fatto qualunque cosa per salvarlo. Ero sconvolta, tutti in famiglia eravamo sconvolti. Quel medico dava speranze, mi aggrappai a lui disperata. Nessuno provò a contraddirmi tanto ero determinata: ora penso che in quel periodo mi mancò una persona amica che mi scuotesse e mi facesse capire che stavo andando a sbattermi a tutta velocità contro un muro».
    La terapia Di Bella. La prima telefonata riaccese il sorriso. «Spedimmo al dottor Di Bella le cartelle cliniche di mio padre, le risonanze e la biopsia fatta a Verona – racconta Laura – e lui ci rassicurò: disse che papà era il candidato ideale perché il suo tumore, un glioblastoma devastante, era curabile con la sua terapia. Di Bella non ci disse che avrebbe cercato di salvare mio padre, ci disse che l’avrebbe salvato. Di fronte a queste sue certezze, io capitolai. Presi in mano la situazione dedicandomi esclusivamente alla malattia di mio padre e alle sue cure. Insieme mandavamo avanti l’azienda di famiglia: delegai tutto ai dipendenti, mi disinteressai completamente del lavoro. In quei giorni si ammalò anche mia sorella: un male invalidante che le ha provocato un ritardo mentale irrimediabile. Mia madre si concentrò su di lei, io su mio padre.Quando Di Bella, senza neanche vederlo una volta, ci prescrisse la terapia, non ci vidi nulla di strano. E da quel momento inizò la corsa per reperire ciò che serviva: un mix di farmaci, ormoni e vitamine la maggior parte dei quali non coperti dal servizio sanitario nazionale. In particolare la somatostatina: la ordinavamo in Svizzera, andavamo a prenderla alla Città del Vaticano, aveva prezzi spaventosi, siamo arrivati a spendere 500mila lire al giorno. Ma per papà- mi ripetevo - questo e altro. Dopo la terapia lui diceva di stare meglio: noi vedevamo i peggioramenti ma li ignoravamo «sarà una fase, poi passerà».
    Lui era ormai paralizzato e soffriva: il tumore cresceva e premeva sul cervello. Tante volte lo abbiamo portato in ospedale: durante i ricoveri – dice Laura – gli davamo la terapia di nascosto. Anzi, forse i medici sapevano e facevano finta di niente. Mio padre non aveva speranze e loro ne erano consapevoli sin dall’inizio: penso che noi, che non volevamo arrenderci, gli facessimo una pena infinita. Ma nel frattempo la mia follia provocò gravi conseguenze: l’azienda iniziò ad andare male e fummo sommersi dai debiti. Neanche questo mi fermò, anzi insieme a un gruppo di persone che seguivano la terapia Di Bella andai in piazza d’Italia per manifestare contro l’allora ministra della Salute Rosy Bindi, “colpevole” di non riconoscere l’efficacia della terapia. Io durante quei nove mesi continuai a mentire a me stessa: quando qualche familiare del gruppo moriva, dicevo che a ucciderlo non era stato il cancro, ma forse un infarto o chissà cos’altro. Da questo stato di trance mi svegliai solo una settimana prima che mio padre ci lasciasse: capii che era stata tutta una grande illusione. Lui era morto, a noi erano rimasti appena i soldi per pagare il funerale e la sensazione terribile di essere stati presi in giro, offesi nella nostra fragilità di fronte alla malattia di una persona cara».
    L’appello. Il padre di Laura non si sarebbe salvato neppure con la chemioterapia e questo aspetto alleggerisce il peso che Laura porta sulla coscienza. «Ho rispettato la sua volontà di farsi curare da Di Bella, mi sono indebitata per questo. Ma se lui avesse avuto anche una sola speranza di farcela attraverso le terapie tradizionali, allora non me lo sarei mai perdonato. Nel gruppo di cui facevo parte tanti hanno rinunciato alla chemio nonostante l’invito dei medici e hanno pagato questa scelta con la vita. Mio padre invece non aveva altre possibilità. Ma quanto è successo a noi è stato comunque terribile: in giro ci sono medici che lucrano sul dolore della gente, proponendo terapie che non hanno valore scientifico. Quando anni dopo si è ammalata mia madre ho seguito solo la medicina ufficiale, e quando dopo Di Bella si è parlato del metodo Stamina ho pregato perché nessuno facesse i miei stessi errori. Oggi quando ascolto i No Vax che denunciano complotti sul Covid, mi vengono i brividi. E se si tratta di una persona che conosco, a cui voglio bene, d’istinto faccio quello che avrei voluto facessero a me: la scuoto, cerco con tutti i mezzi di farla ragionare. Perché quel muro su cui vai a sbattere fa malissimo. Io ne porto ancora i segni, dopo 25 anni».

    Speriamo  d'esserli  stato utile 

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