27.10.23

Omer e Omar, uno israeliano, l’altro palestinese: così la guerra (anche sui social) lega il destino di due bambini uccisi vicino al confine



Bambini - paola Turci




Mentre leggo gli  l'articoli   e  vedo    la   foto tratta   dal   primo  ,  riportati  sotto non riesco a controllare le lacrime e lo sconforto nel vedere le vittime collaterali delle guerrra . In questo caso una guerra secolare in cui s'intersecano : ptrolio , religioni , odi atavici ed secolari .




                                        repubblica 
di Enrico Franceschini

Avevano entrambi 4 anni: il primo è morto con tutta la sua famiglia, sterminata il 7
ottobre da Hamas, il secondo è rimasto sepolto sotto la casa che gli è crollata addosso colpita da un missile israeliano. E in Rete c’è chi ha trasformato le loro tragiche storie in propaganda





I loro nomi sono quasi identici: Omer e Omar. Anche l’età era la stessa: avevano entrambi quattro anni. Il primo israeliano, il secondo palestinese, sono morti a pochi chilometri di distanza, sui due lati del confine che separa lo Stato ebraico dalla striscia di Gaza: Omer ucciso il 7 ottobre da Hamas, con tutta la sua famiglia, nel kibbutz in cui vivevano; Omar morto sepolto dalla casa che gli è crollata addosso quattro giorni più tardi, quando è stata colpita da un missile israeliano.
E il tragico destino che ha fatto morire questi due bambini li ha uniti anche sotto un altro aspetto: sui social media la fine dell’uno e dell’altro è stata negata da migliaia di utenti, accomunati dall’odio che si rifiuta di accettare la realtà e trasformati in propaganda.
L’attacco di Hamas ha colto Omer Siman-Tov nel kibbutz Nir Oz, una delle fattorie agricole collettive a una manciata di chilometri dalla frontiera di Gaza messe nel mirino dai fondamentalisti islamici del gruppo. Uomini armati sono penetrati nella sua abitazione, hanno sparato al padre Yonatan e alla madre Tamar, lasciando Omer e le sue due sorelline di qualche anno più grandi all’interno dell’abitazione, a cui hanno poi dato fuoco. I tre bambini sono morti bruciati vivi. Una foto della famiglia Siman-Tov è finita sul profilo del governo israeliano su X, l’ex-Twitter: ritratto di due genitori e tre figli, all’aria aperta, sorridenti e felici. “Un’intera famiglia spazzata via dai terroristi di Hamas”, diceva il post.
Ma tra i commenti lasciati dagli utenti, accanto a parole di condoglianze, solidarietà e dolore, molti hanno accusato Israele di avere pubblicato una foto falsa. “Il bambino indicato come Omer è un attore, non è morto, sta benissimo, lo hanno pagato per recitare il ruolo della vittima dei palestinesi”, afferma uno. “Sono tutti attori, quella famiglia nella realtà non esiste”, afferma un altro. “Non ci sono prove, Israele smetti di mentire”, sostiene un terzo.
Altri hanno affermato addirittura che Omer sarebbe stato ucciso apposta da Israele per poter dare la colpa ad Hamas. Decine e decine di commenti del genere, poi rimbalzati in mezzo mondo, così dando credito alle menzogne di Hamas che da parte sua dichiarava: “Noi non ammazziamo bambini, non uccidiamo civili innocenti”. Una reazione simile a quella della Russia dopo i bombardamenti dell’ospedale di Mariupol, durante la guerra in Ucraina, quando una donna incinta, trasportata via in barella fra i crateri lasciati dalle bombe, fu descritta da Mosca come “una nota attrice”.
A 23 chilometri dal kibbutz dove ha perso la vita Omer, quattro giorni dopo è morto Omar Bilal al-Vanna, sotto le macerie provocate da un raid aereo israeliano su Zeitoun, un sobborgo di Gaza City. Il piccolo bambino palestinese stava giocando in giardino con il fratello Majd di sette anni, quando un razzo ha fatto crollare loro addosso l’abitazione. Omar non ce l’ha fatta, Majd è rimasto ferito a una gamba. Qualche ora più tardi sui social è circolata una foto del padre di Omar, che teneva fra le braccia il corpicino senza vita del figlioletto, portandolo all’obitorio della città.
A quel punto è partito il tam-tam delle smentite. “Quel fagottino che l’uomo ha in braccio non è un vero bambino, è una bambola”, hanno scritto in tanti. “E’ il gioco della disperazione di Hamas, per suscitare proteste in Occidente”, accusano altri post. “Tutta propaganda di Hamas, non credeteci”, sostengono altri ancora. Anche questi post hanno fatto il giro del mondo: uno è stato visualizzato ben 3 milioni e 800 mila volte.
È stata la squadra di fact-checker della Bbc a ricostruire la verità, verificando l’identità dei due bambini e le circostanze in cui sono morti. La giornalista inglese autrice dell’indagine, Marianna Spring, corrispondente della redazione che si occupa di disinformazione e fake news, ha raccontato a Mor Lacob, un’amica della madre di Omer, che anche la morte di Omar è stata messa in dubbio da una analoga campagna di odio e di troll sui social. “Il mio cuore piange per tutti gli innocenti”, le ha risposto la donna, “assassinati e uccisi a causa delle azioni di Hamas”.



I nomi scritti sulle gambe, a Gaza le madri preparano il riconoscimento dei figlidi Sami al-Ajrami 
La strage dei bambini: sono il 40% dei morti
nella Striscia. Uccisi interi nuclei famigliari. Ora i parenti si separano per evitare l’estinzione








DEIR AL BALAH – Il 40% delle vittime dei bombardamenti su Gaza sono minori. Lo dice l’Unicef, non il locale ministero della Salute controllato dal governo di Hamas. Il numero dei giovanissimi morti è agghiacciante: 3mila vittime.
Le si vede arrivare in ospedale con i nomi scritti sulle gambe o sulle braccia dai loro genitori: affinché possano essere riconosciuti e non finiscano seppelliti semplicemente con un numero sul lenzuolo. Muoiono o vengono feriti mediamente 400 minori ogni giorno. «Pensano che siano i bambini il nemico? Sono forse loro i responsabili delle uccisioni e dei rapimenti?», è una frase che si sente ripetere davanti ai corpicini nelle camere mortuarie.
I bimbi che sopravvivono sono intontiti dalla paura, scioccati dalla perdita dei familiari e dalla devastazione di tutto ciò che conoscono. Così, proprio per salvarli, nelle ultime ore, si sta assistendo a un fenomeno nuovo qui nell’aria meridionale della Striscia di Gaza, dove Israele continua a bombardare pesantemente pure le zone a Sud del Wadi Gaza nonostante le avesse indicate come sicure. Intere famiglie abbandonano villaggi e rifugi e, come già accade a nord, vanno ad affollare le aree degli ospedali.
Nella sola giornata di ieri sono state centinaia le persone rifugiatesi nei pressi dell’ospedale al-Aqsa di Deir al Balah: occupando in poche ore tutto lo spazio disponibile con materassi accatastati e tende fatte di tappeti e di stracci. «Forse bombarderanno pure qui», dice Abu Ali Issa, arrivato da Bureij, un piccolo campo profughi vicino: «Ma almeno l’ospedale sarà l’ultimo posto che prenderanno di mira».
E si osserva anche un altro cambiamento: contrariamente a quanto le famiglie hanno fatto finora, riunirsi tutte insieme in un unico luogo, secondo tradizione nei momenti di crisi, cominciano a dividersi in rifugi diversi, sperando che così sopravviva almeno qualcuno. I bombardamenti hanno infatti già troppe volte cancellato interi nuclei, uccidendo fino a 30, 40 membri di un solo clan. Così mentre gli adulti continuano ad arrangiarsi dove e come possono, anziani e bambini – questi accompagnati da un solo adulto - vengono smistati nei pressi degli ospedali nell’area centrale di Gaza. O nelle scuole che l’Unrwa, ha qui in meridione: con buona pace del fatto che pure le risorse dell’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi sono agli sgoccioli. E a Nord lo hanno detto chiaro ai profughi ospitati nei loro rifugi: “Non siamo più in grado di garantirvi la protezione delle Nazioni Unite”.
A dilaniare questi bambini ci sono poi le ferite dello spirito. Stringe il cuore ascoltare quelli che ripetono continuamente il nome di mamme, papà, fratelli o sorella appena morti. O piangono disperati, implorando di essere riportati in una casa quasi certamente distrutta. Mentre i più grandi usano la parola morte come fosse normale alla loro età, anche parlando dì sé stessi: “Se non muoio vorrei...”. Qui all’al Aqsa Hospital c’è Salma, bambina di nove anni, costretta a crescere in fretta: è sola a prendersi cura dei fratelli di 5 e 2 anni. La mamma e la sorella sono all’interno dell’ospedale, ancora vive ma gravemente ferite, mentre i tre piccoli sopravvissuti dormono all’esterno con altri bambini. Il resto della famiglia, è morta sotto le bombe.
C’è poco per aiutare i più traumatizzati a superare il terrore che ormai li rende apatici e inappetenti e gli fa bagnare il giaciglio di notte anche se non sono più piccoli. Le ong che si occupavano di minori sono allo sbando, non più operative. Ma assistiamo sempre più spesso alle azioni straordinarie di volontari giovanissimi, spesso adolescenti, poco più grandi dei ragazzini di cui si prendono cura. Alcuni sono sportivi che improvvisano per loro giochi di squadra. Oppure studentesse sempre pronte a raccontar favole o a farli cantare. Capaci di trasformare un filo per la biancheria in una corda da saltare. Cartoni da imballaggio in un mini villaggio. E a riciclare ogni foglio per farli disegnare. I piccoli si stringono a ogni possibile oggetto con cui giocare, sapendo di poterlo brutalmente perdere domani.
Intanto, nei campi e nei rifugi le madri cercano di conservare ancora un po’ di decoro strofinando il viso, le mani, i denti dei piccini quotidianamente, spesso solo con uno straccio un po’ umido perché l’acqua è carente. E provano a fargli anche un po’ di scola, tracciando lettere dell’alfabeto per terra. «I miei figli dormono al freddo e in luoghi sudici, sono tutti malati» dice Jannat mentre i suoi tre maschietti si rotolano sui materassi della tenda piazzata in gran fretta nel campo profughi di Kahn Younis. «Dove sono i diritti umani dei miei figli?»

(testo raccolto da Anna Lombardi)

“Hamas non ha ucciso”. La fabbrica trasversale del complottismo italiano

Va bene dubitare delle versioni ufficiali e dei loor media come il sottoscritto , nato e cresciuto : nel periodo della guerra freda e della strategia della tensione .,con rimanzi e film polizieschi ., e le storie di topolino . Ma qui s'esagera . L'ultima ipotesi comlottista è  che  “Hamas non ha ucciso”.  e  l'attentato  del 7 ottobre     se lo sia  fatto Israele   per  giustificare  i  suo intervento nella striscia di Gaza



Domenica 8 ottobre 2023, il giorno dopo le stragi di Hamas in territorio israeliano. Sul canale Telegram “Stop dittatura” a cura di Ugo Fuoco, 40 anni, già leader del comitato “Napoli non si piega” all’epoca della pandemia di Covid, compare il seguente post: “L’attacco di Hamas è una false flag, operazione pianificata dall’alto”. False flag, falsa bandiera, indica operazioni svolte sotto mentite spoglie. Significa, nel caso specifico, che gli israeliani sono stati scannati da altri israeliani per giustificare l’attacco militare a Gaza. Seguono centinaia di messaggi di approvazione e migliaia di condivisioni sui diversi social.
Le operazioni false flag sono un’ossessione dei cospirazionisti di tutto il mondo. Servono peraltro a giustificare tutti gli eventi sgraditi o imprevisti o indifendibili: l’assalto dei trumpiani a Capitol Hill nel gennaio 2021? Un tranello orchestrato dai democratici. Il massacro di civili a Bucha? Una messinscena ucraina, non li avete visti i cadaveri che si muovevano? I feriti dalle bombe a Mariupol? Attori. Negli Usa li chiamano: crisis actors. Molti fanatici delle armi sono tuttora convinti che fossero attori anche i genitori dei bimbi massacrati dal ventenne Adam Lanza nella scuola elementare di Sandy Hook nel 2012. La tesi: un’operazione false flag per screditare la lobby delle armi.  
La  priam  puntata  dell'inchiesta  : << Viaggio nel cospirazionismo in Italia 1 / Sui canali Telegram e sui siti diinformazione “alternativa” si diffondono le teorie false che provano a smentire i “media mainstream >>     di    repubblica    si chiede   : <<  (  ..... )  Quando è cominciato tutto? Quando sempre più cittadini – persone normali, elettori, non solo pazzi paranoici – hanno cominciato a credere all’esistenza dei complotti più assurdi e inverosimili ?  I social e il dilagare dei canali digitali non bastano a spiegare tutto. E ancora: perché, in Italia molto più che all’estero, a cadere nel buco nero del cospirazionismo sono spesso anche persone che si ritengono progressiste? Flashback. In Italia c’è stata una vera operazione false flag che ha marchiato l’immaginario di almeno tre generazioni: piazza Fontana. La bomba dei fascisti e degli apparati deviati dello Stato fatta passare per attentato anarchico.
11 settembre 2023, sul sito di Byoblu – ci torneremo spesso, sul network creato dall’ex comunicatore M5S Claudio Messora, in questo piccolo viaggio nel cospirazionismo italiano – va in onda uno speciale sull’anniversario dell’attentato alle Torri gemelle. Invitati a parlare sono Luca Marfè, 43 anni, opinionista di punta del canale, in alcune bio è professore di Storia contemporanea all’università “Central de Venezuela” di Caracas; il regista Massimo Mazzucco, 69 anni, autore di un documentario, 11 settembre 2001 – Inganno globale molto noto qualche anno fa tra i fautori della tesi secondo la quale gli Usa si sono abbattuti da soli le Torri gemelle. Con loro c’è anche Manlio Dinucci, 85 anni, già dirigente negli anni Settanta del Partito comunista marxista-leninista d’Italia, piccola formazione filocinese. Dinucci ha pubblicato con le edizioni Byoblu La guerra. È in gioco la nostra vita – dove il conflitto in Ucraina è considerato un’operazione anglo-americana.
Parla Marfé, che non crede alla versione ufficiale sulle Torri gemelle: “Se a New York parcheggiate in divieto di sosta, dopo 10 minuti vi portano via l’auto. Come si fa a 
pensare che questi aerei abbiano solcato i cieli degli Usa indisturbati?”. Il conduttore dello speciale manda il filmato di una intervista a Franco Fracassi, negli anni Novanta direttore di un piccolo e combattivo settimanale di sinistra, Avvenimenti, qui in quanto coautore nel 2007 insieme a Giulietto Chiesa di un altro documentario, Zero, inchiesta sull’11 settembre, che dava largo credito alle tesi complottiste. Racconta Fracassi: “L’11 settembre ha cambiato la storia della comunicazione e del giornalismo attraverso l’introduzione della parola complottista. È quello il momento in cui il dissenso viene emarginato”. La libertà di parola, uno degli argomenti che servono a travisare il cospirazionismo spacciandolo per battaglia di sinistra e anti-sistema.   (  ....  )    >>    ed  è  prorio   Mercoledì 18 ottobre 2023, su Byoblu va in onda uno speciale “approfondimento” sulla strage all’ospedale di Gaza della sera precedente. Spiega a braccio uno dei conduttori: “Secondo alcuni ricercatori i missili usati per l’attacco sono dei Jdam sviluppati dalla Boeing. Missili che, si dice, siano recentemente arrivati in forza all’esercito israeliano. Notizie da verificare, ma che potrebbero far sorgere una luce nuova su come la notizia è stata trattata dai media mainstream”. Secondo alcuni ricercatori, dunque. Chi? Non viene ritenuto utile precisarlo. Chi ha seguito il dibattito che si è scatenato sui social dopo l’esplosione all’ospedale sa che la storia dei Jdam ha cominciato presto a circolare in un ben preciso giro di account dell’ultradestra americana.  Uno dei primi  , sempre  secondo    talr  inchiest  a lanciare la teoria delle “bombe Jdam”, che poi bombe non sono, è stato Jackson Hinkle, un giornalista di area alt-right – la destra alternativa che sostiene Donald Trump ed è specializzata in teorie del complotto. Due settimane fa YouTube ha oscurato il canale di Hinkle con l’accusa, ben fondata, di diffondere false notizie sulla guerra in Ucraina. Hinkle ha reagito con una campagna di sottoscrizioni lanciata pochi giorni fa su X: “Abbiamo svelato le bugie di Israele sui bambini decapitati, ora abbonatevi qui per tre dollari se volete che continuiamo”. Ora  Il complottismo è una missione per gli adepti ma è anche un fiorente business per i suoi guru. Byoblu vive di sottoscrizioni diffuse. Sul sito vende anche occhiali da sole “riciclati dalle reti da pesca”, disponibili in quattro modelli. Lo slogan: “Guarda la realtà con occhi diversi”.
Tutte le inchieste indipendenti hanno concluso che è stato un missile della Jihad a finire sull’ospedale di Gaza. La storia dei Jdam prodotti da Boeing potrebbe sembrare solo un caso di disinformazione ideologica  sempre  frequente in  tutti  i  fatti    , se non fosse per la chiosa del giornalista di Byoblu: il fatto, sottolinea, “getterebbe una luce nuova su come la notizia è stata trattata dai media mainstream”. Ciò che distingue la mentalità complottista dalla semplice teoria partigiana o dai singoli casi di fake news è sempre la presenza di un piano preordinato di menzogna guidato dall’alto. Mainstream è parola chiave dello stile paranoico. Indica le fonti mediatiche ufficiali, spesso indicate in Italia con una sineddoche: i giornaloni. L’ha usata anche Giorgia Meloni nel suo video saluto ai militanti di Fratelli d’Italia al teatro Brancaccio di Roma, tutto costruito sulla lotta contro poteri occulti che cercano di sabotare il suo governo.

Giudice di Forum giustifica marito violento, AgCom censura Mediaset: “Così rappresenta donne in modo scorretto” e il vari movimenti antimaschio alfa e femministi zitti

  del richamo vedere articolo sotto non credo che gli ne importi qualcosa , perchè è già successo altre volte , cosi pure della multa . Basta semplicemente rimuoverli tali programmi o integrarli con " paramentri contratri " . Le varie associazioni femministe o per una tv pulita , invece di limitarsi ad protestare contro il gender e menate varie ( gli ultimi ) ed inaugurare panchine rosse o scendere in piazza con le scarpe rosse ( i primi ) lanciassero campagne di boicotaggio e di sciopero \ astensiuone tali programmi , e allora qualcosa inizierà a muoversi sul serio ed i grandi paveri prenderanno la cosa sul serio e non er finita per far vedere che si è interessati al problema per poi calato il silenzio ed passata l'indignazione ad orologeria riprendere come prima se non peggio .




repubblica   27 OTTOBRE 2023AGGIORNATO ALLE 12:37

Giudice di Forum giustifica marito violento, AgCom censura Mediaset: “Così rappresenta donne in modo scorretto” Doppio richiamo del garante per le Comunicazioni a Rti, anche per una puntata di “C’è posta per te”. La commissaria Giomi: misura inadeguata, serviva maggiore severità. L’azienda: sottolineata sempre la gravità di condotte sopraffattorie         


di Aldo Fontanarosa



ROMA – Un uomo che non riesce a vedere il figlio per l’ostruzionismo – dice – della ex moglie e che perde il controllo (a Forum). Una donna sposata che tradisce il marito e tenta di recuperare la situazione (a C’è posta per te).
Il racconto di queste due storie procura a RTI – cioè a Mediaset – il formale richiamo del Garante per le Comunicazioni (l’AgCom). Una misura – il richiamo – che Elisa Giomi, uno dei quattro commissari del Garante, bolla come “inadeguata” perché troppo blanda.
Forum sottopone una controversia, in genere di tipo familiare, alla valutazione di un giudice. La puntata sotto accusa racconta di una madre che – per il giudice – “rendeva sempre più difficili gli incontri” tra il padre e il figlio, “con mille pretesti riferibili a inesistenti malattie” del piccolo.
Quando questo padre cerca di vedere il figlio a scuola, la donna si rinchiude in un aula con il ragazzo. E il padre – racconta ancora il giudice – “esasperato si era scagliato con pugni e calci contro quella porta fino all’arrivo delle forze dell’ordine”. Uno scatto d’ira che il giudice considera “comprensibile”.
Su questa parola (“comprensibile") il Garante alza il suo primo cartellino giallo. Le affermazioni del giudice – scrive al riguardo – “veicolano un messaggio distorto” che giustifica “i comportamenti violenti del protagonista maschile della storia” facendo apparire normali modelli di relazione interpersonale “aggressivi e scorretti”.
A C’è posta per te, invece, la donna che ha tradito il marito si racconta così: “Posso dire che avevo un matrimonio felice. Io cercavo di essere perfetta come moglie, mamma e come donna di casa: lavavo, pulivo, stiravo, badavo ai miei figli, li crescevo e facevo trovare tutte le sere un piatto caldo a mio marito”.
"Evidenti stereotipi”
Qui il Garante obietta che la narrazione è “connotata da evidenti stereotipi che possono integrare una forma di discriminazione di genere”. Non solo. La trasmissione punta a convincere il marito tradito a perdonare la moglie.
“Ma nulla viene detto – scrive sempre il Garante – in merito ai comportamenti di lui, connotati da violenza e mancanza di rispetto nei confronti della donna”.
Per tutte queste ragioni, per entrambe le puntate delle due trasmissioni, il Garante richiama Mediaset a una “corretta rappresentazione dell’immagine della donna”. Fin dal 2017, d’altra parte, il Garante stesso ha fissato regole precise in questo delicato ambito sia per i programmi di intrattenimento e sia per l’informazione.
La commissaria Giomi non condivide un “così blando richiamo” a Mediaset che avrebbe meritato – a suo dire – un messaggio ben “più chiaro”.
Spiega Giomi: “Entrambe le trasmissioni giustificano o addirittura empatizzano con gli uomini responsabili di aggressioni e mortificazioni ai danni delle proprie partner che sono inoltre colpevolizzate per i maltrattamenti subiti”.
Le ragioni della difesa
Nella sua difesa, a proposito di C’è posta per te, Mediaset ha sostenuto: “La conduttrice (che è ben lontana da qualsiasi sospetto di misoginia, come dimostrato dalla sua lunga storia professionale) ha adottato un tono pacato”.
Un tono – continua Mediaset – “volto a disinnescare la conflittualità, senza tuttavia indulgere a un qualsiasi atteggiamento apologetico nei confronti di condotte sopraffattorie, la cui gravità al contrario è stata più volte sottolineata nel corso della trasmissione”.
Sulla puntata di Forum, Mediaset ha spiegato, tra le altre cose: “Il dibattito in studio ha avuto ad oggetto principalmente la gestione degli eccessi di rabbia anche nel contesto di situazioni familiari delicate”.
Non a caso, “è stato ospite in studio” un quotato neurochirurgo autore di un libro sul cervello umano, “che ha spiegato l’origine delle emozioni quali la rabbia e la paura”.
E ancora: “La conduttrice ha sottolineato l’importanza di moderare gli sfoghi, nella vita familiare e soprattutto in presenza dei bambini allo scopo di salvaguardare la loro serenità anche nel contesto di situazioni familiari complesse”.





25.10.23

DIARIO DI BORDO N°19 ANNO I . Spaccio, blitz di Fdi per togliere la lieve entità . per una canna si finisce in carcere ., Piano B, la storia di Maurizio Carcò: “Dopo 20 anni ho lasciato il tempo indeterminato. Ora lavoro solo due giorni a settimana e guadagno più di prima” ., Da un anno in carcere ma nessuno lo va a trovare, direttrice lo autorizza a riabbracciare il suo cane per un giorno ., ed altre storie

 Si    ritorna   indietro  dove  anche  per  una semplice  canna  o una  modica   quantita    vieni  cnsiderato uno  spacciatore   . Va  bene punire  chi  spaccia    e vende morte o illusionia buon mercato ma  qui si esagera   . 



Spaccio, blitz di Fdi per togliere la lieve entità. Poi il governo frena: solo un aumento di pena . Battaglia in Senato sul decreto Caivano. Il Csm chiamato a dare un parere: il vicepresidente Pinelli si astiene

di Viola Giannoli, Liana Milella



Via la lieve entità dalla legge sugli stupefacenti se c’è spaccio, anzi no. Sul blitz di Fratelli d’Italia per cancellare dal Testo unico sugli stupefacenti l’attenuante alla cessione di droga in alcune circostanze il governo dà prima parere favorevole e poi fa dietrofront.
Tutto avviene ieri durante la seduta delle commissioni Affari costituzionali e Giustizia al Senato. Fdi, primo firmatario Marco Lisei, presenta un emendamento al dl Caivano che stabilisce, di fatto, che lo spaccio diventi motivo ostativo al riconoscimento della lieve entità. Ovvero a quella norma prevista dalla legge sulle droghe che consente al giudice, rispetto alle pene inflitte per lo spaccio di sostanze stupefacenti, di riconoscere uno sconto per la quantità di droga ceduta, i soldi in tasca ricavo dello spaccio, la presenza o meno di bustine per l’imballaggio della droga o di bilancini per pesarla. Per Lisei però «la giurisprudenza tende a considerare troppe cose di lieve entità. Se io ho tre piantine in balcone – sostiene – e ne consumo il prodotto è un conto, ma se lo vendo, è chiaramente un altro caso».
“Una follia giuridica”
Davanti all’ipotesi di abolizione tout court della norma l’opposizione dem però s’infuria. Secondo il capogruppo del Pd in commissione Giustizia, Alfredo Bazoli, significa «mettere sullo stesso piano Pablo Escobar e lo studente che si rivende una canna al compagno» facendo saltare «qualsiasi principio di proporzionalità». Una modifica palesemente incostituzionale», aggiunge, che «finisce per riempire le carceri italiane di studenti un pò incauti». Carceri già sovraffollate per un terzo, racconta il Libro bianco sulle droghe, da detenuti reclusi per possesso o spaccio di sostanze stupefacenti. Anche Riccaro Magi, segretario di Più Europa, va all’attacco: «Una follia giuridica in cui c’è tutta l’ideologia di questa destra che non limiterà il consumo di sostanze e non diminuirà la loro circolazione, né intaccherà gli interessi delle grandi organizzazioni che ne controllano il traffico».
La frenata del governo
Qualche ora di bufera e il governo frena. Chiede una riformulazione dell’emendamento in cui la lieve entità resta ma si aumenta la pena minima a 18 mesi. Un nuovo inasprimento che arriva un mese e mezzo dopo quello di settembre: il decreto Caivano già nella sua formulazione iniziale aveva inasprito le pene passando da un massimo di 4 a un massimo di 5 anni. Il senatore Lisei è costretto ad accettare la riformulazione. Che resta, però, un pessimo segnale per Magi: «Già oggi in 7 casi su 10, pur con l’applicazione della lieve entità, si finisce in carcere - dice - Servirebbe un intervento di depenalizzazione che distingua tra le diverse sostanze come chiede la nostra proposta depositata alla Camera». Intanto sul parere del Csm al decreto Caivano è il vice presidente del Csm Fabio Pinelli, l’avvocato di Padova eletto dal Parlamento in quota Lega tra i dieci laici di Palazzo dei Marescialli, a fare ancora notizia. Astenuto perché a suo dire il Csm “esonda dalle valutazione che ci sono consentite”, sollevando così una catena di critiche.

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Piano B, la storia di Maurizio Carcò: “Dopo 20 anni ho lasciato il tempo indeterminato. Ora lavoro solo due giorni a settimana e guadagno più di prima”
“Non ha senso lavorare senza gioia”. Maurizio sorride mentre racconta la sua vita. Ha trovato la strada giusta, dice. “Sembra impossibile, ma ho raggiunto la vera felicità”. E la felicità ha un odore antico, ha il profumo più buono del mondo.Ti stordisce quando arrivi nella strada dove Maurizio lavora, a Limbiate, Brianza. Dopo 21 anni ha lasciato il suo posto a tempo indeterminato nella multinazionale degli elettrodomestici Electrolux e ha iniziato la sua nuova vita. Una vita che sa di farina e cereali, di legna e lievito madre: Maurizio ha aperto un forno. “Faccio un pane speciale - spiega orgoglioso con gli occhi scuri che si illuminano - impastato a mano, biologico, e cotto a legna”.Lavora su prenotazione. Questo gli consente evitare sprechi e di sapere esattamente quale sarà il guadagno. E soprattutto di aprire il negozio solo due volte a settimana. Non solo. “Le mie entrate sono aumentate - sottolinea - Oggi guadagno più di prima, sui duemila euro. E potrei guadagnare ancora di più se aprissi tutti i giorni, ma non mi servono altri soldi, e preferisco avere tanto tempo libero”. “Non ha senso lavorare senza gioia”. Maurizio sorride mentre racconta la sua vita. Ha trovato la strada giusta, dice. “Sembra impossibile, ma ho raggiunto la vera felicità”. E la felicità ha un odore antico, ha il profumo più buono del mondo.Ti stordisce quando arrivi nella strada dove Maurizio lavora, a Limbiate, Brianza. Dopo 21 anni ha lasciato il suo posto a tempo indeterminato nella multinazionale degli elettrodomestici Electrolux e ha iniziato la sua nuova vita. Una vita che sa di farina e cereali, di legna e lievito madre: Maurizio ha aperto un forno. “Faccio un pane speciale - spiega orgoglioso con gli occhi scuri che si illuminano - impastato a mano, biologico, e cotto a legna”.
"Il forno di Maurizio" a Limbiate / foto di Carlo Anastasio


Lavora su prenotazione. Questo gli consente evitare sprechi e di sapere esattamente quale sarà il guadagno. E soprattutto di aprire il negozio solo due volte a settimana. Non solo. “Le mie entrate sono aumentate - sottolinea - Oggi guadagno più di prima, sui duemila euro. E potrei guadagnare ancora di più se aprissi tutti i giorni, ma non mi servono altri soldi, e preferisco avere tanto tempo libero”.
Maurizio Carcò, che oggi ha 49 anni, una moglie impiegata e due figli adolescenti, non è scappato dal suo vecchio impiego perché non ne poteva più. Anzi. “Mi piaceva quel lavoro, facevo il controllo qualità degli elettrodomestici. Avevo anche tutta una serie di benefit. Ma mi mancava qualcosa. Non mi sentivo abbastanza utile, non creavo nulla. Oggi invece creo con le mie mani, faccio un pane buono e che fa bene. Un prodotto che dura una settimana, realizzato con materie prime eccellenti, e che vendo a un prezzo equo: ci sono pagnotte da 5 euro al chilo, da 7 e da 9. Varia a seconda delle farine. Nel tempo libero vado per fiere, mi faccio conoscere per aiutare gli altri a cambiare vita come ho fatto io”.Ma partiamo dalla prima briciola. Tutto inizia nel 2015, proprio in una fiera di paese. Qui decide di iscriversi a un corso di panificazione. E conosce quello che diventerà il suo maestro, un uomo che faceva il pane nel forno costruito nel giardino di casa, vicino a Como. E che amava ripetere: “Oltre al pane sforno fornai”. E così è stato. Per Maurizio è una folgorazione. Capisce subito che quello che sembrava un gioco iniziato per curiosità, sarebbe diventato qualcosa di più. Si appassiona talmente tanto che inizia a produrre per gli amici, usando il forno del suo maestro. “I primi 20 chili sono venuti così così, un po’ bruciacchiati - ricorda intenerito - Poi è andata meglio. Ho iniziato a chiedere delle donazioni, non potevo ancora vendere”.




Maurizio intuisce che quella è la strada giusta e capisce che deve fare il grande passo. Si sente felice mentre impasta e sforna, e la via non può che essere quella. “Mia madre aveva un negozietto, era andata in pensione e lo aveva lasciato sfitto. Così l’ho preso e l’ho trasformato: ci ho fatto costruire un forno meraviglioso, ho investito 25mila euro. Invece della macchina ho comprato un panificio. E quattro anni fa ho dato le dimissioni. Mia madre era disperata, odia i forni. Quando era bambina e viveva in Sicilia sua mamma la costringeva ad accenderlo tutti i giorni all’alba. Ma poi, quando mi ha visto motivato, si è arresa".Ma cosa sarebbe successo se non avesse avuto quelle mura di proprietà? “Avrei comunque potuto pagare un affitto, lavorando magari un giorno in più. Il sogno era comunque realizzabile”.Così, dopo un corso regionale che lo autorizza a produrre e vendere, Maurizio inizia il suo nuovo cammino, una strada profumata di pane e felicità


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  1. Un cane per amico e una donna di buon cuore. Un esempio da seguire👏👏👏. un ottimo esempio di considerazione per un essere umano che si trova detenuto per piccole cose. 12 mesi per piccoli reati, mentre i grandi evasori se la cavano con poco. Per questo poveraccio, niente visite ai vecchietti una volta a settimana, eh?





    Da un anno in carcere ma nessuno lo va a trovare, direttrice lo autorizza a riabbracciare il suo cane per un giorno
                               di Francesco Oliva



Con il suo cane andava in giro per il lungomare di Santa Maria al Bagno. D’estate come in inverno. In una campagna della marina di Nardò aveva la sua casa o meglio il suo buen retiro: un camper dismesso “simile ad un accampamento” come racconta una sua amica. Massimiliano, 54 anni, era un uomo solo: la madre morta quando era ancora piccolo mentre con il padre non ha più alcun tipo di rapporti da tempo. E lui, barba lunga “ma sempre ordinato, gentile e garbato” ha deciso di compiere una precisa e radicale scelta di vita. Solo e distaccato “riservato ma sempre disponibile alla chiacchiera e con tante cose da dire” ci spiega chi lo conosceva.Con Zair al suo fianco e con l’aiuto di tante persone che gli hanno voluto bene. D’altronde con una pensione di poche centinaia di euro, nessuna possibilità di beneficiare di un alloggio di residenza popolare, attorno a sé ha avuto il sostegno e l’appoggio di tanti: c’è il vicino che gli ha permesso di allacciarsi alla luce o il parroco di Santa Maria al Bagno perché grazie al sostegno della Chiesa, Massimiliano ha potuto avere un pezzo di campagna su cui piazzare il suo camper. Circa un anno fa, però, non appena la sentenza per fatti piuttosto datati è diventata definitiva e con l’ingresso in carcere sempre più imminente, il 54enne salentino si è prodigato per trovare una nuova famiglia al suo amato cagnolino. Ora Zair ha un nuovo padrone e viene trattato benissimo. In carcere, invece, per Massimiliano stare dietro le sbarre non è semplice. Ancora di più se sai che dall’altra parte del vetro della sala colloqui non ci sarà mai nessuno ad aspettarti.E allora la Direzione del Penitenziario di Borgo San Nicola si è prontamente attivata per regalare un momento di gioia a Massimiliano facendogli riabbracciare il suo amico a quattro zampe. La dottoressa Monica Rizzo ha disposto un incontro tra l’uomo ed il suo affetto più caro, grazie anche alla sensibilità dimostrata dalla direttrice, Maria Teresa Susca. L’evento si è svolto all’interno del carcere: nello specifico in un roseto creato e accudito da un detenuto, dove si avverte un’aria di serenità e di grande cura. Lì cane e proprietario hanno potuto trascorrere del tempo insieme nel nome di un legame indissolubile.“Tutto questo - fanno sapere dal carcere - ci fa ben sperare che l’importanza che si dà all’individualizzazione del trattamento detentivo sia il punto di forza per la rieducazione dei detenuti. Tale trattamento è l’unico in grado di rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto, ancora più efficace se si dà particolare attenzione al modo in cui il soggetto ha vissuto, alla sua storia specifica, al suo vissuto familiare”.



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Divorziati restano amici, poi lui muore in un incidente. Il tribunale: “L’assicurazione risarcisca anche la ex moglie” L’uomo, 70 anni, è morto per le ferite riportate dopo essere stato travolto da un camion a novembre del 2014. Ma la compagnia aveva negato l’indennizzo all’ex coniuge





Erano divorziati da sette anni, ma erano rimasti in buoni rapporti: si vedevano insieme ai figli, ogni tanto uscivano a cena tutti insieme, spesso si incontravano per scambiare quattro chiacchiere e prendere un caffè al bar. Ma ognuno per la sua strada ed ognuno con la sua vita anche se entrambi senza nessun altro al fianco. È stato questo rapporto da buoni amici a fa scattare la condanna del tribunale di Cassino: ha disposto che una compagnia di assicurazioni risarcisca l'ex moglie alla pari di tutti gli altri parenti indennizzati dopo che l'ex coniuge è morto in un incidente stradale.
Imputato un camionista sessantenne del Cassinate: l'accusa, omicidio stradale. I fatti sono del novembre 2014 l'uomo alla guida del suo autocarro sulla Cassino - Sora invade la corsia opposta travolgendo una Lancia Ypsilon condotta da un settantenne di Atina che decedeva per le ferite. L'assicurazione decide di risarcire tutti gli eredi ma non l'ex moglie sostenendo che, avendo divorziato da anni la donna avrebbe perso ogni diritto. Lei ha impugnato la decisione e si è costituita nel processo al camionista.
Gli avvocati Sandro Salera e Paolo Marandola hanno dimostrato che nonostante la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la signora aveva mantenuto un rapporto stabile con l'ex coniuge, si vedevano e si frequentavano anche se non abitavano più sotto lo stesso tetto e non avevano vincoli. E pertanto aveva diritto al risarcimento corrispondente alla sofferenza interiore e allo stravolgimento del sistema di vita, derivante dalla morte dell'ex marito.
Il Tribunale di Cassino, accogliendo le tesi dei due legali, ha condannato l'imputato a sei mesi (pena sospesa) e la compagnia di assicurazioni a risarcire tutti i danni subiti dalla ex coniuge del deceduto, riconoscendo in suo favore anche una somma di ventimila euro a titolo di provvisionale immediatamente esecutiva


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“O diventi eterosessuale o ti butto dal balcone”. Abusi e torture sul figlio 14enne: genitori a processo . Dopo aver letto il diario del figlio il padre ha iniziato una persecuzione di botte, umiliazioni e insulti e nessuno in casa lo ha fermato
                                     di Sarah Martinenghi



A un diario aveva affidato tutti i suoi segreti: 14 anni, i primi desideri e le proprie paure, sogni e ambizioni, come la passione per la moda e per il disegno. E su quelle pagine così intime e profonde aveva impresso se stesso e una consapevolezza, quella di essere omosessuale. Il 14 agosto 2020, però, quel diario era stato violato. Suo padre l’aveva letto e tutto, per lui, era cambiato: non c’era stato più
spazio per l’affetto e la comprensione, scalzati via dalla rabbia e una cieca intolleranza.
Nella mente del genitore si era affacciata un’unica idea: cambiare a tutti i costi suo figlio. E a quel punto ha dato inizio a una serie di maltrattamenti atroci, nell’assurdo tentativo di modificarne l’orientamento sessuale. L’ha portato da uno psicologo per farlo tornare, come diceva lui «normale», l’ha costretto a corse punitive nel cuore della notte, ad abbassarsi i pantaloni per mostrare la propria virilità, a frequentare sport «da maschi», arrivando persino a imporgli di avere un rapporto sessuale con una ragazza «entro un mese di tempo».
Ha inibito ogni sua volontà: l’adolescente non era più libero di farsi la barba o di sentire la musica, o di vestirsi, secondo i propri gusti. Spiato, controllato, picchiato, umiliato, di continuo. Una lunga serie di violenze racchiuse in un articolato capo d’imputazione formulato dalla pm Giulia Rizzo che ieri ha chiesto il rinvio a giudizio di entrambi i genitori: il padre del ragazzino è accusato di maltrattamenti e la madre di non aver fatto nulla per impedirli. L’udienza preliminare inizierà il 22 gennaio.
Dopo aver letto il diario segreto di suo figlio, il padre gli aveva tirato un ceffone dicendogli: «Non ti voglio più in casa». Per punizione gli aveva tolto il telefono e la playstation e l’aveva obbligato a leggere quello che aveva scritto a voce alta davanti a tutta la famiglia. L’aveva costretto a rivelargli i propri codici di accesso a Instagram e Tik tok, criticando i contenuti «troppo femminili - si legge nel capo d’accusa - ed eliminando i video ritenuti inopportuni».
Nell’estate del 2020 dopo essersi accorto che il ragazzino si era rasato il viso, l’aveva afferrato per i capelli, colpito con dei ceffoni e gli aveva detto: «Tu vuoi essere una donna, adesso ti abbassi i pantaloni e mi mostri cos’hai lì sotto». Poi aveva programmato le visite dallo psicologo affinché, scrive la pm, «lo facesse tornare normale, salvo poi interromperle quando il professionista aveva spiegato ai genitori che l’omosessualità non è una malattia da curare clinicamente, proponendo loro un percorso di accettazione». Un discorso inutile: a ogni atteggiamento ritenuto troppo femminile «scattavano punizioni».
L’ultimatum era arrivato il 24 gennaio 2021: «Hai un mese di tempo», gli aveva detto il padre chiedendogli di dimostrare di essere stato con una ragazza. Ma quando aveva saputo che «non aveva concluso nulla» gli aveva rotto la playstation, strappando via tutti i poster dalla sua camera. Poi l’aveva fatto alzare dal letto alle tre di notte, imponendogli di correre per la strada fino all’alba.
Per il padre, suo figlio doveva «fare cose da maschio»: andare in palestra, praticare «la boxe», ma anche «leggere testi e canzoni solo di autori maschili», tagliarsi i capelli, non farsi la barba. E doveva per forza frequentare «il liceo scientifico anziché l’artistico a indirizzo moda», dicendogli: «Hai un mese di tempo» per diventare eterosessuale. In caso contrario: «Ti butto giù dal balcone». Gli insulti, contestati fino al 2022, sono stati elencati solo in parte: «mi vergogno di avere un figlio come te», «fai schifo», «abbiamo creato un mostro», «il tuo corpo fa schifo, sembra quello di una donna».
L’adolescente, disperato, si era rivolto allo psicologo della scuola che aveva avvisato la polizia municipale e fatto partire l’indagine: lui, allontanato da casa e affidato a un’altra famiglia, ha ritrovato la serenità. Sentito in incidente probatorio, il minore (che ora è tutelato come vittima dall’avvocato Mauro Scaramozzino) aveva raccontato che cosa aveva dovuto sopportare. Le botte prese erano state meno dolorose delle umiliazioni subite. E nemmeno sua madre l’aveva protetto. La donna, assistita come il marito dall’avvocata Valentina Colletta, è accusata di «non essere intervenuta per bloccare» il coniuge, e di avergli spiegato che suo padre stava facendo così «per il suo bene».

ritorno dei fantasmi del passato La polizia italiana vuole utilizzare finti profili social per monitorare la rete e Liste fasciste nei licei e risse in piazza. Con la compiacenza dei presidi (di destra?) torna il rischio violenza nelle scuole

La polizia italiana vuole utilizzare finti profili social per monitorare la retePrima erano solamente intelligence ed esercito, ma ora anche le forze dell’ordine guardano con sempre maggiore attenzione alle opportunità della sorveglianza sui social, tramite finti profili indistinguibili dai reali .  niente  di   nuovo  .  l'#infiltrazione   nei gruppi  del  dissenso  c'è  sempre  stata  nella storia italia   .  ora   cambia  pelle   e    s'#aggiorna con le  nuove  tecnologie   .  Ora  si spiegano   il perchè su  fb  ci sono molti  profili  fake .  Il cui  fenomeno    non      solo  dovuto  ai   #pornoricatti  ,  o  allo spam  di  siti  porno  e  di prostituzione  online   o  truffe #econimiche       i prestiti  o  #bitcoin 



Screenshot da un documento promozionale della piattaforma Gens.AI. Ogni avatar è munito di foto, una propria biografia, account social e contatti


 da  irpi.eu      più   precisamente  l'articolo   :  <<    La polizia italiana vuole utilizzare finti profili social per monitorare la rete >>

L'inchiesta in breve
  • Una notifica sul cellulare e una richiesta di amicizia possono essere l’inizio di un’attività di monitoraggio online da parte delle forze dell’ordine, sempre più interessate alla generazione di finti profili social in modo da seguire i propri bersagli anche sulle reti digitali
  • È quanto emerge da una serie di documenti e presentazioni individuate da IrpiMedia, che ha scoperto come alcune aziende di sorveglianza stiano spingendo nella promozione di software in grado di creare e gestire finti account social quasi automatici e difficilmente distinguibili da dei profili reali
  • Le aziende italiane Cy4gate e Area offrono questi prodotti, un tempo in mano solo all’esercito e alle agenzie di intelligence, anche alla polizia. Piattaforme simili, offerte da altre aziende internazionali, sono usate anche per inviare link per l’installazione di spyware
  • Un elemento chiave è l’utilizzo degli algoritmi di intelligenza artificiale, sempre più capaci di creare l’immagine di volti perfettamente credibili e difficilmente distinguibili da quello di una vera persona
  • Come scoperto da IrpiMedia, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli è già dotata di questo tipo di tecnologia, anche se non è chiaro quale tipo di reati voglia indagare, mentre la Polizia postale ne ha preso in considerazione l’acquisto, sebbene sembra non si sia ancora concluso.
  • Queste piattaforme «possono davvero avere un effetto di controllo massivo sulle persone e sul modo in cui usano Internet» secondo l’esperta Ella Jakubowska, Senior Policy Advisor presso l’associazione che si occupa di diritti digitali European Digital Rights (EDRi)
   

Liste fasciste nei licei e risse in piazza. Con la compiacenza dei presidi (di destra?) torna il rischio violenza nelle scuole  
da https://www.thesocialpost.it/ Pubblicato: 24/10/2023 17:54 di   Silvia Nazzareni   

la contrapposizione politica  italia  non è #nientedinuovo . Infatti     la  #fecciafascista    non muore  mai     e  ritorna sempre  .  quello  che  dovremo chiederci è a quando   le #bombenellepiazze    o  #suitreni   o  i  #gambizamenti     ed  #uccisoni   dalla    fazione  opposta  ?     come   è   statoi   negli anni  più  difficili  della repubblica  dal   1960\1992. Infatti  Leggi anche: Quell’ombra degli anni Settanta che oscura di nuovo le scuole – di Filippo Rossi

È un apostrofo a fare la differenza nel mondo della politica studentesca romana. Non è un apostrofo rosa come quello di Cyrano di Bergerac bensì un apostrofo nero, che va a sostituire una “S” nel nome di un collettivo studentesco, il Fa’ Ciò che vuoi, che non si sforza troppo per prendere le distanze da visioni neofasciste o in odore di ventennio, anzi. Il 26 ottobre si terranno le elezioni studentesche e Fa’ Ciò che vuoi ha ricevuto l’ok dai presidi di alcuni importanti licei romani per presentarsi ed avere la possibilità di vincere. In un ottobre in cui a Roma il clima è già decisamente caldo, tra scritte fasciste e minacce a rappresentanti di collettivi di sinistra  (è successo ai licei Tasso e Righi), le autorità massime degli istituti non sembrano voler frenare l’avanzamento di movimenti studenteschi che poco fanno per nascondere la voglia di rimandi al ventennio fascistaa’ cio che Vuoi e il legame con Blocco Studentesco e CasaPound: la matrioska dell’estrema destra  Il sito ed i profili social di Fa’ Ciò che vuoi parlano chiaro: motti latini, volontà di impegnarsi nell’aumentare l’educazione allo sport (principio cardine della gioventù mussoliniana) ed un simbolismo che non lascia spazio ad interpretazioni: la locandina di Fa’ ciò che vuoi mostra uno sfondo nero ed un giovane in maglietta nera e tenuta da scontro, con bavaglio e cappellino neri. Al braccio la bandiera con il fulmine. Si definiscono autofinanziati ed autonomi: dietro di loro in realtà c’è Blocco Studentesco (è dal suo logo che è preso il fulmine di FccV) movimento studentesco radicato in CasaPound. Anche in BS c’è poco spazio per le ambiguità: “Siamo il pensiero che diventa azione”, dicono, palesando la volontà di portare la “giovinezza al potere”. Dai profili Instagram del collettivo emerge una predilezione stilistica per il nero, in formato felpa, bomber o maglietta: nessuna camicia, che sembrerebbe davvero troppo palese. Se Fa’ ciò che vuoi cerca comunque di giocare con gli apostrofi e ride sotto i baffi, è pur vero che i suoi riferimenti culturali sono ben chiari e collocabili: Nietzsche, condanna al Marxismo, una critica velata a George Orwell e poi una citazione di Gottfried Benn, scrittore e intellettuale tedesco tra i primi ad abbracciare il pensiero nazionalsocialista (anche se i nazisti non lo hanno sempre amato, o almeno non quanto lui amava i nazisti)  Scontri per strada tra fascismo e antifascismo: sale la tensione e si alzano le mani (da ambo le parti) li scontri infatti ci sono stati e non sembra che si possano placare, anzi: la situazione può solo peggiorare. Oltre alle scritte nazifasciste (“heil Hitler”, “Roma è fascista” sui muri del Tasso, come si diceva) ci sono state le minacce: “Fulvio attento” è la scritta spuntata al Righi, indirizzata a Fulvio Pellini, del collettivo di sinistra. La faccenda è finita in mano alla Digos ma dei responsabili non si è saputo più nulla. I collettivi, come era facile prevedere, non sono stati fermi: da sinistra sono arrivate manifestazioni, da destra risposte e l’altra sera a Trastevere sono partite le mani

Gli scontri avvenuti sabato sera a Trastevere

Fa’ ciò che vuoi non si definisce fascista ma neanche antifascista, che poi è la risposta di moltissimi a cui, nel panorama politico italiano, si chiede di prendere posizione netta contro l’ideologia mussoliniana . L’ultima che lo fece nel 2020 fu Susanna CeccardiLega: “Non sono né fascista né antifascista: aveva un senso la domanda allora, nel 1944. Oggi è troppo facile dirsi antifascisti con un nemico che non esiste. Sono dalla parte dei temi”.  Il “nemico che non esiste” sembra prendere sempre più spazio e sembra che si stia concentrando sulle nuove generazioni. Sembra, inoltre, che lo stia facendo con il silente benestare di chi potrebbe mettere un freno alla tensione, bloccare liste dai nomi ambigui e dalle volontà molto meno ambigue, e mettere fine agli scontri, ovvero i presidi d’istituto. Va ora compreso in nome di quale principio le autorità degli istituti romani, unici che possono e devono frenare iniziative che possano innescare la miccia dello scontro, abbiano dato l’ok a movimenti che potrebbero essere accusati di apologia del fascismo. Viene il dubbio che le ambiguità, i rimandi, i legami strettissimi con CasaPound non solo li abbiano colti, ma li accettino e se li faccian andare più che bene

Si oscilla fra tragedie da gossip e Gaza,meno male che c’è il Generale…. di Pierluigi Raccagni

Il libro del Generale Vannacci è stato adottato in una quinta di un liceo in provincia di Brindisi,da un insegnante di Lettere che non guarda in faccia a nessuno che limiti la libertà di pensiero.Dovrebbe guardarsi nello specchio dell’ omofobia,del razzismo,e della scemenza, perché porta a scuola un testo che inneggia all’ odio.Ma dato che rappresenta quella maggioranza silenziosa che fa del fascismo una barzelletta sporca e crudele,bisogna girarsi dall’ altra parte.Il sindaco di Lucca dice no ad un via dedicata a Sandro Pertini perché ” partigiano”, cioè di parte,e probabilmente perché l’ ex presidente della Repubblica diede l’ ordine di giustiziare Mussolini.
Almirante sì,Pertini no: ma in che paese viviamo? Sulla tragedia personale della Meloni il pettegolezzo e il gossip sono stati un’ oscenità giornalistica- mediatica.
Peccato che Meloni e fascisti vari non hanno memoria che loro negano libera affettività privata a milioni di persone Giorgia,la signora Meloni, da underdog vittimista, discepola prima di Almirante, poi del trumpiano di estrema destra Steve Bannon, è sempre stata con quei poteri storti che ne hanno fatte storicamente di tutti i colori vs. i democratici in genere.
Siamo di fronte al solito pastone per cani affamati di emergenze per fare denaro,e poca informazione Per finire con la vera tragedia che ha cambiato nel secolo scorso la nostra storia: quella fra palestinesi e israeliani,Musulmani ,ebrei,sionisti e antisionisti nel dopo Olocausto.
Qui il pensiero normale agita gli opposti estremismi con contabilità aziendale dei morti,sperando ,secondo sondaggi,che ciò non comporti inflazione e aumento bollette .
Si attende il D- Day.   A ciascuno il suo,nell’ inferno della banalità.

24.10.23

la difficoltà d'essere comici Dal vostro comunista, fascista, venduto, con affetto #robertolipari



Se faccio una battuta sulla destra sono sono un comico di #sinistra . Se ne faccio una sulla sinistra sono un comico di #destra . Senza mai ipotizzare che in realtà sono un comico di
nessuno…
Su qualunque argomento. Esempio:
Droghe pesanti e leggere!
Se dici qualcosa di favorevole:
“Comunista!”
Se dici qualcosa di contrario:
“Venduto!”
Se ne fai uso:
“Parlamentare!”
Ogni volta che tocco un argomento controverso:
“Sei un comico! Non un giornalista!”.
E io sono felice di essere comico, perché il comico è costretto a dire la verità, altrimenti non fa ridere.
I giornalisti sono coloro che distinguono il vero dal falso... e molti poi pubblicano solo il falso.
Ma il problema è che la verità è come il sole: fa bene finché non brucia!
Io preferisco abituarmici a ‘sto sole, starci sotto, prenderlo in giro, mettere magari un po’ di crema solare a base di ironia e alla fine abbronzarmi per bene. Anche perché onestamente abbronzati siamo tutti più fighi!
E proprio in questo periodo meteorologico che il sole ci sta salutando, (ma a quanto pare nessuno l’ha detto alle zanzare che continuano ad addormentarsi con me!) voglio augurarvi una vita piena di sole e abbronzatura.

non sempre chi si tatua è criminale o feccia . Sudan, gli scienziati trovano un tatuaggio con riferimenti a Gesù su un corpo di 1.300 anni fa


 da    https://www.msn.com/it-it  fonte  ILMATTINO  
Storia di Mariagiovanna Capone • 19 ora/e

Photo Credit: Centro polacco di archeologia
mediterranea Università di Varsavia - Kari A. Guilbault©




Un gruppo di ricerca polacco-sudanese che indaga sul monastero africano medievale di Ghazali ha scoperto un raro tatuaggio medievale riferito a Gesù cristo in una tomba. Si tratta del secondo ritrovamento in cui la pratica del tatuaggio è stata evidenziata nella Nubia medievale. Il sito monastico medievale di Ghazali è uno dei siti archeologici meglio conservati del Sudan. Situato nella regione di Wadi Abu Dom del deserto di Bayuda, nella provincia settentrionale del Sudan, a circa 20 chilometri dalla moderna città di Karima.
Tra il 2012 e il 2018, un team polacco-sudanese del Polish Centre of Mediterranean Archaeology dell’Università di Varsavia guidato da Artur Obłuski ha studiato un monastero cristiano medievale nel sito e quattro cimiteri, all'interno dei quali sono presenti centinaia di tombe. I resti umani sono attualmente in fase di studio da parte del bioarcheologo Robert J. Stark e dei suoi colleghi, che stanno indagando sulla provenienza della popolazione locale e stanno cercando di imparare com'era la vita per le persone che sono state sepolte lì.
Una recente scoperta del sito si colloca tra le più interessanti. Durante la documentazione fotografica in relazione alla ricerca di dottorato condotta nel laboratorio di bioarcheologia del Polish Centre of Mediterranean Archaeology dell’Università di Varsavia, Kari A. Guilbault della Purdue University ha identificato per caso quello che è stato confermato come un tatuaggio sul piede destro di uno degli individui sepolti nel cimitero 1 di Ghazali. Il tatuaggio raffigura un Cristogramma e le lettere greche, alfa e omega. Un cristogramma è un simbolo religioso che combina le lettere greche chi e rho per formare un'abbreviazione monogramma per il nome di Cristo. Le lettere alfa e omega, la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco, rappresentano la credenza cristiana che Dio sia l'inizio e la fine di tutto.

gli 11 studenti del liceo Spadafora di Messina dovranno ripetere la maturità. Lo ha deciso il Tar


quindi cari #prof o #membriinterni quando aiutate i ragazzi aiutate tutti\e . ed accertatevi onde evitare ripicche e vendette come questa che il messaggi di wtsapp sia arrivato a tutti e se non lo fosse richiamate ed rinviatello . Infatti per questo motivo

da https://www.msn.com/it-it/ fonte ILgiornale
 di Linda Marino  • 18 ora/e



© Fornito da Il Giornale

Tutti di nuovo sui banchi di scuola a ripetere l’esame di maturità, proprio come succedeva nel film Immaturi, commedia cinematografica del 2011. Questa volta accade davvero al liceo scientifico Galileo Galilei di Spadafora, Comune in provincia di Messina, dove undici studenti dovranno ritrovarsi faccia a faccia con la commissione d’esami. Lo ha stabilito oggi una sentenza del Tar di Catania, che ha respinto il ricorso che i liceali, contrari a sostenere per la seconda volta la prova orale, avevano presentato poche settimane fa.
La vicenda è emersa la scorsa estate, quando una ragazza era rimasta insoddisfatta del voto finale, sostenendo di non essere stata valutata correttamente dalla commissione. Dopo aver esternato la propria delusione ai genitori, questi ultimi, difesi dall’avvocato Maria Chiara Isgrò, avevano presentato un esposto per segnalare alcune irregolarità nello svolgimento della prova orale. In particolare, era emerso che una insegnante, pochi giorni prima dell’esame orale, avresse inviato un messaggio su Whatsapp agli studenti, con suggerimenti sulle prove da espletare.
Questo “aiuto”, però, non sarebbe arrivato alla studentessa, che essendo sprovvista dei preziosi suggerimenti, aveva ottenuto un voto inferiore a quello dei compagni di classe. Dopo la denuncia dei familiari della ragazza, l'ufficio scolastico regionale aveva disposto un'ispezione e dopo avere riscontrato alcune irregolarità nell’espletamento delle prove orali, le aveva annullate e aveva stabilito l’espletamento di nuovi esami. Inizialmente l’Usr aveva deciso che la nuova sessione di esami orali si sarebbe dovuta svolgere lo scorso 20 settembre, ma gli studenti, contrari a ritornare tra i banchi, e per di più con altri insegnanti, hanno presentato il ricorso al Tar di Catania, che ha rigettato l’istanza, riscontrando le irregolarità segnalate dalla giovane, e aprendo la strada alla ripetizione della prova d'esame.
Adesso, tra rancori e malumori, gli 11 ragazzi, che nel frattempo avrebbero dovuto intraprendere nuovi percorsi lavorativi o universitari, attendono la nuova data d’esame, sempre che non impugnino la sentenza.

L'asino maltrattato

23.10.23

IL PAESE DOVE CI SI DIMETTE PER LE OPINIONI MA NON PER MOLESTIE SUL LAVORO


Il Fatto Quotidiano    23 Oct 2023  SILVIA TRUZZI

DIARIO DEL PORNO.


Il caso Giambruno non ha solo risvolti personali e pubblici per la presidente del Consiglio (che ha mostrato un coraggio e una risolutezza encomiabili) e non ha solo risvolti politici (i rapporti tra l’azienda dei Berlusconi, il partito dei Berlusconi e le altre forze di maggioranza). Ci sono questioni giuridiche ed etiche: i fuorionda di Andrea Giambruno svelano un contesto di lavoro agghiacciante, profondamente sessista e lesivo della dignità delle lavoratrici. In più occasioni e con diverse persone il conduttore de “Il diario del giorno” si lascia andare a gesti e frasi che non sono “spiacevoli”, sono inaccettabili e sono molestie. “Posso toccarmi il pacco mentre vi parlo?”, domanda mentre si dà una scrollatina. “Sai che io e XXX (il nome è stato volutamente censurato da “Striscia la notizia”, ndr) abbiamo una tresca? Lo sa tutta Mediaset, adesso lo sai anche tu... Però stiamo cercando una terza partecipante, facciamo le threesome. Anche le foursome con XXX, che generalmente va a Madrid a ciulare”. E ancora quando l’ex compagno della premier, tra il serio e il faceto, dice a una collega “se vuoi far parte del nostro gruppo di lavoro devi dare qualcosa in cambio”, lei risponde “la mia competenza”. Ma lui imperterrito: “Ti piacerebbe? C’è un test attitudinale. Si scopa”. Venerdì Mediaset ha fatto sapere che Giambruno si era autosospeso dalla conduzione per una settimana. I siti hanno scritto che i legali di Cologno Monzese erano al lavoro per verificare possibili violazioni del codice etico aziendale a cui potrebbe seguire una lettera di contestazione e il coinvolgimento degli organi sindacali. In un Paese in cui si chiedono le dimissioni di chiunque per le opinioni espresse e in cui il diritto del lavoro conta sempre meno, chiedere il licenziamento di qualcuno è un’azione che consideriamo spregevole. Però i fatti sono gravi e non si può pensare che questo disgustoso spettacolo finisca con una letterina di richiamo. Che esempio dà Piersilvio Berlusconi? Qual è il messaggio alla società, che si può ricattare le donne? Va a finire che Moni Ovadia si dimette dal Teatro di Ferrara per aver detto che Israele ha fatto marcire la situazione palestinese, e uno che molesta le colleghe abusando della sua posizione se la cava con una tirata d’orecchie.

PERTINI VIA. A Lucca la minoranza di centrosinistra ha presentato una mozione per intitolare una strada all’ex presidente della Repubblica Sandro Pertini. Peccato non ci abbiano pensato quando
governavano, certo, ma la notizia è un’altra: la maggioranza di destra ha detto no (“l’amministrazione ha fissato una road map che contiene priorità differenti”, ha spiegato in aula un consigliere di Forza Italia). Il sindaco Mario Pardini, che ha come assessore un ex leader locale di Casa Pound, ha poi spiegato di non aver nulla - bontà sua - contro Pertini: si tratta di una questione di metodo, pare, c’è una commissione toponomastica e l’intitolazione delle vie deve passare di lì. E dire che nel suo (splendido) discorso d’insediamento (8 luglio del 1978) Pertini aveva chiarito: “Da oggi cesserò di essere uomo di parte. Intendo essere solo il presidente di tutti gli italiani, fratello a tutti nell'amore di patria e nell'aspirazione costante alla libertà e alla giustizia. Viva l’italia!”. Non abbastanza patriottico?


PROMOSSI FALLO NERO.

Accade in Veneto che Fabio Barbisan - imprenditore agricolo, consigliere regionale della Lega – si trovi ospite di una trasmissione in una tv locale. Interrogato sulla complessa questione dei migranti che scappano da guerre e fame, ha definito i migranti belli pasciuti, “più sgionfi de mi” (‘più gonfi di me’, ndr). Sostiene il Barbisan che “clandestini, migranti sono portatori di morte e di droga”. E poi, rivolto a una collega del Pd: “I ragazzotti neri, bisogna dirghe di colore adesso, alle donne forse piacciono perché hanno un’altra dote sotto”. Dopo la polemica, le immancabili scuse: “Sono profondamente rammaricato. Quelle parole non rappresentano i miei valori”. La Lega lo ha (sacrosantamente) espulso: c’è chi ha una dote in più sotto e chi una in meno sopra. Per una volta bisogna promuovere la Lega.