21.2.24

E allora le foibe? Se le polemiche nascondono revisionismi sul duce

 

  • da 
  • Il Fatto Quotidiano
  • ETTORE BOFFANO
  • IN MERITO ALLA RAPPRESENTAZIONE della tragedia delle foibe, presentata come un accadimento che visse di una storia a sé stante, senza un prima accuratamente dimenticato dalla destra neofascista e di governo italiana )è bene ricordare che senza la velleitaria e incosciente aggressione bellica di Mussolini, le Foibe non avrebbero avuto motivo di accadere e l'istria e la Dalmazia sarebbero tutt’oggi territorio italiano. In attesa, purtroppo, che anche in Italia le scuole abbiamo libri di storia scritti dal governo .

                                          ANTONELLO SERRA


    SE OGGI QUALCUNO PUÒ PERMETTERSI di affermare che anche i 30mila morti di Gaza (donne e bambini compresi) sono ascrivibili alla ferocia di Hamas per l’attacco del 7 ottobre scorso, allora la sua tesi su Mussolini come responsabile storico e morale anche delle foibe può avere una sua ragione. Io non credo invece che, per vicende come queste, ci si possa affidare solo a fredde e quasi aritmetiche ricostruzioni di colpe originali e pressoché assolute. Semmai, vale la pena ricordare che il 10 febbraio, Giorno del ricordo, è dedicato oltre che alla memoria delle foibe, anche all’esodo giuliano-dalmata avvenuto per l’entrata in vigore dei trattati di pace e per il trasferimento di quei territori sotto la sovranità della Jugoslavia. Una conseguenza, questa sì, netta e precisa delle scelte del regime fascista. Quanto alle foibe, su di esse da anni si sta compiendo

    anche un’operazione politica che vorrebbe farne quasi un contraltare alla Giornata della memoria del 27 gennaio che, deve essere ben chiaro, non ricorda solo la Shoah, ma anche le complicità del fascismo italiano, e dunque anche di una parte di italiani, per lo sterminio nazista degli ebrei. Ecco, io penso che proprio nell’irrisolta questione del riconoscimento pieno di ciò che è stato il fascismo si nascondano le cause di cortocircuiti storici come quelli che lei, gentile lettore, sottolinea. E sempre su questo argomento, credo valga la pena leggere il libro dello storico Eric Gobetti, “E allora le foibe?” (Laterza editore, 2023) che, senza negare la tragedia, smonta invece speculazioni, dati e circostanze false e falsificate e, soprattutto, l’uso retorico del tentativo di una sorta di “rivincita” impossibile.

    20.2.24

    Sindaco leghista nega la cittadinanza a una donna marocchina (in Italia da 21 anni): «Non capisce neanche "come ti chiami?"»


    Ha  ragione    tale  sindaco  . Qui non si tratta    di  razzismo  ma :  di  coerenza    e di buon senso  .Se  una  persona     che decide  di prendersi la cittadinanza  italiana  e risiede  per  20 anni     senza  conoscere la  lingua   tanto  da  non capire      cosa  gli viene  chiesto di giurare    non la  merita  . A prescidere       che  sia  un sindaco    di  un ideologia  opposta  alla mia    , ha  perfettamente ragione  


    Il sindaco leghista di Pontoglio  Alessandro Pozzi © Social (Facebook etc)


                                                 

     Il sindaco di Pontoglio l'ha fatto di nuovo. Il leghista Alessandro Pozzi ha negato la cittadinanza a una donna marocchina, residente in Italia da 21 anni. Era successo già nel 2022, con una donna di origini indiane. Con un lungo post sui social, Pozzi ha spiegato che «è stata un gesto doveroso, di rispetto verso i cittadini di origine straniera che sono diventati italiani e si sono integrati nella nostra comunità».«Questa signora, residente in Italia dal 2003 (21 anni), ha purtroppo dimostrato, non solo di non possedere il livello minimo di conoscenza della lingua italiana, ma, ancor più preoccupante, durante la cerimonia ha mostrato difficoltà nel capire la richiesta di pronunciare il giuramento richiesto dalla normativa. Come vostro rappresentante, e ancor prima come pubblico ufficiale, è mio dovere udire il giuramento dell'intervenuto: questa signora, dopo tre richieste, non è riuscita a pronunciarlo - ha scritto -. Negare la cittadinanza è stata una conseguenza inevitabile».Continua Pozzi: «Non sapere nemmeno rispondere ad un semplice "Come ti chiami?", dopo oltre 20 anni, solleva non solo legittime preoccupazioni pratiche, ma anche interrogativi più ampi sulle barriere che potrebbero esistere nel processo di integrazione, sia a livello familiare che sociale. È preoccupante pensare che una donna possa trascorrere così tanto tempo in Italia senza acquisire una conoscenza minima della lingua del paese ospitante, ciò solleva dubbi sulla reale inclusione nel corso di questi anni. Mi pare evidente che non abbia mai voluto integrarsi e partecipare ai corsi di italiano offerti, messi a disposizione anche dal mio Comune dove non era tra gli iscritti. Nemmeno a quelli di Chiari. Questo sarebbe stato il "primo passo" necessario, in virtù della richiesta di ottenimento della cittadinanza.

    perchè cavalco la tigre e parlo di storia e di argomenti divisivi o anticaglie come dicono alcuni . 40 della strage di natale 23\12\1984-23\12\2024 strage rapido 904

     

     fatto 
    Strage del Rapido 904 o strage di Natale è il nome attribuito a un attentato dinamitardo avvenuto il 23 dicembre 1984 nella Grande Galleria dell'Appennino, subito dopo la stazione di Vernio, ai danni del treno rapido n. 904, proveniente da Napoli e diretto a Milano[. . [...]  da  Strage del Rapido 904 - Wikipedia

     dalla  newsletters   di  Altre/Storie di https://mariocalabresi.com/


    Quarant’anni fa l’attentato al Rapido 904 spezzava vite e cambiava destini. Anche quello della famiglia Taglialatela, dimezzata dall’esplosione. Nella settimana in cui la Procura di Firenze è tornata a indagare sui responsabili della bomba, Gianluca Taglialatela racconta la sua storia di sopravvissuto e il suo bisogno di verità



    Il 1984 era stato un anno felice per la famiglia Taglialatela, vivevano a Ischia e non avevano pensieri o problemi. Papà Gioacchino la mattina lavorava in Comune e il pomeriggio faceva il geometra; mamma Rosaria aiutava suo padre nel ristorante di famiglia; Gianluca, che era in terza media, appena poteva correva a giocare a tennis e Federica, che aveva solo 12 anni, era quella che le maestre chiamavano “una bambina modello”, educata, sorridente, bravissima a scuola. Per Natale avevano deciso di lasciare l’Isola per andare a sciare a Livigno, ma pur avendo passato giornate a telefonare a tutti gli alberghi, non avevano trovato posto. Così avevano deciso di andare a passare le feste dai parenti che abitavano a Milano, gli zii che erano scappati al Nord dopo il terrore del terremoto del 1980. A Milano avrebbero festeggiato anche i 14 anni di Gianluca che li compiva il giorno della Vigilia. Il regalo però glielo avevano già dato a Ischia: una nuova racchetta da tennis. La teneva stretta quando alle 12:55 del 23 dicembre 1984 il Rapido 904 partì dal binario 11 della stazione di Napoli.


    Alcune fotografie della famiglia Taglialatela


    Appena saliti si erano sistemati nel primo scompartimento della carrozza di seconda classe, ma era tutto bagnato e puzzava, allora decisero di cambiare e si spostarono di due scompartimenti. Gianluca si era portato la radiolina e fino all’arrivo a Roma ascoltò la telecronaca di Juventus-Napoli. Aveva vinto 2-0 la Juve allenata da Trapattoni, il gol del raddoppio lo aveva segnato Michel Platini. Era il primo anno di Maradona al Napoli e nonostante le grandi speranze la squadra ancora non era decollata.
    Il treno era pienissimo e si riempì ancora di più a Roma, c’era gente seduta sulle valigie e per terra, in corridoio. I Taglialatela si misero a giocare a carte.
    «Quando il treno si è fermato alla stazione di Firenze – ha raccontato la signora Rosaria - io sono uscita dallo scompartimento per fumare una sigaretta e mio marito è sceso per comprare un pacco di biscotti ai ragazzi. Nel corridoio non c’era più nessuno, il treno si era svuotato, mi sono messa al finestrino a osservare la gente che scendeva, poi ho visto un signore che appoggiava due borsoni scuri nella reticella portabagagli del corridoio. Io ero di fronte al mio scompartimento, c’erano i miei figli e una ragazza che mangiava una mela. Guardavo quell’uomo robusto, aveva un cappotto cammello e un basco sulla testa, e non capivo perché mettesse le sue borse all’esterno dello scompartimento e non dentro. Poi è arrivato mio marito, siamo entrati dentro, abbiamo dato i biscotti ai ragazzi e il treno è ripartito verso Bologna. Ci siamo rimessi a giocare a carte e dopo dieci minuti, un quarto d’ora, mentre eravamo in galleria, è successo quello che è successo».


    La carrozza del Rapido 904 squarciata dalla bomba ©Luciano Nadalini / Mappedimemoria.it


    Quello che è successo è che alle 19:08, mentre il Rapido 904 percorreva la Grande galleria dell’Appennino, ci fu una terribile esplosione che uccise 16 persone e ne ferì 267. Un attentato voluto dalla mafia, nel momento in cui Tommaso Buscetta aveva cominciato a parlare con il giudice Giovanni Falcone.
    «Si parlava, si rideva, e in una frazione di secondo tutto è cambiato. Sono stato investito dal calore, dai detriti, scaraventato lontano. Ricordo il buio.
    Come nei film c’è stato un momento di silenzio totale, poi gemiti, urla, richieste di soccorso. Siamo stati tanto tempo là sotto, un paio d’ore, io ero bloccato e ustionato dall’esplosivo. Avevo perso il senso del tempo. Federica era di fronte a me, non la vedevo e non l’avrei mai più vista, ma sentivo i suoi capelli con la mano. Erano bruciati».
    Gianluca Taglialatela oggi ha 53 anni, vive a Milano dove ha una pizzeria di fronte all’Arco della Pace. È rimasto solo lui di quella famiglia felice. Fino allo scorso anno c’era anche mamma Rosaria, ma è mancata ad aprile, a 82 anni.
    Rosaria è stata testimone nel processo che condannò all’ergastolo Pippo Calò, il cassiere della mafia, e fino alla fine della sua vita ha chiesto di conoscere tutta la verità, convinta che molte cose non fossero chiare. Proprio questa settimana si è saputo che, quarant’anni dopo, la Procura di Firenze è tornata ad indagare sull’ipotesi – già emersa allora – che nella strage ci fossero complicità da parte di elementi dell’estrema destra neofascista ed esponenti dei servizi segreti. Gianluca ha letto della nuova inchiesta dai giornali e ancora una volta è tornato a sperare: «Abbiamo sempre pensato che fosse una strage nera e di mafia, la verità che abbiamo è parziale, è bene che qualcuno abbia ancora voglia di scavare».
    Anche se la sua vita non potrà cambiare. «Ero un bambino cresciuto in un’isola felice e poi in un istante, il giorno prima di compiere quattordici anni, tutto finisce, tutto si tronca. Tante volte ho pensato al caso tragico che ci aveva messo su quel treno e in quella carrozza, le probabilità erano meno di quelle di vincere al Lotto. Poi penso che se non avessimo cambiato scompartimento io non sarei qui a ricordare: in quello bagnato da cui ce ne siamo andati non si è salvato nessuno».


    L’esplosione della bomba sul Rapido 904 uccise 16 persone e ne ferì 267 ©Luciano Nadalini / Mappedimemoria.it


    I mafiosi, che avevano azionato il comando della bomba quando era in galleria per massimizzare l’effetto dell’esplosione, puntavano ad una strage ancora più grande. In quel momento il Rapido 904 avrebbe dovuto incrociare il treno che arrivava da Parigi, ma non successe perché era in ritardo.
    «ll primo ricordo della mia seconda vita è il risveglio sotto la lampada del tavolo operatorio dove mi stavano dando dei punti in faccia. Ricordo queste luci negli occhi. Poi tornai più volte nella sala operatoria perché le lamiere mi avevano tagliato l’avambraccio, ma un’equipe pazzesca del Rizzoli di Bologna riuscì a rimetterlo insieme. Papà e mamma vennero ricoverati all’Ospedale Maggiore e dimessi dopo un mese. Venivano a trovarmi dei parenti, ma nessuno mi diceva nulla, non sapevo che mia sorella non ci fosse più, non mi dissero dei suoi funerali. Piano piano cominciai a capire le cose, anche se non mi facevano vedere la televisione. Ho scoperto solo molto tempo dopo che Federica, che aveva 17 mesi meno di me, era morta. Aveva sbattuto lo sterno contro il tavolinetto su cui giocavamo a carte e quello l’aveva uccisa».
    Gianluca ricorda ogni secondo, ogni faccia e ogni nome di quel ricovero durato ben sei mesi: «Ricordo ancora la caposala Erminia: io stavo bene all’ospedale perché mi coccolavano e mi facevano sentire al sicuro. Non volevo uscire più. Non volevo tornare nel mondo di fuori». Il mondo di fuori gli avrebbe fatto ancora più male, due anni dopo: per i postumi dell’esplosione, sarebbe morto anche suo padre. Della famiglia felice erano rimasti solo in due, ma si rimboccarono le maniche: Gianluca a 17 anni lasciò la scuola per lavorare come cameriere.


    Il Parco Pineta degli Atleti, alle spalle della casa della famiglia Taglialatela a Ischia, dove Federica e Gianluca giocavano da bambini


    «Ma non ho mai pensato di essere una vittima e nel mio dramma mi reputo anche fortunato, ho quattro figli, un bel lavoro e sono arrivato a 54 anni. È un altro il problema: mi porto dietro un terribile senso di colpa di essere sopravvissuto. Ancora oggi non riesco a parlare di mia sorella senza commuovermi, e una delle mie figlie porta il suo nome».
    A estrarre Gianluca dalle lamiere del treno fu un giovane volontario arrivato da Bologna, di nome Stefano: «Pensa che ogni Natale, da trentanove anni, mi chiama per gli auguri. Gli sono infinitamente grato di avermi tirato fuori da quell’incubo».
    La nuova esistenza di Gianluca trovò una forma quando lo zio gli chiese di prendere nuovamente il treno per Milano: «Erano passati esattamente dieci anni, avevo messo un po’ di soldi da parte facendo il cameriere e poi il barman di notte tra Ischia e Napoli, e lo zio mi convinse ad investire i miei risparmi nella “pizza del futuro”. Mi feci coraggio e ricominciai dalla città in cui non eravamo mai arrivati». Gianluca si accende quando parla della pizza sottile e digeribile che fa, da allora, nel suo locale che si chiama “Taglialà”. È soddisfatto della sua vita.
    «Devo tantissimo a mia madre, una donna d’altri tempi. È riuscita ad avere una forza incredibile, aveva perso la figlia e il marito ma non l’ho mai vista piangere. Era piena di schegge di vetro dappertutto, che le sono uscite per anni dalla pelle, e rimase gravemente ferita all’occhio sinistro, ma è stata capace di vivere e mi ha lasciato libero di viaggiare e di andare nel mondo. Non voleva che rimanessimo chiusi in casa a piangere. A metà degli anni Novanta cominciò una relazione con un uomo di Roma e insieme aprirono una scuola di ballo. Lei, che amava ballare da sempre, si era messa a studiare e aveva preso un diploma per insegnare il liscio. Quando quella storia finì tornò a Ischia dove per anni ha gestito un piccolo albergo di dieci camere sul mare».
    Parliamo a lungo, ma di Federica Gianluca non riesce a dire quasi nulla. Alla fine del nostro incontro mi suggerisce di chiamare la loro professoressa di matematica e scienze delle medie, si chiama Sandra Malatesta e vive ancora ad Ischia. «Lei, da allora, porta avanti il ricordo di Federica con tutti i bambini dell’Isola. Ha un amore infinito per mia sorella».


    Federica Taglialatela © Fondazione Pol.i.s. / Noninvano.org


    La professoressa Sandra, che ha insegnato per 43 anni, non si è fatta pregare, mi ha raccontato con infinita dolcezza di quella sua alunna, e poi mi ha mandato un piccolo scritto che riporto qui: «Federica frequentava la seconda media, sezione O, della scuola Scotti di Ischia. Io la conoscevo fin da quando aveva due anni perché ero andata ad abitare, da fresca sposa, nello stesso condominio. Federica e Gianluca venivano spesso a giocare a casa mia e poi me la ritrovai in classe in prima media. Un giorno di quel mese di dicembre 1984, nell'intervallo, Federica ci disse che sarebbe andata con la famiglia a Milano per le vacanze di Natale a trovare gli zii. Non lo disse con entusiasmo. Era scocciata, voleva restare a Ischia a giocare a tombola con le amichette del palazzo. I compagni la presero in giro dicendole che era fortunata. Il 22 dicembre, ultimo giorno di scuola prima delle vacanze, entrando in classe per le due ultime ore, notai la cattedra piena di rose e cioccolatini. Mi dissero che Federica il giorno prima aveva voluto organizzare una festa e regalare fiori e dolci a tutti i professori. Fui sorpresa e le sorrisi. Era una ragazzina bella e allegra. Sapeva fare le imitazioni e spesso la mettevamo in piedi su un banco e lei cominciava. L'ultima ora facemmo una festa mettendo i banchi contro le pareti e con il mangiadischi ascoltammo musica e ballammo, ascoltammo soprattutto Terra Promessa di Eros Ramazzotti, il suo idolo. Ci salutammo e lei mi disse che aveva cucito dei brillantini sulla gamba dei jeans così non sarebbe sembrata un maschietto, visto che aveva tagliato i capelli corti corti. Il 24 mattina andai con mia madre al mercato del pesce e vidi tanti capannelli di persone che parlavano tra di loro. Mamma chiese cosa fosse successo. Ci raccontarono che era scoppiata una bomba su un rapido partito dal binario 11 della stazione di Napoli e diretto a Milano e che a bordo c’era anche una famiglia di Ischia. Mi sentii svenire e dissi a mia madre: “È morta Federica”.
    Cominciò uno dei giorni più brutti della mia vita. Federica non si trovava, di lei non si aveva nessuna notizia. Nel pomeriggio la Protezione Civile diede a me e alla professoressa di italiano Susi Pacera il numero dell'ospedale di Bologna. Chiamammo e ci passarono l’obitorio, ci dissero che era rimasto solo un ragazzino con i capelli corti da riconoscere. Io dissi soltanto di guardare se avesse dei brillantini sui jeans. Dopo poco dissero di sì.
    La bara con Federica arrivò alla chiesa di Portosalvo il 28 dicembre e sopra c'era l'orsacchiotto che aveva sullo zaino di scuola. Io mi avvicinai e le promisi che finché sarei vissuta avrei parlato di lei, ogni anno e in ogni classe. Non ho mai smesso di farlo».


    splendida letterina di Litizzetto , con cui non solo percula amabilmente il leghista Morelli ma racconta moltissimo dei tempi drammaticamente liberticidi che stiamo vivendo vedi censiura in rai al dissesso degli artisti

     lo so che come me sarete stufi perché ci sono cose più importanti di cui parlare e scrivere del festival di san remo e delle polemiche che crea, etc. Ma qui si tratta di censura. infatti concordo con nonostante mi sta Antipatica come la sabbia nei boxer quando     timetti ad  asciugarti  dopo  che  ha  fatto il bagno    al mare    . ecco cosa ha detto Luciana  litizzetto 

     
    Questa sera Luciana Littizzetto è stata straordinaria con la sua “letterina”, con cui non solo percula amabilmente il leghista Morelli ma racconta moltissimo dei tempi drammaticamente liberticidi che stiamo vivendo.
    “Caro Morelli,
    Fedelissimo di Salvini, scudiero Leghista, difensore dei sacri valori: Dio, patria e polenta.
    Ti volevo solo ricordare Morin Morello l’amore è bello vicino a te, che giusto nelle ultime 74 edizioni se c’è un palco dove si è fatta politica è proprio quello di Sanremo. E ringrazia che in queste ultime edizioni non tanto. Da Celentano allo Stato Sociale, da Emma agli Elio e le storie tese, i cantanti non hanno solo parlato di strazi d’amore, ma di diritti negati, di violenza, di lavoratori che non riescono ad arrivare a fine mese, e di tutto quello che non gira in questa Italia sbilenca che gente come te dovrebbe sistemare. Se ti è andata di traverso la caseula per due frasi innocue su trenta cantanti, sei messo malone. La verità è che tu non hai idea di come mettere in pratica quello che chiedi, a meno che non pensi che il prossimo Sanremo dovrebbe condurlo Vannacci. Siamo in una democrazia ricordi? E’ l’articolo 21 della Costituzione su cui hai giurato: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. Noi siamo artisti non riuscirete mai ad ammaestrarci, perché abbiamo la lingua collegata al cuore…. Ci dici di non dire una cosa? La diciamo lo stesso, a volte con più gusto. Non c’è nessuno che ci ha votato e a cui dobbiamo rendere conto, anzi te lo dico, più provate a censurare un artista e più gli altri vi prenderanno per il culo. Almeno fino a che questo paese somiglierà a qualcosa di democratico. Spesso sbagliamo, ma tutto quello che diciamo, balliamo, cantiamo, dipingiamo sono il nostro modo di leggere il mondo, il nostro compito è proprio quello di dar voce a quello che abbiamo dentro e prenderci gli applausi, se piace, o i fischi se non piace. Ma cosa ci sta succedendo ragazzi? Lo chiedo a tutta l’Italia. Ma stiamo tornando al Medioevo quando si processavano le idee? Al maccartismo americano con le liste degli artisti buoni o cattivi ?Da qui alle europee dobbiamo davvero aspettarci ogni giorno una sparata del genere ? Se è così, mi do il Daspo da sola.Tu sei un politico Morry, la tua libertà di parola è tutelata più di quella di un cittadino comune ma questa è una garanzia che pretende maggiore responsabilità, non minore controllo dei neuroni. E te lo dico come direbbe Annalisa, “sinceramente”.




    16.2.24

    La Calabria, uno spazio aperto a nuove possibilità di impresa Le storie opposte ma convergenti di due ragazze calabresi, Noemi Guzzo e Rita Adamo, poco più che trentenni di emiliano Morrone

      da    https://www.corrieredellacalabria.it/  Pubblicato il: 16/02/2024 – 9:33

                                       di Emiliano Morrone

    La Calabria, uno spazio aperto a nuove possibilità di impresa

    Le storie opposte ma convergenti di due ragazze calabresi, Noemi Guzzo e Rita Adamo, poco più che trentenni





    Il letterato Franco Arminio osservò che «in Italia esistono tre grandi isole: la Sicilia, la Sardegna e la Calabria». Per altri versi, lo storico Jacques Le Goff sostenne che «la Calabria è la patria dell’eremitismo occidentale». «Meravigliosa», la definì, poi, il cantautore Juri Camisasca, che vive da anacoreta alle pendici dell’Etna e di cui Franco Battiato musicò pezzi di rara significanza spirituale quali “Nomadi” e “Il sole nella pioggia”. «È una magnifica regione – disse nell’Ottocento lo scrittore Alexandre Dumas padre –; d’estate ci si arrostisce come a Tombouctou, d’inverno vi si gela come a San Pietroburgo». Ciononostante, a parere del giornalista Corrado Augias, «la Calabria è purtroppo una terra perduta». Si tratta in ogni caso di giudizi esterni, che, espressi in tempi diversi, ripropongono aspetti molto discussi della Calabria: l’isolamento geografico e culturale; la natura che si offre allo sguardo interiore; la bellezza complessiva e sorprendente della regione; le sue contraddizioni e polarità, la nomea di luogo dal futuro segnato, immutabile, chiuso, malgrado le risorse e intelligenze di cui può disporre.

    Due storie “convergenti”

    Oggi raccontiamo le storie opposte ma convergenti di due ragazze calabresi, poco più che trentenni, le quali vedono la Calabria come uno spazio aperto a nuove possibilità di impresa, studio, crescita personale e collettiva: una è innamorata della “sua” montagna, la Sila Grande delle foreste, dei cammini, dei camini e dei sapori della tradizione locale; l’altra è affascinata dalla prospettiva di creare una comunità, una dimensione, un fermento culturale nel piccolo borgo di Belmonte Calabro, affacciato sul Tirreno della Magna Grecia. Esperta di turismo sostenibile, laureata in Teoria della comunicazione e giornalista pubblicista, Noemi Guzzo ha ultimato vari master ed è guida ufficiale del Parco nazionale della Sila. Insieme ad altri giovani, gestisce a Lorica – ubicata nei confini comunali di San Giovanni in Fiore e Casali del Manco – un ristorante, delle case ristrutturate da vacanza, un bar di ritrovo, un birrificio artigianale, un centro per escursioni anche in bicicletta e un altro per la pesca sportiva. Rita Adamo ha conseguito la laurea in Architettura alla London Metropolitan University di Londra, per cui svolge attività di docenza e ricerca. Inoltre, ha collaborato con Santiago Calatrava e, a parte, ha curato mostre di rilievo; tra cui una a Roma sui movimenti architettonici italiani e giapponesi del secondo Novecento e una, intitolata “School/Work”, sull’esplorazione del rapporto tra insegnamento e pratica in architettura, che ha funto da base per rianimare Belmonte Calabro (Cosenza) con incontri e confronti, nell’ex Casa delle suore, sui temi della rigenerazione e dell’integrazione culturale nel territorio calabrese, interessato dall’arrivo continuo di migranti.

    Noemi Guzzo

    «Premetto – esordisce Noemi – che sono orgogliosamente silana, che ho scelto di abitare a Lorica e che lavoro con i miei soci per promuovere il territorio. Noi non ci piangiamo mai addosso, ma svolgiamo una ricerca incessante sulle potenzialità e tipicità della Sila, al fine di offrire servizi e prodotti di assoluta qualità ed esperienze memorabili di contatto con la natura, di proporre una narrazione positiva della nostra terra: della sua ricchezza storica segnata Gioacchino da Fiore, delle radici nel cuore degli emigrati, della magnificenza e varietà del paesaggio che la identifica». Questi sono elementi per costruire un’economia solida e reale, è il ragionamento di Noemi, che sottolinea: «Ma occorre pensare ai servizi basilari che bisognerebbe avere tutti. Penso intanto alla Guardia medica (oggi Postazione di continuità assistenziale, nda), alla farmacia, a un tabacchino più stabile nel territorio, a un’edicola. Penso a tutte quelle attività primarie che nei centri più grandi sono presenti. Qui a Lorica, mi rendo conto, è più difficile averle e mantenerle: il problema è che gli abitanti sono pochi. Ciononostante, noi non siamo passivi. Anzi, ci organizziamo con gli altri imprenditori e operatori. Per esempio, a Lorica non c’era il bancomat, dopo installato in un locale che stiamo pagando come Pro Loco per contribuire a un servizio indispensabile per turisti e residenti».

    “Associazione Le seppie”

    «A 18 anni sono scappata dalla Calabria», ricorda Rita, che riassume: «Volevo andare lontano, immergermi in una realtà metropolitana, allargare gli orizzonti, misurarmi con una mentalità che non fosse la mia e ricevere stimoli intellettuali e culturali differenti. Poi sono ritornata quando ho imparato a guardare la Calabria dall’esterno: quando ho compreso, grazie al lavoro periodico che abbiamo svolto a Belmonte con colleghi e docenti dell’università, che la nostra regione può diventare un laboratorio di idee innovative, anche per creare interesse e collegamenti in ordine alla ricerca sui risvolti umani dell’architettura. Così, con altri colleghi, abbiamo fondato l’associazione “Le seppie” ed è partita una rivoluzione concreta. Con una classe della facoltà di Architettura della London Metropolitan University e grazie a un protocollo d’intesa siglato con il Comune di Belmonte Calabro, eravamo già riusciti a portare sul posto persone provenienti da diverse parti del mondo, per studiarne il centro storico e predisporre piani di rigenerazione urbana, spesso confluiti in tesi di laurea». «Adesso – continua invece Noemi, peraltro consigliera di maggioranza del Comune di San Giovanni in Fiore – per l’apertura della farmacia a Lorica sta lavorando l’amministrazione locale, anche coinvolgendo la Regione, che ha pubblicato un apposito avviso pubblico. Penso che a breve possa essere assegnata. Bisogna poi avere un camice bianco in più per la Guardia medica, dato che ci sarà un pensionamento nel prossimo dicembre. Muoversi in anticipo significa evitare disagi. Per rivitalizzare i borghi e le aree interne, è sempre fondamentale la programmazione, anticipando le scadenze e le evenienze prevedibili. L’ultima dottoressa della Guardia medica l’ho trovata io, in pratica. Era una ragazza venuta in un nostro locale nell’estate scorsa; si stava laureando in Medicina e, colpita dalla bellezza di Lorica, aveva manifestato la sua disponibilità per coprire dei turni». «Nei posti a misura d’uomo capitano queste opportunità. In quanto al trasporto pubblico locale, servirebbero – prosegue Noemi – più corse d’autobus da e per Lorica, anche organizzando, con mezzi più piccoli, servizi navetta nei fine settimana e in particolari circostanze», come già successo per il concertone di Capodanno. «Ancora, vanno realizzate delle casette alle fermate degli autobus, magari pure con un pannello fotovoltaico e un tabellone informativo – si augura Noemi – che indichi gli orari delle corse».

    Il ripopolamento dei piccoli centri

    Il tema del ripopolamento dei piccoli centri è secondario, secondo Rita, che sottolinea la necessità di creare movimento di pensiero e scambio culturale nei paesini della Calabria. «Un ragazzo inglese – rammenta la studiosa di Architettura – ha vissuto a Belmonte per tre anni, arrivato addirittura prima della Brexit. Io credo che non si debba per forza ripopolare questi luoghi, perché non bisogna alterare dei cicli in corso. Sicuramente sono luoghi che hanno delle potenzialità, ma è preferibile farli prima diventare sedi di aggregazione. Noi abbiamo lavorato, per esempio, sull’analisi della marina, che si sviluppa lungo il mare ma cui mancano le piazze, appunto degli spazi fisici di confronto e di scambio. È in questa direzione che bisogna muoversi, il resto viene da sé».

    Noemi Guzzo

    Circa le difficoltà tipiche della vita in montagna, Noemi chiede che si valutino «forme di agevolazione per i consumi energetici degli immobili dedicati alla ricettività e al pernottamento». «Non so, sul piano amministrativo, come si potrebbe procedere, ma – prospetta – tutte le strutture ricettive registrate a livello regionale potrebbero, per esempio, ricevere un sostegno per i costi di riscaldamento». «L’estate scorsa – aggiunge – è stata molto interessante in termini di presenze turistiche, nell’autunno 2023 abbiamo avuto buoni risultati, anche con degli ospiti stranieri. Il meteo ci ha dato una mano e abbiamo potuto anche promuovere i prodotti locali e le verdure di stagione. Per l’inverno, la mancanza della neve si è sentita proprio in termini pratici, ma il fatto che la cabinovia è rimasta in funzione ci ha permesso di riordinare l’offerta delle attività. In quanto ai cannoni artificiali, la lavorazione della neve sugli impianti è molto delicata: se la temperatura è alta, questi strumenti non bastano. Dalla seconda settimana di gennaio in poi, abbiamo superato i 18 gradi diurni. Suggerisco, allora, di puntare sulla Valle dell’Inferno per l’eventuale installazione di cannoni, poiché la sua minore esposizione al sole consente di mantenere la neve più a lungo. Magari, sarebbe pure utile una nuova seggiovia che la colleghi al monte, dato che lo skilift esistente è un po’ obsoleto. La pulizia delle strade ha sempre funzionato, grazie all’impegno di Anas, Provincia di Cosenza e Comune di San Giovanni in Fiore. Potrebbero valere, allora, delle agevolazioni ai privati per l’acquisto di spazzaneve. Inoltre, il lungolago andrebbe manutenuto per tutto l’anno, anche perché chiuso al traffico veicolare. Per concludere, servirebbe un maggiore coordinamento, pure con gli imprenditori, sulla programmazione degli eventi, mettendo da parte vecchi campanilismi».

    Rita Adamo

    Dal canto suo, Rita rimarca: «Gli sforzi vanno rivolti alla creazione di agorà, di luoghi di incontro e pratica della democrazia. Se non ci sono queste possibilità, credo che sia difficile arrivare alla parte politica. Così si aiutano i borghi; poi, se i giovani vogliono andare e tornare, non è un problema. Ormai siamo dei nomadi proprio come modo di vivere, anche nelle grandissime città. Io non voglio stare a Londra come non voglio stare a Belmonte, ma non perché Belmonte sia meno degna di Londra: il punto è che non riesco a decidere dove stare a priori, magari a 50 anni ce la farò». Abbiamo voluto riportare due testimonianze di giovani, due visioni femminili su come superare l’isolamento geografico e culturale della Calabria; valorizzarne la natura che si offre allo sguardo interiore; condividere la bellezza complessiva e sorprendente della regione; non arrendersi, con le risorse e intelligenze di cui può disporre, alle sue contraddizioni e polarità, alla nomea di luogo dal futuro segnato, chiuso, immutabile. (redazione@corrierecal.it)

    15.2.24

    Mangiare o non mangiare? Il dubbio amletico con insetti commestibili


    dall'articolo  Mangiare insetti, la nuova tendenza alimentare: il cibo del futuro degli italiani? di   https://www.habitante.it/

    le  recenti polemiche   ed  indignazioni   sovraniste  (  principalmente  )   con insulti e  attacchi    ( anzichè  un dibattito   serio  ) a chi è  favorevole    su telegram   e  suigli altri  media  alla⁷ notizia   della legge  europa  che   liberalizza  le  farine  ed  altri prodotti contenenti  insetti  mi  ha  riportato alla mente   la memorabile cena di Pankot del film “Indiana Jones e il tempio maledetto” non sembra più così strana e assurda, pur mantenendo il suo fascino ! Infatti Ricordo la prima volta che ho visto la pellicola, frequentavo le scuole medie   e tutte le leccornie servite a Indiana, Willie e Shorty, non mi sembravano così invitanti. Cosi pure    alla  scena   di  Robert  William in  GOOD MORNING VIETNAM  in  cui  mangia  per educazione  un piatto      di cavalkette    e  poi quando  gli dicono   lo siuta   e  dice  che schifo  .   Mi sono chiesta, “Ma li mangeranno davvero?. Per chi se lo fosse perso o non ricorda la scena di cui sto parlando, vi invito a riguardare  quei 5 minuti  del  primo   film  di degustazione. I piatti presentati ai commensali comprendevano serpente a sorpresa, scarafaggi, zuppa con occhi e cervello di scimmia freddo, quest’ultimo servito come dessert, il tutto accompagnato dalla celebre frase “Lei non mangia?”.A ripensarci oggi mi sembra meno straordinario. 
    Martin Mystere n°408
    Avete presente il famoso quinto quarto, cioè l’insieme delle frattaglie bianche e rosse tra cui fegato, cuore, rognoni, trippa e cervella?   quelle  che  noi chiamiamo interiora  Cambiano la tipologia di animale e le usanze locali ma sempre d'interiora  si tratta, giusto? Se però alle frattaglie ci siamo abituati, anche se personalmente non le annovero tra i miei piatti preferiti, diverso è il discorso per gli insetti. Li associamo ancora a una connotazione negativa, sporcizia, marciume, infestazione ma sono piatti all’ordine del giorno e molto diffusi in Africa, Asia e Sudamerica, mentre in Europa il loro consumo è stato normato solo direcente.Qualcuno si starà chiedendo se la sottoscritto  ,   educato per  ediuazione  familiare   e  per  curiosità di  conoscere   e sperimentare       a   mangiare  di tutto   (  anche   i cibi vegani  , stranieri\  esotici   )    mangerebbe preparazioni a base di insetti commestibili. E’ una bella domanda, che non ha una semplice risposta. Al momento mi  limito  ,  dopo   che   lo hai assaggiato non lo moli  più  ( dipende  poi  dai  gusti   )   il  classico   Casu frazigu  variante  di  Pecorino sardo colonizzato dalle larve. (qui    su  Casu fràzigu - voce di Wikipedia da  cui ho reso a foto   a  destra  mggiori  informazioni  ) ad  assaggiare il furmai nis o furmai cui saltarei, per chi se lo stesse chiedendo sono i vermi del formaggio, che nascono dalle larve deposte dalla mosca casearia (Piophila casei).

    Pecorino sardo colonizzato dalle larve.

     Comuque per rispondere alla domanda, devo ancora abituarmi all’idea visiva e gustativa di una zuppa con vermi di dimensioni maggiori o di un primo piatto con un probabile ragù a base di insetti ma ci sto lavorando soprattutto   se  vengo invitato in ristoranti  non convenzionali  o  in casa   d'altri     qual'ora   tali cibi    ( succede  sempre  cosi     vedi per  il sushi  o il  kebah    )  diventereanno   comuni   . E  poi  scusate invece  di lamentarvi e   attaccare  gli altri\e  che  vogliono  venderli   o proporli agli  altri   oppure incuriosito  da reazione  alla martellante  campagna mediatica  avversa    e  non obbiettiva  ,basta rifiutarli    e lasciare  libertà di  scelta  invece  di  giudicare  il  gusto  degli altri   o la loro  adesione   conformistica  ad  una  imposizione  del  mercato .




     E  poi scusate   almeno  la    tanto   vituperata   perchè  prima  di dare  il  via  a tale cosa    si   sarebbero dovuto fare  degli studi   seri     sui rischi  d'inteolleranze   o  allergie  alimentari  che  essi possono creare     norma  europea   ha  di positivo  che  le  farine    o gli ingredienti   con base  d'insetti siamo alla luce  del  sole   mentre   prima      certe  ditte    non  ti li mettevano  senza    nepure  specificarlo in etichetta  . 

    guai a parlare di patriarcato se è uno straniero ., il piagnisteo dei sui fischi A Geolier ., ipocrisie belliciste

     Silenzio. Dove sono le femministe ? Nulla  o  almeno cosi  mi  sembra  . Eppure la storia è tremenda: un uomo ha abusato della moglie, l’ha percossa, insultata (“stupida, non sai niente”), l’ha costretta ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà, l’ha picchiata con pugni alla testa. La sua colpa? Aver deciso di frequentare un corso di italiano dove c’erano anche altri uomini.

     In un’occasione è stata anche abbandonata dal marito senza alcun mezzo di sostentamento. Riassumo: una donna, madre di due figli piccoli, stuprata, pestata e posta in stato di soggezione solo perché , sencondo   il becero sito     , da  cui ho  preso tale   news  ,  voleva parlare italiano. In altre occasioni avremmo avuto fiumi di editoriali e prime pagine. Invece niente o quasi solo   post  di propaganda   anti immigrazione    della destra  xenofoba   visto    che  si dice   : <<   Forse perché l’uomo in questione non è bianco e non è occidentale, etero sì, ma viene dal Marocco. >> In questo caso guai a parlare di patriarcato. O finisci col passare per razzista .

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    A qualche giorno di distanza   dalla  fine  del festival   posso dirlo  : il piagnisteo napoletano dei vari Saviano e De Magistris sul presunto razzismo territoriale er  lecritiche  ed  i  fischi  contro Geolier fa a pugni col fatto che  Angelina Mango non è nata né a Trento né a Milano. Ma a Maratea, cioè in Basilicata, ed è cresciuta a Potenza, quindi più a sud del rapper. Solo che ha avuto il buon gusto di non portare a Sanremo una canzone incomprensibile .

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    A scuola  e non solo  da bambini ci hanno sempre spiegato che le bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki erano “necessarie” per far finire una guerra che altrimenti si sarebbe protratta a lungo. Centinaia di migliaia di morti, civili. Quando Obama nel 2016 andò in Giappone per la prima volta, pur ponendo una corona di fiori al memoriale della pace e abbracciando uno dei sopravvissuti, non chiese ,  secobndo  la  rubrica  zuppa  di porro  ,  scusa per quanto fatto in passato perché ritenne che l’allora presidente Harry Truman prese quella decisione “per motivi giusti” e per “far cessare una guerra terribile”. Oggi gli stessi chiedono a Netanyahu di non esagerare sulla striscia di Gaza. Vero è che dal passato occorre imparare, ma sarebbe anche giusto non risultare ipocriti .


    il destino ti ha portato via [ perdite II ]

     canzoni  suggerite 

    Equipe 84-Io ho in mente te (1966)
    LA STRADA - MODENA CITY RAMBLERS
    U2 - With Or Without You: testo, traduzione e significato di  OUTsiders webzine


    Come   ho scritto   nella  prima   parter  è passato  un mese  è  ancora  penso  a  te  cara  amica mi manca  il tuo sorriso, ,mi mancano  i  tuoi cazziatoni   e  le  tue  battute  , le  nostre  incomprensioni  , le  nostre  litigate 

    14.2.24

    non sai mai quando devi morire ., Bisogni in alta quota,. patenti fantastiche., matrioske occultate., animalisti sinceri., famiglie affettuose,. discipline estoni e truffe d’altri tempi

       da   https://www.msn.com/it-it/notizie/  23  ore  fa 


    Una donna indiana che si credeva morta era invece viva e si è svegliata di nuovo pochi istanti prima di essere cremata. Bujji Aamma, 52 anni, di Berhampur, India, è rimasta gravemente ustionata in un incendio scoppiato nella sua casa il 1° febbraio. Portata in ospedale con ustioni che coprivano metà del corpo, è stata rimandata a casa in pessime condizioni. La famiglia non aveva soldi sufficienti per portarla in un altro ospedale. La donna non apriva più gli occhi e il marito Sibaram Palo, credeva che fosse morta e così fece in modo che fosse portata al luogo della cremazione su un carro funebre.

    La credevano morta dopo un incendio
    Al Times of India ha detto: “Abbiamo pensato che fosse morta e abbiamo informato altri nella zona di organizzare un furgone funebre per trasportare il corpo al luogo di cremazione”. Una donna chiamata K Chiranjibi ha visto Aamma aprire gli occhi e ha detto: “Inizialmente eravamo spaventati perché non avevamo mai visto un incidente del genere, anche se avevamo sentito alcune storie”. L’autista del carro funebre è stato richiamato per riprenderla, viva e vegeta, dal luogo della cremazione solo mezz’ora dopo ed è stata portata a casa con lo stesso carro funebre.
    Fortunatamente eventi come questi sono molto rari ma questo non vuol dire che non sia la prima volta che accade. Ad esempio, una donna di 82 anni è stata dichiarata morta in una casa di cura di New York e in seguito è stata scoperta viva dal personale dell’impresa di pompe funebri. E una donna di 66 anni con demenza a esordio precoce è stata dichiarata morta da un’infermiera, solo per essere trovata senza fiato quando il personale dell’impresa di pompe funebri ha aperto la cerniera del sacco per il cadavere.
    La pira per la cremazione era pronta
    La donna che aveva accompagnato la vara nel carro funebre ha detto che era stato quasi completato il montaggio della pira funeraria. “Proprio in quel momento, Bujji ha aperto gli occhi e ha risposto alle nostre chiamate, cosa che ci ha scioccato”, ha detto Chiranjibi. “All’inizio eravamo spaventati, perché non avevamo mai visto un incidente del genere, anche se avevamo sentito alcune storie”, ha detto il 50enne Chiranjibi.
    I vicini avevano raccolto i soldi per la cremazione
    “Quando abbiamo avuto la conferma che era viva, abbiamo informato il direttore del reparto di inviare lo stesso veicolo per riportarla a casa”, ha aggiunto. Dato che Sibaram era molto povera e non poteva sostenere il costo del funerale, la gente del posto aveva donato dei soldi per la sua cremazione, ha detto. Khetrabash Sahu, l’autista del carro funebre, ha detto di aver portato via la donna da casa intorno alle 9 del mattino. Dopo circa mezz’ora gli è stato nuovamente chiesto di ritornare sul luogo della cremazione.“L’abbiamo riportata a casa con lo stesso veicolo”, ha detto. Una fonte del crematorio ha detto che la popolazione locale non ha bisogno del certificato di morte per il funerale di un membro della famiglia


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    da  il fatto quotidiano del 12\2\2024

    Nepal   “Chi fa la cacca sull’everest dovrà riportarsela indietro

    Il titolo più intrigante della settimana è sul Post: “Chi fa la cacca sull’everest dovrà riportarsela indietro”. Quello dell’immondizia accumulata sulla vetta più alta del mondo è un problema noto, ma le deiezioni degli scalatori rappresentano una criticità molto specifica: “Sull’everest, data l’elevata altitudine e le basse temperature, la cacca non si decompone completamente: da anni il numero crescente di persone che scala la montagna, che pur richiedendo mezzi e grande preparazione è più accessibile di altre vette famose, ha causato un problema crescente di escrementi e di spazzatura”. La cacca, ha spiegato il sindaco di Khumbu Pasanglhamu, Mingma Sherpa, è ben visibile scalando la montagna: un fatto “inaccettabile” che “danneggia la nostra immagine”. Così ora chi punta alla cima dell’everest dovrà portare con sé dei sacchetti da acquistare al campo base, da cui partono le spedizioni verso la cima sul lato nepalese. I sacchetti, ha aggiunto il sindaco, “saranno controllati al ritorno”.




    A Roè Volciano, in provincia di Brescia,Invece della patente, una 65enne esibisce una carta firmata col sangue secondo cui può guidare pure navi ed aerei


    A Roè Volciano, in provincia di Brescia, un’allegra signora di 65 anni è stata fermata dalla polizia per un controllo. Non aveva la patente con sé e nemmeno riteneva di averne bisogno: ha esibito invece un “documento autocostruito”, che si era stampata in casa, con una sua fotografia e una dichiarazione sottoscritta dove si afferma che lei è “eterna essenza e fonte di valore”. Per attestare l’autenticità del documento, la signora l’aveva firmato, diciamo, con un’impronta digitale marchiata con il proprio sangue. “Secondo il medesimo documento ‘autoprodotto’ – si legge su Il Dolomiti – con tale titolo sarebbe autorizzata a guidare motoveicoli, autoveicoli, navi, aerei e affini”. Gli agenti hanno sanzionato la signora, appurato che fosse in buone condizioni di salute e l’ hanno lasciata andare: “Pare faccia parte di un’aggregazione internazionale (che in Italia è seguita da circa 10mila persone) che non riconosce nessun tipo di autorità statale e rifiuta ogni regola, leggi e tasse comprese”.



    Como  Entra in pizzeria con un pitone al collo e due rottweiler, poi minaccia la cameriera “Dammi da bere o ti sparo in faccia”



    Ogni proprietario di un locale sogna un cliente così: “Un pitone al collo, due rottweiler molto aggressivi al guinzaglio e una pistola puntata contro la cameriera”. Il sincero animalista è l’animatore della notizia che arriva dalla provincia di Como. La racconta Il Giorno: “Un pluripregiudicato di 48 anni si è presentato ubriaco fradicio alla pizzeria Mela rossa di Casnate con Bernate: attorno al collo aveva un pitone, mentre al guinzaglio teneva due rottweiler che continuavano ad abbaiare e ringhiare, terrorizzando i clienti”. Il gentile avventore voleva bere ancora, in qualche modo il proprietario e la cameriera sono riusciti a respingerlo. “Lui ha giurato che per vendetta avrebbe prima fatto esplodere loro la testa a colpi di pistola e poi avrebbe fatto saltare in aria il locale. Poco dopo infatti è tornato indietro brandendo una pistola che ha spianato contro la cameriera. Un cliente è riuscito a convincerlo ad andarsene di nuovo”. Era una pistola giocattolo, ma questo l’hanno scoperto solo i carabinieri. Il “pitonesso” è denunciato a piede libero.



    Massa Carrara Si presenta in ospedale con una matrioska infilata nel retto: operato d’urgenza in anestesia totale


    Ognuno ha diritto di cercare e trovare il piacere dove vuole, ma a volte serve prudenza. “Un uomo si è presentato al pronto soccorso del Noa – Nuovo Ospedale delle Apuane di Massa Carrara – lamentando forti dolori addominali”, scrive Fanpage. “Sottoposto a tac, i medici si sono accorti della presenza di un oggetto non meglio identificato e collocato all’interno del canale anale del retto del paziente: si trattava di una matrioska di circa 15 centimetri. L’uomo è stato operato d’urgenza, in anestesia totale”. Era una matrioska vuota? Non siamo sicuri che i medici abbiano voluto appurare. “La bambolina russa era finita in un punto in cui evidentemente non era possibile espellerla se non col ricorso al bisturi. Il pericolo principale è che durante l’intervento l’oggetto potesse rompersi, ma per fortuna, l’operazione è andata bene, non ci sono state complicazioni e il paziente dovrebbe subito poter tornare a condurre una vita normale”. Che poi, chi decide cosa è normale oppure no


    VITERBO   non  vuole  moglie  e   figli a funerale    e   lo fa  scrivere nei manifesti  



    A occhio e croce era una famiglia unita, piena di affetto. Così unita che prima di morire, il capostipite ha dato indicazioni molto specifiche sulla sua cerimonia d’addio: “Il defunto non gradisce al proprio funerale la presenza dei figli, del genero e della moglie”. Per essere sicuro che lo sapessero tutti, il morituro originario di Faleria (Viterbo) l’ha fatto scrivere direttamente sui suoi manifesti funebri affissi nel paese. Ovviamente la circostanza non è passata inosservata. “I motivi alla base di una decisione così estrema non sono noti – scrive Today –. Il 74enne viveva ad Ardea (Roma) e prima di passare a miglior vita si è rivolto a un’agenzia funebre di Aprilia, in provincia di Latina. Dalla ditta trapela che l’uomo aveva organizzato il suo funerale nei minimi dettagli: dal manifesto funebre con tanto di dicitura particolare, che è stata una sua espressa volontà, al trasferimento a Faleria”. Soprattutto la dedica ai parenti: chissà che meraviglia che dovevano essere le loro cene di Natale.

    Non vuole moglie e figli al suo funerale: per esserne sicuro lo fa scrivere direttamente sui suoi manifesti funebri



    In Estonia mille persone provenienti da 15 paesi hanno partecipato alla “Maratona della Sauna


    La piccola Estonia non ha una grandissima tradizione sportiva, ma i suoi cittadini sono devoti di una disciplina peculiare: la maratona della sauna. “Lo scorso sabato pomeriggio – fa sapere la Reuters – quasi 1.000 amanti della sauna hanno corso per la piccola cittadina estone di Otepaa”. L’obiettivo era frequentare il più alto numero possibile di saune in un tempo limitato. “Squadre di quattro persone hanno ricevuto una mappa delle saune della città e hanno dovuto correre da una all’altra, trascorrendo almeno tre minuti in ciascuna, con un bonus per aver visitato vasche idromassaggio e piscine ghiacciate”. Per l’organizzatore Ago Arro la Sauna Marathon è un pretesto per “vestirsi bene e anche fare festa”. L’abbigliamento dei partecipanti è in realtà discutibile: “Molti di loro indossavano costumi stravaganti anche all’interno delle saune”. Hanno gareggiato persone provenienti da 15 paesi e tra le varie saune ce n’era anche una acrobatica, “sospesa in aria con una gru”.


    Il cuscino per simulare il pancione: così è riuscita a truffare l’inps fingendo 5 gravidanze


    Sembra un’italia d’altri tempi, una commedia con Loren e Mastroianni, invece è una notizia di cronaca di tre giorni fa. “Il cuscino per simulare il pancione: così è riuscita a truffare l’inps fingendo 5 gravidanze”. Scrive Repubblica: “Le mani attorno ai fianchi, un cuscino sotto al vestito per simulare la gravidanza, la camminata un po’ affaticata di chi si trova al sesto mese, in piena estate”. Barbara Ioele è riuscita a far credere ai suoi datori di lavoro – e soprattutto allo Stato italiano – di aver messo al mondo cinque figli tra il 2015 e il 2019. Nessuno ovviamente li ha mai visti, eppure hanno i documenti in regola. Possibile? “Ioele, come la più esperta delle falsarie, ha compilato certificati di malattia, ha copiato le firme dei medici, ha rubato i timbri del policlinico Umberto I, ha creato documenti poi portati all’asl che, per anni, ha validato tutto senza porsi troppi interrogativi per poi rigirarli al datore di lavoro e all’inps”. Barbara però ha esagerato, destato sospetti e infine s’è fatta scoprire: è stata condannata a un anno e 8 mesi. Un paio di gravidanze.

    Usa un cuscino per simulare il pancione e riesce a truffare l’inps per anni fingendo cinque gravidanze

    per evitare chiamate indesiderate o messaggi molesti su whatsapp usate due schede una pubblica ed una privata

      questo post     di  Aranzulla     conferma    il consiglio      che  davo    in un post   (  cercatevelo  nell'archiviuo  dell'ann...