31.10.21

C’è un uomo che ha deciso di regalare a Napoli e al Napoli una statua di Maradona. Si chiama Stefano Ceci, ha 48 anni e forse è stato uno dei pochi veri amici di Diego

  da  repubblica  del  30\10\2021

 “Io, vero amico di Diego dono una statua a Napoli con il piede del Santo” L’intervista/ Stefano Ceci e i suoi vent’anni con Maradona

di Maurizio Crosetti 



C’è un uomo che ha deciso di regalare a Napoli e al Napoli una statua di Maradona. Si chiama Stefano Ceci, ha 48 anni e forse è stato uno dei pochi veri amici di Diego (che oggi avrebbe compiuto 61 anni), oltre che il suo socio in svariate avventure umane e commerciali. A Stefano, il campione concesse i

diritti d’immagine e questo ha scatenato una furibonda battaglia legale. «Ma io ho vissuto per vent’anni insieme a Diego, ho tutte le prove dei nostri contratti, infatti ho sempre vinto in tribunale e non temo certo i parassiti che sfruttavano Maradona da vivo, e vogliono sfruttarlo pure da morto».Lo dice al telefono da Dubai.

Signor Ceci, cos’è questa storia della statua?

«Il mio dono alla città e alla memoria della persona più importante della mia vita, un semplice grazie a chi adesso non c’è più. Una statua in bronzo dorato, a grandezza naturale, alta un metro e 67 come il mio fraterno compagno ritratto ai tempi del mondiale messicano. La mano sinistra e il piede sinistro sono stati riprodotti in 3D usando il calco che io stesso avevo fatto a Diego, le impronte le ho prese io, sissignori».

Un calco? In che senso?

«Io e lui sapevamo che un giorno il suo piede sinistro sarebbe stato venerato. Quando nascerà il Museo Maradona, piede e mano saranno riprodotti in oro. Ma anche chi toccherà il piede della statua, sfiorerà in qualche modo il piede vero di Maradona come se fosse, diciamo, quello di un santo».

Un santo? Non stiamo un po’ esagerando?

«Diego diceva: io sono napoletano dal giorno in cui sono arrivato qui. E sulla statua ci sarà scritto proprio questo: “Anch’io sono napoletano”.La esporremo allo stadio Diego Armando Maradona il 28 novembre, prima di Napoli-Lazio. La metteremo a centrocampo, poi sarà sistemata negli spogliatoi, nel punto dove gli arbitri incontrano i giocatori, così potrà essere vista in tivù prima di ogni partita. Pago tutto io, saranno più o meno 80 mila euro e sono onorato di farlo».

Chi era per lei Maradona?

«Un amico, un fratello, un sogno.

Infatti lo sogno ancora, almeno due volte a settimana. Sogno di essere a Napoli, di sporgermi dal balcone e vedere Diego lì sotto. Oppure stiamo per andare a un evento e lui mi ripete “Tanito, non ho voglia, andiamoci domani”. Ci siamo drogati insieme, insieme abbiamo vissuto a Cuba e Dubai, io abitavo al piano di sotto e tenevo sempre un walkie-talkie acceso, così lui poteva chiamarmi nel cuore della notte per un panino, “Tanito portami un sandwichito”, o per dirmi che si era spenta la tivù e se potevo riaccenderla. Purtroppo non riusciva mai a dormire. Di me diceva: toccatemi tutto, non Stefano perché per me il Tano è intoccabile.Lo ha ripetuto tante di quelle volte nelle interviste in tivù».

Gli eredi di Maradona la accusano di non essere il vero depositario di tutti quei diritti commerciali.

«Miserabili. Eppure continuo a mandare bonifici pari al 50 per cento di ogni affare concluso, come voleva Diego. Lui era lì sul letto, morto e ancora caldo, e c’era chi gli svuotava il frigorifero. Si sono fregati pure le cose da mangiare».

L’avvocato Matias Morla sostiene di essere lui il rappresentante di Diego sul mercato internazionale, e non lei.

«Morla registrò cinque marchi senza neppure dirlo a Maradona, una carognata, ma non l’omino che corre, non “D10S”, quelli sono miei! In otto anni ho fatto guadagnare quasi trenta milioni di dollari a Diego, e ora la metà spetta ai figli legittimi, poi arriveranno pure quelli naturali. Ho chiuso io i contratti per i videogiochi, per le slot machines, tra poco lanceremo una nuova linea di abbigliamento.

Ho portato io Maradona in Rai da Fazio, alla Fifa, al San Carlo di Napoli, a Londra, in Corea, in Marocco, ai Mondiali del 2014 e del 2018. Trentasette eventi abbiamo fatto, noi due. E dov’erano, i presunti amici? A Cuba, siccome non c’erano soldi non si vedevano neppure i parenti. Ma lui non ha smesso di pagarli, e non bastava mai».

Si parla di 200 o 300 milioni di dollari di eredità.

«Ma no, che fesseria. Nel 2012, quando siamo andati a Dubai, Diego aveva 8 milioni di dollari sul conto.Grazie a me ne ha guadagnati altri 26 milioni e 600 mila. Almeno 10 sono andati alla famiglia, quasi 6 negli ultimi 5 anni. Penso che adesso ci siano sui vari conti una ventina di milioni di dollari, non di più. E una quindicina sono spariti perché qualcuno li ha fatti sparire.Non esistono casseforti segrete. I cimeli importanti se li era già presi l’ex moglie Claudia, che li ha venduti: esistono due cause in tribunale, per questo».

Ormai è quasi passato un anno.Cosa le manca di più di Maradona?

«La quotidianità: io ero innamorato pazzo di Diego. Ho chiamato mia figlia Mara Dona per avere sempre Maradona in casa con me. Al mattino guardo ancora lo smartphone appena mi sveglio, è un riflesso condizionato, come se lì dentro potesse esserci un suo messaggio. Mi manca la voce, così stanca alla fine. Gli hanno fatto cambiare quattro case soltanto nell’ultimo anno, le signore figlie, per poi mandarlo a morire nella jungla. A Napoli c’è un proverbio che dice: il morto lo piangono tutti, ma nessuno se lo vuole portare.Quando lo vidi per l’ultima volta, Diego era nel ritiro del Gimnasia, la squadra che allenava. Aveva giocato a pallone, ma non c’era acqua calda per lavarsi: lo aiutammo io e Christian Jorgensen, il suo assistente. Scaldammo l’acqua sul gas della cucina, non c’era nemmeno lo shampoo. Ecco come viveva Diego. Quando sento dire “ma come è morto?”, io rispondo: non è morto così, è vissuto così, solo come un cane. Ha avuto tutto e non ha avuto niente».

La vita di fianco a sé “Il nostro amore nato danzando uno contro l’altra” Per odio e per amore, una vita per la danza divisa in due.Timofej Andrijashenko e Nicoletta Manni, primi ballerini della Scala


repubblica  31/10/2021
CRONACA
Storie italiane La vita di fianco a sé “Il nostro amore nato danzando uno contro l’altra” Per odio e per amore, una vita per la danza divisa in due.
Timofej Andrijashenko e Nicoletta Manni, primi ballerini della Scala

                                 di Dario Cresto-Dina
Questa è la storia di Timofej Andrijashenko, detto Tima, nato 27 anni or sono a Riga in Lettonia, primo ballerino della Scala; e di Nicoletta Manni, 30 anni, di Galatina, provincia di Lecce, prima ballerina della Scala.
Insieme Timofej Andrijashenko, 27 anni e Nicoletta Manni,
30 anni, alla Scala durante il Don Chisciotte.
I due ballerini sono compagni di scena e nella vita

Compagni sulla scena e nella vita, a volte avversari. Come è accaduto nel loro primo incontro.
Tima : «Era il 2012, un concorso nel quale io ero ancora studente mentre lei faceva già parte di un corpo di ballo. Noi allievi la ammiravamo come professionista, eravamo in soggezione. Non ebbi il coraggio di avvicinarla e lei non mi filò. La rividi alla Scala, in una sala prove.
Tutto cominciò quel giorno».
Nicoletta : «Ci siamo conosciuti da nemici. Io arrivai prima, lui secondo. Anche dopo non mi accorsi che mi stava corteggiando, ci volle un po’ di tempo per rendermi conto che avevo trovato l’amore in famiglia».
T .: «Lei è una compagna eccezionale, una giovane donna incredibile. E una cuoca straordinaria, l’ho detto e ora mi aspetto gli attacchi social…».
N .: «La professione è parte fondamentale della nostra vita, ma quello che più ci unisce è la complicità che abbiamo trovato, l’equilibrio che siamo riusciti a costruire tra lavoro e privato.
Siamo molto diversi, ma questo ci aiuta fino a renderci complementari. La più rigorosa sono senza dubbio io».
T .: «Nella danza sono stato catapultato, per punizione. Sono stato un bambino iperattivo, insofferente alle regole. Con gli amici del cortile giocavo ovunque a calcio, poi facevo nuoto, karate, bob, pallanuoto e beach volley. Da un giorno all’altro mio padre mi annunciò che mi aveva iscritto all’Accademia statale di danza classica a Riga. Imparerai la disciplina, mi disse. Per me fu uno shock, nella mia testa di bimbo ne avevo una percezione stereotipata, come di una cosa da femmine. Provai l’amaro dell’odio».
N .: «Vivevo nella frazione di Santa Barbara, credo che abbia non più di cento abitanti. Diciamo che sono figlia d’arte, la mia mamma è una insegnante di danza. Così ho cominciato a due anni e mezzo.
All’inizio l’ho vissuta come un gioco, ma presto ho capito che era quello che volevo fare nella vita.
Avevo dodici anni quando chiesi a mia madre di portarmi alla Scala per un’audizione. Mi presero».
T .: «Poi è scattato qualcosa, dopo il primo saggio di fine anno. Mi sono reso conto che in scena ero veramente a mio agio e che, guardandomi indietro, mi ero divertito tantissimo fino ad allora anche se faticavo ad ammetterlo. Il mio entusiasmo, la mia energia incontrollata avevano trovato un fuoco, una traiettoria».
N .: «La danza impone disciplina e armonia ai movimenti, ma forma anche a livello caratteriale. Un ballerino è un ballerino in ogni cosa che fa».
T .: «Alla fine dei cinque anni di Accademia ho vinto una borsa di studio per il Russian Ballet College di Genova. Il primo anno lontano da casa è stato difficile, implorai mia madre: voglio tornare, è troppo dura. Ricordo che una sera al telefono rispose così alle mie lacrime: calmati, dormici su, pensa a qualcosa di bello. Vedrai che domani andrà meglio, poi mi chiami e ne riparliamo. Non lo pensavo possibile, eppure il giorno dopo mi sono svegliato più forte. A 16 anni ho perso mio padre, un dolore terribile dal quale mi sono risollevato solo grazie alla danza. Ci misi dentro la sofferenza e la rabbia e vinsi il Moscow International Ballet Competition nella categoria juniores, le nostre Olimpiadi che si svolgono ogni quattro anni sul palco del Bolshoi».
N . «Trasferirmi a dodici anni dalla mia piccola realtà a una città come Milano è stato un enorme cambiamento, ma l’ho vissuto come il realizzarsi di un sogno. È stato bello dunque, nonostante il sacrificio di vivere lontano da casa, in un convitto di suore. Oggi, ogni volta che metto piede su un palco, riesco a trasmettere un’emozione al pubblico, mi nutro di un applauso, sento di essere completamente ripagata delle fatiche che sopporto ogni giorno».
T .: «Non posso elencare i tanti che mi hanno messo a disposizione il loro talento, ma non dimentico il mio primo maestro di danza a Riga e poi Irina Kashkova che mi ha permesso di fare il salto di qualità e di venire a studiare stabilmente in Italia. È stata la mia seconda madre artistica. Si incontrano molte persone nel nostro mestiere e tutte sono preziose. È una delle cose che mi ha insegnato la danza: saper attingere dall’arte di tutti.
Un ballerino non smette mai di imparare, dal più anziano come dal più giovane. E questo, in automatico, ti insegna a avere rispetto dell’altro».
N .: «Posso dire di essere stata molto fortunata perché a 17 anni sono entrata nella Compagnia di Berlino. Era il mio primo lavoro dopo il diploma alla Scala e lì ho trovato una ballerina che ho sempre amato molto, Polina Semionova.
Un’artista unica, umile ma di grande spessore, che mi ha insegnato a considerare ogni successo un punto di partenza. Sono prima ballerina dal 2014, ero molto giovane, avevo solo 22 anni. Da lì è cominciato un percorso bellissimo che mi porta ogni giorno a superare un passaggio successivo».
T .: «Spesso mi domando se ho imparato la disciplina e l’armonia. Non trovo risposta, so che ora conosco quali sono le mie responsabilità, qual è il mio posto a questo mondo.
L’armonia è un po’ come la pace, non la troverò mai fino in fondo. La perfezione non esiste, è solo una sirena che ti chiama, ti lusinga e non puoi non seguirla, anche se sai che non la raggiungerai mai.
Ma sono felice, questo sì, ora posso dire di essere felice».
N .: «Più si ha e più si vuole. Credo sia importante non smettere di porsi dei traguardi, degli obiettivi, di rincorrere i desideri. Ne ho tanti: ruoli da danzare, palchi da solcare e anche sogni di vita privata. Ma sono ancora giovane e credo che potrò raggiungere, lo spero, ancora molto. Ho avuto tantissimo dalla Scala e dall’Italia, sogno di danzare in tanti teatri come il Bolshoi dove sono stata invitata nel 2019. Il mondo di un ballerino è immenso».
T .: «Oggi mi sento alla Scala un Moschettiere del Re. Diventerò un grande ballerino? Non credo di esserlo, ma ho avuto l’opportunità di diventare un artista. E anche per questo non esistono classifiche».
Questa sera Nicoletta Manni e Timofej Andrjashenko saranno al teatro degli Arcimboldi di Milano nell’ultima del “Don Chisciotte”, a dicembre alla Scala per “La bayadère” e a gennaio in tv su Raiuno ospiti del programma di Roberto Bolle “Danza con me”.
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Insieme
Timofej Andrijashenko, 27 anni e Nicoletta Manni, 30 anni, alla Scala durante il Don Chisciotte. I due ballerini sono compagni di scena e nella vita



un insegnante celebra il matrimonio di una sua allieva ., ragazze che mandano a fncl il ragazzo fedifrago e se ne vanno insieme on the road ., genitori che non abortiscono ed accettano il figlio cosi com'è .

 da  https://storiedeglialtri.it/storie/



insegnante


Lei è Monia. Vive a Treviso, in Veneto. È il suo primo giorno alle scuole Medie. Mentre chiacchiera con i compagni, un giovane sconosciuto fa il suo ingresso in aula. Buongiorno, sono il vostro professore di Italiano, chiamatemi Matteo, siate buoni, è la mia prima esperienza. Monia e gli amici lo guardano increduli. Cosa vuole questo? Sta scherzando? È troppo giovane per insegnare. E sia, fatti sotto forestiero. Cercano di coglierlo in fallo con le domande più assurde, di fargli perdere la pazienza con le prese in giro. Matteo para i colpi con l’autoironia, poi passa al contrattacco. Invece della solita lezioncina, racconta storie, esperienze di vita, canta, dice barzellette, crea, avvolge, coinvolge. Monia ne prende atto, quelle lezioni sono davvero fighe. Passa tre anni fantastici, l’ultimo giorno di scuola prima del liceo scoppia in lacrime. Prof, come farò senza di lei? Rimangono in contatto. quando Monia ha un
dubbio, Matteo la aiuta a sbrogliarlo. Diventa una guida, un punto di riferimento. Monia lo ripaga con la frase più bella che un’alunna può dire al suo maestro. Prof, lei mi ha ispirato, voglio seguire le sue orme, insegnare e fare la differenza nelle vite degli studenti, come lei ha fatto nella mia! Ci riesce, grazie ai consigli di Matteo, ottiene una cattedra a Londra. È il 2014. Monia torna in Italia per il matrimonio di un amico. Sarà l’atmosfera romantica, ma Nadir, il fotografo degli sposi, le sembra proprio carino. Si lanciano occhiate, sorrisi, poi si appartano e, cos’altro c’è da aggiungere, si piacciono. Escono insieme, la relazione cresce, finché Nadir la raggiunge a Londra e le chiede di sposarlo. Monia tocca il cielo con un dito. Fissa la data, sceglie location e invitati. È tutto perfetto, eppure manca qualcosa. È un giorno speciale e vuole avere vicino la persona che l’ha aiutata a diventare la donna che è. Prende il telefono. Pronto, prof Matteo? Le andrebbe di celebrare il mio matrimonio? Dall’altra parte c’è silenzio, risate, commozione, e ancora risate. È l’ottobre del 2021. Monia sposa il suo Nadir sotto gli occhi lucidi e orgogliosi di Matteo, un insegnante, un amico, un maestro di vita. Infatti Al matrimonio erano presenti anche altri compagni di scuola. Il professor Matteo li ha salutati così: «Officiare il matrimonio di una ex alunna è stato il voto più bello».

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ognuno di noi può lasciare un segno, grande o piccolo nella vita di chi incontra, anche se si ferma per poco tempo.

Lei è Raffaella. Ha 27 anni, fa l’insegnante. Parte dalla Sicilia, gira in lungo e in largo la penisola come supplente alle Elementari, fino a quando approda a Firenze. È amore a prima vista! Finalmente ha una classe tutta sua. I bambini sono impegnativi, ma Raffaella è piena di entusiasmo. Gli fa digerire l’inglese con l’aiuto di un pupazzo, decora le verifiche con faccine sorridenti. Intanto conosce Luca, sboccia l’amore, il rapporto cresce, lui propone di trasferirsi a Viterbo, il suo


luogo d’origine. Raffaella ha il cuore spezzato, ma dopo tre anni dice addio ai suoi amati alunni. La vita scorre. È il 2021. Raffaella ha 43 anni, continua a insegnare, si è sposata e ha messo al mondo due bambine. Sogna di fare un salto a Firenze, per rivedere e riabbracciare le sue colleghe, con le quali ha mantenuto i rapporti. Riesce a ritagliarsi qualche giorno tutto per sé. Parte, arriva in albergo, mentre aspetta il resto della comitiva, naviga su Facebook. Ha ricevuto un messaggio da un ragazzo. Sono passati dieci anni, ma riconoscerebbe quel faccino ovunque. Emanuele, uno dei suoi ex alunni. Maestra Raffa, quanto tempo, come sta? Sarebbe bello organizzare una rimpatriata, quando potrebbe venire a Firenze? Raffaella non riesce a crederci. È una coincidenza incredibile! Oggi, posso oggi, sono già qui! Si gode il ritrovo con le colleghe, poi si scusa, e corre dai suoi bambini. Sono cresciuti. Emanuele, Flavia, Irene, e Kevin nel frattempo sono diventati adulti. Raffaella dà un calcio al pudore e si tuffa tra le loro braccia. Sotto le barbe folte e le gambe lunghe, ritrova i sorrisi di quei cuccioli di nove anni. I suoi ragazzi raccontano dei sogni e dei progetti, di quello che era, di ciò che è stato e di ciò che sarà. Raffaella ascolta incantata. Li trova belli, dentro e fuori. Non indossano più i grembiulini, ma i loro occhi sono pieni d’amore. Quello che lei ha seminato, ha germogliato dei fiori meravigliosi. La giornata vola via in fretta, vorrebbe fermare il tempo, almeno rallentare, può solo immortalare il momento in una foto ricordo. Ragazzi, io sto in mezzo! Ora riguarda le loro facce, gli sguardi, le espressioni, il suo sorriso. Può una immagine catturare la magia di un incontro?


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Morgan, Abi e Bekah hanno scoperto di non essere le uniche. Il loro fidanzato usciva in contemporanea con ben sei ragazze.



Lei è Morgan. Vive a Boise, negli Stati Uniti. Ha 21 anni. È fidanzata con un compagno di università, vanno d’amore e d’accordo, parlano addirittura di matrimonio, ma da qualche tempo lui ha impegni improvvisi, e accampa le scuse più improbabili per darsela a gambe. Morgan cerca di trattenersi, ma un tarlo la divora. Recupera le password ed entra di nascosto nei suoi social. Legge le
conversazioni, e like dopo like finisce nella pagina di una certa Abi. Il suo profilo è pieno di foto in cui si bacia con un tipo. Nulla di male, se non fosse che quello è il suo fidanzato. Non è possibile, non riesce a credere ai suoi occhi. È proprio lui! Morgan scrive alla ragazza del profilo e la mette davanti all’amara realtà. Abi pensa a uno scherzo, ma le prove sono schiaccianti. Entrambe si rendono conto di essere state tradite e ingannate. E se non fossero le uniche? Uniscono le forze, scavano nel web, finché spunta un’altra ragazza di nome Bekah. Anche lei ignara di tutto. Morgan, Abi e Bekah fanno una videochiamata. Si guardano negli occhi, piangono, imprecano, ridono, piangono di nuovo. Proprio in quel momento, Morgan sente bussare alla porta, e chi si ritrova davanti? Il suo caro ragazzo, che con sorriso candido le porge un bel mazzo di fiori. Buongiorno amore, volevo farti una sorpresa! A Morgan prudono le mani, ma resta calma e gli mostra il telefono. Tesoro, anch’io ho qualcosa per te, mi sono fatta delle nuove amiche, le conosci? Abi e Bekah lo salutano dallo schermo. Il ragazzo sbianca, fa spallucce, non ci prova neanche a inventarsi una scusa. Morgan gli sbatte la porta sulla faccia. Dal monitor si sentono risate e urla di approvazione. 
Tutto è chiarito, finalmente, il casanova è stato smascherato, ma nessuna di loro riesce a riattaccare. Continuano a parlare, sorridono, scoprono che hanno qualcos’altro in comune. Amano viaggiare, possibilmente in buona compagnia. Oggi Morgan, Abi e Bekah girano gli Stati Uniti a bordo di un vecchio pulmino. Hanno perso un ragazzo, per fortuna, ma hanno trovato una splendida amicizia. Vuoi mettere?

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Danilo ha affrontato un percorso psicologico che l’ha aiutato ad accettarsi. Oggi studia Psicologia, vuole essere di supporto per chi sta male.


Loro sono Cristina e Giorgio. Vivono a Oristano, in Sardegna. 


Hanno 24 anni, sono sposati e desiderano un figlio, che non arriva. Dopo undici lunghi anni di tentativi, finalmente il test è positivo, ma la gravidanza non supera i primi mesi. Marito e moglie si stringono nel dolore, ritentano e per la seconda volta si preparano all’arrivo di un bel maschietto. Tutto sembra andare per il meglio, finché all’improvviso qualcosa va storto, e devono dire addio al loro piccolo. Per i medici non c’è un motivo. Succede e basta. Sono parole di circostanza, Cristina non può accettarle, c’è in ballo la sua vita. Si sottopone a esami approfonditi, scopre di avere un problema all’utero. Va sotto i ferri, e sopporta le cure senza battere ciglio. Diventerà mamma, lo sente. È il 2000. Nasce Danilo. Cristina e Giorgio lo guardano increduli. Ce l’hanno fatta. Sarebbe tutto perfetto, se non fosse che il figlio ha una malformazione rara che gli causa un problema fisico importante. Deve essere operato. Il suo pianto disperato risuona per i corridoi dell’ospedale, mamma e papà sono straziati, rischiano di impazzire. Dopo settimane appesi a un filo, finalmente vedono la luce. 
Possono portarlo a casa, ma non è finita. Danilo dovrà subire ancora tanti interventi, gli renderanno la vita migliore, ma avrà sempre dei problemi. Cristina e Giorgio stringono il loro piccolo tra le braccia, vogliono proteggerlo da quelle brutte parole. Lo curano, lo coccolano, gli danno tutto l’amore di cui sono capaci, ma Danilo soffre, piange, ogni operazione è uno strazio. Mamma e papà sono lacerati, impotenti. Come si può sopportare tutto questo? Si maledicono, si incolpano. Che razza di genitori siamo, abbiamo messo al mondo un figlio solo per vederlo soffrire? Che futuro potremo mai offrirgli? Le risposte a tutte le loro domande le porta in dono la vita. Danilo cresce, affronta con coraggio le terapie, accetta il suo corpo, impara a sopportare il dolore. Oggi ha 21 anni, è un ragazzo sensibile, pieno di amici e di sogni. Non si vergogna a raccontare la sua storia, e mostra con orgoglio le sue cicatrici. Gli ricordano che è vivo, e che ha due genitori meravigliosi. Mamma e papà lo amano più di ogni cosa.

l'orso marsicano fa il bagno nella fontana della villa comunale prima di andare in letargo

da https://roma.repubblica.it/cronaca   29\10\2021

 Le foto di Vania Tramontozzi sono diventate virali. Da mesi gli orsi marsicani danno spettacolo nelle antiche strade di San Donato Val di Comino, centro di 1.200 abitanti della provincia di Frosinone

Da mesi gli orsi marsicani danno spettacolo nelle antiche strade di San Donato Val di Comino, centro di 1.200 abitanti della provincia di Frosinone, al confine con l'Abruzzo, e questa volta un orso è arrivato a fare il bagno nella fontana della villa comunale. Una scena subito immortalata, con immagini scattate da Vania Tramontozzi, che stanno facendo il giro del web. Il borgo è all'interno del Parco nazionale d'Abruzzo e gli animali hanno iniziato a girovagare sempre più spesso nel centro abitato.

In particolare sono due gli orsi che sono stati notati negli ultimi tempi lungo le strade del paese, sempre alla ricerca di cibo, e a quanto pare continuano a scorrazzare anche in questi giorni, poco prima di andare in letargo.

Sorpresa: la generazione TikTok ricomincia a leggere. Su consiglio dei social



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Dipendenza tecnologica, i consigli dell'esperto: Il cellulare mai prima dei 13 anni"




Cellulari e social riportano i ragazzi dentro le librerie. Un fenomeno, chiamato BookTok, che sta rivoluzionando il mondo dell'editoria. E che mostra quanto gli adolescenti siano in cerca di storie in cui riconoscersi, come spiega il docente di psicologia Gianluca Daffi

                               di Cinzia Lucchelli

All'ultimo salone del libro di Torino lo stand di Sellerio è stato assediato da ragazze e ragazzi in cerca del libro con "James Dean in copertina": Una vita come tante di Hanya Yanagihara, pubblicato in Italia nel 2016,  è andato esaurito in breve tempo.

L'immagine della copertina, che in realtà non raffigura James Dean, negli anni è rimbalzata sempre più frequentemente sui social. Negli Stati Uniti sui tavoli di Barnes & Noble sono comparsi cartelli con la scritta #BookTok a fianco dei libri consigliati su TikTok. Amazon ha aperto sul suo sito la sezione chiamata "Internet Famous", con elenchi di titoli che chiunque abbia trascorso del tempo sul social riconoscerebbe. Spie di un fenomeno che si chiama BookTok. Alimentato dai video pubblicati sul social TikTok da giovanissimi lettori, sta rivoluzionando il mercato dell'editoria. Risvegliando la vendita di libri anche non di recente pubblicazione come La canzone di Achille, rivisitazione dell'Iliade di Omero di Madeline Miller (Marsilio).Telefonini e social accusati di allontanare i ragazzi dalla lettura riportano dunque i ragazzi dentro le librerie. Cosa sta succedendo? "Gli adolescenti cercano storie in cui raccontarsi e in cui rivedersi. Il dubbio che può venire a noi adulti è che quelle che raccontiamo loro siano povere. Ci stanno dicendo che la necessità del racconto è ancora viva. Li immaginiamo interessati ad altro, a oggetti come scarpe e vestiti, ma quello che sta succedendo ci fa capire che in realtà sono interessati al racconto dietro l'oggetto, alla narrazione dietro la copertina", dice Gianluca Daffi, docente di Psicologia all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e Brescia. I frequentatori di Tiktok seguono i consigli di lettura dei loro coetanei più che di un insegnante o di un genitore. Tanto da far lievitare le vendite di alcuni libri, così come i post su Instagram di Chiara Ferragni in visita agli Uffizi avevano fatto lievitare gli ingressi di un weekend del 24%. È  cambiata la percezione dell'autorevolezza? "Non la metterei su questo piano. Sono cambiati i canali attraverso cui si cercano informazioni. Ma è del tutto normale. Gli adolescenti si affidano a canali orizzontali più che verticali, chiedono un consiglio di lettura a un amico non a un padre o a un nonno.  C'è sempre un confronto con i pari". Anche l'emulazione sui social, spiega l'esperto, non è nulla di nuovo: Internet, la rete, è il "grande gruppo".

Instagram, istruzioni per l'uso. Lo psicologo: "Come riconoscere ed evitare le insidie"

È una questione di contenuti ma anche di linguaggio. Che invece è cambiato. I ragazzi su TikTok postano video di libri infarciti di segnalibri sfogliati velocemente, recensioni di pochi secondi affidate a parole e stelline, foto di copertine di cinque volumi che fanno piangere. Video brevissimi, di 15 o 60 secondi, che attorno all'hashtag #BookTok raggiungono oggi più di 24 miliardi di visualizzazioni. "Se un adulto per scegliere un libro ha bisogno di una recensione scritta o di una presentazione, comunque di uno stile verbale, un ragazzo si affida a un modo più visivo e rapido, più sintetico ed efficace. Un tempo si parlava di stili cognitivi, ognuno ne ha uno e cambiano con il tempo", spiega il docente. Ma se lo stile è diverso,  la sostanza no. BookTok, conclude l'esperto, non è un fenomeno inatteso o nuovo. Alla base c'è il bisogno di raccontarsi dei ragazzi per sentirsi parte di qualcosa. Tiktok è un mezzo, protagonista è il libro, la cultura che è viva e gira. "Poco importa che poi i ragazzi non leggano il libro, intanto sono entrati in una libreria e lo hanno comprato, se lo trovano a casa. A disposizione magari dei genitori che lo leggeranno. La cultura è anche questo, la cultura gira".

30.10.21

il mondo è impazzito ed la censura ed i divieti anacrostici non risolvono certo la cosa .

colonna  sonora
CCCP Fedeli alla linea - Morire
Articolo 31 - Fotti la censura

Come  dicevo  sia  nei post  precedenti    in cui parlavo del fenomeno  SquidGame   (   I  II  )   sia   nel titolo  del post   : i  divieti  ,  le  censure  , ecc.    oggi  con la nuova  rivoluzione  digitale  e  con  il  facilissimo accesso alle  tecnologie  (   brutto vezzo   di  padrini  , genitori  di regalare e  comprare 

 :  smartphone , tablet , iPod , ecc. ai figli o nipoti fin dalle elementari ) dove tutti minori compresi accedono a tali contenuti servono ben poco e risultano vista la facilità con cui vengono dribblati ed elusi a ben poco ed addirittura il famoso \ famigerato Facebook pur di guadagnare con la pubblicità diffonde e alimenta l'odio come dice l'articolo di  repubblica     del  30\10\2021   intervista aWalter Quattrociocchi,  capo del Center of Data Science and Complexity for Society (Cdsc) dell’università La Sapienza di Roma. È uno dei ricercatori europei più importanti nello studio delle piattaforme della Silicon Valley .

Ora  E' vero che  un mondo     sempre  più  impazzito   vedere    oltre  all'allarmante    diffusione  di    :  femminicidi  e\  violenza  di genere  ,    stupri e  violenze  di  branco  contro i  più deboli  ed   i recenti     casi  di  cronaca  : 

  • Cagliari  un  cuoco  \  panettiere   sgozzato   per  motivi  sentimentali  da  un marito  geloso  
  • Ercolano       due  ragazzi  uccisi  ( a  mo'   di  esecuzione  mafiosa  )   dallo stesso proprietario  perchè scambiati  per  ladri   visto che  stazionavano  in macchina  vicino   alla  sua  villetta  

e  quindi  si tratta  di un  emergenza  sociale    ma   la   censura  ed  i  divieti  non servono  . Serve  una  battaglia  culturale   e di legalità .  Una  guerriglia  contro  culturale  .
 Infatti     concordo con   la risposta  di Francesco  merlo   

Caro Merlo, come ha ragione la Signora Acciarito!
Se si dà retta ai moralisti la televisione e il cinema sarebbero chiusi oppure ci farebbero vedere le vite dei Santi. La Signora Acciarito cita Fellini, io Gualtiero Jacopetti ¹ che, all’epoca, con i suoi film di “notte” eccitò la fantasia di noi adolescenti. Non erano “capolavori” per l’epoca (dovremmo aprire un dibattito sul termine capolavoro) ma oggi sono cult per cinefili, “saccheggiati” da molti registi e lascio perdere Tarantino. L’oscenità e la violenza sono nell’occhio di chi guarda. La censura democristiana stoppava Fellini ma non si pronunciava sui porno e li lasciava passare.
Qualcosa, a proposito di censura, si è fatto. Ma poi si vieta ai minori di 18 anni l’ultimo film di Mordini, “La scuola cattolica”. Squid Game passerà. Lascerà traccia? Vedremo.
Non esiste la buona censura. E “Squid game” lascerà molta più traccia del suo Jacopetti.


Scommetto che   mi chiederete  cosa  proponi  .   Ho già    risposto più volte    ai vecchi tromboni  e ai censori   vedere   archivio del blog   in particolare   questo post : << La nuova pubblicità Dietor Dietorelle è all’insegna del bacio  sotto    tutte le  sue  forme    crea    rigurgiti  bacchettoni   e dei soliti  ben pensanti  >>   ed  il   secondo  post  (    il secondo   url   di quelli citati     nelle  prime   righe del post  d'oggi  )   sulla serie Squidgame     ma poiché  potreste  scambiare   i miei rimandi  per  una  via  di fuga   ed  eludere la risposta alle   vostre  domande    ecco    che rispondo pubblicamente   anziché  privatamente  ad  una  email  giuntami  da poco  ( N.B   per  rispettare richiesta  di   privacy   il nome  riportato sotto è un nome  di  fantasia  )  



Spett Giuseppe
Lei qualche tempo fa ha condiviso su twitter un post in cui si paragonava la censura di un capolavoro come la Dolce vita all’eventuale censura di una serie violentissima come quella coreana ? Un adulto può vedere quello che vuole, ma dare in mano ad adolescenti e bambini materiale esplosivo come Squid Game è un vero reato. E non si dica che spetta ai genitori e a i nonni controllare. I ragazzi trovano sempre il modo di eludere la sorveglianza.
Anna


Gentile Signora \ ina Anna  
Forse il paragone riportato nel post che ho condiviso è un po' improprio visto i contesti culturali e storici totalmente diversi . Ma è utile per capire come in Italia si faccia ricorso in maniera ipocrita alla censura ed a divieti ormai sempre più vetusti con le innovazioni tecnologiche . Infatti basti vedere che si chiede la censura o i divieti a senso unico . Io che sono per la libertà e contro ogni proibizionismo sono sono fra quelli che pensano , con buone ragioni , che una sola puntata del Grande fratello e simili faccia più danno di tutta la serie Squid Game . E' vero sarà pure inadatta ai ragazzi sotto i 14 , ma non mi sembra il caso di proibirla o censurarla . Certo concordo parzialmente : con lei quando dice : << dare in mano ad adolescenti e bambini materiale esplosivo come Squid Game è un vero reato.>> cosi come lo è dare senza filtri il cellulare con internet e i social a bambini di 8\12 anni senza prima averli educato all'uso . Nei miei post non sto dicendo << che spetta ai genitori e a i nonni controllare. I ragazzi trovano sempre il modo di eludere la sorveglianza. >> non mi fraintenda , ma prima di lasciarli liberi educarli criticamente . Quindi Aiuti i suoi figli e i suoi nipoti a capire senza : tabù , altarini , quello che vedono o leggono ma lasci perdere la censura che, tra l’altro, alla fine promuove tutto ciò che vuole proibire . Infatti tali serie e tali programmi hanno successo , indipendentemente dalla loro  bellezza o bruttura ( dipende dai punti di vista ) ma dalla grandissima pubblicità che gli stata fatta sia con le recensioni e le critiche

[... ] Ricezione critica
Rotten Tomatoes ha assegnato alla serie una valutazione media di 8,1 su 10, basata su 43 recensioni.[25] Su Metacritic, la serie ha un punteggio medio ponderato di 75 su 100 basato su 10 critici, indicando "recensioni generalmente favorevoli".[26]
Risposta pubblica
Joel Keller del New York Post affermò che la serie è «creativa». La descrisse come avente «una narrativa serrata e una storia che ha il potenziale per essere tesa ed eccitante» e concluse la recensione dicendo che «[Squid Game] prende una nuova idea e la trasforma in un dramma elettrizzante; speriamo che continui a creare la tensione che abbiamo visto negli ultimi venti minuti, durante tutta la stagione».[27] Jonhaton Wilson, recensendo per Ready Steady Cut, affermò: «a parte l'essere allungato un po' troppo sottile in alcuni punti, direi che [Squid Game] merita tutti gli elogi che sta per ottenere».[28] Pierce Conran, del South China Morning Post, assegnò un punteggio di 4,5 stelle su 5 e affermò: «nel complesso, questa è ancora una schiacciata selvaggiamente divertente da parte di Netflix Corea, che (probabilmente) sarà adottata in tutto il mondo, come lo sono stati i suoi predecessori».[29] Hidzir Junaini, del New Musical Express, assegnò un punteggio di 4 stelle su 5 e affermò: «intelligenza tematica a parte, Squid Game è una serie che mette grande tensione ("a white-knuckle watch"), grazie al suo elemento di competizione viscerale».[30] La serie venne però anche criticata per la sua somiglianza con il film giapponese As the Gods Will, uscito nel 2014. In risposta alle accuse di plagio, il regista Hwang Dong-hyuk dichiarò di aver iniziato a lavorare alla sceneggiatura della serie già nel 2008 e che la somiglianza della serie con il film (di cui era venuto a conoscenza durante le riprese) era soltanto casuale.[31][32] . [...]  segue  su    https://it.wikipedia.org/wiki/Squid_Game

sia con " terrorismo mediatico da vecchi tromboni e retrogradi ( ovviamente sto facendo un discorso in generale non sto parlando di lei ) censori che per paura o incapacità non sanno fare i genitori i nonni e chiedono la censura ed i divieti anziche cercare di capire cosa attira tali figli /nipoti di tali programmi e cosi facendo amplificano lo stato di trasgressione ed il fascino del proibito ( soprattutto nei per i ragazzi e ragazzini ) il desiderio \ curiosità del vedere perchè è stata richiesta la censura . Quindi <<è evidente che >> secondo quanto dichiara a https://www.agi.it/cronaca/news/2021-10-30/squid-game-garanti-a-genitori-non-lasciare-soli-i-bambini-14368399/ Carla Garlatti, presidente dell'Autorità Garante per l'Infanzia << esiste un problema di controllo da parte degli adulti e, insieme, la necessità di trovare una risposta, in questo caso, a una serie di successo su scala planetaria. I genitori, trattandosi di video diffusi da una piattaforma di streaming, possono attivare sistemi di parental control, ma questo argine può saltare se le stesse sequenze sono condivise sui social, anche se va ricordato che sotto i 14 anni i bambini non dovrebbero poter accedere a tali piattaforme".>> Infatti <<< è plausibile - prosegue Garlatti - che possano comunque venire a contatto con tali contenuti, magari per il tramite di compagni di classe o di giochi>>. Per questo, conclude, sarebbe ( ed necessario ) opportuno che genitori ed educatori , invece di limitarsi a raccogliere petizioni che invitano a proibire o a cancellare dai palinsesti tali serie inizino a discutere insieme ai ragazzi ed ai genitori i motivi per i quali sono affascinati dai temi della competizione, della crudeltà, delle differenze sociali e della morte. << [... ] è infatti essenziale cogliere quali sono gli aspetti importanti di cui sentono la necessità di parlare e affrontarli con loro>>.
 
                    Cordialmente Giuseppe Scano

29.10.21

Calciatori gay, non solo Josh Cavallo: pochi coming out e tanti pregiudizi




Il coming out del centrocampista Josh Cavallo ha riaperto il dibattito sull'omosessualità nel calcio. Perché dichiarare il proprio orientamento sessuale fa così paura ? Negli anni si sono esposti sull'argomento Radja Nainggolan e il calciatore della Sampdoria e della nazionale svedese Albin Ekdal, con un bellissimo discorso sull'omofobia, in cui invitava a cambiare mentalità. Finora non sono stati molti i giocatori dei campionati maschili a rivelarsi. Il primo, nel 1990, è stato il britannico Justin Fashanu ma fu discriminato anche dalla comunità

nera a cui apparteneva.



 Negli anni si sono esposti sull'argomento Radja Nainggolan e il calciatore della Sampdoria e della nazionale svedese Albin Ekdal, con un bellissimo discorso sull'omofobia, in cui invitava a cambiare mentalità. Finora non sono stati molti i giocatori dei campionati maschili a rivelarsi. Il primo, nel 1990, è stato il britannico Justin Fashanu ma fu discriminato anche dalla comunità
nera a cui apparteneva. Tra gli altri che hanno fatto coming out ci sono il tedesco Thomas Hitzlsperger, che aveva giocato nell'Aston Villa, nella Lazio e nel West Ham: ha aspettato la fine della sua carriera calcistica per fare coming out, nel 2014. Rosario Coco risulta essere l'unico italiano omosessuale: ha contribuito a dar vita alla "Lupi Roma Outsport", una squadra di calcio gay-friendly.

La Divina Commedia torna a riveder le stelle., La battaglia dei writer per i muri da dipingere ., Boomer e generazione Z: la bocciofila a ritmo trap,. L'oasi nel mare di Taranto delle cozze etiche e green ., Nel parco dove si riscopre l'armonia del camminare ed altre storie

 

 La Divina Commedia torna a riveder le stelle
Verrà inviata nello spazio con la Sojuz 19, incisa su una tavoletta di titanio che un astronauta lancerà verso il sole. Come testimonianza fluttuante dell’ingegno umano

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Boomer e generazione Z: la bocciofila a ritmo trap

Al circolo pensionati Vanchiglietta c'è chi si trova per giocare a bocce e chi per partecipare a un contest musicale. Due generazioni a confronto

di Giulia Destefanis

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L'oasi nel mare di Taranto delle cozze etiche e green. Sul video magazine di questa settimana la storia della cozza tarantina: 




è unica al mondo e viene coltivata in un'oasi d'acqua, promessa di riscatto per la città, per il settore e per l’occupazione.


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Nel parco dove si riscopre l'armonia del camminare



Sulle colline alle porte di Roma è nato un centro specializzato nel riequilibrio motorio, dove si impara a percepire gli impulsi che i piedi mandano al cervello

di Francesco Giovannetti



Il paese che lavora l'argilla come gli etruschi



Castelviscardo tramanda le tecniche antiche: si modella a mano, la fornace è senza elettricità. E i manufatti sono preziosi per i restauri. Come quello del tempio di Alatri

di Francesco Giovannetti



La battaglia dei writer per i muri da dipingere



A Genova c’è voglia di street art. E se il Comune pubblica un bando per attirare firme internazionali, gli artisti locali rivendicano spazi per esercitare la creatività

di Massimiliano Salvo

DIRITTI Marcinelle, estratti i corpi mai identificati in 65 anni: “Anche mio padre, e lo troverò. L’ho promesso a mia madre”

 

repubblica  4\10\2021

Marcinelle, quasi settant'anni dopo via all'esumazione delle vittime senza nome: la battaglia di un orfano molisano commuove il Belgio


L'iniziativa è stata presa da Michele Cicora, figlio di uno dei 17 morti senza nome della tragedia che fece 262 vittime: ha promesso alla madre di riportarle la salma del padre a San Giuliano di Puglia prima che muoia. La polizia: "E' una storia che ci ha colpiti e abbiamo deciso di aiutarlo"




La polizia belga ha iniziato l'esumazione dei corpi di 17 delle 262 vittime della tragedia avvenuta nel 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle. Si tratta di 17 minatori che non sono mai stati formalmente identificati. Ben 136 dei 262 morti erano italiani.
L'iniziativa, che ha l'obiettivo di dare finalmente un nome a quelle persone, è stata presa da Michele Cicora, figlio di uno dei morti senza nome, ha reso noto la polizia federale. Cicora ha promesso alla madre di riportarle la salma del padre a San Giuliano di Puglia prima che muoia.
"E' una storia che ci ha colpiti e abbiamo deciso di aiutarlo", ha aggiunto la polizia. Si procederà al confronto dei denti e delle ossa con il Dna dei parenti. Verranno anche utilizzate informazioni conservate negli archivi del museo, sorto nel luogo della tragedia. Oltre a Cicora hanno richiesto l'esumazione anche una famiglia greca e una belga.
I prelievi del Dna in Italia e in Grecia sono stati effettuati con l'aiuto dell'Interpol. "Abbiamo anche un dovere di memoria nei confronti di quelle persone che erano venute qui per lavorare ma che hanno anche contribuito alla crescita economica del Belgio negli anni Cinquanta", osserva infine la polizia.

Incuriosito della vicenda    ho   fatto altre ricerche  con big  e  con gooole  ho trovato    la  stessa news   riportata     sotto diversi punti vista    da il   fatto quotidiano e  il  corriere  della sera   di cui trovate  sotto  dei  link  per  chi volesse  saperne   di più  o ricordare  l'avvenimento  . 



https://www.ilfattoquotidiano.it/



Michele Cicora, 69 anni, ha pochi ricordi del genitore scomparso l'8 agosto del 1956. In Belgio i cadaveri non riconosciuti si chiamano “Inconnu” e si trovano nel cimitero subito dietro Bois du Cazier, la miniera di Charleroi teatro dell'episodio


di Alan Scifo | 24 OTTOBRE 2021


“Ho fatto una promessa a mia madre: dovrò trovare i resti di mio padre morto a Marcinelle”. Michele Cicora, 69 anni, professore a Londra ma pugliese di origini, vede i primi frutti della sua battaglia per cercare la verità su suo padre, morto nella miniera di Marcinelle nella tragedia dell’8 agosto di 65 anni fa, quando sottoterra persero la vita 262 persone, di cui 136 italiani. Tra questi c’era Francesco, suo padre. “Io avevo 4 anni, ho solo qualche ricordo di lui. Da qualche anno sto cercando di trovare i resti di mio padre attraverso la riesumazione dei 17 corpi rimasti senza nome perché mai riconosciuti”.
In Belgio li chiamano “Inconnu” e si trovano nel cimitero subito dietro Bois du Cazier, la miniera di Charleroi oggi diventata un museo che raccoglie centinaia di visitatori l’anno. Tra l’erba verde e il grigio del cielo, quelle tombe senza nome sono ormai usurate dal tempo, in un silenzio che non rende loro onore: “Sono riuscito a contattare alcune fra le famiglie rimaste senza i loro cari. È giusto ricostruire ognuna di queste storie”. Dopo una lunga serie di vicissitudini burocratiche durate anni e qualche ostacolo incontrato, finalmente la promessa di Michele ha raggiunto l’obiettivo: le salme sono state riesumate ed è stato prelevato un campione dai resti al fine di arrivare al Dna e collegarlo a quello dei parenti. “Tutte le bare sono state disseppellite e sembravano in buono stato perché avevano un rivestimento in zinco – racconta Cicora – Tutte le istituzioni si stanno comportando con un alto grado di solidarietà perché hanno capito il dramma dei parenti delle vittime”. Tra questi ci sono altri italiani e tutte le loro famiglie sono state contattate da Michele Cicora che finalmente vede il traguardo: tanti sono abruzzesi, molti addirittura arrivano da un unico paese, Lettomanoppello, altri pugliesi e molisani, ma anche siciliani, tutte zone “vittime” dell’assurdo patto Italia-Belgio (celebrato addirittura quest’anno per il 75esimo anniversario) che illuse molti minatori italiani, trasferitisi in Belgio per cercare migliore fortuna, in cambio di un sacco di carbone per il governo italiano. Tra tutti i morti nella tragedia, i cui nomi vengono scanditi a ripetizione in una sala del museo, i 17 mai riconosciuti sono Pietro Basso, Pompeo Bruno, Rocco Ceccomancini, Edmondo Cirone, Eligio Di Donato, Dante Di Quilnio, Pasquale Ferrante, Michele Granata, Francesco Martinelli, Secondo Petronio, Eduardo Romasco, e altri di diverse nazionalità: François Allard, Oscar Pellegrims, Reinhold Heller, Ammar Belamri, Nikolaos Katsikis”.
Grazie al Dna, con gli attuali strumenti tecnologici, sarà finalmente possibile riconsegnare la memoria alle vittime e alle loro famiglie che adesso potranno porre un fiore sulla tomba dei loro cari. Questo accade nell’anno delle grandi celebrazioni per il sessantacinquesimo anniversario della tragedia, un evento molto sentito a Charleroi, dove ancora oggi tanti italiani vivono a pochi passi dalla miniera, in vecchie case un tempo usate dai minatori. La riesumazione delle salme ha portato molti a recarsi nel museo-miniera ad osservare un caso di cui si sta occupando la stampa belga e quella internazionale, mentre Michele Cicora attende con ansia di realizzare la promessa fatta a sua madre prima di morire.

 corriere  della sera  

Marcinelle, la sfida vinta di Michele «Test del Dna sugli ultimi 17 minatori sconosciuti, c’è anche mio padre»

di Alessandro Fulloni

Dopo le insistenze del professor Cicora, figlio di una delle 262 vittima della sciagura del l’8 agosto 1956, la polizia belga ha avviato l’esumazione delle salme rimaste senza nome e cognome. «Ritrovare le loro generalità vuole dire onorare la nostra Europa»


Tre anni di insistenze, bussando alla porta di tanti uffici Ue e delle autorità belghe e italiane. Poi finalmente qualcuno ha aperto: e adesso finalmente è partita l’indagine sul Dna che potrà ridare un nome e un cognome a quei minatori morti nella sciagura di Marcinelle, l’8 agosto 1956, e mai identificati. Fu un’ecatombe che sconvolse l’Europa: le vittime in totale furono 262. Il tributo maggiore fu pagato dagli italiani, con 136 caduti. Ma tra i morti si contarono 13 nazionalità, Francia, Germania, Spagna... I cadaveri di 17 tra questi minatori non vennero mai identificati — sebbene i nomi di tutti siano noti — e le loro tombe stanno in un angolo verde e curato del Bois di Cazier, il sacrario dedicato alle vittime. Sopra le lapidi c’è scritto «Inconnu», sconosciuto. L’effetto nel guardare queste grosse pietre — quasi il fondamento dell’Europa unita — è lo stesso, lacerante, che si prova davanti a Redipuglia e davanti a tutti i sacrari che ricordano le vittime delle guerre europee, da Ypres al Carso e poi scendendo giù: Anzio, Salerno, Montecassino, El Alamein.
Tra i diciassette «sconosciuti» c’è anche Francesco, il papà di Michele Cicora. Proprio a quest’ultimo, oggi 69enne professore di italiano in una prestigiosa scuola a Londra, si deve la possibilità di ridare l’identità ai minatori. Grazie alla sua insistenza, qualche giorno fa la polizia belga ha avviato una colossale opera di monitoraggio del Dna preso dai corpi dei 17. Sono già dieci le salme esumate dal sacrario ed entro una settimana al massimo lo stesso toccherà alle restanti sette. La sequenza genetica verrà confrontata con quella dei familiari, tutti facenti parte di un’associazione, ed entro sette od otto mesi gli sconosciuti dovrebbero ritrovare nome e cognome. In questi giorni l’eco dell’iniziativa in Belgio è impressionante. Dai tg nazionali ai quotidiani locali di Vallonia e Fiandre, tutti ne stanno parlando. «È il segno che la memoria è ancora viva...» riflette a voce alta l’insegnante.





SU MARCINELLE, TUTTO QUELLO CHE C’È DA SAPERE



Così il Corriere raccontò la tragedia
Marcinelle, la tragedia dei "musi neri" italiani
"Cerco mio padre tra i 17 minatori sconosciuti"
Marcinelle, i 17 senza tomba






riflessioni a tiepido sulla cassazione del decretto zan

 in sottofondo 
Simonetta Spiri, Greta Manuzi, Verdiana Zangaro, Roberta Pompa - L'amore merita - Testo


 di cosa  stiamo parlando


Inizialmente     avevo lasciato   nel mare  di Facebook       queste  mie    considerazioni    

di  che  ci si stupisce   per  l'affossamento del  decreto #zan  l'italia   è  un  paese    dove  l'#omosessualità  viene  considerato  un #vizio  .  Anziché  con  una  semplice   forma  d' #amore  che merita  .

Ma poi  dopo : 1)  aver  riascoltato  con il testo    la  colonna  sonora     del post   d'oggi l'amore  merita.  Disco d'oro nel 2016 e brano contenuto nel loro primo album “4” uscito il 20 ottobre 2017..

 
2)   


Ieri sera, a “Che tempo che fa”, in poche e semplici parole comprensibili , Piero Angela ha smentito una volta per tutte la bufala dell’omosessualità contronatura.
"Oggi finalmente le coppie omosessuali hanno potuto trovare una liberazione da una repressione terribile” ha esordito.
“Spesso viene vista l’omosessualità come un rapporto fisico, contronatura. In realtà, le coppie omosessuali fanno esattamente lo stesso percorso. Attrazione, innamoramento, gelosia, tradimento, vita di coppia, i figli. Hanno sentimenti, amori, passioni. Esattamente come le coppie eterosessuali. Questo bisogna capirlo bene, perché altrimenti non si capisce questa necessità di esprimersi che hanno e che finalmente hanno conquistato”.
La lucidità, la saggezza, la cultura di questo ragazzino di 92 anni sono commoventi. Clonatelo.
3) queste riflessioni di
Riflessioni a tiepido sul DDL Zan
Riassunto dei concetti principali (per chi non ha tempo di leggere tutto, mi faccio delle domande e mi do delle risposte) 1) Perché era importante avere questa legge? Perché le leggi servono ad avere strumenti di difesa, ma anche e soprattutto, perché possono aiutare a vedere, nominare, riconoscere un fenomeno, e quindi a facilitare il cambiamento culturale. 2) Perché era importante averla nella forma, che tanto ha fatto discutere, in cui si tengono insieme diverse soggettività? Perché rendeva evidente come l’ordine di genere e il patriarcato abbiano una matrice comune. 3) Perché l’aver inserito nel ddl l’identità di genere ha coagulato il dissenso di tuttə ed è stata strumentalizzata da tantə per far fallire la legge? Perché è un concetto rivoluzionario a livello personale, politico e sociale. 4) Perché quando c’è qualcosa di così importante per cui unirsi e combattere ci si divide e si perde? Domanda sbagliata. Perché siamo ancora tuttə fascisti? Domanda giusta, la risposta si trova nel libro di Francesco Filippi che è consigliato leggere. 5) Perché è un’occasione persa, ma, seppur simbolica, è solo una battaglia? Perché è in atto una rivoluzione, inarrestabile.


Serve una legge? Tendenzialmente sarei sempre portata a rispondere di no. Lo ripeto in ogni occasione: è l’educazione culturale quella che serve. Tuttavia, come ha mostrato il caso Mac Kinnon, sappiamo ormai molto bene che una legge può servire a una rivoluzione culturale. Era il 1986 quando la Corte Suprema accolse finalmente la proposta della giurista femminista Catharine Mac Kinnon sulle le molestie sessuali sul lavoro come forma di discriminazione sessuale. Una ricerca condotta nel 1997, quindi dieci anni dopo, rilevò che il 95% delle aziende Usa aveva istituito procedure interne per la denuncia, l’accoglimento o l’ascolto e il 75% aveva introdotto programmi di formazione per spiegare i comportamenti vietati dalla legge. La precedente interdizione di comportamenti discriminatori non riusciva a vedere la discriminazione di genere fino a quando non è stata nominata.
Perché è importante avere una legge di questo tipo, quindi? Partiamo dall’analisi di alcuni dati. Senza produrre sofisticate elaborazioni, la meticolosa raccolta di dati e di informazioni contenuta nel sito
Omofobia.org
converge fondamentalmente verso una principale interpretazione: gli attacchi omotransfobici hanno una precisa e rintracciabile variabilità socio-storica-culturale. Ripercorrendo i dati in modo molto sintetico spicca che: negli ultimi anni sono diminuiti i suicidi, i luoghi pubblici sono gli spazi privilegiati per gli attacchi e la violenza aumenta quando si alimenta un più generale clima di odio.
Più nello specifico, tra il 17 maggio 2020 e il 17 maggio 2021 “solo” le aggressioni denunciate alle Forze dell’ordine (quindi per fatti penalmente rilevanti, in assenza di una specifica legge contro l’omolesbobitransfobia) sono state almeno 190 – da questi dati quindi rimangono fuori tutti i fatti non denunciati corrispondenti a 138 episodi; detto in altri termini si tratta di tre episodi ogni settimana o anche una vittima ogni due giorni.
Se si guardano gli andamenti storici si può notare che nelle estati del 2018 e 2019, le estati delle campagne di odio dei governi giallo-verdi, si registrano dei “picchi” che hanno portato a un tendenziale aumento medio (Un ipotesi potrebbe essere che lo sdoganamento della violenza produce effetti di lungo periodo?) e al ritorno di violenza omicida, che negli anni passati sembrava essere diminuita.
L’analisi più dettagliata mostra anche che è aumentato il numero di vittime di episodi non aggressivi e che è diminuito il numero dei suicidi. Sia il primo dato - denunciare anche fatti diversi dalla violenza fisica, una tendenza che risulta in crescita dal 2017, anno dell’avvio delle unioni civili - sia il secondo - il decremento del numero dei suicidi - suggeriscono che il lavoro culturale fatto in questi anni dalla comunità LGBTQI+ ha prodotto degli effetti reali. Perché il fatto che il ddl coinvolgesse anche l’identità di genere ha raccolto il dissenso di tuttə, dalla destra Dio Patria e Famiglia, a frange storiche del movimento LGBT, fino ad arrivare addirittura ad alcune soggettività appartenenti all’ampio e variegato movimento femminista o degli studi di genere? La mia ipotesi è che le identità conquistate con lotte e faticosi processi di riconoscimento siano ancoraggi difficili da lasciare andare. Se, come hanno spiegato alcuni grandi sociologi, tra gli effetti della stigmatizzazione c’è anche la soggettivazione – semplificando, l’istituzione del soggetto - e l’inversione dello stigma - il processo attraverso il quale una determinata identità fino a quel momento nascosta, o fonte di vergogna, si assume e indossa con orgoglio- è possibile che chi ha tanto faticato per divenire soggetto e rivendicare con orgoglio l’etichetta o lo stigma che ha accompagnato il proprio percorso identitario faccia poi fatica a liberarsene? Sì, ma non c’è solo questo, il genere è un sostegno identitario che per alcune categorie o in alcune fasi diventa anche rifugio, poiché, appreso in modo precoce attraverso la socializzazione, diventa così parte delle fondamenta del sé da far temere gli sconfinamenti o la fluidità dei confini. È questa paura che riesce ad intercettare il movimento Dio Patria Famiglia, richiamando – interessante qui sarebbe usare “facendo reagire” per enfatizzare la relazione con il concetto di “reazionario” - anche altri dispositivi che albergano dentro di noi (per una comprensione articolata di questo fenomeno si devono leggere gli scritti di Massimo Prearo, altrimenti su questo ultimo punto basta anche leggere il libro di Francesco Filippi “Ma perché siamo ancora fascisti?”).Il fatto che l’ordine di genere sia alla base della struttura sociale - e per questo sia importante decostruirlo e disvelarlo - è testimoniato anche dal fatto che oggi in quello che è il più diffuso manuale di sociologia le teorie femministe e queer sono annoverate tra le principali teorie sociologiche (insieme al funzionalismo, al conflitto, all’interazionismo simbolico, per capirci) e che, nel medesimo testo, la disuguaglianza sia affrontata in chiave intersezionale. In questo momento intere coorti di studenti di sociologia stanno formandosi con queste chiavi interpretative. A livello di esperienza personale posso dire che da quando abbiamo ottenuto l’insegnamento di “introduzione agli studi di genere” ogni anno le iscrizioni di studenti che lo scelgono sono aumentate a livello esponenziale; sono studenti provenienti da servizio sociale, giurisprudenza, psicologia, filosofia, scienze dell’educazione e formazione primaria. Quest’anno le tesi che ho seguito sui temi inerenti l'ordine di genere sono state 19. Nel giro di qualche anno questa generazione di studenti sarà attiva nella società. Concludo con un aneddoto. Questo semestre nella prima lezione del corso di sociologia, svolto purtroppo ancora di dad, un ragazzo ha chiesto la parola alzando la mano. Io per dargliela l’ho appellato con il nome femminile che risultava dal suo account. Lui ha acceso la telecamera e davanti a 236 persone connesse ha detto di chiamarsi in un altro modo, con un nome maschile che non risultava perché che era in attesa del riconoscimento della carriera alias. Io mi sono disperata per il mio errore, ma lui mi ha detto che non c’era problema, intanto era stata un’occasione per dirlo. A quel punto altre persone hanno acceso la telecamera e, dopo aver espresso l’ammirazione per il suo gesto, si sono dichiarate non binarie. Il primo giorno di corso, il primo semestre del primo anno, davanti a centinaia di sconosciutə. [...] mi pare chiaro che cosa succederà nei prossimi anni, anzi ciò che già sta accadendo.

Infatti mentre finisco di fare copia ed incola del post di Luisa Sagi leggo queste due bellissime notizie



In 10.000 sono scesi in piazza, torce in mano, per il Ddl Zan, per urlare la propria rabbia, per i diritti di tutte e tutti, nessuno escluso.



Un popolo c’è
La più bella risposta possibile, partecipata, pacifica, di piazza, popolare senza essere populista, allo scempio a cui abbiamo assistito ieri in Parlamento. Questa è l’Italia che vogliamo vedere, e prima o dopo sarà degnamente rappresentata anche dove davvero conta. È solo questione di tempo.


Ddl Zan, Elio Vito (FI): "Governo on può essere neutrale, intervenga Draghi con un decreto"
Elio Vito, deputato di Forza Italia (ansa)
L'ex ministro dei Rapporti con il Parlamento si è dimesso da tutti gli incarichi in Forza Italia perchè contesta la linea seguita dal partito: "Tradita la vocazione europeista". "Il premier può estendere la legge Mancino ai reati d'odio a sfondo sessuale e di genere"

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa Agitu Ideo Gudeta, la regina delle capre felici.

Il 29 dicembre 2020 veniva uccisa la regina delle capre felici.È stata ferocemente uccisa Agitu, la regina delle capre felici, con un colpo...