25.12.12

Acilia (Roma), due ragazze si baciano in strada, ma vengono insultate da un carabiniere: "E' uno schifo, andatevene". E l'Arma annuncia un'indagine

 Su  le note  di  Andrea  di    de  Andre

Lo  so  che notizie del genere  ( vedere  articolo riporti sotto  di una vicenda  avvenuta  qualche  giorno fa  )   sarà, secondo alcuni \e poco importante  , ma   certe cose  m'indignano specialmente  quando a farlo  è il potere o meglio  i suoi addetti   . E poi  si lamentano  se molti  odiano le  forze dell'ordine  .
  fonte  repubblica  e http://www.huffingtonpost.it/  del 23\24 dicembre


Sgridate e insultate da un carabiniere, solo perché si sarebbero scambiate un bacio. E' accaduto a Roma, lo scorso 19 dicembre, nei pressi della stazione di Acilia (lungo la ferrovia Roma-Lido).


Il fatto viene denunciato dall'associazione DìGayProject, alla quale si è subito rivolta Giordana, una studentessa lavoratrice romana, di 22 anni (sotto  a destra  in foto).La ragazza, che vive ad Acilia, aveva salutato la sua amica con un bacio sulle labbra, in un'area tra l'altro visibile dalle telecamere di sorveglianza. Erano da poco passate le 23. "Un bacio a stampo - racconta Giordana all'Huffington Post - una cosa tranquillissima".
La scena è stata notata da un carabiniere in servizio all'interno della stazione. "Ha iniziato ad urlare contro di noi. Cose omofobe tipo 'fate schifo' e 'fate queste cose di nascosto'. Era insieme a tre militari in servizio, e ad una guardia giurata". Il carabiniere (in divisa), a quel punto, si è avvicinato alle ragazze, che hanno subito chiesto conto di quel comportamento omofobo. Lui ha reagito esigendo i loro documenti e ordinando loro di non allontanarsi da lì."Una volta presi i nostri documenti è tornato dagli altri tre militari e ci ha fatte aspettare per venti minuti - continua Giordana - Quando è tornato ha anche detto 'Ora so chi siete, so dove abitate, andatevene".Giordana ha subito deciso di rivolgersi alla caserma di Acilia, per denunciare l'accaduto. Al citofono (la stazione era, infatti, chiusa) le hanno risposto che non erano tenuti a comunicarle le generalità del carabiniere in servizio. "Così ho deciso di andare in un commissariato a raccontare tutto - spiega Giordana - La polizia mi ha parlato del reato di abuso di ufficio, ma è chiaro che ora toccherà alla Procura decidere come procedere"."Sarebbe tempo - prosegue Imma Battaglia - di porre fine per sempre a queste vicende lesive della dignità e della libertà delle persone: non solo offendono i gay, le donne e tutti i cittadini. La grave ignoranza omofobica di un solo agente rischia di screditare l'immagine di tanti colleghi impegnati ogni giorno nella pubblica sicurezza"."Questa spiacevole occasione mi offre ancora una volta il pretesto per ribadire quanto fondamentali e necessarie - in tutti i sistemi e a tutti i livelli - siano azioni di sensibilizzazione e di educazione all'inclusione delle differenze, come ad esempio corsi di aggiornamenti alle forze dell'ordine affinché non confondano i veri atti osceni con gesti d'affetto leciti e dignitosi - sottolinea la creatrice del Gay Village - Di fronte all'atteggiamento rilassato e senza difese di due persone che si salutano, l'attacco immotivato da parte di un agente in divisa si configura come un abuso di potere a sfondo omofobico. Per questo sono necessarie azioni di formazione e perciò chiediamo un incontro con il dirigente di riferimento. Un bacio è un atto d'amore. Ad essere oscene in ogni luogo pubblico sono sempre e soltanto la violenza e la discriminazione"."Dopo questa denuncia, chiediamo che l'Arma dei carabinieri prenda le distanze dal militare che ha compiuto questo atto e porti avanti un progetto ancora più forte contro l'omofobia che punti innanzitutto sulla formazione dei suoi appartenenti - dice il portavoce del Gay Center  Fabrizio Marrazzo  Per fare piena luce su questo episodio siamo in contatto con l'Oscad, l'osservatorio congiunto di Polizia e Carabinieri contro le discriminazioni con il quale collaboriamo fin dalla sua costituzione, al quale già diversi giorni fa abbiamo chiesto di reperire i video delle telecamere presenti nella stazione che sono gestite anche in collaborazione con le Forze dell'Ordine. Alle donne che hanno subito questa ingiustizia stiamo offrendo assistenza legale e il massimo supporto nella denuncia in seguito alla quale sono già state contattate da Oscad". "Contro le violenze e l'intolleranza verso lesbiche, gay e trans serve - conclude - un forte impegno e di certo non hanno aiutato le esternazioni di chi, anche all'interno delle istituzioni e della politica, continua a volere Forze dell'Ordine nemiche dei gay. Per noi non deve essere così".

Ma  c'è  una  bella notizia  sempre  su http://www.huffingtonpost.it/ c'è  un aggiornamento del  caso 
L'Osservatorio contro le discriminazione di polizia e carabinieri prenderà tutti i provvedimenti necessari nei confronti del carabiniere. "Abbiamo ricevuto oggi la solidarietà del Comando di polizia e carabinieri sul caso. Il prefetto Cirillo, vice-capo della polizia e referente dell'Oscad - Osservatorio contro le discriminazione di polizia e carabinieri - e Gaetano Maruccia, comandate dei carabinieri del Lazio e tra i fondatori dello stesso organismo - dice Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center - ci hanno comunicato che stanno già verificando i fatti a seguito della nostra segnalazione, ribadendo che saranno presi tutti i provvedimenti necessari nei confronti del carabiniere che ha fermato Giordana e Irene".
  Posso  capire ( anche se  non  concordo perchè reputo il fermo per un semplice  bacio , sia  etero    che  omo sulla  labbra   bigottismo \  arretramento  mentale )   perchè  ciascuno  di noi ha un concetto di verso e variabile  di decenza   , il fermo  per atti  osceni . Ma l'insulto  no . Meglio il silenzio .
Hai scelto  di coltivare  il lupo  cattivo ( omofobia in questo caso   qui maggiori dettagli  )contento te  è una tua scelta  ma  non per questo , caro carabiniere, debba venire  meno il rispetto  verso  una persona   che ha  scelto la sua natura  sessuale  diversa dalla  tua e non da  fastidio a nessuno\a e  sta  non è esibizionismo      .  
Concludo  dedicando  alle due ragazze  e   tutti\e i gay discriminati  ed  offesi  questa poesia  ( in realtà  è un discorso  seguito da una canzone   )  di



   alla prossima e  ancora  buone feste

24.12.12

La potenza del silenzio gli zapatisti ritornano



La potenza del silenzio
Luis Hernández Navarro | 22 dicembre 2012 | 0 commenti


Non può riapparire ciò che non è mai scomparso. Quel che questo 21 dicembre hanno fatto i ribelli maya zapatisti nell’occupare pacificamente e in silenzio cinque città del Chiapas non è stato ricomparire ma riaffermare la loro esistenza.
L’Ezln è qui da oltre 28 anni. Non se ne è mai andato. Per dieci anni è cresciuto sotto l’erba, più di 18 anni fa si è fatto conoscere pubblicamente. Da allora ha parlato ed è rimasto in silenzio in modo intermittente, ma non ha mai smesso di fare. Molte volte si sono decretate la sua scomparsa o la sua irrilevanza, ma l’Ezln è sempre riapparso con forza e con capacità di comunicazione.

Questo inizio del nuovo ciclo maya non fa eccezione. Oltre 40 mila basi di appoggio zapatiste hanno marciato sotto la pioggia in cinque città del Chiapas: 20 mila a San Cristóbal, 8 mila a Palenque, 8 mila a Las Margaritas, 6 mila a Ocosingo, e almeno 5 mila ad Altamirano. Si tratta della più grande mobilitazione dall’apparizione dei ribelli del sudest messicano.
La grandezza della protesta è il segnale che mostra come la forza interna degli zapatisti, invece che diminuire con il trascorrere degli anni, sia cresciuta. È un indice di come la strategia dellacontro-insurrezione, portata avanti nei loro confronti da diversi governi, sia fallita. È la dimostrazione di come il loro progetto sia un’espressione genuina del mondo maya ma anche di moltissimi contadini poveri e meticci del Chiapas.
L’Ezln non ha mai abbandonato la scena nazionale. Guidato dal proprio calendario politico, fedele alla sua coerenza etica e con la forza avversa dello Stato, ha rafforzato le sue forme autonome di governo. Ha mantenuto viva la sua autorevolezza politica tra i popoli indigeni del paese e attive le reti della solidarietà internazionale. Il fatto che l’Ezln non sia apparso pubblicamente non significa che non sia stato presente in molte lotte rilevanti del Messico.
Nelle cinque giunte del buon governo che esistono in Chiapas e nei municipi autonomi, le autorità delle basi di appoggio si governano da sole, esercitano la giustizia e risolvono i conflitti agricoli. Nei loro territori, i ribelli hanno fatto funzionare il loro sistema di salute ed educazione al di fuori dei governi statali e federali. Hanno organizzato la produzione e la commercializzazione e hanno mantenuto in piedi la loro struttura militare. Gli zapatisti hanno risolto con successo la sfida del ricambio generazionale dei loro dirigenti. E, se non bastasse, sono usciti con efficacia dalle minacce del narcotraffico, dai problemi generati dall’insicurezza pubblica e dalle migrazioni. Il libroLuchas muy otras. Zapatismo y autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas è una straordinaria finestra per affacciarsi a conoscere alcune di queste esperienze.
Gli zapatisti hanno marciato, in questo 21 dicembre, con ordine, dignità, disciplina e coesione. E insilenzio, un silenzio che si è sentito forte. Allo stesso modo nel quale hanno dovuto coprirsi il volto per essere visti, ora hanno sospeso la parola per essere ascoltati. Si tratta di un silenzio che esprime una feconda capacità di generare altri orizzonti di trasformazione sociale, una grande potenza. Un silenzio che comunica la volontà di resistere di fronte al potere. Chi resta in silenzio è ingovernabile*, diceva Ivan Illich.
Un ciclo di lotte si è chiuso in Messico in questo primo dicembre, allo stesso tempo se ne è aperto un altro. L’Ezln ha molto da dire nella mappa delle lotte sociali che comincia a disegnarsi nel paese. La sua mobilitazione può avere su di esse un impatto rilevante.
Tra i contorni che definiscono la nuova tappa delle lotte sociali si trovano: il ritorno a Los Pinos del vecchio dinosauro del Pri, presidiato dal salinismo (dall’ex presidente Salinas de Gortari,ndt) e dalle sue forme autoritarie di esercitare il comando statale; la pretesa di governare la conflittualità sociale a partire da un patto tra le élites che escluda i settori subalterni; la crisi, la scomposizione e la riorganizzazione dei partiti della sinistra partitica, e l’emersione di nuovi movimenti sociali.
L’Ezln è un nuovo giocatore che, senza invito, si siede al tavolo della partita che si apre ora nella politica nazionale.
Il Patto per il Messico, sottoscritto dal Partido Revolucionario Institucional (Pri), dal Partido Acción Nacional (Pan) e, a titolo individuale, dal presidente del Partido de la Revolución Democrática (Prd), pretende di concordare un programma di riforme che esclude ampi settori sociali. La mobilitazione dell’Ezln rende evidente che una gran parte della società messicana non è compresa in quell’accordo, e che quel che concordano i suoi sottoscrittori non conta necessariamente con il parere favorevole dei cittadini.
Il partito del sole azteco è bloccato in una lotta interna che può portarlo alla rottura. La pretesa da parte di Nueva Izquierda di mettere il suo destino sotto il giogo di Peña Nieto ipoteca ogni possibilità di tenere una distanza critica dal potere.
Il Movimiento de Regeneración Nacional (Morena) si è rivolto ai compiti organizzativi per ottenere la sua registrazione. È probabile che l’Organización Popular y de los Trabajadores (Opt) segua lo stesso cammino. Esiste, comunque, un ampio territorio politico e sociale che la sinistra dei partiti non sta occupando. Gli zapatisti godono di una indiscussa autorità politica tra coloro che abitano a queste latitudini.
Nell’ultimo anno e mezzo sono emersi movimenti sociali che mettono in discussione il potere al di fuori dei partiti politici. Non si sentono rappresentati da nessuno di essi. Il Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad, #YoSoy132 (video), le lotte comunitarie contro l’insicurezza pubblica e la devastazione ecologica, le proteste studentesche in difesa dell’educazione pubblica, tra le altre, camminano per sentieri diversi da quelli della politica istituzionale. Le simpatie verso lo zapatismo tra quelle forze sono reali.
Tuttavia, oltre le questioni immediate, le marce del 13 Baktún maya sono un nuovo ¡Ya basta! simile a quello pronunciato nel gennaio del 1994. Sono una versione rinnovata del ¡Nunca más un México sin nosotros! formulato nell’ottobre del 1996, che apre altri orizzonti. Non chiedono nulla, non rivendicano niente. Mostrano la potenza del silenzio. Annunciano che un mondo sta crollando e un altro rinasce.

(Articolo tratto dal quotidiano messicano La Jornada, che ringraziamo, dove è stato pubblicato con il titolo Derrumbe y renacimiento en el mundo maya zapatista. Altre notizie e foto sono suDesinformemonos.org). Traduzione M. C. per Comune-info.

La presenza di giovani donne è stata particolarmente importante. Foto di Moysés Zúñiga Santiago.

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Sin palabras
Un filmato sull’imponente azione zapatista del 21 dicembre 2012.

Chi resta in silenzio è ingovernabile [Nota di Comune-info]: «Proponendo il silenzio come esempio da seguire – scrive Ivan Illich in Nello specchio del passato (Boroli) – non intendo scoraggiare il discorso sensato che esprime le ragioni di quel silenzio. Ma mi rendo conto che il silenzio contiene la minaccia dell’anarchia. Colui che resta in silenzio è ingovernabile. E il silenzio è contagioso. Perciò vi saranno tentativi di rompere il nostro silenzio. Ci si chiederà di partecipare alle ‘discussioni per la pace’. Può darsi anche che si scateni una caccia alle streghe contro i silenziosi. In questo momento, perciò, il diritto di ritirarsi silenziosamente dalla discussione, il diritto di porre fine al dibattito, se i partecipanti ritengono che la loro dignità sia lesa, deve essere affermato e difeso. Esiste anche un diritto a diffondere un silenzio inorridito».

23.12.12

Il talassemico salvato da una terapia non autorizzataL'altro Natale e il farmaco che non c'era

Sulle note della canzone  vivere la vita  di Mannarino dall'unione sarda ( eccetto la foto visto che l'edizione free online non ha più le foto e avaxhome è stato chiuso ci si arrangia come si può ) del 23\12\2012  e   http://www.surfers.it/sardegna/buggerru/atleta/intervista_emanuele_billai.html  da    cui  ho preso la foto   sotto riportata



Come fa con onde, cadute e batoste, così fa raccontandoti le storie di chi lo ha nel cuore: l'insegnamnto è sottile e palese a chi è pronto per coglierlo; non ha bisogno di passare attraverso interpretazioni e spiegazioni...
Lele si sente arrivare da lontano: la sua voce squillante e allegra è inconfondibile. Non disdegna alcuna mareggiata, dalle più attive e grosse alle scadute dove quasi devi spingere la tavola per partire. Quando non ci sono onde, lo trovi a fare pesca sub nel sotto costa intorno a Buggerru ... o lo vedi sfrecciare dietro alla sua barchetta, con la tavola sotto i piedi, nello sport che ha ribattezzato "manettone".

Lele vuoi raccontarci cosa è successo nel 2002?

Dalla nascita sono affetto da una malattia ereditaria: la talassemia. I miei globuli rossi sono diversi, e non compiono il proprio dovere: devo sottopormi periodicamente a trasfusioni, che hanno come conseguenza un accumulo di ferro negli organi. Esistono dei farmaci che ci aiutano a smaltire il ferro, ma arriva un certo punto in cui questi diventano inefficaci...a me è capitato nel 2002... ho avuto un gravissimo scompenso cardiaco, per il quale ho dovuto passare mesi in ospedale. L'unica speranza per me era ricevere un cuore nuovo...ci sono stati dei momenti di grande sconforto, in cui continuavo a sfogliare riviste di surf nella convinzione che cavalcare un' onda sarebbe stato solo un ricordo. Poi la medicina ha compiuto un piccolo miracolo: hanno deciso di sperimentare con me un nuovo cocktail di farmaci che in 3 (lunghissimi) anni è riuscito a normalizzare il mio cuore.


Come è cambiato il tuo rapporto con il mare durante gli anni di convalescenza?

Non riuscivo proprio a guardare le onde...e quando sapevo che si poteva surfare cercavo di stare a casa. In fondo però speravo, ed ero convinto, di poter tornare in acqua...credo sia questo pensiero la molla ad avermi spinto a curarmi sempre nel miglior modo possibile, anche seguendo una dieta rigorosa (il mangiare dopo il surf è una delle mie più grandi passioni).
[.... ]  continua   nel sito  sopra  riportato

  Adesso  l'articolo dell'unione
di pisano@unionesarda.it

L'altro Natale di Lele Billai, 36 anni, ex pescatore di Buggerru, cade alla fine di primavera. Ed è esattamente quel giorno di dieci anni fa che è riuscito «a uscire dall'ospedale Brotzu di Cagliari passando dall'ingresso principale anziché, come previsto, dall'obitorio ». Talassemico*,il cuore soffocato dal ferro, era stato inserito disperatamente in lista-trapianto.
Gli restavano pochi giorni di vita quando ha accettato di prendere un farmaco sperimentale, non autorizzato e (soprattutto) non completamente testato. Com'è finita? Depennato dalla lista-trapianto, oggi va a caccia grossa e fa surf da onda.La casa dove si festeggiano due Natali anziché uno soltanto è un nido d'aquila sospeso sul mare di Buggerru. Sta in cima al paese, proprio davanti a uno scenario da cartolina. Lele Billai (Emanuele solo per l'anagrafe), 36 anni, ha una lunga coda di cavallo che scioglie esclusivamente quando fa surf. Surf da onda: difficilissimo e travolgente. La sua sarebbe una storia qualunque non fosse per un piccolo dettaglio: Lele è talassemico. Vista l'età, sarebbe dovuto comparire da un pezzo sui necrologi del giornale. Invece no, è andato oltre. Ha superato la morte, come dice lui, grazie a un miracoloso dono di Natale arrivato inaspettatamente a giugno.Anno 2002. Accompagnato dal padre, arriva in ospedale a Cagliari: sta male, non ha neanche la forza di fare qualche passo. L'anemia mediterranea gli ha riempito il cuore di ferro trasformandolo in una sorta di palla che riesce molto debolmente a pulsare. Ha il diametro del ventricolo sinistro, che è la principale pompa del cuore, di circa settanta millimetri (anziché 55), l'indice di contrattilità al 25 per cento (anziché al 65). Le condizioni generali sono disperate e ripetono un destino scritto migliaia di volte: Lele sta per morire, ha abbondantemente superato quella che il vocabolario medico chiamaaspettativa di vita .Ricoverato nel reparto di Cardiologia del Brotzu (diretto da Maurizio Porcu), viene inserito in fretta e furia nella lista dei pazienti che hanno bisogno di un trapianto di cuore. Il tempo intanto stringe e la situazione precipita: al padre spiegano che sarà difficile farlo sopravvivere più di qualche giorno. Quando tutto sembra perduto, uno dei medici propone di giocare una carta disperata: e se si provasse a somministrare il deferiprone? C'è un ma: il deferiprone è un farmaco in fase di sperimentazione, non ha completato i test clinici, soprattutto non è ancora autorizzato ad andare in commercio. Segue un giro concitato di telefonate per ottenere un benestare, sia pure informale. D'altra parte c'è ben poco da perdere: il malato è agli sgoccioli, potrebbe andarsene da un momento all'altro. Esattamente come è accaduto a tanti talassemici come lui.Com'è finita vuol essere lui a raccontarlo. Quel che si può dire è che sei mesi più tardi la Risonanza magnetica rivela che nel suo cuore il ferro è in evidente diminuzione. Sa di essersi salvato grazie a una decisione, come dire?, illegale. Il deferiprone era, come spiegano in gergo, off label: insomma, non ancora benedetto dal Comitato ministeriale per i farmaci. E dunque inutilizzabile. In teoria.Licenza media, Lele parla un italiano ricco ed elegante conquistato con una passione per la lettura che non rilascia diplomi. Per ben due volte, si fa tradire dall'emozione, la voce gli si spezza in gola. «Chiedo scusa, ogni volta che penso alla mia storia mi sento travolgere». Ha campato facendo il pescatore fino a quando la talassemia e una trasfusione tossica non gli hanno imposto di fermarsi. Nel vaevieni infinito da un ospedale all'altro, avrebbe dovuto aspettare la morte nel silenzio e nell'anonimato simile a quello di tanti suoi compagni di calvario. Scompenso cardiaco, avrebbero scritto come mille altre volte nel certificato di avvenuto decesso. Quest'estate, per dire com'è passato dall'inferno al paradiso, ha salvato un turista francese che rischiava di annegare. Lotta dura, nel maestrale in tempesta, ma alla fine ce l'ha fatta. «Sono diventato un'altra persona».
Cosa vuol dire nascere talassemici?
«Significa che appena vieni al mondo ti devi abituare all'idea dell'ospedale, anzi degli ospedali. Devi sottoporti, colpa dei globuli rossi malati, a continue trasfusioni di sangue: è l'unico modo per rigenerarli».
Pendolare casa-ospedale-casa già da bambino.
«Ti abitui rapidamente a questa condizione. Conosci altri talassemici, gente come te, e quindi diciamo che la vivi come una cosa quasi normale. Il difficile arriva quando cresci, soprattutto nell'adolescenza».
Perché, che succede?
«Si comincia ad avere i primi approcci con le ragazze e il mondo diventa improvvisamente più complicato».
Facile cadere nella depressione.
«A me non è successo. La mia fortuna è avere una famiglia, un padre soprattutto e sopra tutti, che mi ha sempre incitato a vivere la vita più normalmente possibile: leggere, guardarsi intorno, lavorare, insomma fare quello che fanno tutti gli altri senza sentirmi mai un disabile».
Perfidie.
«Tante ma se hai la famiglia giusta alle spalle, riesci a neutralizzarle. È capitato con qualche ragazza».
Più difficile innamorarsi?
«No, questo no. Succedeva invece che, frequentando con una certa insistenza una coetanea, i genitori facessero presente - col garbo che l'ipocrisia sociale impone - che in ogni caso non poteva esserci futuro».
Non era cosa, insomma.
«Esatto. Ma non me l'hanno mai sbattuto in faccia in modo così brutale. Ho sempre incassato senza soffrirne eccessivamente e lasciando lo sconforto per qualcosa che valesse davvero la pena. Avevo altro da pensare».
Per esempio?
«L'ospedale. È diventata, esente Imu, la mia seconda casa. Nella migliore delle ipotesi ci andavo, e ci vado, quattro volte al mese: due per i prelievi di sangue e altre due per le trasfusioni. Te le raccomando, le trasfusioni».
Non servono?
«Servono eccome. Ma quando il sangue che ti trasfondono è infetto ti becchi, come il sottoscritto, pure l'epatite C».
A tu per tu con la morte.
«Un talassemico se la porta dentro. Sapevo che raramente si riesce ad andare oltre i trent'anni, dunque ho messo in conto tutto».
Tutto, cosa?
«Che avrei vissuto poco, che pian piano l'eccesso di ferro mi avrebbe ucciso, che i miei amici talassemici (a forza di incontrarci abbiamo imparato a volerci bene) avrebbero fatto la mia stessa fine. Era un destino segnato, il nostro. Io, poi, potevo vantare un'esperienza come pochi».
Da che punto di vista?
«Della morte. Non è della morte che stavamo parlando? La mia famiglia è stata sterminata dall'anemia mediterranea: cinque zii uccisi dalla talassemia. Con un precedente così, non potevo certo mettermi grilli per la testa. Peggio, illudermi, sperare. Ho scelto una strategia diversa: reagire».
Reagire come?
«Sembrerà ridicolo ma mi sono fatto l'idea che la talassemia era un guerriero da sconfiggere. Tutto qui. Il problema era solo quello di trovare il coraggio per farlo. Sono convinto che la forza di volontà abbia un peso enorme in una guarigione. Sennò, quando il trapianto di cuore m'ha preso in contropiede, mi sarei sentito finito con troppo anticipo».
Invece?
«Quando mio padre mi ha portato in Cardiologia all'ospedale Brotzu di Cagliari stavo bruciando gli ultimi minuti: troppo ferro nel cuore, impossibile sopravvivere. Faticavo per andare dal letto al bagno, non avevo la forza di muovermi».
Però niente resa.
«Certo che no. Mio padre si è ben guardato dal riferirmi quello che gli avevano detto i medici. Vedrai, qualcosa succederà, mi incoraggiava. Non immaginava che ero in grado di leggergli lo sguardo. Mi rendo conto che non è semplice stare a guardare un figlio che muore a nemmeno 26 anni. Poco importa sapere da prima, da molto prima, che era tutto prevedibile».
Al trapianto non c'era alternativa?
«Purtroppo no. Anzi: si pensava proprio di no. Fino a quando non hanno sperimentato sulla mia pelle un farmaco non ancora autorizzato».
Vi hanno informato?
«Certo. Ma c'era poco da scegliere: mi restava pochissimo da vivere. Roba di giorni, anche se a me non avevano detto nulla».
Quando ha intuito che quel farmaco funzionava?
«Non saprei dire con precisione, ho vissuto giorni piuttosto confusi. Ricordo tuttavia d'essermi accorto che a un tratto il respiro era un po' più lungo, più consistente del solito. Sul momento non ero in grado di valutare l'importanza di questo segnale. Posso dire soltanto che mi sentivo leggermente meglio, stavo uscendo pian piano dal ruolo del quasi-morto. Ma di questo, in fondo, ero sicuro».
Sicuro di che?
«Sapevo di non voler morire. Sapevo d'essere un cadavere in lista d'attesa ma sono sempre stato convinto che in qualche modo da quella lista sarei uscito. Non avevo proprio voglia di andarmene all'altro mondo. È bellissima, la vita».
Quando ha capito d'essere salvo?
«La faccia di mio padre, che teneva i contatti con i medici, era una specie di inconsapevole bollettino-meteo. Passano le settimane e io mi accorgo di respirare sempre meglio. Dopo qualche mese, il cardiologo mi informa che ero stato depennato dall'elenco dei pazienti in attesa di trapianto».
E lei?
«Giuro, non ho afferrato fino in fondo tutto quello che mi ha detto. Ero troppo felice per concentrarmi. Dopo la talassemia, dopo l'epatite C mi stavano comunicando che avevo finalmente vinto una battaglia. Battaglia che, per quanto mi constava, doveva invece essere l'ultima. Un film che avevo visto troppe volte».
Dove?
«Nel passaparola tra di noi, noi talassemici voglio dire. Capitava che non vedevi una delle solite facce agli appuntamenti per le trasfusioni e allora capivi. Inutile fare domande: era una sorte che ci riguardava tutti, sapevamo non solo il quando ma anche il come. Uccisi da troppo ferro: che bestialità».
Tutto questo è passato. Oggi?
«Che dire? Sono un uomo normalissimo. Vado a caccia grossa e magari, durante le poste, ingurgito un po' di medicine: beh, poca cosa se penso a quello che ho passato».
E il surf da onda?
«Pure. Essere invalido civile non preclude lo svolgimento di attività fisiche, ovviamente a livello non intensivo, non agonistico. Buggerru, che è il luogo dove mi piace vivere, ha l'habitat ideale per questo sport».
D'accordo ma ci vuole fiato.
«E io ne ho. Il cuore è tornato ad essere perfetto o quasi. Mi controllo, ovviamente; amministro i miei sforzi quando sono sul surf e mi guardo bene dal fare le maratone di tanti miei amici».
Senza stancarsi.
«Soprattutto senza esagerare. Ma è una sensazione impagabile quella che ti regala il mare, questo mare. Gli devo molto. Mi piacerebbe saper spiegare cosa si prova a stare in cima a un'onda, super-impegnato a conservare un equilibrio ballerino che è poi il segreto della felicità».
Per questo festeggia due volte Natale?
«Ho un doppio Natale, perché negarlo? A parte quello istituzionale, ne ho personalmente un altro che cade a primavera, coincide con le dimissioni dall'ospedale. Non è Natale poter raccontare d'essere uscito dall'ingresso principale del Brotzu anziché dall'obitorio?»
Feste a parte, com'è cambiato?
«Da allora nulla è più come prima. Neppure io sono più quello di una volta. Avevo una disperata voglia di vivere e neppure un attimo di rassegnazione: questo mi ha salvato, ne sono certo. Non volevo infoltire il cimitero di famiglia».
Che futuro ha programmato?
«Ne ho uno bellissimo. Convivo da quindici anni con una ragazza meravigliosa, Stefania. Vorrei un lavoro per sposarmi. La mia fidanzata comincia ad essere stanca d'essere soltanto compagna. Vuol diventare moglie e ha sicuramente ragione. Questo per quanto riguarda il futuro programmato: vuol sapere se ho anche un sogno nel cassetto?»
Sentiamo.
«Mi piacerebbe diventare padre e nel frattempo vedere la talassemia completamente debellata o almeno curata meglio di quanto non accada oggi. Che dice, sogno troppo in  
grande?»

* http://it.wikipedia.org/wiki/Talassemia

auguri quino e grazie per aver creato mafalda


Unione sarda online
Il papà di Mafalda compie 80 anni

di Claudia Fascia
Il papà di Mafalda compie 80 anni
Ottant'anni passati tra matite, fogli di carta, battute esistenziali al vetriolo e una chioma tanto nera quanto ingestibile. Domani Joaquin Salvador Lavado, conosciuto come Quino, e ancora di più come 'papà' di Mafalda, compie 80 anni, cinquanta dei quali passati a dare vita all'arguta bambina.
Per celebrare l'occasione, Magazzini Salani pubblica '10 anni con Mafalda': una raccolta con le migliori strisce dedicate al personaggio più famoso del disegnatore e ai suoi compagni di avventure, compresa l'odiata minestra che tanto fa arrabbiare la bambina con pensieri da adulta.
Figlio di immigrati spagnoli, Quino nasce a Mendoza, in Argentina, il 17 luglio del 1932, anche se nei registri ufficiali è riportata la data del 17 agosto. Il soprannome Quino, con il quale tutto il mondo lo conosce per quella firma un po' adolescenziale che accompagna tutte le sue strisce, gli fu dato fin dalla nascita per distinguerlo dallo zio Joaquin Tejon, pittore e grafico pubblicitario con il quale a 3 anni scopre la sua vocazione. Non ci vuole molto a far sì che la passione per matite e tavoli da disegno diventi un vero e proprio lavoro.
E' il 29 settembre 1964 quando Mafalda vede la luce e viene consegnata alle rotative. La ragazzina dallo spirito ribelle, preoccupata per l'umanità e la pace nel mondo, compare per la prima volta sulla rivista argentina Primera Plana, uno dei settimanali più prestigiosi degli anni Sessanta a Buenos Aires. Uno sguardo critico e intelligente senza età sulla politica, l'economia e la società. Mafalda diventa così uno dei personaggi più noti dell'Argentina, che nella capitale le dedica anche una statua. Inizialmente, Mafalda era una bambina destinata ad una pubblicità per una impresa di elettrodomestici. Poi è diventata una striscia, per la quale Quino non ha mai nascosto di essersi ispirato ai Peanuts di Charles Schultz. Trasformata velocemente in una simpatica contestatrice che si misura con l'Argentina e il mondo, la bambina di Buenos Aires è sbarcata in Italia, e in Europa, nel lontano 1968, in piena contestazione: ma le sue riflessioni e tematiche predilette - dalla denuncia della fame e dal nucleare all'inflazione e all'economia - sono sopravvissute al passare degli anni e sono più vive che mai.

mi sa che mi metterò a dieta o mi limito a mangiare di meno [Tremila euro per viaggiare su Meridiana Disabile obeso deve pagare sei biglietti ]

unione sarda online del 23\12\2012

CRONACHE DALLA SARDEGNA - Un uomo di 39 anni, in sedia a rotelle, non trascorrerà il Natale a Solanas con la famiglia. Meridiana, visto il suo peso di 130 chili, ha chiesto il prezzo di 6 posti per 

farlo viaggiare legato e in barella.Trentanove anni e in carrozzella da quando ne aveva otto. Massimiliano Muratori vive a Modena, dove lavora, e quest'anno aveva intenzione di trascorrere il Natale con la famiglia a Solanas. La madre inizia a organizzare la trasferta più di un mese fa.. Ai primi di dicembre chiama Meridiana per prenotare il biglietto e scopre che Massimiliano non può viaggiare. Il problema? Il suo peso: 130 chili. "Mi hanno comunicato - racconta Francesca Piras - che il ragazzo non poteva utilizzare la loro sedia a rotelle perché troppo grasso". A quel punto arriva la proposta: "Se proprio vuol passare il Natale con suo figlio, il ragazzo dovrà accontentarsi di fare il viaggio legato in una barella che occupa sei posti normali. Ma il costo del biglietto cambia. Massimiliano Muratori avrebbe dovuto pagare 860 euro sia all'andata che al ritorno, per un totale di 1720 euro. Più 1200 per l'accompagnatore. "Sono indignata - ha detto Francesca - mi hanno fatto pesare di avere un figlio disabile. Ho anche letto il regolamento dove c'è scritto che i disabili possono viaggiare in aereo purché capaci di piegare le gambe. La barella serve solo a chi è allettato, e non è certo il caso di mio figlio".

22.12.12

Svanhild la bambina che volo con l'aquila un esempio di bufala che diventa verità

Leggendo questo articolo  preso  da  http://www.criptozoo.com/it/ mi  chiedo come mai la  gente  a  volte  sottoscritto compreso    creda  a panzane del genere  ma  poi  m'accorgo  che mi sto facendo la consueta  sega  elucubrazione  \ mentale  perchè  ho già  la  risposta  che   è .....  (  non ve  la  dico   subito altrimenti che  cavolo  lo faccio a  fare  questo  post  ,  la  trovate  a fine post .


Le aquile rapitrici tra leggenda... e realtà?  da Lorenzo Rossi 19.12.12  



La prima fotografia conosciuta di un'aquila reale nell'atto di predare del bestiame
Photo: KETTS NEWS
Era il 28 febbraio del 2011 quando il The Telegraph pubblicò l'impressionante fotografia di un'aquila reale(Aquila chrysaetos) nell'atto di volare v a con un agnello ghermito tra gli artigli. L'immagine (in verità più di una) fu scattata da un anonimo birdwatcher presso l'isola di Mull (facente parte delle isole Ebridi scozzesi) e destò ben presto aperti dibattiti tra gli ornitologi. Ad alimentare gli animi non fu tanto la questione se un'aquila reale fosse in grado o meno di trasportare in volo un agnello di piccole dimensioni (impresa assolutamente alla sua portata, potendo gli esemplari più grandi trasportare in linea teorica sino a 4,5 kg per lunghe distanze), quanto invece se l'agnello fosse o meno già deceduto prima di essere portato via dal massiccio rapace.
Ad ogni modo le foto dell'anonimo birdwatcher (di cui possiamo ammirare qui sotto un secondo scatto), risultano ad oggi le uniche immagini conosciute che documentano una predazione di un'aquila reale a del bestiame domestico.


La notizia non tardò a fare il giro del mondo e ben presto molti si domandarono se anche ben altri tipi di predazioni, saltuariamente attribuite a questo grande uccello, potessero avere delle fondamenta reali: gli attacchi in cui le vittime sono dei bambini.
Racconti del genere, soprattutto risalenti al passato, sono in effetti abbastanza impressionanti e hanno molto colpito l'immaginazione umana. Uno dei casi più tristemente famoso è quello che si dice avvenne nel 1838 presso la regione di Valais, nelle Alpi Svizzere, quando una bambina di 5 anni, Marie Delex, sarebbe stata portata via da un'aquila gigantesca mentre era intenta a giocare con un amico presso un crinale. Le grida del bambino superstite, sebbene ignorante dall'imponente predatore, furono udite da alcuni pastori che accorsi sul posto non trovarono altro che una scarpa di Marie ai bordi del precipizio. Il suo corpo, orrendamente mutilato e giacente su di una roccia distante circa 1 km dal luogo del rapimento, fu ritrovato due mesi dopo da un pastore.
Un altro caso sorprendente, che  .... (  continua  qui   ) 


La  notizia  , di cui  trovate  il  il video     sopra   è  palesemente falsa (   anche un mezzo  cieco  smiley e poco  esperto di grafica   come  me   se  n'accorge   )   per il fatto che : 1)   come dice  l'articolo sopra  riportato  , a   Montreal c'è la neve già da un mese, la quale non appare però nelle riprese, e sembra davvero molto difficile che se un avvenimento del genere si fosse realmente verificato nelle scorse settimane, sia giunto alle orecchie dei media e della Rete, soltanto oggi.. 2)  dai commenti   al  video sulla pagina di repubblica  in particolare   quello  di o BorgognoAlessandro Borgogno  : <<  Io c'ero tre giorni fa, e l'ho scritto da subito. Ma non epr motivi tecnici. Il filmato è fatto molto bene e ormai si può fare qualunque cosa anche senza che sia riconoscibilie. Molto più semplicemente (e poco tecnologicamente) ho subtio portato una serie di elementi che rendevano molto poco probabile l'avvennimento. Dalla specie di aquila ritratta nel video, al luogo, alla situazione, al fatto che una cosa del genere si sarebbe saputa anche da altre fonti e non solo da un video su yotube, da alcuen regole basilari del comportamento animale, etc etc etc... >>
Mi ha  lasciato  incredulo \ meravigliato , forse  perchè  sono abituato ai  bla  bla  bla  fra  i complottisti  e  gli  anti complottisti  che per porre fine al dibattito che si era scatenato  sulla rete, tra gli esperti di computer grafica che avevano già "fiutato" il falso e chi, invece, riteneva possibile l'attacco testimoniato dal video.  ci  sia  voluta un'ammissione di "colpa" in piena regola  da  parte  degli stessi autori . Quattro ragazzi ventenni che l'hanno ideato: Normand Archambault, Loic Mireault, Antoine Seigle e Felix Marquis-Poulin. Tutti quanti studenti di animazione 3D al NAD Center di Montreal. Il loro professore gli aveva dato un compito: "Create un falso video in grado di diventare reale". E loro, grazie all'esperienza nella computer grafica, lo hanno svolto alla perfezione. "Siamo senza parole - affermano i ragazzi all'indomani del fake che ha tratto in inganno i media di tutto il mondo - Non pensavamo che potesse accadere tutto questo". E rivelano, poi, come è nata l'idea del filmato: "Abbiamo analizzato YouTube e ci siamo accorti che gli animali e i bambini sono i protagonisti dei video più cliccati". Il portavoce del NAD Center in cui studiano i ragazzi aggiunge: "Sia l'aquila sia il bambino sono stati creati con l'animazione in 3D e solo successivamente sono stati inseriti nel filmato originale".Ma  soprattutto il  fatto  che Nessuno, però, aveva fornito le prove necessarie per definirlo con certezza un falso per porre fine al dibattito che si era scatenato ieri sulla rete, tra gli esperti di computer grafica che avevano già "fiutato" il falso e chi, invece, riteneva possibile l'attacco testimoniato dal video. Nessuno, però, aveva fornito le prove necessarie per definirlo con certezza un falso. E intanto il filmato dell'aquila continua a "volare" su YouTube, dove ha superato i 16 milioni di visualizzazioni. 
Quindi  si  può desumere   come  l'ornitologia  moderna  ..... L'ORNITOLOGIA moderna è in concorrenza con la mitologia *  e  di come  evadere e basta  anzichè cercare u compromesso  fra fuga \  fantasia   e realtà  si preferisce  credere  alle  bufale 


  da  repubblica  online  

La fortuna dei falsi sul web
L'ultimo episodio è il video di un rapace che prende un bimbo: subito milioni di contatti ma era un fake. Dagli spot per prodotti inesistenti agli scoop-burla, ecco che ricorre a internet per i suoi scherzi globali

di VITTORIO ZUCCONI







ERA il 1984 quando il mondo rise della "beffa di Modigliani", le tre teste false ripescate da un canale di Livorno. Lo scherzo, si direbbe oggi, diventò "virale", fece il giro del mondo, generò scandalo e possibili arresti. E fu ben poca cosa, in fondo una burla di provincia, rispetto all'alluvione di falsi, di "fake", che oggi, trent'anni dopo, galleggia sull'oceano di Internet.
un estratto   dal video 
E che il caso dell'"Aquila e del bambino" ha riproposto. Quando tre ragazzi del Centro di Montreal per l'animazione cinematografica in 3D hanno prima diffuso su YouTube la clip di un'aquila che ghermisce un bambino in un parco e poi hanno ammesso di averlo creato in studio, l'intera e immensa videoteca globale è tornata sotto accusa e sospetta. Anche se esperti di "Cgi", di animazione computerizzata e di effetti speciali hanno impiegato poche ore per smascherare il falso, magari semplicemente notando che quella specie di aquila non vive nella zona di Montreal e che le ombre erano sbagliate, almeno venti milioni di persone lo hanno visto e milioni di madri hanno rabbrividito. Non è accaduto, non potrebbe neppure accadere, ha comunicato il Centro di Montreal, ma la discussione si è subito spostata dal rischio dei bambini attaccati dai rapaci al rischio di essere ghermiti dai falsi e dagli inganni visivi che infestano la Rete. Siamo tutti bambini, di fronte all'aquila del falso video.Non è stata certamente Internet a scoprire e sfruttare le infinite possibilità della falsificazione e dell'illusione ottica e la professione del falsario è antica. Ma il caso dell'"Aquila e del bambino" ha ripetuto quello che molti utenti e frequentatori della Rete preferiscono ignorare: che Internet è egualmente fonte di ogni possibile verità e di ogni possibile menzogna. Tutto ciò che è visibile è falsificabile. Qualsiasi studente di computer graphic può organizzare la propria Beffa Modigliani grazie alla velocità e alla potenza del più umile pc di oggi.Ci sono interi siti porno costruiti sulla sovrapposizione di volti celebri sulle spalle di protagonisti veri di acrobazie erotiche e oscenità assortite. Video con Ufo e alieni sono tra i prediletti e alcuni, come quello costruito nel cielo di Haiti, sono specialmente "autentici". Divenne celebre la sequenza di una madre che esplode colpi contro il figlio in un passeggino, protetto da una lastra antiproiettile che non esisteva altro che nella finzione video. E abbondano sequenze "girate" in luoghi ultrasegreti, come la sempre ghiotta "Area 51" nel Nevada. Pattugliare i siti, vegliare su YouTube che riceve 70 minuti di nuove clip ogni minuto richiederebbe, qualcuno ha osato calcolare, tra i quattro e cinquecento anni di tempo, secolo più secolo meno e comunque l'utilizzatore finale è generalmente disarmato di fronte al possibile falso. Il meccanismo psicologico difensivo della "sospensione della incredulità" che scatta quando entriamo in un cinema o guardiamo uno spettacolo televisivo o teatrale sapendo benissimo che né vampiri, né zombie, né hobbit o maghetti esistono, fatica a proteggerci dalla illusione che quei filmati siano autentici, come fu il primo, ingenuo pezzettino di Jawed Karim, uno dei creatori di YouTube oggi inghiottita da Google, nello zoo di San Diego.I media tradizionali, i cosiddetti mainstream, nella loro ricerca di pubblico contribuiscono alla confusione e accreditano il falso. Dal "Gattino Bonsai", infelice e inesistente felino allevato in bottiglia per miniaturizzarlo, alle "Scie Chimiche", panzane, scherzi, invenzioni rigurgitano anche sotto le bandiere di media rispettabili, che abdicano alla propria funzione di filtro per avere contatti. Avviene anche di peggio, come nel caso della Fox News di Murdoch o della augusta Cnn sorprese a mandare in onda immagini di violenza e di sommosse di strada girate in un Paese e attribuite a un altro, per "effetto".Sono la rapidità e la diffusione offerte dai nuovi strumenti a dare una qualità nuova a questo genere di fake, di invenzioni. La potenza del "Visto con i miei occhi" oltrepassa la diffidenza verso la parola scritta e conduce a effetti perversi. Un'università britannica ha dimostrato che soggetti cavia chiamati a raccontare un evento che hanno vissuto in prima persona cambiano la loro versione dopo avere visto un filmato dello stesso avvenimento falsato e ricostruito ad arte.In molti, quando uscì il devastante video di Mitt Romney che irrideva al 47 per cento di americani, si chiesero subito se quella ripresa amatoriale, attribuita a un cameriere, fosse un altro, un ennesimo falso. Non lo era. Ma le possibilità di inganni sono infinitamente superiori alla capacità del pubblico di vedere il trucco. Il mondo della politica, come da tempo quello della pubblicità, non può essere molto lontano dal capirlo e dallo sfruttarlo. Sesso, bugie, potere e YouTube.

 con esiti più o meno disastrosi  (  vedere  le dittature  del  novecento )  e  mandare il cervello in cassa integrazione e  rifugiarsi  nell'illusione  e nella  fantasia  . Insomma un ritorno al medioevo proprio come  evidenza   lo studioso esperto del medioevo  Jacques Le Goff  sia in questa recente intervista  sull'ultimo venerdì di repubblica  : << (....)  <<  in tutte  le  società e  in tutte le  epoche   l'umanità ha  bisogno   di mantenere  un contatto fra il reale e l'immaginario .Veda  il più recente  successo della fantascienza   non solo  fra  gli sprovveduti   (...)  >>  e in  uno dei  suoi libri più noti ed importanti  Le Moyen Âge aujourd'hui, Léopard d'Or, 1998

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Pretendere che italiani e immigrati ed in nuovi italiani condividano la stessa idea della donna come persona libera

Qualche  giorno    fa  stavo sfogliando la  slide   di msn.it      è  sono  capitato    su quest  articolo di  HuffPost Italy Dei fatti di C...