2.2.14

Roma L'oltraggiosa scritta contro le vittime istriane e dalmate è comparsa sul muro in zona Tor Marancia nel Municipio VIII e che porta la firma "Socialismo e Libidine" con il simbolo del partito Comunista.

più che rossi e libertini   come dice  sotto     questo articolo di http://www.affaritaliani.it  direi ignoranti perchè ignorano che nelle foibe morirono senza nessuna distinzione ideologica anche dei loro compagni


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"Sesso e foibe". Writer rossi e libertini
L'oltraggiosa scritta contro le vittime istriane e dalmate è comparsa sul muro in zona Tor Marancia nel Municipio VIII e che porta la firma "Socialismo e Libidine" con il simbolo del partito Comunista




"Sesso, foibe e rock and roll": così recita la scritta comparsa sul muro in zona Tor Marancia nel Municipio VIII e che porta la firma "Socialismo e Libidine" con il simbolo del partito Comunista. "Un atto gravissimo, oltraggioso e offensivo nei confronti della storia di Roma" dichiara Andrea De Priamo, portavoce romano di Fratelli d'Italia. "La nostra città infatti accolse i profughi istriani, giuliano e dalmati in fuga dall'orrore e di recente grazie all'amministrazione di centrodestra sono state consegnate le chiavi della Casa del Ricordo alle associazioni degli esuli, messo una targa al centro che accolse gli esuli nel Rione Esquilino e patrocinato le mostre organizzate al Vittoriano dalla Presidenza del Consiglio".

21 piatti gourmet dal cibo trovato nei cassonetti Rob Greenfield è un'ambientalista americano di San Diego

21 piatti gourmet dal cibo trovato nei cassonetti Rob Greenfield è un'ambientalista americano di San Diego non nuovo a imprese eclatanti per attirare l'attenzione sui problemi legati all'eccesso di consumi. Questa volta ha vissuto una settimana per la strada cibandosi solo di quanto trovato nei cassonetti dei supermercati: pane, frutta e verdura per un valore di circa 200 dollari con i quali ha potuto non solo sopravvivere ma preparare 21 piatti completi. I numeri dello spreco di cibo in Usa sono impressionanti: 165 miliardi di dollari in cibo commestibile sprecato, il 30% del cibo acquistato finisce nella spazzatura. 



 See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/media/21-piatti-gourmet-dal-cibo-trovato-nei-cassonetti-f54e9404-7cf8-4a8a-8866-9a3205824b7a.html?refresh_ce#sthash.Isvx9MNw.dpuf

ecco un esempio di scambio culturale e di solidarietà sportiva Una veneta all'Olimpiade per il Togo: "Per il mio sogno ho chiesto la cittadinanza" Intervista esclusiva alla sciatrice bellunese Alessia Dipo

da  rainews  del 1\2\2014

Una veneta all'Olimpiade per il Togo: "Per il mio sogno ho chiesto la cittadinanza"
Intervista esclusiva alla sciatrice bellunese Alessia Dipol: 18 anni, sarà in pista a Sochi in slalom e in gigante e farà la portabandiera nella cerimonia di chiusura. Non ha parentele che la legano al paese africano: si è proposta per poter partecipare all'evento a cinque cerchi. "Dopo Sochi punto ai Mondiali"




San Vito di Cadore (Belluno)01 febbraio 2014Una bellunese doc all’Olimpiade invernale con la tuta gialla del Togo, sulle piste di sci alpino e anche come portabandiera nella cerimonia di chiusura. A Sochi nella piccola rappresentativa del paese africano ci sarà anche la 18enne Alessia Dipol di San Vito di Cadore. Legami di sangue con l’Africa assolutamente nessuno, ma nel cuore un sogno olimpico da realizzare. Un desiderio che l’ha spinta a chiedere la doppia cittadinanza pur di volare ai Giochi.


Alessia Dipol
















Doppia cittadinanza per coronare un sogno
Cresciuta all’ombra delle Dolomiti, Alessia scia da sempre. I genitori e il fratello sono anche allenatori federali di terzo livello, ma i suoi risultati non le permettono di sperare in una convocazione nella Nazionale italiana. Così è nata l’idea di proporsi ad altre nazioni. Alla fine la scelta è caduta sul Togo, un paese dove le temperature sotto lo zero si trovano solo nei congelatori, ma dove la Federazione sport invernali sta comunque muovendo i primi passi. “Mio padre ha un’azienda di abbigliamento sportivo e ha avuto rapporti commerciali con il Togo - racconta la 18enne bellunese – Là è da poco nata la Federazione e abbiamo colto questa opportunità: hanno accettato molto volentieri e si è instaurato un bel rapporto. Ora ho la doppia cittadinanza”.
Qualificazione sul campo
Un’idea simile un anno fa era venuta anche allo statunitense Paul Bragiel, che è diventato un idolo della Rete con i suoi tentativi di arrivare a Sochi come leader della neonata Nazionale colombiana di sci di fondo. Il suo progetto però è naufragato a causa degli scarsi risultati, mentre Alessia Dipol si è conquistata sul campo la qualificazione all’Olimpiade. “Ho ottenuto i punti necessari in alcune gare Fis internazionali – spiega – A Sochi parteciperò allo slalom speciale e allo slalom gigante. L’obiettivo è divertirmi”.
"Onorata di fare la portabandiera"
Papà e mamma come allenatori, il fratello come skiman: l’avventura olimpica sta coinvolgendo tutta la famiglia Dipol. La partenza per Sochi è in programma per il 5 febbraio e il gruppo resterà in Russia fino al termine dell’Olimpiade, perché Alessia è stata scelta dal Togo come portabandiera nella cerimonia di chiusura del 23 febbraio. “È un grande onore, un sogno che si realizza”, dice la sciatrice bellunese.
"Poco patriottismo? È giusto aiutare una federazione che sta crescendo"
Certo, per qualcuno la scelta di vestire i colori di un altro paese non è molto patriottica. “Me lo dicono in tanti – racconta Alessia Dipol - Io rispondo che il Togo è una nazione in via di sviluppo, che c’è questa nuova federazione e che mi sembra giusto aiutarli e vivere con loro questa nuova esperienza“.
Dopo Sochi la Coppa del mondo, i Mondiali e l'Olimpiade 2018
Nelle intenzioni di Alessia, Sochi è semplicemente un primo passo. “È solo l’inizio – dice - Dall’anno prossimo si lavorerà per la Coppa del mondo e per i Mondiali”. Poi, nel 2018, ci sarà ancora l’Olimpiade invernale e un sogno olimpico da vivere per la seconda volta. La sciatrice bellunese non ha dubbi: “Sempre forza Togo!”.

1.2.14

seme o radice ?

E' il mettere radici che rovina . il circondare di siepi il campo , e di mura le città e di confini la terra .E di egoismo il cuore e d'interessi personali il proprio dovere di vita . Don Sirio Politi 1920 - 1988 . E' per questo che sono ancora in cerca di definizione se sentirmi seme o radice .

Le foibe, l’esilio, la congiura del silenzio e simone cristicchi

 approfondimenti   (    dei  miei precedenti   post  con una buona  scorta  di link  )  


Proprio mentre inizia  queste  post  mi metto a canticchiare  questa  canzone di Cristicchi  di cui   ho  preferito ,  salvare il video   con  dowloadhelper ( opzione di  mozzila  firex  fox  )  visto :   la bellezza  delle immagini  ivi  riportate   ma  soprattutto  perché  a  volte  le immagini dicono  più di mile parole 


 canzone che  sta  facendo  (   e farà discutere )   come   come potete notare  nel  video  qua sotto  



Sbaglia   certo come dicono  questi storici http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/11/Fahrenheit-CRISTICCHI.mp3  ma   almeno  ne parla   e  fa  si che  tali eventi non cadano  nel dimenticatoio  e    nei commenti    al post sul sito canzoni contro la guerra ( in cui trovate  ulteriori  link  e news per  chi volesse  approfondire  tale  argomento  )  perchè la memoria   fiera  ed indigesta   tratta  da una vicenda  vera  quella del magazzino18

Quest'anno a  differenza  degli altri anni  , invece  d'annoiarvi  con il  soliti post  nozionistici , ma  soprattutto non avendo  
nè tempo  , nè forza   per  evitare  di farmi venire le lacrime  come   gli altri anni  voglio  ricordare  tali eventi lasciando  la parola  ai sopravvissuti  o  quanto meno   nel caso degli esuli  ai discendenti  .   attraverso queste pagine  http://digilander.libero.it/lefoibe/testimonianze.htm e  gli articoli sotto 

riporto qui   degli   articoli interessanti   il  primo è     tratto da  www.televideorai.it ( ora http://www.rainews.it ) del  10\2\2013

di Paola Scaramozzino
 
“Quanto imbarazzo quando facendo delle pratiche mi chiedevano dove ero nata. A Pola rispondevo e automaticamente compariva sul computer dell’impiegato una striscia rossa che evidenziava un errore. Pola, ora si chiama Pula ed è in Croazia, fa parte delle città che alla fine della II Guerra mondiale e dopo il trattato del 1947 sono state cedute alla ex Jugoslavia. E’ come dire che io non sono più italiana”.
Così ci racconta Anna Maria Mori,foto a sinistra, giornalista, scrittrice, figlia di esuli Istriani che a questo argomento aveva dedicato già nel 1993 un documentario, ”Istria 1943-1993: cinquant'anni di solitudine” e poi “Istria, il diritto alla memoria” del 1997, entrambi trasmessi su Raiuno. Ci ospita nella sua casa, a due passi dal centro di Roma.
“Per anni ho cercato di rimuovere quella che è stata una tragedia familiare che ci ha allontanato da Pola e dal posto dove era nata mia madre , Lussinpiccolo, una località oggi della Croazia, situata sull’Isola chiamata dei Capitani perché c’era una scuola per capitani di lungo corso della marina mercantile. Mio padre non era istriano ma di Firenze, eppure si sentiva di appartenere a quel posto. Dopo l’esodo mia madre non ha fatto che piangere, non si è mai rassegnata”. E come lei chissà quanti altri profughi si sono portati nel cuore il grande dolore della perdita non solo di una casa, di un territorio , ma di un’identità. Ci sono dolori che ti invadono il cuore ma anche la testa, il corpo e così deve esser accaduto alla madre dell’autrice che racconta la storia della sua famiglia nel libro “Nata in Istria”, pubblicato nel 2006 dalla Rizzoli e uscito in questi giorni nell’ edizione tascabile Bur.
Quando si è saputo delle Foibe? “ E’ accaduto come per i campi di concentramento nazisti, all’inizio gli ebrei stessi non ne parlavano . Dopo il trattato e con l’occupazione dei 45 giorni di Trieste, i titini nelle strade urlavano con gli imbuti perché non c’erano i megafoni, “Italiani fascisti andatevene” perché per loro tutti appartenevano a quell'ideologia e non era proprio così. Poi la gente scompariva di notte. Uomini, donne, bambini. All'inizio forse non si poteva neanche immaginare che le persone venissero gettate nelle foibe. E’ stata una pulizia etnica simile a quella perpetuata nei confronti degli ebrei anche se di dimensioni diverse.




Un orrore evidente con i ritrovamenti dei poveri resti nelle fosse Carsiche. Quante persone sono state trucidate? Si può fare solo una stima, 10 mila forse. Chissà. Ad un cero punto si è capito che era in pericolo la vita di tutti e solo da Pola sono partiti in 30 mila verso l’Italia che ha accolto i profughi malissimo.

La sinistra li considerava tutti fascisti e temeva che, testimoni del regime comunista di Tito, potessero raccontare che quello non era il “Paese avanzato” che i comunisti italiani tanto declamavano. Gli esuli sono stati abbandonati e criminalizzati. La destra li ha in qualche modo difesi e allora anche coloro che non erano fascisti, alla fine lo sono diventati. Una situazione imbarazzante anche per il governo di De Gasperi che non si espresse per non rompere gli equilibri con la Jugoslavia che aveva tagliato i rapporti con l’ Unione Sovietica. Una situazione davvero complessa ”.
Istituire la Giornata del Ricordo si può considerare un risarcimento morale per gli esuli e per le vittime delle foibe?“Diciamo di sì, viene riconosciuto un fatto negato per 50 anni. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha espresso parole durissime sul silenzio che c’è stato e che ha riguardato anche l’eccidio di Porzus, dove partigiani rossi uccisero partigiani bianchi. Fra questi Francesco de Gregori, zio e omonimo del cantautore e Guido Pasolini, fratello di Pier Paolo. Diciamo che tutte le storie dell’Adriatico Orientale sono state in parte taciute”.
Che si prova a ritornare sui posti dove si è nati e cresciuti e sapere che non sono più tuoi?
“La tua Terra è un po’ come tua madre. C’è un’ appartenenza reciproca, profonda, la si sente dentro. Non è solo per il posto fisico, ma per tutto: odori, sapori, paesaggi. E poi per come sono fatte le case, i tetti a punta, l’architettura austroungarica. E c’è il mare. A Roma ci vivo da decenni , è una città bellissima, ma non è la mia. Mi sento fuori posto. Sempre”.
La Storia, le foibe: fra il 1943 e il 1947 sono fatti precipitare vivi e morti, quasi diecimila italiani.La tragedia delle foibe si svolge in due tempi. Una prima ondata di violenza esplode subito dopo la firma dell'armistizio dell’ 8 settembre 1943: in Istria e in Dalmazia i partigiani slavi si vendicano contro i fascisti e gli italiani non comunisti. Torturano, massacrano e poi gettano nelle foibe, le cavità carsiche profonde anche 200 metri, circa un migliaio di persone. La seconda fase che è quella più cruenta avviene nella primavera del 1945, quando la Jugoslavia occupa Trieste, Gorizia e l’Istria. Le truppe del Maresciallo Tito si scatenano contro gli italiani. A cadere dentro le foibe ci sono fascisti, cattolici, liberal democratici, socialisti, uomini di chiesa, oltre 40 sacerdoti, donne, anziani e bambini. È un massacro che testimonia l'odio politico-ideologico e la pulizia etnica voluta da Tito per eliminare dalla futura Jugoslavia i non comunisti. La persecuzione prosegue fino alla primavera del 1947 quando viene fissato il confine fra l' Italia e la Jugoslavia. Ma il dramma degli istriani e dei dalmati non finisce.
Nel febbraio del 1947 l'Italia ratifica il trattato di pace che pone fine alla Seconda guerra mondiale: l' Istria e la Dalmazia vengono cedute alla Jugoslavia. Trecentocinquantamila persone si trasformano in esuli. Scappano dal terrore, non hanno nulla, sono bocche da sfamare che non trovano in Italia una grande accoglienza né dalla sinistra, né dalla destra e dallo stesso governo di De Gasperi.
I profughi
Le foto datate 1947 più che le parole possono descrivere la disperazione di uomini, donne, bambini, interi gruppi familiari e anziani costretti a lasciare quella che era la loro patria per un’altra Italia che provata dalla guerra, non desiderava altre bocche da sfamare. Al dottor Marino Micich , figlio di esuli dalmati, direttore dell’Archivio Museo storico di Fiume, Segretario generale della Società di Studi Fiumani, presidente dell’Associazione per la Cultura Fiumana Istriana e dalmata nel Lazio, chiediamo se c’è stato un risarcimento per tanto dolore. “Quando si parla di vite umane non ci può essere alcun risarcimento. Il riconoscimento della “Giornata del Ricordo” il 10 febbraio di ogni anno, è stato un passo avanti notevole dopo che per 50 anni si è negata la tragedia delle foibe e degli esuli”.
fermo  immagine del video  (  riportato  sopra  )  di https://www.youtube.com/user/fronterusso 

In Campidoglio è stato firmato proprio alcuni giorni fa un protocollo d’intesa per la nascita della “Casa del Ricordo”, a via San Teodoro a Roma.

 Sì, un altro riconoscimento per tutte quelle persone che hanno dovuto lasciare, case, attività, affetti, ricordi. L’esodo che fu di 350 mila persone iniziò nel 1945 e si può affermare che si concluse negli anni ’50. Nel 1947, subito dopo la firma del trattato di Parigi, ci fu il numero più massiccio di profughi. Partivano con le loro poche cose imbarcandosi sulle navi verso l’Italia che li accolse malissimo. Erano considerati cittadini di serie B e la loro tragedia imbarazzava sia la destra che la sinistra che l’allora governo democristiano di De Gasperi. Si è preferito ignorarli per decenni. Addirittura ci furono manifestazioni ostili al passaggio dei treni dei profughi come quello avvenuto alla stazione di Bologna il 17 febbraio 1947: Un treno che trasporta un folto gruppo di esuli sbarcati il giorno precedente ad Ancona rimase bloccato per ore sui binari da una protesta dei ferrovieri bolognesi, che non permettono lo svolgimento di nessuna operazione di soccorso e di approvvigionamento, costringendo così il convoglio a proseguire per Parma dove furono poi soccorsi”.
Sono stati 109 i campi profughi sparsi in tutta Italia e per il 70% situati al Nord che hanno accolto gli esuli che con il tempo si sono integrati nel tessuto sociale. Ma la ferita del loro passato è rimasta a lungo aperta proprio perché per decenni gli è stato negato il riconoscimento della tragedia vissuta. A Roma esiste ancora oggi il villaggio Giuliano-Dalmata nato da una vecchia fabbrica dismessa nella zona dell’ Eur. “E’ il quartiere 31 della Capitale – ci dice Micich- e comprende la zona della Cecchignola e Fonte Meravigliosa. Non dobbiamo dimenticare che gli esuli non erano tutti triestini, dalmati o fiumani. Fra di loro anche calabresi e siciliani che erano andati in quelle zone per lavorare. C’è poi un numero imprecisato di persone che non rientrarono proprio in Italia ed emigrarono in America e in Australia”.
C’è stato mai un compenso economico per gli esuli?“Un minimo di 7,8 mila euro che è davvero niente se si pensa che con tutto ciò che hanno lasciato nei territori diventati poi Jugoslavi si sono pagati i debiti di guerra. Comunque con il Giorno del Ricordo è stato restituito a molti almeno la dignità e soprattutto non si è dimenticata la grande tragedia delle foibe”.
Un silenzio durato quasi 50 anni. Ne parliamo con lo storico Giovanni Sabbatucci. Un silenzio ingombrante e pesante come un macigno quello che è calato per quasi 50 anni sulle foibe e sui profughi giuliano dalmata . “I motivi sono diversi – spiega il professore Sabbatucci - il primo è psicologico: si usciva dalla sconfitta di una guerra e si volevano lasciare alle spalle tutte le tragedie legate ad essa. Si guardava avanti. Poi il momento era difficile e altre bocche da sfamare, erano 350 mila i profughi dell’Istria e della Dalmazia, non erano certo ben accette. Inoltre c’erano ragioni i ideologiche e di Governo”.
Si può dire che le Foibe imbarazzavano sia la destra che la sinistra?“Sì, se per questo anche la stessa classe dirigente democristiana con a capo De Gasperi, preferì tacere sia sulle Foibe che sui profughi considerati cittadini di serie B. I comunisti temevano da parte loro che gli esuli potessero raccontare che il territorio da dove erano fuggiti non era assolutamente il “paradiso comunista” che tanto si declamava . I neofascisti, dall’altra parte, non erano particolarmente propensi a raccontare cosa avvenne alla fine della II Guerra mondiale nei territori istriani dato che fra il 1943 e il 1945 erano sotto l'occupazione nazista, in pratica annessi al Reich tedesco”.
“ È una ferita ancora aperta “perché è stata ignorata per molto tempo e solo da poco è iniziata l’elaborazione”, sostiene il professore Sabbatucci. L’addio dalle proprie case e dai loro paesi, la cattiva accoglienza in Patria, i rifugi nelle caserme, in baracche, in villaggi nati in campi sportivi. Stanze divise con cartoni e coperte usate come tende. Uomini e donne separati in alloggi diversi, famiglie smembrate. I profughi hanno pagato più di altri la sconfitta della guerra. Con la legge del 2004, il Parlamento italiano decreta il 10 febbraio come “La giornata del ricordo” delle vittime delle foibe.


il secondo  da    (  dove  nel  player  a destra     trovate  anche degli extra )  http://www.ilgiornaleoff.it/audio-interview/le-foibe-una-pagina-strappata-ai-libri-di-storia/



( ... ) 


Sylos Labini: in questi ultimi anni stai raccogliendo il testimone di Giorgio Gaber, porti in tournée in tutta Italia i tuoi spettacoli di teatro-canzone. In questi giorni sei in scena con Magazzino 18, uno spettacolo sulla tragedia delle Foibe che è al centro di polemiche secondo me vergognose. Che cos’è il Magazzino 18 e che cosa ti ha spinto a raccontare questa pagina tragica della storia d’Italia?
Cristicchi: Magazzino 18 è un luogo realmente esistente che si trova nel Porto Vecchio di Trieste, un hangar dove venivano messe le merci delle navi in transito; in questo magazzino n. 18 si trovano invece le masserizie degli esuli istriani, fiumani e dalmati, che all’indomani della Seconda Guerra Mondiale furono costretti ad abbandonare le loro terre. Sono oggetti di vita quotidiana – letti, armadi, cassapanche, foto, ritratti – che ci raccontano una tragedia cancellata per tanti anni dalla storia e dalla memoria, io la chiamo “una pagina strappata dai libri di storia”. Ogni oggetto racconta la storia di una famiglia, di un vissuto, di un tessuto sociale strappato e mai più ricomposto. Con questo spettacolo ho cercato di ricomporre la loro storia dimenticata e di raccontarla a chi, come me fino a pochi anni fa, non ne era assolutamente a conoscenza.
Sylos Labini: è una pagina nascosta per 50 anni dai libri di storia, una cosa vergognosa. Come ti spieghi questo dividere ancora i morti in ‘morti di serie A’ e ‘morti di serie B? È vero che hai ricevuto delle minacce perché metti in scena uno spettacolo sulle Foibe?
Cristicchi: lo spettacolo in realtà non è soltanto sulle Foibe, che sono un piccolo capitolo di una storia più complicata. Le persone che mi hanno criticato sono di estrema destra e di estrema sinistra, nessuno si è sottratto alla lapidazione di chi cerca di fare giustizia, di dare voce a chi non l’ha avuta per tanti anni; tutte queste critiche sono arrivate da persone che non hanno nemmeno avuto il buon gusto di vedere lo spettacolo, quindi mi scivolano addosso.

Sylos Labini: non capisco perché ti attacchino sia da destra che da sinistra…
Cristicchi: da sinistra perché è uno spettacolo “da fascisti”, da destra perché probabilmente avrei dovuto essere più incisivo in alcuni particolari di questa storia, quando invece il mio spettacolo vuole tendere a una pacificazione tra le parti e forse invece alcuni esponenti dell’estrema destra non cercano il dialogo. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, non accettano alcune cose e cercano sempre lo scontro. Non ho scritto questo spettacolo con Ian Bernas per creare ulteriori scontri e offese a questa gente.
Sylos Labini: la tua è sempre stata una musica di denuncia, ho sempre i brividi quando ascolto Ti regalerò una rosa. Tornando a un tema che hai affrontato anche in un tuo spettacolo, chi sono oggi i veri pazzi della nostra società?
Cristicchi: probabilmente i veri pazzi sono i sognatori, quelli che credono che oggi si possa rifare una nuova Italia e cambiare un po’ il mondo, con una partecipazione attiva alla vita politica e sociale. I veri pazzi sono quelli che continuano a sognare e che non si lasciano soffocare da tutto quello che sta accadendo in questo momento.
Sylos Labini: che cosa pensi della protesta dei Forconi, che proprio in queste ore stanno paralizzando molte piazze per protestare contro la linea del Governo?
Cristicchi: non ho seguito bene la questione perché in questo momento sono in tournée in Croazia, posso dire che a volte sono delle valvole di sfogo difficili da gestire, ma che ci si deve aspettare… quando le persone sono soffocate a un certo punto esplodono in qualche modo. La mia paura è che questo tipo di manifestazioni possano portare a delle violenze, e quando c’è la violenza si passa sempre dalla parte del torto.
Sylos Labini: tu sei sempre rimasto OFF, anche dopo il successo hai sempre imposto una tua linea artistica e autorale precisa fregandotene del mercato ufficiale, sei perfettamente in linea con il nostro magazine. Che consiglio ti senti di dare ai giovani artisti che cominciano questa carriera e che ci leggono su ilgiornaleOFF ?
Cristicchi: il consiglio che posso dare è quello di coltivare una curiosità per il mondo senza avere delle ideologie preconcette, di affidarsi all’istinto perché molto spesso ci guida verso mete a cui non avremmo mai pensato, come è successo a me: sono passato dal fumetto alla canzone, poi dalla canzone al teatro e alla scrittura, il 4 febbraio uscirà anche il libro di Magazzino 18, con tutti i racconti che ho raccolto in questi anni. Bisogna mantenere le antenne puntate e presentarsi al grande pubblico con una maturità quasi già acquisita, non arrivare da debuttanti e sentirsi però debuttanti sempre, per tutto il proprio percorso.


l'ultimo , sempre  un altra intervista  a  Simone  Cristicchi     di http://www.lavocedinewyork.com/



C'è voluto un cantante per ridare la parola all'indicibile della nostra storia

di Elisabetta De Dominis


[3 Nov 2013 | 0 Comments | 5534 views]

Simone Cristicchi porta in scena Magazzino 18, la tragedia dell'esodo di 350 mila italiani dall'Istria e la Dalmazia. Lo abbiamo intervistato: "Mi piacerebbe arrivare in America"
La nostra origine indicibile ha trovato parola. Indicibile per noi che ne siamo stati privati, indicibile per chi ci ha scacciato e per chi ci ha accolto. Indicibile infine perché questi soggetti agenti hanno fatto di noi oggetti, merce di scambio, guadagno.Dopo 70 lunghi anni, e quante generazioni, finalmente qualcuno ha visto, ha capito, ha parlato. Un cantante, Simone Cristicchi si è fatto cantore, ha errato nel nostro èthos e ha portato in scena la tragedia dell’esodo di 350 mila italiani dell’Istria e della Dalmazia. Il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia Politeama Rossetti ha inaugurato la stagione con la produzione del Magazzino 18.Diretto da Antonio Calenda, questo ‘musical-civile’, di cui sono autori Simone Cristicchi e lo storico Jan Bernas, racconta quello che è avvenuto al confine orientale alla fine della Seconda guerra mondiale. Lo scopre uno sprovveduto archivista romano, inviato dal ministero a redigere un inventario del magazzino 18 del Porto Vecchio di Trieste, dove gli esuli, destinati ad essere accolti in angusti campi profughi in Italia o in procinto di partire per l’America, lasciavano in deposito i loro mobili e oggetti, sperando di rientrarne in possesso nel futuro. Poco a poco, rinchiuso lì dentro, percepirà lo ‘spirito delle masserizie’ che gli narrerà fatti pubblici e sofferenze private.
Ma com’è venuta a Cristicchi questa idea?
“Stavo girando per l’Italia - ci spiega Simone Cristicchi - per una ricerca sulla memoria degli anziani, che poi è diventato un libro: Mio nonno è morto in guerra (Mondadori), quando a Trieste ho incontrato Piero Del Bello, direttore dell’IRCI (Istituto regionale per la cultura istriana), e grazie a lui sono potuto entrare nel magazzino 18 inaccessibile al pubblico. Ho percepito immediatamente la grandezza di questa storia e mi ha stupito che non fosse conosciuta in Italia, che questo magazzino non fosse un museo.  Quando sono uscito, ho sentito che tutti quei mobili mi avevano parlato. Ecco, mi è stata regalata questa sedia, guardi sotto la seduta c’è il nome del proprietario: Ferdinando Biasiol e io ho promesso di raccontare. Da quel momento ho iniziato la ricerca sull’esodo insieme a Jan Bernas, che ha scritto Ci chiamavano fascisti, eravamo italiani  (Ugo Mursia editore). Ho letto una trentina di testi, sono andato a parlare con tanti esuli e in Istria con i rimasti. Ho lavorato un anno e mezzo sul testo e la stesura delle canzoni. Quella che si chiama proprio Magazzino 18 è visionabile su You Tube”.
Quante pressioni politiche ha avuto?
Simone Cristicchi in una scena di "Magazzino 18"

“Ho avuto
suggerimenti da schieramenti diversi, non pressioni politiche. Fino all’ultimo giorno mi sono sentito libero di tagliare, ritoccare. Ho fatto leggere ad alcuni il testo in anteprima, non per accontentare tutti, ma per ricevere consigli. Mi pare di essere riuscito nell’intento: è un testo equilibrato che dà voce all’emotività della memoria. Avevo già fatto quattro spettacoli teatrali, ma non mi era mai capitato di interpretare personaggi in maniera così viscerale, forse perché il teatro italiano è un teatro di parola. Per me è stato un onore poter lavorare con una persona di sensibilità come il regista Antonio Calenda che ha ideato questo nuova forma di teatro: il musical mescolato al teatro civile. Vorrei utilizzare questo format per altre storie”.
E’ vero che questo spettacolo è stato rifiutato dai più grandi teatri di prosa italiani: da Milano a Torino, da Firenze a Napoli…?
“Sì, temevano che fosse un testo fascista, poi quando hanno saputo che la rappresentazione è imparziale e di grande impatto emotivo, hanno capito che vuole superare i conflitti. Mi piacerebbe portarla in giro per l’Italia anche l’anno prossimo. Magari arrivare in America… Intanto a dicembre sarò in Istria (Croazia). Vorrei ascoltare e dare più spazio anche ad altre storie, quelle dei rimasti.  Un giorno a Montona d’Istria ho visto alla finestra una signora anziana e ancora bellissima. Ha sentito che parlavo l’italiano e mi ha chiesto: “Siete dei nostri?” Mi sono avvicinato e le ho fatto delle domande: si è chiusa nel silenzio e le sono venute le lacrime agli occhi”.
I vecchi di là hanno ancora paura. Come se ci fosse ancora il comunismo che si serviva dei delatori per prelevare e infoibare anche i civili, anche i vecchi, le donne, i bambini. Ora ci sono moltissimi italiani in Croazia, allora sembrava non ne fosse rimasto neppure uno. Certo qualcuno si è mimetizzato: è rimasto nella sua terra rinnegando la sua origine. Soprattutto gli anziani non ce la facevano a lasciare la loro vita: sono morti pochi anni dopo di inedia, di stenti, di dispiacere. Eppure dal 1991, con l’indipendenza, in Croazia l’Italia s’è desta. Nei cuori o nelle tasche dei rimasti? Per 9 milioni di euro l’anno si può dire di essere pure italiani…Si può andare indietro negli anni e cercare di capire come tutto questo odio etnico sia iniziato. L’Austria è stata la grande responsabile della nascita dell’odio razziale per paura dell’autodeterminazione dei popoli dell’impero. Ha fatto la riforma agraria, ha dato le terre a slavi importati sulle coste dall’interno, poi – curiosamente - si è dissolta per mano slava. L’Italia è stata trascinata nella Prima guerra mondiale con la promessa di annettersi le italianissime Istria e Dalmazia. Ha vinto ma non ha saputo negoziare quanto le spettava. Il nuovo regno di Serbi, Croati e Sloveni si è preso quasi tutto, a parte un po’ d’Istria e Zara, ha chiuso le scuole italiane, ha fatto la riforma agraria e ha depauperato i proprietari terrieri. I fascisti in Italia hanno iniziato a italianizzare i nomi della minoranza slava e a privarla delle terre che coltivava. Ma questo non può giustificare le foibe del secondo dopoguerra. Nel frattempo i croati e sloveni hanno scoperto di pagare tasse doppie rispetto ai serbi. Vi risparmio la storia complicatissima del regno di Jugoslavia, dove tutti erano contro tutti armati… Arriviamo verso la fine della Seconda guerra mondiale. E’ l’estate del ’41: gli ustascia, fascisti croati, hanno un grande campo di concentramento a Jasenovac , a sud est di Zagabria, un altro sull’isola di Pago dove fanno esecuzioni di massa per tutta l’estate. Ma oggi sloveni e croati ricordano solo quello di Arbe (Rab), allestito nel ’42 dagli italiani in riva al mare, che era un campo di raccolta di famiglie di partigiani sloveni e di ebrei. Purtroppo avvenne un’esondazione e parecchi detenuti morirono: erano denutriti, malati e non sapevano nuotare. Cristicchi ha portato in scena una bambina che legge una lettera e dice che gli italiani non le davano da mangiare. Nessuno gli ha detto che morivano di fame anche i civili: non c’era da mangiare sull’isola nel ’42. E come si può scordare il campo di concentramento comunista di Goli Otok dove, dopo la guerra, finivano tutti prigionieri politici ai lavori forzati?Ognuno può raccontare la sua storia come vuole, come gli piace apparire, ma la verità è una sola: l’odio etnico è stato solo un comodo movente, quello che ha mosso ad uccidere e depredare  - a guerra finita -  però è stato l’odio di classe. E’ stata la grande occasione di diventare ricchi e sistemarsi senza fatica. Migliaia di persone sono state trucidate e infoibate per impadronirsi delle loro proprietà. Anche l’ultima guerra, che ha portato alla dissoluzione della Jugoslavia, è stata solo una guerra economica, perché Belgrado gestiva la ricchezza di tutta la federazione.Le colpe sono da ambo le parti, vuole dire questo spettacolo, certo, ma la reazione comunista slava non è stata proporzionata all’offesa fascista italiana. Calenda ha detto che bisogna superare. Sono d’accordo. Ma finora questo è stato chiesto solo agli esuli dell’Istria e ai profughi dalla Dalmazia, quest’ultimi non hanno neppure un magazzino 18 perché sono scappati con i soli vestiti che avevano addosso… Però il sindaco di Arbe qualche anno fa mi disse che ha un magazzino colmo di bei mobili antichi e che vorrebbe fare un museo. Lì andarono per le spicce: impiccarono indifferentemente i possidenti italiani e croati ai pali della luce lungo il porto e saccheggiarono le loro case.Eppure la vergogna di chi ha agito è diventata la vergogna di chi ha subito, a cui è stata ascritta la colpa di aver lasciato la propria terra, non perché in quella terra si moriva, ma perché erano fascisti. Non per salvare la propria cultura, la propria etica, i propri valori, ma perché indegni di vivere in una terra liberata da veri comunisti, che avrebbero fatto una società socialmente giusta. Si è visto. Ancora oggi in Croazia l’ufficio delle confische discrimina se sei di origine italiana o croata, salvo poi non restituirti niente neppure se sei croato perché lì – stranamente - il possesso equivale alla proprietà. Li abbiamo accolti in Europa prima di assicurarci che rispettassero le norme comuni, che ci fosse certezza del diritto.Cristicchi in questo spettacolo è stato esule, ha sentito dentro di sé la sofferenza e l’ha fatta emergere in un racconto accorato ed empatico. Ha legato il suo pubblico con il pathos e il logos, emozione e parola, e - come dicevo all’inizio - ha attraversato il nostro èthos. Che ha un significato più profondo della parola ‘etica’ come regola di comportamento, la quale ne è solo una conseguenza. Nell’antica Grecia significava dimora, patria, terra dell’uomo, il posto da vivere dove tornare dopo aver conosciuto se stesso. Un’esperienza spirituale indicibile che conduceva alla consapevolezza. Un arrivo che era un ritorno nella terra dei padri, le cui norme di vita erano la tua etica e la tua casa, dovunque fossi.Gli esuli e i profughi fisicamente non sono tornati, ma il loro èthos l’hanno portato con sé e non tornerà se non saranno riaccolti.Casa, patria è dove sei accolto. Altri costumi e abitudini di vita albergano di là. La consapevolezza dell’esodo è ancora indicibile, non perché non sia stata narrata da Cristicchi, ma perché a noi non è dato tornare: rappresentiamo la colpa vivente di una grande ingiustizia che essi vogliono dimenticare di aver commesso. Basterebbe aprire le braccia, ma temono la forza del nostro èthos.




31.1.14

L'UOMO PIÙ VELOCE DI ROMA IL CAMPIONE PARTIGIANO la storia di Manlio Gelsomini ( 1907-1944 )


 musica  consigliata  sonata per pianoforte Die Sonate vom guten Menschen   di Bethoveen 





L'UOMO PIÙ VELOCE DI ROMA





Un libro di Valerio Piccioni racconta la tragica storia di un medico, campione sportivo e simbolo littorio che decise di aderire alla Resistenza Finì torturato in via Tasso e fu ucciso alle Ardeatine.
Tutto vestito di bianco correva, volava. Undici secondi netti sui cento metri. Era il più veloce di Roma. Lo vedevano allenarsi ogni giorno sulla pista della Farnesina, scatti, allunghi, ripetute e poi ancora scatti. La
tessera del partito fascista l'aveva presa nel '21, a quattordici anni. Poi quel ragazzo diventò un uomo, poi ancora un altro uomo, alla fine un uomo morto. Tradito da una spia, un collaborazionista delle Ss. Chi gli stava accanto non lo chiamava più con il suo nome, solo con quello di battaglia: Fiamma, comandante Ruggero Fiamma.Sono quattro le lapidi che lo ricordano nella sua città. E a lui è dedicata anche una grande strada che da piazza Albania arriva in via Marmorata, al Testaccio. In pochi però conoscono la sua vita, anzi le sue tante vite.Chi era quel giovanissimo atleta che abitava a un passo dalla casa del Duce, che nel '27 ebbe l'onore di parlare davanti a Sua Eccellenza Augusto Turati - il segretario del Pnf che sostituì Farinacci dopo il delitto Matteotti - e che poi fu giustiziato il 24 marzo del 1944 alle Fosse Ardeatine? 






Chi era Manlio Gelsomini, il più veloce di Roma? Indagando fra le pieghe della sua esistenza e raccogliendone ogni piccolo e grande segno, c'è chi ha scoperto quasi tutto su un italiano che ha cambiato se stesso nel cuore della guerra. Ricordo dopo ricordo, con lo sport che in ogni pagina si confonde con la storia, è nato questo libro -Manlio Gelsomini. Campione partigiano (Edizioni Gruppo Abele, pagg. 174, euro 14,00) - firmato da Valerio Piccioni, tanti Giri d'Italia e tanti Tour de France seguiti per La Gazzetta dello Sporte un'ultima passione che l'ha portato a ricostruire «il percorso personale e politico di un giovane che, come altri della sua generazione, le circostanze e gli ideali trasformarono suo malgrado in un eroe».Dai trionfi con la maglia della Nazionale a Basilea del 1930 a una laurea in medicina, dal palcoscenico degli stadi all'arruolamento come capitano nel 79° Battaglione Camicie nere. Sembrava tutta dritta la strada di Manlio Gelsomini. Fino a quando, un giorno, qualcuno lo sospese «precauzionalmente dal grado». Non ci fu nulla di inatteso. Prima Gelsomini aveva prestato la sua opera di medico al Policlinico Umberto I, poi in un ambulatorio in piazza dell'Immacolata, a San Lorenzo. Come assistente tirocinante aveva Giorgio Piperno, un ebreo in quell'Italia dove Mussolini aveva appena fatto pubblicare «Il Manifesto della Razza».
Era già dentro un'altra vita Manlio Gelsomini.E un'altra ancora stavaper cominciare.Il suo nome, che da qualche anno non compariva più sulle cronache dei quotidiani sportivi, ora non c'era neanche nell'elenco dei medici chirurghi della Guida Monaci. Cancellato. È il 1942, il «dottor Manlio Gelsomini » non è più un fascista. «Non sono nato per una vita facile, io. Amo l'imprevisto e nell'assurdo trovo spesso la ragione filosofica del mio pensiero... Vado verso l'ignoto con la sete di voler sapere. Rischio il tutto per tutto», scrive nel suo diario custodito al Museo storico della Liberazione di Roma.Dopo l'8 settembre, il giorno dell'armistizio, è già nata la «banda Gelsomini». La prima volta si riunisce a Castel Sant'Elia, in provincia di Viterbo. Fra ipartigiani c'è anche don Domenico Antonazzi, uno dei preti della Resistenza, c'è un romagnolo - Pasini - di Cervia, c'è Maria Teresa Anselmi, la figlia di un vecchio socialista.Sabotaggi, attacchi contro colonne militari naziste, la raccolta d'informazioni da passare agli Alleati, il comandante Fiamma che spadroneggia sul monte Soratte e il professor Mario Buratti che ha il suo quartiere generale alle pendici del Cimino. Sono giorni, mesi travolgenti. E Gelsomini che corre dalle montagne a Roma e da Roma alle montagne, corre più veloce di tutti come quando scendeva in pista.Poi una cena fra l'11 e il 12 dicembre del 1943, tanti partigiani insieme, c'è Gelsomini, c'è Buratti, c'è anche Mario Pistolini, romano ma residente a Rio DeJaneiro, sedicente produttore cinematografico a Londra, ricercato a Parigi per una truffa ai danni di una ricca dama milanese, in contatto con i partigiani ma al soldo delle Ss. Di lui si fidano e lui fa cadere in trappola prima il professore poi il medico amico degli ebrei. Valerio Piccioni scava nel passato di Pistolini e svela la sua attività di doppiogiochista collegandolo ad altri personaggi - uno per esempio è Mauro De Mauro, il giornalista de L'Orafatto scomparire dalla mafia nelsettembre del 1970 a Palermo, fascista convinto nella Decima Mas del principe Junio Valerio Borghese e assolto «per insufficienza di prove» dall'accusa di collaborazionismo con i nazisti - fino a raccontare la cattura di Manlio Gelsomini il 13 gennaio 1944. È sempre quel delatore, Pistolini, che lo vende ai tedeschi.Viene rinchiuso nel carcere di via Tasso. È stremato, continua a scrivere sul suo diario: «Anche il mio fisico soffre molto. Il cibo è insufficiente e sono denutrito estanco. Ho fame, sempre fame. Non ho quasi più la facoltà di pensare». Riempie pagine dove gli stati d'animo mutano rapidamente, come i pensieri. Lì dentro affiora la sua tempra e affiorano le sue fragilità, le sue incertezze ideologiche, anche la sua paura.Da via Tasso Manlio Gelsomini uscirà soltanto settantasei giorni dopo, qualche ora prima c'era stata l'azione partigiana di via Rasella contro il Polizei-Regiment Bozen. Il 24 marzo, la furia di Berlino e la rappresaglia delle Fosse Ardeatine, 
335 civili e militari italiani massacrati. Fra loro anche il più veloce di Roma. Solo alla fine della guerra una sua foto comparirà ancora una volta su un giornale per rendergli onore. Lui sui blocchi, in posizione di partenza allo stadio dei Marmi.

Articolo di Attilio Bolzoni su Repubblica | 31 gennaio 2014


30.1.14

sensi di colpa , rimorsi , rimpianti , , utili o inutili ? eliminarli o conviverci ? II puntata

 canzoni   in sottofondo  
Zucchero - Alleluja.
 "              -Senza Rimorso

http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2014/01/sensi-di-colpa-rimorso-rimpianto-utili.html

Dopo  aver riordinato le  idee    riecco  che  riprendo  quel discorso intrerrotto  (  trovate  nell'url  sopra    la prima parte  )  sui sensi  di colpa  , rimorsi  , rimpianti
 Prima  d'iniziare  la  discussione  bisogna chiedersi Non è per  fare il sapiente o  il so  tutto io , ma  è  il fatto    che molti  o  fanno  finta  di sapere    cdi cosa  si parla  o non (  ma  sono pochissimi )    il significato dei termini in questione ma  cosa  significano  i termini rimorso   e  rimpianto  .

rimorso [ri-mòr-so] s.m.
• Sentimento di dolore e di tormento che nasce dalla consapevolezza dei mali commessi SIN pentimento: essere assillato dai r.; non ho alcun r. per quello che ho fatto
rimpianto [rim-piàn-to] s.m.
• Ricordo nostalgico e doloroso di qlco. o di qlcu.: me ne vado senza alcun r.
Source:
da     http://dizionari.corriere.it/

 A mio avviso, poi ciascuno di voi  valuterà    quello che meglio crede , in base  alla  mia esperienza  fin qui  svolta  , posso dire  che  sono  entrambi  effetti , nel bene   o nel male   di tutto  quello che facciamo   , di ogni nostra  azione    e  fanno si  che  andiamo avanti  . Posso dire che se dovesse  scegliere ,  ma  esercito il diritto di non scegliere 



 forse e meglio avere rimorsi che rimpianti. Entrambe le cose sono spiacevoli certo, ma chi ha rimorsi li prova per aver fatto qualcosa sbagliando, quindi ha comunque agito. Chi ha rimpianti ha sognato soltanto di fare qualcosa ma non l'ha mai realizzata alla fine. Il rimorso è in parole povere suscitato dai sensi di colpa, il rimpianto dalla frustrazione. Infatti  c'è  molta differenza tra rimorsi e rimpianti..I rimorsi è qnd si hanno i senzi di colpa x qualcosa che è stato fatto male o qualche offesa fatta ecc ecc i rimpianti e quando stai male per non aver fatto una determinata cosa o perche hai la consapevolezza di poterla fare meglio . Se  volete  altre  definizioni eccovene alcune  trovate  su  http://it.answers.yahoo.com/
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  • Fla84 con risposta 5 anni fa
    rimorso è qualcosa che hai fatto e poi ti sei pentito alla grande, rimpianto è qualcosa che NON hai fatto e poi ti sei pentito di non averlo fatto!

    cmq è meglio vivere di rimorsi che di rimpianti, fidati.
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  • Allora hanno stesso significato cioè ti fanno stare male comunque...ma cmq è meglio vivere di rimorsi che di rimpianti.
    Il rimpianto è quando una cosa vorresti farla ma non la fai per paura di quello che potrebbe succedere.
    Il rimorso pensa come se dovessi mordere te stesso nel senso hai fatto una cosa che purtroppo è andata male...ma cmq che hai fatto...hai scoperto il fatto tragico almeno!!
    spero di averti aiutata!
    Baci
    Aby!!
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  • CammeloSpareddaGOD con risposta 5 anni fa
    Il RIMORSO e un sentimento di dolore che si prova per le colpe commesse.. Il RIMPIANTO e il ricordare con desiderio e rammarico cose o persone che non si hanno più,, Il RIMORSO e un sostantivo maschile mentre il RIMPIANTO e un verbo (rimpiangere).. RIMORSI e di 7 lettere.. RIMPIANTI di 9 lettere..
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  • pupettina con risposta 5 anni fa
    Pratikamente...evere un rimorso significa pentirsi di NON AVER fatto qualkosa...mentre avere un rimpianto significa pentirsi di AVER fatto qualkosa...fine ;)
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  • stellina con risposta 5 anni fa
    Il rimorso è un'emozione sperimentata da chi ritiene di aver tenuto azioni o comportamenti contrari al proprio codice morale. Il rimorso produce il senso di colpa.

    Il Rimpianto, invece, è il sentimento che nasce da qualcosa che in passato avresti voluto fare – senza però mai farlo. Il non aver colto occasioni, opportunità.

    A parer mio sia il rimorso che il rimpianto sono comunque legati al ricordo. E non c’è peggio che ricordare qualcosa che nn è successo.. rimpiangere di non aver fatto, di non essersi fidati del cuore, di aver affidato tutto alla mente razionale.
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Io  posso solo  dire   che   cerco   di scacciarli  entrambi  perchè dopo  che  ha  capito   come gli  hai  originati   non ti servono più  ed  finiscono per  appesantire  e  ti obbligano a


 ricercarla di  nuovo 

  



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