6.6.21

nuove tendenze nell'arte collezionistica . Spendono Quindicimila euro per una scultura invisibile di Salvatore Garau .




Dopo  aver letto sulla  home di  facebook   ( e  di conseguenza   i siti     , vedere  gli approfondimenti,    consultati  prima  di scrivere  questo post     )    L’opera immateriale “IO SONO” di Salvatore Garau è stata venduta presso la casa Art-Rite di Milano, partendo da una base d’asta di 6mila euro mi trovo  sempre  più  confuso   sulle   nuove  forme d'arte .   A differenza dell’arte digitale, i cosiddetti  Nft, di questa scultura non esiste nemmeno l'immagine, lasciando all’acquirente il solo certificato di autenticità
Salvatore Garau, Gianfranco Mura ©Salvatore Garau, Gianfranco Mura ©
Ora    è vero     che  Le sculture immateriali di Salvatore Garau come l’opera “IO SONO” hanno , secondo   una nuova valenza storica e rappresentano una perfetta metafora dei nostri giorni, andando ben oltre come concetto e linguaggio all’arte digitale degli NFT, perché sono uniche, irripetibili, con zero impatto ambientale e perché, a differenza dell’arte digitale, non esiste nemmeno l'immagine, lasciando all’acquirente il solo certificato di autenticità. Ma  , come  già  dicevo  nelle righe  precedenti  ,  mi trovo  confuso    perchè pur  avendo preso   30  all'esame  di storia dell'arte moderna e   pur  andando  a mostre   ed avendo  amici\che    che la  praticano  , non ho  le  conoscenze  approfondite    dell'arte moderna  \ contemporanea      non avendo fatto né  accademia  né ho una  laurea  in  storia dell'arte  .  Infatti da  un lato   mi trovo  d'accordo    dopo aver  visto   la sua  Afrodite piange






  con   quanto dice  questo articolo     di  https://www.lavocedinewyork.com/   del   3 giugno 

  
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E’ un mero concetto quello che l’artista Salvatore Garau ha rappresentato a Manhattan lo scorso 29 Maggio: un cerchio bianco lasciato a terra, che trattiene, nel suo centro, un punto rosso, il suo fulcro, anzi, il suo cuore. Si chiama Venere Piange, ideata per esprimere l’idea di una bellezza dimenticata, di un amore perso, svilito, sostituito dalla ricerca spasmodica e costante di una apparenza che vorrebbe essere in grado di restituire consistenza. Una fisicità sbiadita, penalizzata anche dalla mancanza di relazioni cui questo periodo storico ci ha costretti. Un’opera, dunque, che nasce da più riflessioni, in parte seguite all’isolamento imposto dal Covid; in parte alla perdita di contenuti che sta caratterizzando questi ultimi anni e che degenera sempre più, soprattutto nel mondo fittizio dei social. Concause, dunque, che irrompono nella quotidianità artistica del maestro Salvatore Garau, il quale – alla stregua di una provocazione, ma che è solo un invito alla riflessione – ci implora di soffermarci a entrare in relazione con uno spazio sì, privo di fisicità, ma non di contenuto: uno spazio che è, sia una dimensione interiore (che ci appartiene, quella del proprio sé), che estranea (perché appartiene ad altri), ma che certamente, essendo privata del suo limite fisico dall’autore, può finalmente, in quello spazio pensato e definito dal cerchio di Garau, mettere in contatto più dimensioni.

Brasilia – 08.11.2016: Inaugurazione della mostra di Salvatore Garau (Salvatore Garau – 1993-2013 carte e tele) al Museu Nacional, a Brasilia

Venere Piange rappresenta, dunque, un’assenza (fisica) che trattiene l’essenza (contenuti), ovvero ciò che siamo o che dovremmo essere: un invito a pensare a ciò che non vediamo ma di cui siamo fatti, come le energie che ci abitano e ci muovono; l’entità e lo spirito che sentiamo dentro di noi e che inseguiamo. Le vibrazioni che danno spinta alla nostra vita, le percezioni e le intuizioni che ci illuminano, le pulsioni che ci fanno sentire vivi. Ma anche i ragionamenti, compresi quelli che ci frenano e le paure che ci governano o ci condizionano. Un concetto di “assenza” affine anche alle teorie fisiche e quantistiche che tanto si stanno sviluppando in questi ultimi anni e che, per questo, rafforzerebbero ancora di più questa concezione. Basterebbe pensare come i pregiudizi correlati ai sensi limitano la riconoscibilità della realtà tangibile: in questa accezione, infatti, solo riconoscere attraverso i sensi – vedere, toccare, ascoltare, ecc. – corrisponderebbe ad “ammettere l’esistenza”. Come se i sensi fossero la conditio sine qua non per riconoscere la realtà tangibile. Ma lo spazio delimitato da Venere Piange è una dimensione che pur occupando quel luogo, non aggiunge nulla anzi, toglie, permettendoci di interagire con un vuoto che è tale solo perché invisibile all’occhio, immateriale al tatto, ma presente se guardiamo al di là, di ciò che ci suggeriscono i cinque sensi.

L’opera “Afrodite Piange” di Salvatore Garau a Manhattan (Immagine ripresa da www.stanzeitaliane.it/ )

E’ in quell’assenza, dunque, che si trova l’esistenza di altre dimensioni. Energia, invisibile, che si intreccia al visibile, ma entrambe vere. Entrambe reali. Solo noi possiamo accorgerci della loro presenza, credendo che lì, proprio nella volumetria cilindrica delimitata dalla base della circonferenza voluta da Garau, esiste una Venere che piange, triste, per la sua bellezza dimenticata, ormai confusa con la vana apparenza; ma anche l’amore, spesso privato del suo coraggio e del suo vigore; talvolta annacquato dal comfort di una routine rassicurante. Soprattutto la nostra qualità più importante, l’umanità, che giorno per giorno stiamo abbandonando alla ricerca di altro. Anch’essa smarrita nell’assenza di relazioni imposta dal Covid, come pure nella ricerca di una fisicità inutile, priva di contenuti nonché alimentata dalla superficialità del mondo virtuale. Una speranza, quella di Garau, ma anche un atto di fiducia verso il prossimo e la sua capacità di riflessione in grado di concedersi uno “spazio” interiore, proprio come quello che l’autore ci dedica in questa opera. Perché abbiamo già tutto dentro di noi e il resto è solo di più.

[... ] 


Ma allo stesso tempo confermo le mie conclusioni di quanto avevo detto nel  precedente  post  << Disastri causati dal bisogno di arte nella storia. >> .Infatti Concordo inoltre Francesco Picciau in questo commento sull'account facebook dell'autore

Una scultura invisibile è una operazione ecologicamente perfetta, però onestamente, è solo una speculazione commerciale, roba per gente che ha soldi e li usa per mettersi in mostra comprando quello che un povero lavoratore non comprerebbe mai. La gente che lavora, i soldi li spende per qualcosa 😢

  che  è   , almeno io  l'ho vista  cosi , una   risposta  a quanto  ha detto l'autore    stesso   : << (...) C'è già troppo di niente che viene venduto per qualcosa, e nessuno ci fa caso >> sempre a https://artemagazine.it/ del 4 giugno qui l'articolo completo

Quindi benvenuti  nella  nuova corrente  artistica  dell'immaterialità  o  del  nulla  

Le Balene d'agosto racconto di Daniela Bionda

Tratto dal 2° concorso letterario "una storia sbagliata"- Associazione culturale Carta Dannata presidio di Tempio Pausania in collaborazione con la libreria Max 88 Presidi libri Sardegna Edizioni Mediando

Copyright 2007 Mediando- ISBN 978 -88-89502-17-4

 

Durante il tragitto Sha iniziò a pensare alle sue balene, nel Mare del Nord, ai salvagenti arancioni, ai suoi compagni stipati come sardine in piccole barche o in gommoni che si scagliavano contro le baleniere impedendone il passaggio. Al compagno più ardito, che riusciva ad issare il loro emblema sull'alto pennone. Pensò alle canzoni gridate, alle marce per la pace. Infine come in un caleidoscopio d'immagini, ai tralicci saltati; Alle cariche della Polizia; Alle vetrine infrante, alle bandiere bruciate. Robin avrebbe voluto stringerla a sé ma si limitò a chiederle :"Sei proprio sicura, possiamo ancora tornare indietro". Sha scosse la testa, uscendo dal suo torpore. Giunti alla meta scese dal furgone, lentamente, la bomba rudimentale nascosta sotto la giacca logora, mentre le luci dei pali illuminavano i suoi passi. Rimase qualche secondo ad osservare il bersaglio, le insegne al Neon del Mc Donald's che brillavano in quella gelida notte. Deposta la bomba, Sha mise in funzione il detonatore, poi, ritornò,
contando mentalmente i passi, senza cedere all'istinto di scappare. Il furgone si allontanò sgommando, giusto in tempo per sentire un gran boato, le fiamme che si sviluppavano dall'edificio, il suono delle sirene, i vetri infranti delle auto bruciate. Giunti al rifugio i giovani si lasciarono travolgere dal fumo denso, la musica ritmata. Sha ballava da sola, a piccoli passi, le braccia alzate, girando su se stessa come una girandola mossa dal vento. L'alba li trovò esausti, le bocche asciutte, i capelli incollati. La ragazza s'infilò nel sacco a pelo stringendosi a Robin in cerca di calore. Incapace di dormire Sha pensò a suo padre, un piccolo borghese con un alto senso del decoro; Al fatto che non riusciva ad accettarla, con le sue divise militari, i suoi capelli rossi mal lavati. Pensò alla sua infanzia dorata, alla dolce Patti che nel calore della grande cucina, oltre al pane fragrante, latte, burro, marmellata, le dispensava un amore incondizionato.Uscita dal sacco a pelo con Robin che borbottava, si diresse traballante al chiosco più vicino alla ricerca di un giornale. La notizia la fece impallidire, le mani tremanti e sudate, macchiate dell'inchiostro della carta stampata. Quattro addetti alle pulizie erano periti nell'inferno di quella notte. Si diresse alla Metro, rifugio sicuro di barboni e sbandati dal vento gelido della notte. Salì sull'ultimo vagone, quello dei pendolari, le borsette strette in pugno, gli sguardi assonnati, mentre nella cabina si sentiva un odore di dopobarba, misto a sudore. Scese alla terza fermata, quella che conduceva al mare. Osservò le saracinesche serrate dei locali non ancora affollati. Gli ombrelloni e le sedie accatastate. Con un dito disegnò dei cerchi concentrici sulla sabbia bagnata, poi sciolse il nastro di cuoio che le imprigionava i capelli, lasciandoli scendere sulle spalle, come quelli di una sirena della quale non si udiva più il canto.Cominciò a spogliarsi, prima le scarpe, poi tutto il resto. Si diresse sul bagnasciuga, lasciando delle orme che presto le onde avrebbero cancellato. L'acqua le coprì le ginocchia, poi il petto ed allora Sha cominciò a nuotare, verso l'orizzonte infinito, senza guardarsi mai indietro. Presto si stancò, gli arti rigidi, i polmoni che cercavano l'aria. Presto perse il senso dell'orientamento come le sue balene d'agosto, arenate. Sha chiuse gli occhi e si lasciò trascinare dal vortice di un mare profondo.


      

L'Alienista" di Caleb Car recensione di Daniela Bionda

Potrebbe essere un'immagine raffigurante libro 
 
Letteratura "L'Alienista" di Caleb Car recensione di Daniela Bionda
 
A partire dalla metà del diciannovesimo secolo, furono definiti "Alienisti" i dottori che avevano il compito di studiare ed assistere i pazienti a superare la loro "alienazione mentale". Essi furono influenzati dalle teorie di Freud, Jung, nonché Cesare Lombroso.
Il romanzo ci fa conoscere una New York del 1816 in cui si compiono efferati delitti che hanno come vittime ragazzini di strada che si prostituiscono, o di figli di immigrati. La polizia corrotta, non considera degne di attenzione queste povere vittime e così, una squadra composta da un giornalista di cronaca nera, il suo amico Lazlo Kreizler di professione Alienista e tre poliziotti, tra cui una donna, effettueranno un indagine per fermare il killer attraverso le nuove scoperte nell' ambito della criminologia moderna. Il lavoro di Lazlo, consisterà, appunto, in quello di tracciare un profilo dell' assassino partendo proprio dalle sue vittime. Questo libro differisce dal giallo classico a causa della sua rivoluzione sociale e culturale, che rende giustizia anche agli ultimi, ed all'utilizzo delle scoperte scientifiche in campo della criminologia e psicologia

 

5.6.21

i gesti valgono più di parole Escluso dalla cerimonia di diploma perché ha le scarpe da ginnastica, il prof gli da le sue e resta scalzo   La storia di Daverius Peters


La storia di Daverius Peters, un 18enne che stava per essere escluso dalla cerimonia dei diplomi solo per un paio di scarpe indossate senza pensare che non rispettavano le regole della sua scuola in Usa. La sua salvezza è stato John Butler, un educatore della scuola che ha deciso di togliersi le sue scarpe e darle al ragazzo restando per tutta la cerimonia scalzo.

   da    https://www.fanpage.it /


ESTERI 4 GIUGNO 2021  09:07di Antonio Palma


Aveva atteso tanto quel giorno e si era preparato e vestito con cura per l’appuntamento così quando alla cerimonia del diploma di scuola superiore si è visto sbarrare la porta di ingresso da un addetto perché aveva le scarpe non adatte la delusione è stata tremenda. È la storia di Daverius Peters, un 18enne che stava per essere escluso dalla cerimonia dei diplomi solo per un paio di scarpe indossate senza pensare che non rispettavano le regole della sua scuola, la Hahnville High School di Boutte, nello stato della Louisiana, in Usa.  In suo soccorso fortunatamente è arrivato uno dei suoi professori che ha deciso di dargli le sue rimanendo scalzo ma permettendogli di partecipare alla consegna dei diplomi.



“Usando sono stato fermato ero sconvolto", ha ricordato Peters  al Washington post, aggiungendo: “Mi sono sentito umiliato. Volevo solo andare sul palco e prendere il mio diploma". L’unica sua colpa è sta quella di non aver bene compreso cosa significava presentarsi con scarpe eleganti scure. Il diciottenne infatti si è presentato con scarpe in pelle nera e con suola bianca ma chiaramente da ginnastica. 




"Pensavo di poterle indossare perché sono nere", ha spiegato il ragazzo aggiungendo di aver rispettato il resto delle linee guida che prevedevano di indossare camicia e cravatta bianche, oltre a pantaloni eleganti scuri. La sua salvezza è stato John Butler, un educatore della scuola che però era presente in qualità di genitore visto che la figlia si diplomava lo stesso giorno. "Certo, mi sembrava folle. Non c'era niente di eccentrico nelle sue scarpe" ha spiegato l’uomo che, dopo aver parlato con l’addetto della scuola senza successo, ha deciso di togliersi le sue scarpe e darle al ragazzo restando per tutta la cerimonia scalzo. “Era il momento più importante della sua vita fino a quel momento, e non glielo avrei lasciato perdere per niente" ha dichiarato l’uomo


 

                                             Antonio Palma

4.6.21

IO, SAMAN DI © Daniela Tuscano

 LEGGI  ANCHE 

Non conosco l' #urdu , lingua parlata in #Pakistan . Ma so che, in #arabo, non esiste il verbo #essere . Non si dice: "sono insegnante, sono muratore, sono donna" ma "io insegnante, io muratore, io donna". L'essenza sta nel pronome, racchiusa e quasi nascosta, o implicita, in sillabe rade e potentissime. Io, e basta. E questa è una delle tante contraddizioni d'una società imperniata su un collettivo noi, dove il singolo pare affogato, incomprensibile.
Ignoro, ripeto, sia così anche per l'urdu. Saman, ad ogni modo, non aveva dubbi. Voleva essere. All'occidentale? Ma Saman non intendeva scimmiottare nessuno. Saman "era" occidentale.
Prima ancora, però, Saman era Saman e non apparteneva a nessuno. Verbo incarnato che urlava il suo diritto, al punto da cambiare il nome - ma in Layla, non Silvia o Roberta -.
 Voleva lavorare, sposare un ragazzo diverso da quello destinatole dalla famiglia. Famiglia che aveva denunciato ripetutamente, vanamente. Il suo disperato Io contro il patriarcale Noi.
Saman-Layla, come #hinasaleem , come #sanacheema , era troppo, un corpo imprevisto. Andava perciò cancellato. Chi l'aveva fatta a pezzi è stato sorpreso così, armato di zappe e vanghe, nel retro del giardino dove stava già scavando una fossa. L' omertà del dominio che le avrebbe negato anche una lacrima furtiva.
Non troveremo, forse, quel corpo. Ma l'Io di Saman-Layla risorge ora in tutte le donne oppresse, affossate, reificate, e diviene coro. Perché ognuna conosce, nella sua ancestrale memoria, il grido di quell'Io sepolto.

                         © Daniela Tuscano

Disastri causati dal bisogno di arte nella storia.

Così come talvolta si chiama arte,  ovvero quella  che  i critici e  gli storici dell'arte   chiamano  arte concettuale cioè  <<  qualunque espressione artistica in cui i concetti e le idee espresse siano più importanti del risultato estetico e percettivo dell'opera stessa. Il movimento artistico che porta questo nome si è sviluppato dagli Stati Uniti d'America a partire dalla seconda metà degli anni sessanta e si è sviluppato in quasi tutto il mondo (Italia compresa)  ...  continua  su https://it.wikipedia.org/wiki/Arte_concettuale >> ,ciò che non lo è( dipende  dai punti vista  per  me  non lo è  essendo di formazione culturale  classico  \ moderna   anche   se  aperto   alle  nuove  forme  d'arte  ) può succedere che qualcosa di non artistico   visto che la  la definizione di   

arte
/àr·te/
sostantivo femminile
  1. 1.
    Qualsiasi forma di attività dell'uomo come riprova o esaltazione del suo talento inventivo e della sua capacità espressiva.
  2. 2.
    Qualsiasi complesso di tecniche e metodi concernenti una realizzazione autonoma o un'applicazione pratica nel campo dell'operare e part. di una professione o di un mestiere: a. poetica; a. militare; l'a. medica; l'a. del fabbro ferraio; mettersi a un'a, esercitare un'a, intraprendere, fare un determinato mestiere; essere dell'a, esperto o competente nell'ambito di un mestiere o di una professione; prov. impara l'a. e mettila da parte, nella vita ogni esperienza o conoscenza può sempre tornare utile.

     dovrebbe essere  chiara   , diventi improvvisamente e immotivatamente   tale . 


È successo -ad esempio- nel 2017 alla Robert Gordon University (Scozia) dove è stata allestita la mostra “Look Again”: due studenti di informatica, Ruairi Gray e Lloyd Jack, hanno comprato e lasciato un ananas su un tavolo. Quando i due sono tornati a visitare l’esposizione quattro giorni dopo, la sorpresa: l’ananas era stato messo all’interno di una teca come una vera opera d’arte. Lo scopo della mostra era quello di "dare una seconda occhiata a ciò che ci circonda" e coloro che visitavano la galleria, in preda al tipico delirio analitico di chi capisce l'arte, credevano che, poiché l'ananas si degradava nel tempo, rappresentasse l'inevitabile sgretolamento della vita.

Incuriosito   ho  cercato in rete  ulteriori notizie    ed  in effetti la notizia  è  vera    ed   è realmente  successa 

   da  https://www.huffingtonpost.it/


11/05/2017 11:45 CEST | Aggiornato 11/05/2017 11:50 





l'ananas è un'opera d'arte: lo scherzo di due studenti diventa parte dell'esposizione
Ad Aberdeen due studenti si sono presi gioco dei visitatori



Lo hanno posizionato lì per gioco e non si aspettavano certo di vederlo esposto in una teca. Ruairi Gray, studente 22enne in TUtt, e il suo amico Lloyd Jack hanno lasciato il frutto esotico in una delle sale dell'esposizione "Look Again: Visual Art and Design Festival" nella Robert Gordon University di Aberdeen (Regno Unito).
I due, vedendo uno spazio vuoto, hanno pensato di prendersi gioco dei visitatori, lasciandogli credere che quell'ananas fosse una delle opere in mostra. A quanto pare lo scherzo ha funzionato: qualcuno ha dato loro retta, inserendo l'ananas all'interno di una teca.

Per i curatori della mostra resta un piccolo mistero chi abbia spostato la teca, ma hanno deciso di stare al gioco. Natalie Kerr, tra i organizzatori di Look Again, ha raccontato al Press and Journal di essersi allontanata per 10 minuti e di aver trovato l'ananas dentro la teca.Una cosa simile si era verificata lo scorso anno al Museo d'Arte Moderna di San Francisco, dove il 17enne TJ Khayatan aveva lasciato a terra i suoi occhiali, ingannando i visitatori del museo.

quindi  tutto è arte  ?


anche egli errori nel caso del video sopra o delle provocazioni come quella di cui si parlato in questo post . occhio però che definire Arte letteralmente qualsiasi cosa a definire arte il nulla, il passo è breve.






Il destino di Saman sotto la soglia minima di indignazione Il dramma di una giovane donna islamica non scalda il pur facilmente infiammabile discorso pubblico


Pur non essendo completamente d'accordo con gli interventi sotto riportati perchè : 1) non è l'intera sinistra debole o filo islamica ma una determinata parte d'essa 2) come fa notare il commento di Fabrizio Formica all'articolo dell' https://www.huffingtonpost.it/ del 3.6.2021 da me riportato << l' indignazione sia al minimo non deve sorprendere. La opinione pubblica è abituata al fatto che se lo strupratore è extracomunitario, metterlo in evidenza è RAZZISMO .... segnalare alla GdF i vucumprà è RAZZISMO....bocciare ragazzi stranieri o non dare cittadinanza italiane a chi non spiccica tre parole in croce di italiano è RAZZISMO. Segnalare assembramenti o disprezzo per le regole COVID da parte di extracomunitari è RAZZISMO....far pagare il biglietto in treno a passeggeri stranieri sprovvisti è RAZZISMO...Ne consegue che indignarsi con dei pachistani [ in questo caso ] per aver fatto un orrendo crimine, sarebbe RAZZISMO. La gente lo ha capito e sta zitta. >> e piuttosto che essere accusata dai " buonisti " d'essere razzista o xenofoba . 3) potrebbe anche trattarsi di non voler far parte di quelle Di indignazioni guidate ed a uso e consumo di certa politica e di certa stampa, sempre pronta a spronare rabbia o viceversa a quitare rabbia a loro piacimento, ne abbiamo vista troppa. Per cui la gente è indifferente alle fonti non credibili che manovrano e manomettono questa rabbia cavalcandola a scopi elettorali .


ANSA



I social, qualche giorno fa, si sono riempiti di indignazione perché una donna, Aurora Leone, comica del gruppo The Jackal, ha denunciato di essere stata cacciata dalla cena dei convocati per la Partita del Cuore perché le donne non erano ammesse, e, quando lei ha risposto che anche lei era tra i convocati della partita di beneficenza, le hanno risposto che le donne “non possono giocare a calcio”. Donne e uomini sui social, molto prima che lo facessero i giornali e le televisioni, hanno fatto un casino, tant’è inconcepibile che si dica una fesseria del genere. La storia è stata elevata a simbolo, scelta come terreno di battaglia per il riequilibrio dei rapporti tra uomo e donna, mentre la storia di Saman non ha scaldato di un grado il pur facilmente infiammabile mondo del discorso pubblico.

Da qualche giorno, le pagine di cronaca dei quotidiani, accreditano fortemente l’ipotesi che Saman – diciottenne di origine pakistana – sia stata ammazzata. Non si hanno sue notizie dalla notte del primo maggio, quando è scomparsa, dalle parti di Novellara, in provincia di Reggio Emilia. Scavando nella sua vita, si è scoperto che la famiglia le ha impedito di proseguire gli studi (era arrivata in Italia nel 2015, aveva imparato in fretta l’italiano, finendo la terza media) e poi ha combinato per lei un matrimonio
con il cugino che vive in Pakistan. Lei ha detto di no e se n’è andata via di casa per alcuni mesi, salvo poi tornarci, l’11 aprile, per prendere la carta d’identità e – pare – andarsene all’estero (con un ragazzo di cui si era innamorata, aggiungono le cronache più informate).Un video, girato nella notte del 29 aprile dalle telecamere di sorveglianza, mostra lo zio che esce di casa insieme ad altre due persone, con un sacco azzurro, due pale e un piede di porco, in direzione del campo in cui lavorano i famigliari di Saman. Un altro video, acquisito più recente, mostra Saman che esce di casa con i genitori, il 30 aprile, e va nella stessa direzione in cui il giorno prima è andato lo zio. Dopo dieci minuti i genitori tornano a casa, ma lei non è più con loro. Il giorno dopo, il padre e la madre prendono un aereo e tornano in Pakistan. Gli inquirenti hanno fatto due più due e dedotto che lo zio, il 29 aprile, avrebbe scavato la buca dentro cui, il 30 aprile, avrebbe occultato il cadavere di Saman, che i suoi genitori gli avevano consegnato viva, per farla ammazzare. E la loro ricostruzione è confermata dal fratello di Saman: sedici anni, al momento protetto in una struttura segreta. “Una svolta nelle indagini”, hanno titolato i giornali nelle pagine di cronaca. Mentre il mondo della discussione pubblica, soprattutto quella sensibilissima dei social, era infiammata da un’altra polemica: la targa a Carlo Azeglio Ciampi a Roma, senza la g nel secondo nome dell’emerito Presidente della repubblica.







Ieri il Quotidiano Nazionale – uno dei quotidiani le cui cronache si leggono con maggiore sgomento – ha intervistato una consigliera del partito democratico di Reggio Emilia, Marwa Mahmoud, italiana di origini egiziane, musulmana e velata, che ha detto che “la sinistra ha timore di intervenire sui temi dei diritti negati alle donne islamiche”. Ha sostenuto che “sono temi delicati e complessi” in cui si rischia sempre di “essere strumentalizzati e additati come razzisti”. Ma, ha aggiunto, “si è tergiversato troppo, preferendo agire con paternalismo, assistenzialismo e accoglienza. Che, sia chiaro – ha detto –, va bene. Ma non basta. Tutto il resto è diventato tabù”. Parole, anche queste, che non hanno smosso un capello del mondo di sopra, quello in cui il discorso pubblico si accalora. Chiamo Luca Ricolfi per chiedergli che idea s’è fatto lui di questa storia e scopro (mi era sfuggita) che l’intervista di Marwa Mahmoud era in realtà una risposta alla riflessione che lui aveva fatto il giorno prima, interrogato dallo stesso giornale sul perché la sinistra e le associazioni per i diritti delle donne non si occupino della vicenda. Ricolfi aveva detto che c’è una ragione buona e una cattiva del silenzio. “La ragione buona è che al momento non si sa come siano andate effettivamente le cose. La ragione cattiva è che la sinistra ha un occhio di riguardo per l’Islam, e teme che i lati più imbarazzanti di quella cultura, e in particolare il suo modo di trattare la donna, compromettano il progetto politico di diventare i rappresentanti elettorali di quel mondo”. Questo, però, non spiega perché la cacciata di Aurora Leone dalla partita del cuore scateni il finimondo – non nella politica, ma nell’umore pubblico – mentre la presunta uccisione di una donna immigrata dal Pakistan, in circostanze che sarebbero così atroci, lascia piuttosto indifferenti. Mi dice Marina Terragni, femminista storica, che “il caso è strano” perché, quando in circostante simili, venne uccisa Hina Saleem (il padre la accoltellò e la seppellì nel giardino di casa, a Brescia, con il capo rivolto verso La Mecca) ci fu una sollevazione. Non lo ricordavo. Successe nel 2006: più a ridosso dell’11 settembre, che del #Metoo. Forse, colpì perché c’era un altro clima, un altro Occidente, quello ferito dal terrorismo islamico? Sicuramente colpisce, oggi, che il neo-movimento delle donne, che nei social ha trovato la propria piattaforma di rivendicazione permanente, si è prefisso di ridisegnare i rapporti tra uomo e donna tracciando daccapo i confini del consenso sessuale. Anche il sospetto del limite oltrepassato scatena, ogni volta, reazioni intransigenti. Mentre di fronte alla questione del consenso di una donna a un matrimonio scelto da altri, nel quale ne va della sua vita e della sua morte, non si sente il bisogno di dire assolutamente nulla, non solo di paragonabile alle febbri che ci assalgono quando si tratta di un’attrice di Hollywood: ma proprio nulla.Mi dice Luca Ricolfi che ieri ha avuto una ”illuminazione”, che risponde in parte all’osservazione che gli ho fatto, cioè che il perimetro del silenzio non è solo politico, ma è parecchio più esteso, e comprende una vasta gamma di fatti che sono esclusi dai nostri sentimenti: non ci toccano, come persone, come individui di un paese democratico, abbiente, occidentale ed europeo. “Mi son fatto l’idea – dice Ricolfi – che ci sia una questione di classe. Noi discutiamo, ci accapigliamo, per episodi che coinvolgono quelli che noi sociologi chiamiamo gli strati centrali della società. Se un fatto tocca i ceti medio alti, i ceti medio alti ne parlano. Se riguarda i poveracci, i ceti medio alti continuano a parlare degli affari propri”.


L’osservazione è amara, ma non si può evitare di prenderla in considerazione, ipotizzando che, se le cose stanno così, la conclusione è che di tutta la discussione sul rapporto tra uomini e donne che si è fatta in questi anni si è sedimentato in fondo soltanto questo: che se sei una donna bianca, benestante e famosa, e degli uomini bianchi, altrettanto benestanti e famosi, ti dicono che non puoi giocare a calcio, i maschi bianchi e imbecilli non la passeranno liscia; se, invece, non sei una donna bianca ma immigrata (anche se l’occidente ti è spuntato nell’animo, nella sua promessa di libertà), se la tua religione è quella islamica, e non sei ricca né famosa, e ti rifiuti di dire sì a un matrimonio combinato da maschi, con uno che vive in un altro Paese, devi sapere che corri il rischio che ti uccidano. E se ti uccidono, puoi starne certa, potrai contare sul fatto che la questione rimarrà di stretta competenza delle autorità giudiziarie e della polizia. Perché gli altri – la maggior parte di essi – staranno facendo chiasso per qualcosa di sicuramente più importante della tua vita.

"Finalmente ho una casa con Camilla, la ragazza che amo". Lieto fine nella storia di Malika, la ragazza cacciata dai genitori perché lesbica e Picchia la moglie per una lite sulla spesa: i figli di 4 e 7 anni la convincono a denunciare il “papà cattivo”


 di cosa  stiamo parlando  



Cacciata di casa il 4 gennaio 2021 per aver confidato ai suoi genitori di amare una ragazza, Malika Chalhy si è rivolta a Fanpage.it per denunciare l'ingiustizia subita. Dopo il nostro servizio, in cui abbiamo pubblicato in esclusiva i messaggi audio contenenti insulti e minacce di morte da parte della madre, la 22enne di Castelfiorentino ha ricevuto il supporto di migliaia di persone, con una raccolta fondi che ha superato i 130mila euro. Grazie alla somma ricevuta, Malika ha potuto così affittare una casa a Milano dove attualmente vive con la fidanzata Camilla e con Frenk, un cucciolo di bulldog francese.

  da   https://www.fanpage.it/  3 GIUGNO 2021  10:45 di Maria Elena Gottarelli 


“Per me è come rinascere”: sono le parole di Malika Chalhy, cacciata dai genitori per aver dichiarato la sua omosessualità, a due mesi dall’uscita del nostro servizio. Grazie alla raccolta fondi organizzata in suo sostegno, la 22enne di Castelfiorentino ha potuto affittare un appartamento a Milano, dove ora vive insieme alla fidanzata, Camilla, e al loro cucciolo di bulldog francese, Frenk. Malika e Camilla ci hanno aperto le porte di casa loro e ci hanno parlato della loro nuova vita insieme.    Amo ogni angolo di questa casa, che non è certo un attico o una reggia… Ma per me, è enorme!". Così Malika Chalhy, la ventiduenne di Castelfiorentino cacciata di casa lo scorso gennaio dai genitori per aver dichiarato di essere omosessuale, oggi ai microfoni di Fanpage.

 


                       in foto: Malika Chalhy e la fidanzata Camilla, Milano, giugno 2021

"Amo ogni angolo di questa casa, che non è certo un attico o una reggia… Ma per me, è enorme!". Così Malika Chalhy, la ventiduenne di Castelfiorentino cacciata di casa lo scorso gennaio dai genitori per aver dichiarato di essere omosessuale, oggi ai microfoni di Fanpage. La nuova vita di Malika inizia a Milano, dove si è trasferita da poco insieme alla fidanzata Camilla e al cucciolo di bulldog francese, Frenk. "La famiglia che mi sono scelta", dice Malika senza esitazioni, a tavola.


                       in foto: Frenk, il cane di Malika e Camilla

"Io e Camilla siamo finalmente libere di amarci"

La casa, presa in affitto grazie alla raccolta fondi aperta a gennaio dalla cugina di Malika, è luminosa, con un ampio terrazzo che è già stato abbellito con dei fiori. Mentre parla della sua nuova vita con Camilla, la giovane non riesce a smettere di sorridere: "Qui a Milano io e Camilla possiamo finalmente amarci liberamente". La giovane coppia si è conosciuta nell'estate del 2020. E' stata proprio Camilla a far scoprire a Malika la sua omosessualità: "All'inizio non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo, cosa provavo quando la vedevo. Poi però mi è stato chiaro: mi ero innamorata". "Il 27 agosto ci siamo messe insieme e non ci siamo più staccate un attimo", continua. Mano nella mano, le due raccontano i giorni difficili del coming out di Malika. "In quel periodo non facevo che rassicurare Malika, le dicevo di stare tranquilla, che i genitori l'avrebbero presa bene, probabilmente molto meglio di quanto si aspettasse. Mi sbagliavo", racconta la fidanzata 25enne.E' stata proprio lei, Camilla, ad aver ascoltato per prima i messaggi vocali pieni di odio inviati dalla mamma di Malika dopo il coming out, molti dei quali contenevano insulti e minacce di morte dirette a lei. "All'inizio mi sono sentita male, ovviamente, anche perché quelle parole provenivano da una persona della stessa età di mia madre, che avrebbe potuto essere la mia. Poi però ho capito che quella donna non sapeva niente di me, di chi ero, né di quello che potevo dare a Malika", continua Camilla.

"Le dicevo: ‘Lasciami non posso darti la vita che meriti'. Per fortuna non lo ha fatto"

Durante il racconto di quei giorni, in cui le due non smettono mai di tenersi per mano, Malika si commuove. "Camilla c'è sempre stata, anche quando le dicevo di lasciarmi perché non avrei potuto darle la vita che si meritava. Mi è sempre rimasta vicino, anche la sera in cui avevo deciso di farla finita e venne a prendermi sull'argine di un fiume". Mentre ricorda quella notte, che era la prima, quella del 4 gennaio, quella in cui era stata cacciata di casa senza vestiti e senza soldi, Malika non trattiene le lacrime. "Tornate a casa di Camilla, lei ha avuto un mancamento. Poi ci siamo sdraiate sul letto insieme al cane, Peppi, entrambe con le mani sulla sua zampa, e Cami mi ha detto: ‘Non sei sola, ci siamo io e Peppi, siamo tutto'. E mi sono sentita meglio". "Paradossalmente, quella è stata al tempo stesso la notte più brutta e la più bella, quella in cui ho rischiato la vita ma anche quella in cui sono stata salvata"."Non potevo fare a meno di sentirmi in colpa – confida Camilla – perché mi sembrava in qualche modo di averle rovinato la vita. Che se non fosse stato per me, per il fatto che si era innamorata di me, non sarebbe stata cacciata di casa". Sia Malika che Camilla si sono reciprocamente sentite in colpa, vittime della paura di fare involontariamente del male all'altra. "Ma per fortuna non mi hai ascoltata quando ti ho detto di lasciarmi", dice Malika con gli occhi ancora lucidi, ma sorridente, abbracciando con lo sguardo la loro nuova casa. Intanto, Frenk sonnecchia nella sua cuccia.


Genitori di Malika: aperta un'inchiesta

Per quanto riguardo riguarda la vita di Malika, attualmente si sta impegnando attivamente nella lotta per i diritti delle persone LGBTQ+ e per l'approvazione del ddl Zan. Mentre Camilla termina gli studi in Economia e si prepara ad affrontare il primo stage, Malika riflette sul suo futuro lavorativo: "Voglio iniziare a lavorare, fare qualcosa di attinente a quello che ho studiato. Per adesso, sono felice anche solo di sapere di avere questa possibilità". Quanto ai genitori, Malika dice di non averli più sentiti. Dopo il nostro servizio del 9 aprile, la Procura di Firenze ha aperto un'inchiesta e i genitori di Malika dovranno rispondere di violenza privata.


 

                       Maria Elena Gottarelli



proprio  mentre  finivo di copiare  questa  storia    mi  è arrivata      via messanger  questa  qua    da  https://www.thesocialpost.it/  del   4.6.2021

Picchia la moglie per una lite sulla spesa: i figli di 4 e 7 anni la convincono a denunciare il “papà cattivo”



04 giugno 2021 15:35
Agg: 04 Giugno 2021 16:26
Cristiano Bolla
Cronaca Italia








Un 33enne di Foggia è stato arrestato dopo una denuncia per maltrattamenti in famiglia. Le vessazioni nei confronti della moglie, pare, sarebbero andate avanti per anni, ma sabato scorso è caduta la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso. A risultare decisivi, secondo quanto viene riportato, sarebbero stati i figli della coppia.
Non era la prima volta, ma si spera possa essere l’ultima: dopo 7 anni di presunti maltrattamenti e pestaggi, una giovane donna e madre ha denunciato il marito di 33 anni. Le fonti riportano che tutto è scattato sabato 29 maggio: tra i due sarebbe scattata una lite riguardante la spesa, sembra infatti che la donna avesse annunciato che stava andando a farla assieme alla madre e ai figli.
Questo avrebbe fatto scatenare per qualche motivo l’ira del 33enne, che le avrebbe sferrato un pugno in faccia.
La donna, si apprende, ha riportato una lesione al labbro superiore, forse l’ultima di una serie subita nel corso degli anni di questa relazione descritta come molto violenta. Questa volta, però, ha deciso di dire basta ed ha trovato il coraggio di denunciare il marito, anche grazie al sostegno dei figli.
Foggia, 33enne picchia la moglie: i figli spingono per la denuncia È questo il lato particolarmente emozionante della triste vicenda di Foggia. Le fonti riportano infatti che a infondere coraggio e spingere la madre a denunciare il marito sarebbero stati i figli, di 4 e 7 anni. Il maggiore soprattutto avrebbe provato a difendere la madre dall’ennesima aggressione, per poi incitarla a denunciarla. I due, secondo quanto viene riferito, avrebbero detto una frase come: “Denuncialo, papà fa il cattivo“. A quel punto, la donna si è presentata dai Carabinieri del Comando Stazione di Foggia-Porta San Severo per denunciare il 33enne, poi arrestato su mandato del Gip per maltrattamenti in famiglia.
Ricordiamo che in Italia è attivo il numero 1522, un servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Pari Opportunità. È gratuito, attivo 24 h su 24, accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking. La chiamata è gratuita anche da cellulare o si può parlare direttamente con qualcuno tramite il sito.

non serve essere accademici per filosofare

 


come al solito ogni volta che condivido 
 


  o copio da internet argomenti di filosofia ed antologica molti \e di voi mi chiedono  se, alcuni in buona fede perché vogliono approfondire  le FAQ  molti perché ma anche molti  mandroni pigri  da non provare a vedere se in un blog  ci sono  FAQ , sono laureato o in filosofia o ho una solida  base filosofica  altri se sono laureato in scienze politiche . In realtà la mia conoscenza filosofica è scolastica ed per giunta insegnata male  e  di conseguenza con poco impegno da parte  mia . infatti  il 28 preso  ad l'unico esame di filosofia che ho dato all'università  è  frutto oltre al mio mettere il culo  sedere sulla sedia per passarlo e non laurearmi  troppo tardi ( anche poi non ce lo fatta a mettere in atto tale proposito , ma questa è  un altra storia che prima o poi  racconterò  ) oltre ad  t ripetete ciò  che  studiavo  e farmelo spiegare da un mio amico laureato e prof  di filosofia alle superiori  da mia zia pedagogista ed ex preside  di scuola (un tempo si chiamavano così  ) elementari
 Le mie condivisioni  provengono oltre che da persone affini ( ma non necessariamente ) da gruppi \pagine  psicologici e filosofici  e di storia e sono anche frutto di  : letture varie    delle diverse culture politiche e culturali  nuove e vecchie ( sono cresciuto durante la fase finale della 1 guerra fredda    1945\7  fino  al 1989\ 92 ovvero Usa contro Urss e paesi non  allineati,  nello scontro  tra fascismo e comunismo , cattolici progressisti \sociali e cattolici conservatrici per concilio  vaticano II  ) ,auto analisi  / messa in discussione, vecchie sedute d'analisi psicologica ( Sophia analisi ) ,esperienze personali ,    letture  di opere politiche e filosofiche  , ascolto di trasmissioni culturali   musica cantautorale e non solo ad argomenti introspettivo ed filosofico (  vedi esempio Battiato ) scambi d'opinione con alcuni amici  laureati  in filosofia  (in particolare il nostro Cristian Porcino  autore  di saggi interessanti non accademici  come i cantautori e  la filosofia  da Battiato a  Zero   vedi   foto di copertina    a  sinistra  ) ed insegnanti della materia ma anche semplici appassionati  senza pregiudizi e preconcetti culturali ed ideologici ascoltando o leggendo anche se  in alcuni casi  dopo alcune righe  o alcuni minuti d'ascolto  sbadiglio perché  troppo i filosofi sono  (soprattutto il primo ) filosofi da salotto  come Fusaro o  troppo accademici  come Cacciari chiamati  solo per fare ascolti  in tv .

P.s
non do consigli  perché





con questo ė veramente tutto . alla prossima 

3.6.21

Allatta il figlio e le chiedono di coprirsi: la reazione della mamma è sorprendente

sara  pure  diu di 3  anni  fa   ma  sempre  una bella storia   si tratta  

Allatta il figlio e le chiedono di coprirsi: la reazione della mamma è sorprendente
La donna americana stava allattando il bimbo di 4 mesi in un ristorante in Messico, quando le è stato chiesto di coprirsi. Lei per tutta risposta ha fatto un gesto geniale



Una risposta divertente e sagace quella della mamma a cui in Messico è stato chiesto di coprirsi mentre allattava (Credits foto: Instagram)


Melanie Dudley si trovava a cena a Cabo San Lucas, Messico. Con lei, anche il suo bambino di 4 mesi, attaccato al seno della donna. Ad un certo punto la mamma originaria di Austin, Texas, e madre di due gemelli di 4 anni, è stata avvicinata da un uomo che le ha chiesto di coprirsi. Lei, per tutta risposta, ha preso un foulard e si è coperta la faccia.
A documentare l'esilarante replica della donna è stata la sua amica Carole Lockwood, postando l'immagine della mamma con il viso coperto su Facebook. "È stato un uomo che le ha chiesto di coprirsi, faceva caldissimo e c'era una forte umidità - scrive Lockwood sul suo profilo, invitando i suoi utenti a condividere - Ne ho davvero abbastanza delle persone che intimidiscono le donne che allattano in pubblico".
Anche la spiritosa mamma ha commentato l'episodio, dicendo: "Ero con la mia famiglia in vacanza, di solito sono attenta quando allatto e cerco di essere discreta. Ma in questo caso ero nel retro del ristorante e nessuno mi avrebbe davvero vista. Allattare è già difficile al naturale, non c'è bisogno di aggiungere altre complicazioni".

sarò sfigato ma sono libero

Verrà un tempo in cui gli uomini impazziranno, ed al vedere uno che non sia pazzo, gli si avventeranno contro dicendo:  Tu sei pazzo!  (Sant'Antonio abate)  

 
 Sono arrivato alle  stesse conclusioni di Massimo Gramellini  ( vedere l'articolo che riporto 
 sotto )Venivo considerato  un tipo stravagante / un matto quando misi nel manifesto  del blog l'inno frigideriano   (  dell'omonima  rivista   e comunità
rieccolo  per  i nuovi  iscritti o per   chi  mi segue  via  facebook  


o tutte  le volte che ho messo questo video di (una delle poche cose belle che ha fatto ) Nanni Moretti



inizialmente  ci rimanevo male e soprattutto  piangevo   richiudendomi in me  stesso  quando  i matusa  mi dicevano che devo essere normale  . ma poi grazie all'analisi e auto  analisi ho imparato  a far scivolare via e ad andare  avanti e come l'omonima canzone di Ligabue  , a dirmi , non tempo per noi  . quindi l'articolo  di Gramellini   che qui  riporto  conferma ed rafforza il mio pensiero  e il mio viaggio  nelle strade della vita

Il  caffe   di  M.Gramellini  1 giugno 2021, 07:07 - modifica il 1 giugno 2021 | 07:08

Lungi da me l’intenzione di dare ulteriore spago alla ragazza del volo Ibiza-Bergamo che ha sputazzato e inveito contro gli altri passeggeri perché si ostinavano a chiederle di indossare la mascherina. Però mi ha colpito la parola con cui ha inteso mortificare una delle sue vicine di posto: «Sfigata». Ormai è l’epiteto preferito dai prepotenti in missione per conto di Io. Affiora sulle labbra di chi lascia l’auto in doppia fila come di chi, sul treno, guarda i video a pieno volume ignorando l’invenzione delle cuffiette. Il Superuomo e la Superdonna (questo è uno dei pochi campi in cui vige la parità) si sentono talmente nel giusto da affibbiare la patente di «sfigato» a chi subisce le conseguenze della loro ingiustizia. Tutto gira talmente intorno a loro che alla fine gli gira anche la testa. E si convincono che chi rispetta e pretende che si rispettino le regole non lo fa per convinzione, ma solo perché non osa infrangerle. Ai loro occhi il «bravo cittadino» è una persona complessata e infelice che non conosce il vitalismo insito nella trasgressione ed è vittima di un lungo elenco di frustrazioni che si riassume in quell’aggettivo colmo di disprezzo e sparato in faccia come una sberla: «Sfigato!». Si direbbe però che certi esempi di audacia siano tali solo finché il rischio rimane basso. Appena la situazione si fa seria, sono spesso «gli sfigati» a rivelare dosi insospettabili di resilienza, mentre i Superominidi finiscono a piagnucolare sotto il sedile.

2.6.21

AnnaIberti non invecchia mai di © Daniela Tuscano



C'è qualcosa di strano in questa ragazza. Che è bellissima, che appartiene al passato, ma non ne è prigioniera. Ha solo sé stessa. Non è sposata, non deve render conto a nessuno dei suoi gesti irruenti e ribelli. Ribelli perché prepolitici, perché il pugno è duro ma gentile, non è venuta a scalzare un potere con un altro, semplicemente è sorta e viene spontaneo domandarsi dove fosse fino a questo momento. Non è una #CheGuevara dal basco stellato, non proclama l'avvenire, è essa stessa profezia. Anna Iberti è stata un momento raro, o forse unico: un'epifania, una dea. Un capolino che mostra per un solo istante l'altra faccia, non della luna, ma della nostra amata terra, come è sempre stata nelle sue viscere profonde. Come dovrebbe essere. In lei il bello corrisponde al vero; alla portata di tutte e tutti, poiché nella sua carnalità è spirito. Vivi sempre Anna Iberti, vivi nella ingenua fierezza di ognuna di noi, con quel tuo pugno dibattuto in aria e l'altro che agguanta la carta, la sentiamo scricchiolare, con quel cumulo di parole vane, che tu trituri, e sei fenomeno, un giugno interminabile.



                                                       © Daniela Tuscano


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  questo post     di  Aranzulla     conferma    il consiglio      che  davo    in un post   (  cercatevelo  nell'archiviuo  dell'ann...