19.12.21

morire di lavoro © Daniela Tuscano

Non soltanto Filippo Falotico, Roberto Peretto e Marco Pozzetti (nella prima foto sotto a destra ), deceduti due giorni fa sotto il peso d'una gru . Ma anche Roberto Usai, 22 anni, Dante Berto, 53, Vittorio Tomassone, 59, Luigi Aprile, 51, Pierino Oronzo, 55 e Adriano Balloi, 60. Tutti in meno d'un mese, gli ultimi quattro uccisi in un giorno solo.
Uccisi, sì. In maniera atroce e primitiva: ustionati, precipitati da altezze improbabili, stritolati da escavatrici. Assassinati. Le chiamiamo vittime del lavoro, ma il lavoro non miete vittime. Si è vittime per i peccati altrui, peccati che gridano al cielo. Omicidio volontario, oppressione dei poveri, frode degli operai: ci sono quasi tutti, contemplati dal Catechismo di Pio X. Noi ci siamo soffermati esclusivamente sul secondo, il "peccato impuro contro natura", tralasciando gli altri. Questi altri.
IL lavoro dà vita e dignità. L'ha santificato il falegname Giuseppe, vi ha preso parte il piccolo Gesù. Ma se "rende liberi" dalla vita, se schiavizza e abbrutisce, non è lavoro. Non possiamo tacere di fronte a questi morti. A questi omicidi del profitto. Li abbiamo già troppo trascurati.
La Diaconia "S. Maria Egiziaca" rende omaggio a questi morti e alle loro famiglie. Ignoriamo se fossero credenti o no, ma sicuramente, per questi operai, Natale non sarebbe stata una "festa stressante" come ipotizzato da certe eurocrati di Bruxelles. L'aspettavano per avere pace. Natale è il giorno della famiglia. L'aspettavano per restituirsi a sé stessi.
Così non avverrà. Natale arriva in mezzo alle stragi. Arriva comunque, ma il cielo continua a gridare, e ne saremo tutti responsabili. Sorridenti e tranquilli come gli operai newyorchesi di 90 anni fa. Che in realtà erano per la maggior parte italiani e irlandesi. E chi se non loro avrebbe rischiato la vita con tanta socratica serenità?
Non so se Marco, Filippo e Roberto provassero gli stessi sentimenti, la convinzione di stare lì, dove li avevano messi, perché non c'era alternativa o non conveniva più cercarla. E poi poteva darsi che ce la facessero. Ancora pochi giorni e arriva Natale. Finalmente a casa. Questo solo conta, per questo tutto si sopporta, la perdita dei diritti, la mancanza di sicurezza, la solidarietà dileguata. L'Italia è una repubblica affondata sul lavoro, anzi schiacciata, perché tu barcollavi in alto, funambolo tuo malgrado, e la morte si è inerpicata più su di te, e ti è piombata addosso da una gru spezzata. Dinosauro d'acciaio, Titanic del post-capitalismo. La classe operaia va al massacro perché divenuta reperto di cronaca, tradita da una sinistra svenduta al radicalismo pop. E non ha più voce. Non l'ha avuta nemmeno per gridare. Marco, Filippo e Roberto, facce normali quindi antiche, se ne sono andati come #luanadorazio, come #paolaclemente che nell'ultima foto da viva aveva sbozzato perfino un sorriso. Ma sono allegrie di naufragi. In questa preistoria tecnologica o la va o la spacca, e tanti saluti.
© Daniela Tuscano

16.12.21

avrei voluto © Daniela Tuscano

 Leggi anche 
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2021/12/pietro-carmina-una-delle-vittime-della.html




(Letture: Is 30, 18-26b; Sal 145/6; 2Cor 4, 1-6; Gv 3, 23-32a - V domenica di Avvento - anno C) Avrei voluto preparare una bella riflessione per oggi, di quelle ponderate che impressionano l'uditorio e vellicano il narcisismo di chi le pronuncia. Ma, come la liturgia suggerisce, i piani di Dio sono diversi dai nostri, le torri della vanità crollano, la ri-velazione è tale solo per chi si perde.



In questi giorni a crollare è stata una palazzina di #Ravanusa, in provincia d'#Agrigento, stroncando le vite di due giovani #sposi e una nascente. Un divenire che già era realtà senza però quella luce serbata solo nel cuore, quindi purissima e immacolata. Maschio o femmina che fosse, il bambino della giovane coppia è stata la creatura terrestre più vicina a Gesù, come lui inerme e innocente e minimo. Su di lui, o lei, si facevano grandi sogni, ché diventare genitori rinfresca del "bucato di Dio" secondo la definizione di #RadclyffeHall. Ma d'altra parte, chi non ha sogni per i propri figli? E anche le madri e i padri oltre i #filispinati, nel gelo di foreste senza nome, di sogni ne avevano: affrontano la morte non perché non abbiano più nulla da perdere, ma perché hanno tutto da guadagnare, tutto devono alle vite da essi sbocciate. Molte si sono chiuse subito, come quella della piccola migrante inghiottita dalla #Dragogna - nome che pare uscito dalle #Malebolge dantesche. Aveva sogni anche lei, lei pure era nata da un sogno.
"Lui deve crescere e io diminuire": questo, in sintesi, il messaggio del #profagrigentino di filosofia ai suoi studenti, poco prima della pensione. Aveva fatto suo il testamento spirituale di Giovanni, trasmesso alle ragazze e ragazzi affidatigli l'amore per la Sofia, la cultura che è sempre una crescita, un altro da sé, oltre il sé, mai la statica ripetizione d'un idolo umano (foss'anche d'oro o argento...). #CarloAcutis direbbe "Non io, ma Dio", quel Dio di cui Madre #TeresadiCalcutta volle essere matita.


Il prof agrigentino aveva il senso del mistero. Era #ministrostraordinario della comunione, il suo ultimo gesto è stato quello di portare "Gesù ai malati", ha ricordato il #parroco, un uomo lindo e asciutto, dagli occhiali tondi, che sarebbe piaciuto a #GesualdoBufalino. Poi non ha aggiunto più niente, il volto sopraffatto da un'emozione impenetrabile. In realtà l'insegnante - si resta insegnanti tutta la vita, come i preti - consegnando "il corpo di Gesù" vi univa il suo, in tutta naturalezza, assieme a molti altri anonimi che per le vie allo stesso modo di #Mamadou, morto di freddo a Roma, e persino nelle proprie case - com'è accaduto a #Jenny, vittima dell'ennesimo #femminicidio a #Misterbianco - testimoniano il dolore innocente.Magari "non erano dei nostri", non tutti credenti, non tutti cristiani. Al tempo stesso, però, ci appartengono: chi non è contro di noi è con noi.
Avrei voluto scrivere altre cose o anche queste, ma in modo diverso; non ci sono riuscita. E malgrado lo sappia, che quelle anime ora sono "più splendenti di sette soli", non basta. Esse dovrebbero stare qui, su questa terra, e non v'è posto per consolazioni dolciastre.
Natale è pure questo, irrompere tra grida di disperazione. Perché dopo le stelle comete ci sono gli innocenti martiri, la fuga in Egitto, la passione, la croce.

LA SCHWA? NON È COSÌ CHESI LOTTA PER LA PARITÀ La linguista e accademica Cecilia Robustelli boccia la schwa anche in nome delle battaglie femministe.

Sono  stato accusato  perchè non   ho  usato   ɐ  ( lo schwa )  d'essere  ,  accuse che mi  scivolano  via e  di cui  non  m'importa  ......   (beh ci  siamo capiti )   politicamente  scorretto    e  d'informarvi meglio  . Ora    leggo pareri contrastanti sull’utilizzo del simbolo grafico “schwa” ɓ . Essa Dovrebbe tutelare l’uguaglianza anche nel linguaggio. E invece, addirittura, una linguista della Crusca la attacca in nome delle lotte femministe!   !  IL  che mi  conferma     che  la  questione     è  di poco conto    è più importante    se  mai  il linguaggio  d'odio e  violento che  orami   è  sempre  come  un onda  nera  appiccicosa   presente  ovunque  non solo in  rete  e sui  social  purtroppo  .  Ora  sulla piccola “e” rovesciata che alcuni vorrebbero aggiungere o sostituire alle desinenze italiane per includere tutti i sessi e le identità di genere se ne sono dette tante . Personaggi autorevoli e qualificati (linguisti, filosofi, sociologi) hanno espresso pareri anche molto diversi; e quando il dibattito è uscito dall’accademia i toni sono spesso stati poco rispettosi delle idee altrui . Personalmente, quando mi è capitato di leggere dei testi in cui la schwa veniva usata diffusamente - non solo, per esempio, in apertura o in chiusura di discorso - ho sempre fatto una gran confusione    non basta  quanto  ne  faccio   già  di mio  causa  forti problemi di vista  e  uditivi  .
Comprendo bene che esiste un uso sessista della lingua, e lo trovo molto ingiusto, ma sono convinta che non sia la grammatica l’ambito in cui si  devono   combattere  questioni come la parità e l’inclusione. Credo inoltre che la funzione sia sempre più importante del sesso di chi la esercita. Detto questo, ho
cercato di documentarmi  come     mi  hanno suggerito   e ho trovato in Rete l'intervento   della professoressa Cecilia Robustelli  ( foto a   sinistra  ) , ordinaria di Linguistica italiana presso l’Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, che da anni lavora con l’Accademia della Crusca  e  che  si  occupa    del linguaggio  di genere  . Sono rimasto colpito dalla chiarezza del ragionamento e alcuni concetti mi sembrano inoppugnabili: innanzitutto, la distinzione tra il genere grammaticale (assegnato ai termini che si riferiscono agli esseri umani in base al sesso) e il genere socioculturale (cioè la costruzione, la percezione sociale, di ciò che comporta l’appartenenza sessuale); poi, il fatto che un sistema linguistico ha come scopo la comunicazione e dunque introdurre delle modifiche che la rendono difficoltosa - sia pure con le migliori intenzioni - fa sì che il sistema si inceppi; infine, il fatto che senza dubbio la lingua è un organismo vivo (come dimostrato dal fatto che ogni anno nei dizionari entrano parole nuove e altre, invece, cadono in disuso), ma i cambiamenti non possono essere altrettanto rapidi né altrettanto frequenti quando si parla delle sue strutture. In conclusione, credo che la schwa non rappresenti la soluzione dei problemi, e soprattutto che la prepotenza e l’arroganza di tanti suoi sostenitori rappresentino al contrario un problema in più del quale non sentivamo la mancanza. Ed lo  schwa  insieme  all'uso   degli asterischi alla  fine della  parola   o  nel mezzo in certi siti  per   coprire  come  una  foglia  di  fico (  meglio    i  puntini  di sospensione    o  un sinonimo  )  una     parola  volgare    sono   le  copse  di cui  appunto  non  si sente la mancanza  e  di cui   se  ne  può fare  a meno  

contro i femminicidi \ violenza del genere non servono nuove leggi ma maggiore preparazione nei magistrati e nelle forze dell'ordine oltre all'interno della scuola e dei centri ricreativi di una cultura della non violenza e della legalità

 premetto che   ,  anche   se  molti   di  voi   dovrebbero  saperlo  ,   Giulia Bongiorno   mi  sta non mi piace  culturalmente ed  ideologicamente    ma    qui  ha  perfettamente    ragione  .  

da    Oggi  16\12\201 


    

convivere o continuare a lottare con il tuo handicap ? io ho scelto di conviverci e l'accettarlo

 
La  risposta  alla mia auto  elucubrazione mentale     di tipo marzuliano     cioè  farmi  le  domande   e  darmi le risposte    è confermata  da    questa email   e dal botta  e  risposta  che n'è  scaturita  


“Ciao Ulisse 
Ti racconto la mia storia.
Ma tu sei sorda ? Sì.

Se mi hai risposto, non puoi esserlo.Quando mi trovo in una situazione come questa, mi viene sempre voglia di tirare un pugno. Poi mi pongo delle domande e provo a darmi delle risposte. Mi chiedo come mi vedono gli altri, cosa pensano. Per tanti anni ho nascosto a me stessa la mia sordità, dietro i capelli, fingendo che tutto andasse bene. Finché mi sono accorta che stavo vivendo solo a metà. Allora ho deciso di reagire. Ho iniziato a chiedere di ripetere quando non sentivo, a dire di parlare più forte, o più lentamente. Tutti si stupiscono quando faccio vedere l’impianto, perché l’unica sordità che conoscono è quella affiancata al mutismo. Quindi, per la gente, se sei sorda non dovresti saper parlare bene, né sentire quello che ti dicono, lavorare, guidare la macchina, dare gli esami da sola. Quando mi dicono così, vorrei gridare e far sapere a tutti quello che mi porto dietro. Anni di sofferenze, di sforzi, di giornate intere passate davanti allo specchio, cercando di posizionare la lingua nel verso giusto attraverso un cucchiaino che spesso mi faceva salire la nausea, giornate intere a guardare il movimento della mia bocca per vedere se era corretto, a fare gli esercizi che la logopedista mi assegnava.  Giornate intere per cercare di essere quella che sono.  Da due anni ho l’impianto cocleare, è come essere nata una seconda volta.  Da quando sono uscita allo scoperto, provo a parlare, a far capire alla gente la diversità di ognuno di noi, perché la disabilità non va classificata.  Ho sempre visto la mia sordità come un nemico da annientare.  Mi sono ostinata a essere quella che non sono, fino a quando ho capito che per sconfiggere davvero il nemico, avrei dovuto amarlo. E così è stato.

                   Grazie di cuore per l'attenzione  Antonella  


Cara   Antonella 
Sfondi  una porta    aperta  . Anch'io   sono sordo   per  il 90 % è  capisco  benissimo  la  tua situazione  pur  non avendo per mia rinuncia    la protesi  . Ho dovuto  rinunciare  perchè  : 1)    sarebbe stata  tutta  interna  e quindi c'è  la  paura   che  si possa guastassi o  sorga  qualche  problema   debbano   martoriarmi     ., 2)   perchè la prima  parte    , andata bene   , dell'intervento è  stata pesante   e   per     mettermi tale protesi  dovrebbero  riaprirmi    di nuovo  con il rischio , come  nell'intervento precedente   che toccando il nervo  ,  mi creino o provvisoriamente  o  definitivamente  una paralisi facciale   .
Quindi ho deciso d'accettare  , ulteriormente  che  a destra   non sento   in  quanto  l'orecchio  è  un orecchio chiuso    visto che la malattia precedente  ,  nonostante  diversi interventi , mi abbia  " mangiato  tutto l'apparato uditivo  interno . 
Ho  affrontato in passato e  continuo  ad  affrontarlo tutt'ora   il tuo  stesso problema  .  Infatti  nello scrivere  la  la  tesi di laurea   ho faticato parecchio per  il problema  degli spazi   tra  una parola  è l'altra . Infatti sul  web  nei News groups  ,   venivano  sopranominato la  pistola  del  web    perchè  scrivevo   con spazi molti    ampi  . 

Coraggio     non sei sola  


15.12.21

dietro le quinte di strappare lungo i bordi di zero calcare lo studio di animazione Doghead, Da migranti a modelli: una nuova vita in sartoria Beteyà, Nel papiro erotico tutta la satira degli egizi

Il lavoro, tra artigianato e tecnologia, dello studio di animazione Doghead, che ha realizzato la serie Netflix di successo "Strappare lungo i bordi"


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 Beteyà, in mandingo Bello e Buono, è una start up di abbigliamento con due negozi in Sicilia, ma soprattutto un progetto di integrazione ben riuscito portato avanti dall’associazione Don Bosco 2000.


I capi vengono realizzati e poi venduti da ragazzi migranti, ma anche da giovani siciliani disoccupati, che così trovano uno sbocco lavorativo. Parte del ricavato delle vendite servono per sostenere i progetti dell’associazione in Africa. La pandemia ha messo a dura prova la start-up. Alla Playa di Catania, dove si trova una struttura dell’associazione e dove, in quella stessa spiaggia, il 10 agosto 2013 furono ritrovati sei corpi di migranti , Omar e Monica, due dei protagonisti di Beteyà, raccontano le loro storie cucite sugli abiti che indossano.

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Il papiro egizio che nell'800 scandalizzò il padre dell'egittologia moderna, Jean-François Champollion, è stato restaurato e riportato a nuova vita grazie ad una collaborazione tra il Museo egizio di Torino e la Fondazione Crc di Cuneo.


Unico nel suo genere, il Papiro Erotico-Satirico è costituito da due parti che contengono illustrazioni satiriche ed erotiche, accompagnate da iscrizioni ieratiche. Nella prima parte si trovano disegnati alcuni animali in atteggiamenti umani e intenti a suonare alcuni strumenti musicali come una vera e propria orchestra: si riconoscono una scimmia che soffia in uno strumento a fiato, un coccodrillo che suona il liuto, un leone che imbraccia una lira e un asino che pizzica le corde di una grande arpa. Nella seconda parte ritrae uomini e donne impegnati in modo esplicito in attività sessuali. Il fatto che una parte del papiro mostri “vignette” irriverenti con animali impegnati in attività umane porta inoltre a far credere che anche la parte erotica possa essere stata realizzata con un intento umoristico, rappresentando situazioni che potevano intrattenere gli spettatori certamente di ceto elevato. Oggi è esposto allo spazio innovazione di Cuneo in una mostra che lo mette a confronto con i canoni moderni di "satira ed erotismo". Le immagini del restauro del Papiro sono state gentilmente concesse da "Robin studio" di Torino

14.12.21

smontare il sovranismo ? semplicissimo prendendoli alla lettera . il caso di Antonio Silvio Calò, 60 anni, professore di Storia e Filosofia, nel 2015, insieme alla moglie Nicoletta, ha deciso di compiere un atto rivoluzionario: ha accolto nella propria casa di Treviso sei ragazzi richiedenti asilo africani.


Quante volte lo abbiamo sentito dire: “ Perché non te li prendi a casa tua? ”
Antonio lo ha fatto davvero, dando loro una casa, un lavoro, un futuro. proprio per questo, in tutti questi anni è stato insultato, minacciato dai neofascisti   di forza  nuova  e  dalla    lega .
Quest  ultimi , hanno circondato l’abitazione con sei bandiere dell’indipendenza veneta, gli hanno augurato che stuprassero la moglie e la figlia . Ma  lui    non  se n'è  curato  è andato avanti per la sua strada. E, alla fine, ha vinto la sua scommessa. “Oggi i miei figli lavorano tutti, pagano le tasse e alcuni hanno deciso di sposarsi - ha detto di recente - Se ci sono riuscito io che sono un insegnante, può farlo a maggior ragione lo Stato. Se si vuole, si può fare!".
Quelli come Antonio e Nicoletta fanno paura perché, con le loro azioni, smontano anni di retorica razzista e sovranista, dimostrano che l’accoglienza non solo si può fare ma funziona se  si  vuole  .



E questa è la loro meravigliosa famiglia.

 concludo citando   quest  articolo  di VANITY FIRE del 21 NOVEMBRE 2021
Migranti, Antonio Calò: «L'accoglienza si può fare»
Il professor Antonio Silvio Calò ha accolto sei ragazzi africani in casa sua. «Io, mia moglie e i nostri quattro figli siamo gente comune. Se l’abbiamo fatto noi, può ben farlo lo Stato, i comuni» dice. Il Parlamento europeo lo ha eletto Cittadino europeo 2018 e il Presidente della Repubblica lo ha premiato come Ufficiale al merito. Ha raccontato la sua storia in un libro
DI CHIARA PIZZIMENTI
Migranti Antonio Calò L'accoglienza si può fare
«Se non si vuole non si potrà mai, lo abbiamo dimostrato noi facendolo. È chiaro che manca la volontà politica». Il professor Antonio Calò non è tipo da mezze misure e da mezze parole. Quello che ha dimostrato insieme alla sua famiglia è che l’accoglienza può essere realtà. Nella sua casa in
provincia di Treviso, insieme alla moglie e ai quattro figli ha ospitato sei giovani profughi arrivati dall’Africa. Questa esperienza è diventata un libro: Si può fare. L’accoglienza diffusa in Europa, edito da Nuova Dimensione, scritto da Antonio Silvio Calò insieme a Silke Wallenburg, giornalista, in versione italiana e inglese. È una forma di accoglienza che il professore definisce diffusa e che, a suo parere si potrebbe fare in tutta Europa. «La nostra esperienza è diventata un progetto europeo, Embracin, fatto in sei città compresa Padova: ogni comune con 5000 abitanti può accogliere sei persone e così a salire in base al numero di abitanti. Contando che in Europa ci sono 500 milioni di abitanti, applicando questo sistema l’invasione non c’è più». Quando il professore è andato la prima volta in prefettura a chiedere di ospitare un gruppo di rifugiati è stato guardato come se fosse pazzo. «All’inizio siamo stati visti come disgraziati, persone pericolose. Siamo stati minacciati. La gente non ci salutava più», spiega Calò che insegna storia e filosofia, «quando però la comunità si è avvicinata, ha capito che erano sei ragazzi». Non ha mai temuto il fallimento perché sentiva di stare creando una famiglia nuova. «Non abbiamo avuto difficoltà interne, non ci siamo scannati come si attendeva qualcuno. I timori che molti esprimevano per mia moglie e mia figlia non avevano alcun fondamento. Mia moglie ha sei guardie del corpo. Per loro la madre è sacra». Aggiunge con un pizzico di orgoglio di essere stato al matrimonio di uno dei ragazzi. «Siamo stati presentati ai genitori della sposa. Ci ha detto che darà il mio nome o quello di mia moglie al futuro figlio o figlia. Questo ragazzo è andato via da casa. Ha fatto otto mesi di galera in Libia, ha fatto la traversata, è arrivato qua con nulla. Adesso ha un lavoro a tempo indeterminato, una moglie, una casa, un’auto e un’autonomia». Il professor Calò parla di accoglienza in Europa, ma anche di prevenzione in Africa, con progetti a lungo termine. «È possibile fare una programmazione, ma solo con un processo di reale decolonizzazione. Accoglienza e prevenzione devono andare avanti in parallelo. La parola chiave è accompagnare. L’accoglienza non può essere una cosa di comodo per colmare il nostro deficit demografico».

Pietro Carmina, una delle vittime della tragedia di Ravanusa, è stato per 43 anni professore di filosofia, amatissimo dai suoi studenti.

colonna  sonora  

Albinoni - Adagio in G minorAdagio in G minor Bach - Air on a G string


Pietro Carmina, una delle vittime della tragedia di Ravanusa, è stato per 43 anni professore di filosofia, amatissimo dai suoi studenti. L’ultimo giorno di scuola della sua vita ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi studenti questa “lettera d’addio” di scintillante bellezza. A rileggerla oggi, quasi un testamento morale.

"Ai miei ragazzi, di ieri e di oggi.
Ho appena chiuso il registro di classe. Per l'ultima volta. In attesa che la campanella liberatoria li faccia
sciamare verso le vacanze, mi ritrovo a guardare i ragazzi che ho davanti. E, come in un fantasioso caleidoscopio, dietro i loro volti ne scorgo altri, tantissimi, centinaia, tutti quelli che ho incrociato in questi ultimi miei 43 anni.
Vorrei che sapeste che una delle mie felicità consiste nel sentirmi ricordato. Ma una delle mie gioie è sapervi affermati nella vita; una delle mie soddisfazioni la coscienza e la consapevolezza di avere tentato di insegnarvi che la vita non è un gratta e vinci: la vita si abbranca, si azzanna, si conquista. Ho imparato qualcosa da ciascuno di voi, e da tutti la gioia di vivere, la vitalità, il dinamismo, l'entusiasmo, la voglia di lottare,
Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi: infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non "adattatevi", impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa: voi non siete il futuro, siete il presente. Il pullman è arrivato. Io mi fermo qui. A voi, buon viaggio".

Primi regali di Natale 20021 Murder Ballads di Micole Arianna Beltramini e Daniele Serra

lo  so che  non si dovrebbero aprire  i  regali di natale   . Ma  in questo  caso si tratta    di un  desiderata   ovvero uno di quelli che  ,  come    si faceva    da  bambino  si  chiedevano  con le   lettere  a  babbo  natale  \  Gesù bambino  . 
E  poi la  curiosità   che mi ha spinto ad aprirlo e divorarlo subito  è  stata  tanta   visto  che :  1)   avevo    già assistito  (  ne  trovate sotto  delle  foto  da me  scattate     )     a fine  ottobre , il 28 ottobre per essere più precisi ,    alla presentazione con gli autori  a tempio Pausania  organizzata  dalla  libreria  Ubix  ex  Max88  .  2)   avevo letto le  ottimi recensioni     e  visto interessanti servizi  in  tv  in particolare  quello della  trasmissione  letteraria   Petrarca di rai  tre  .



 




In esso si respira la stessa atmosfera di From Hell di Alan Moore. Forse perché la realtà, quando diventa incubo, è la cosa più potente che si possa raccontare. Fa paura, come è giusto che sia. Inquieta, come a volte ne abbiamo bisogno. Bellissimo. IL libro anzi meglio il graphic  novel    in questione  è    Murder Ballads, una antologia di racconti scritti da Micol Arianna Beltramini (  secondo me  Last Goodbye. Un tributo a Jeff Buckley  ) e disegnati da Daniele Serra (Seraphim’s Hellraiser Anthology, Fidati è amore).L'approccio di questo volume italiano è molto interessante per la notevole cura che il progetto rivela sotto ogni aspetto. Infatti   ad  ogni ballad  c'è   un  breve    ma molto  dettagliato testo introduttivo   che  ne  anticipa lo sviluppo .I due autori, con colori intensi e atmosfere suggestive, reinterpretano racconti narrati nelle cosiddette “murder ballad”, brani di un sottogenere della ballata basati su fatti di cronaca particolarmente cruenti, che restano impressi nella memoria collettiva anche grazie al loro adattamento musicale o letterario/cinematografico 

Nella musica contemporanea un esempio del genere sta nell’album Murder Ballads di Nick Cave & The Bad Seeds, noto in particolare per la canzone Where The Wild Roses Grow, interpretata insieme a Kylie Minogue.   Ne  cinema il film  Small  town Murder  song   del 2011  o  Yara  film di Marco Tullio Giordana uscito al cinema il 18 ottobre 2021, prodotto da Taodue e distribuito da Netflix da  novembre  .  Ma  non divaghiamo  , ritorniamo   all'opera  in questione  . Essa  è  un  volume  \    libro  bellissimo    intenso ,  molto onirico e  gotico  . Infatti gli adattamenti a fumetti raccolti in questo volume non si limitano a raccontare gli eventi narrati nelle ballad  scelte  , ma li trasformano in storie intrecciate che giocano tra passato e futuro, caso e destino, azioni malvagie e orribili conseguenze delle stesse. Infatti  concordo con quanto  dice   su  https://www.amazon.it/Murder-ballads-Micol-Arianna-Beltramini/dp/8804742100


Emanuela A. Imineo

5,0 su 5 stelle Dal blog Il mondo di sopra Recensito in Italia il 26 ottobre 2021
[...] cosa si può dire di un qualcosa di così immenso e allo stesso tempo così tagliente come una lama che affonda nella carne?
Murder Ballads è una graphic novel che racconta storie fredde e abissali; storie che sfiorano la leggenda su episodi realmente accaduti dove l'oscurità non aleggia soltanto nell'aria ma nella stessa anima.
Oscar Ink della Mondadori trascina il lettore in un vortice di dolore e sangue dove le storie diventano cicatrici sulla pelle, dove il dolore si vive completamente e dove le immagini rimangono impresse nella mente sia per i colori cupi, sia per quella matita così minuziosamente dettagliata.
Le storie di Murder Ballards si vivono e non si leggono soltanto. Gli autori rendono completamente viva l'opera dove, questa creatura mostruosa, non lascerà andare il lettore se non arrivati alla parola fine.
Ogni storia così ricca di dettagli, incanta con la morte e scaraventa il lettore fuori dalla propria comfort zone lasciando immobili davanti non soltanto alla cruda realtà ma alla stessa delicatezza con cui gli autori riescono ad affrontare il tutto.
Una graphic novel che toglie il fiato; una graphic novel che respira e, allo stesso tempo, non lascia scampo.


Andiamo adesso ad  analizzarlo    sviscerarlo storia   per  storia  


La prima, 
"Babes in the woods",Bambini nel bosco, nasce come filastrocca per bambini e si trasforma in disturbante ninna nanna; è fonte di ispirazione per Hansel e Gretel è il nome di archivio di quattro omicidi che hanno come comun denominatore i bambini e il bosco.



La  meno   sanguinolenta   dal punto di  vista  esplicito ma  non per  questo   essente  da   atmosfere gotiche  e noir    come  si vede anche  nei  disegni     sublimi di  Daniele      che  sembrano uscita  da  una  fiaba   \  racconto   dell'est  Europa  in particolare   della  ex  Urss. Infatti   essa   è un racconto tradizionale per bambini di fine '500, secondo un diffuso archetipo della fiaba che ritorna in numerosissime fiabe: i bambini abbandonati nel bosco da un esecutore che non si decide a ucciderli.
Tale  storia resa particolarmente angosciante dal tema infantile, è resa tramite il disegno a matita, in un bianco e nero sfumato di grande potenza evocativa, perfetto a rendere l'essenza di una foresta immersa in brume inquietanti. La storia procede per grandi splash pages, su cui domina l'intrico degli alberi della foresta, in un groviglio di segni impeccabile, volutamente soffocante, fino alla cupa chiusura che collega la leggenda originaria ad altri casi purtroppo reali, e chiude con l'inserimento a colori di una macchia di sangue rosso che va a sporcare l'ultima tavola.

la seconda storia, Giù al fiume, contiene l’adattamento delle ballad Knoxville Girl e Omie Wise, entrambe basate su femminicidi: giovani donne massacrate e gettate nel fiume dai loro seduttori, che non volendo sposarle decidono di sbarazzarsi dei loro corpi. Un killer che sembra rappresentare hannibal del il silenzio degli innocenti .
Proprio  co essa  ci si sposta   su un campo sempre di tragica attualità, il femminicidio, purtroppo un tema molto diffuso nelle Murder Ballads, narrato a partire dalla rielaborazione dei fatti di Knoxville Girl
da https://www.drcommodore.it/


(e altre ballate), risalenti al 1683.  « La scelta è --  come fa  notare  questa  bellissima   recensione    da  cui  ho preso  le  foto  eccetto la seconda e la  quarta    scattate  da me    di  https://fumettismi.blogspot.com/-- quella di inserire qui il colore, nelle modalità di un acquerello che parte dai toni seppiati delle sequenze iniziali per approdare al blu acquoso delle scene cruciali, dove - anche qui - il rosso del sangue viene a trionfare. L'acquerello qui è assolutamente dominante, non limitato in alcun modo dalla linea di contorno, all'opposto della storia precedente dove spiccava invece segno a matita spiccava per l'assenza dell'usuale ripasso a china e del colore.»
Infatti   ogni storia, di qui in poi, avrà la particolarità di una diversa scelta rispetto alle tecniche di colorazione e disegno, che pare affatto casuale ma invece , ogni volta perfettamente congeniale alla narrazione di quel preciso ambito delittuoso.
E poi non rimase nessuno, la terza storia, è la trasposizione quasi filmica di uno dei massacri più terrificanti dello scorso millennio: Charles Lawson, padre di sei figli, porta la sua famiglia in città a comprare vestiti nuovi e a fare una foto; il giorno di Natale li massacra tutti tranne uno, e poi si spara in testa. 
Bellissima la scelta stilistica e grafica e quindi ancora una differente modalità visiva.
 Qui da quel poco che so , non avendo fatto studi artistici  ma un semplice esame di storia dell'arte , Il disegno m'appare nel più consueto bianco e nero chinato, con un riempimento con un singolo tono di grigio per un risultato che pare rimandare sia alle vecchie fotografie, al vecchio cinema, che funziona nuovamente bene con questa storia con cui ci spostiamo, in modo centrale, verso una narrazione relativamente "più moderna" ( negli altri casi, benché la storia principale fungesse da spunto per inserire poi altre ballad simili, a dimostrare la ricorrenza di questi archetipi nella realtà e nell'immaginario, si partiva da ballad antiche, con radici medioevali, quando questo immaginario si consolida). Infatti La terribile vicenda della famiglia Lawson ci porta invece agli anni '30 del Novecento, in quella disperante campagna statunitense da American Gothic su cui si sta per abbattere la Grande Depressione narrata da Steinbeck



 A questo scorcio di inquietudini note, qui declinate in una chiave particolarmente cupa, si aggiunge qui il tema della spettacolarizzazione dell'orrore, un elemento tipico della modernità novecentesca. Anche qui, permane la scelta dell'inserto rosso su uno sfondo monocromatico
(o su una scelta di campiture di colore uniformi, come nel blu della seconda storia), secondo una tecnica che è frequente nel cinema e nel fumetto (la Sin City di Miller) ma che qui, in modo interessante, viene applicata in modo differente su ogni storia, stante la differente scelta coloristica di partenza. A farne da colonna sonora è la bellissima canzone di cui trovate sotto il video ( in realtà è un salmo ed è davvero la citazione di questo salmo che c'è sulla tomba dei lawson come testimonia la foto che riporto   sopra  a sinistra lasciatami dall'autrice in un commento sulla mia bacheca di Facebook ) nel finale del racconto


                                                        

Un  Racconto   triste  ma allo stesso tempo pieno     di speranza  per tutte le  donne in fuga  ( reale  o immaginaria   ) dai femminicidi o da  un amore   malato 

La quarta storia, "Brigantesse si muore", si  passa a un puro bianco e nero con netti contrasti, ma l'elemento del rosso interviene in un modo ancora diverso, come si vede nella tavola sopra, mescolandosi all'inchiostro nero quando si deve sottolineare, come al solito, l'elemento cruento tipico di questo tipo di opera. Il focus in questo caso è italiano, sul brigantaggio meridionale postunitario, e in particolare, questa volta, sulle figure di brigantesse, spesso anch'esse al centro di ballate popolari di fine sfortunata come i loro omologhi maschili. L'oppressione della repressione dello stato unitario si unisce qui alla marginalità ottocentesca (e ancora attuale, purtroppo😢🙄) della figura femminile, con una maggiore coerenza tematica con l'argomento di fondo del volume, che pur includendo anche vittime maschili si focalizza soprattutto su una femminilità schiacciata e oppressa, di cui le Ballads si fanno voce dolente nel sentire popolare. In essa s'affronta il tema del brigantaggio in Italia dal punto di vista delle compagne dei briganti: libere, indomabili, capaci di atti di amore e di vendetta atroci. Senza dimenticare, poi, tutte quelle donne di modesta estrazione sociale che, per sfuggire ad una vita grama, di stenti e di inenarrabili patimenti fisici e morali, presero la risoluzione di seguire i loro uomini, ma  anche  non  , dandosi alla macchia e mettendosi, di fatto, nel bel mezzo di una strada pericolosa e, il più delle volte, senza ritorno. Inoltre  secondo  https://www.cdsconlus.it/index.php/2016/09/30/le-brigantesse-drude-o-eroine/

Molte di esse, poi, non furono brigantesse ma soltanto mogli, compagne, amanti di uomini che avevano deciso di combattere gli ‘invasori’ nordisti. Un dramma nel dramma, dunque, consumatosi nell’indifferenza, nel silenzio e nel disprezzo. La storia, infatti, come sempre scritta dai vincitori, con un’energica sbianchettata, ha cancellato quasi completamente queste tragiche e dolorose vicende, limitandosi a fare di tutta l’erba un fascio. E così quelle tante donne sono diventate ‘drude’, ossia prostituite, concubine, femmine di malaffare e da bordello, additate al pubblico ludibrio e alla più feroce esecrazione.

Infatti  la narrazione   di  questo  graphic novel   smonta     tale  preconcetto    .  Una delle  mie  preferite  soprattutto  per il finale   e per  il modo     con  cui  Daniele  serra    ritrae  Michelina De Cesare, 



una delle pochissime "brigantesse" uccise in combattimento:  di  cui la  foto   sotto   al centro    presa  da http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Briganti/Brigantesse4.htm


da http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Briganti/Brigantesse4.htm


scattatale dopo la morte, mette in evidenza lo scempio fatto sul suo cadavere. Nelle macabre fattezze di Michelina, sconvolte dalla violenza,  rappresentate in maniera  sublime     dal  disegno  di Serra      vedi sopra   si può leggere,  allo stessa  maniera  dell'originale  ,  tutto il dramma e le sofferenze dei contadini del Mezzogiorno .                                    

 La quinta    ed  ultima  (   peccato     mi ci stavo  affezionando 😢🤣 )  storia, Solo un giorno come le rose, reinterpreta la canzone di marinella   di De Andrè    senza la  classica  retorica  della  mitizzazione e santificazione   agiografica   che caratterizza  la stessa  figura    di   de  Andrè  e  i  Cantautori   degli anni 60\70 con preziose illustrazioni che ricordano  le fiabe russe  ma  anche  le  classiche incisioni   miniate   dei monasteri medievali   La canzone di Marinella di De André, affiancandola alla storia della vera Marinella: Mary Pirimpò, giovane prostituta milanese assassinata e gettata nel fiume   forse   perché sapeva troppo o   per   un  rapporto con un cliente  sadico    finito male  .

Il   ritorno     di  Daniele   a un bianco e nero a mezza tinta (che torna a richiamare l'elemento fotografico, o forse di fotogramma filmico  o meglio  da  giornale      rosa     \  da  parrucchieri come  dice    Faber  in una storia sbagliata  ), squarciato però da ampi riquadri in splash page, come miniature medioevali che contrappuntano con la storia del sogno romanzesco la storia prosaica della realtà, quella trasposta da De André in Marinella: Mary Pirimpò, giovane prostituta milanese assassinata e gettata nel fiume. Il rosso non appare questa volta inserito nelle tavole in bianco e nero, perché è presente, in mezzo agli altri colori, nelle grandi tavole colorate di gusto gotico, o forse ancora meglio romanticamente neogotico. Da notare  inoltre  , in modo metanarrativo, la giovane prostituta legge avidamente i fotoromanzi (i fumetti fotografici esplosi negli anni '40 / '50) che offrivano un sogno di evasione in quella dura Italia dell'immediato secondo dopoguerra, leggendo le vicende romanzate dei Promessi Sposi, così lontane dalle sue ben più prosaiche, realistiche e terribili. Alla minaccia di Don Rodrigo - o del Griso, su cui fantastica Mary - non si oppone in questo caso una Divina Provvidenza che la salvi come la purissima, astratta Lucia Mondella.


Concludo  questa  mia recensione  condividendo in pieno quella del già citato https://fumettismi.blogspot.com/



 [...] Ci è parso utile mettere in evidenza soprattutto questa raffinata costruzione simbolica, che usa ottimamente lo specifico del fumetto (in questo caso, le scelte del colore, e l'uso di un colore simbolico come leitmotiv) in modo originale e brillante.
Naturalmente, è giusto rimarcare ulteriormente, come dicevamo all'inizio, la particolare riuscita dell'opera nel suo complesso, grazie a un affiatamento artistico che si intuisce particolarmente riuscito tra i due autori.
I testi di Beltramini sono essenziali, come si confà all'evocazione dell'essenzialità della parola lirica della ballata, ma intagliati con particolare cura e perfettamente inseriti nell'ideazione della narrazione per immagini. Al contempo, lasciano pienamente spazio alla interpretazione visiva di Serra, la cui abilità magistrale viene bene messa in luce dal gioco di variazioni che abbiamo detto (le quali, tuttavia, come abbiamo cercato di evidenziare, non sono un mero esercizio di stile ma ben congegnate per esaltare lo specifico di ogni storia).
In ogni caso, l'autrice rende ulteriormente ragione delle scelte in brevi testi introduttivi di una pagina, in cui offre al lettore possibili chiavi di lettura, una sintetica contestualizzazione storica, rimandi ad altre ballad o a riletture musicali di quella centrale. [...] 


Insomma, un'opera cupa e neo romantica  \  decadentista  , che ci fa gettare uno sguardo a storie dimenticate dal tempo che è però bene continuare a ricordare, per la loro capacità di parlare all'oggi o anche solo, forse, per intrattenerci melanconicamente e offrire a quelle figure sbiadite l'omaggio del ricordo alvandole  dalla polvere  e dall'oblio  del tempo e della storia  . Storie  che per l'italiano  medio   \  l'opinione pubblica  , sono,   quelle che    i media   chiamano  nazional popolare   sfruttano  per riempire i loro spazi vuoti o nascondere fatti importanti   sono   come  

E' una storia da dimenticare
e' una storia da non raccontare
e' una storia un po' complicata

  In fondo, questo è forse lo scopo delle ballate, e l'incarnazione in fumetto come questo   testimonia la testarda longevità di questa forma di narrazione autenticamente popolare  ripresa  dal duo  Micol -Serra  . Speriamo   di rivederli di  nuovo all'opera   in muder ballads   2 o  qualcosa  di simile