14.10.23

La forza esemplare del piccolo Mariano, “Il capitano”. La madre: «Ora abbiamo una speranza»La storia del bambino di 9 anni ricoverato a Bologna per una malattia rara. «Tanta solidarietà dopo l’articolo del Corriere della Calabria» diEmiliano Morrone

Oggi siamo tornati sulla vicenda del piccolo Mariano, "Il capitano", che da poco è rientrato da Bologna con nuove speranze. Forse c'è un farmaco che può cambiare la sua vita. Nello scorso aprile avevamo raccontato la storia commovente di questo bambino prodigio, che affronta la propria malattia con coraggio esemplare e la grazia della fede, con l'affetto dei genitori e tanta solidarietà da parte di molte persone, alimentata dall'intervista di sua madre al nostro giornale. Leggete e condividete, è servizio pubblico del Corriere della Calabria

                        da   https://www.corrieredellacalabria.it/  13\10\2023

La forza esemplare del piccolo Mariano, “Il capitano”. La madre: «Ora abbiamo una speranza»La storia del bambino di 9 anni ricoverato a Bologna per una malattia rara. «Tanta solidarietà dopo l’articolo del Corriere della Calabria» 

                                   di  Emiliano Morrone  

 


 VENA DI MAIDA Mariano è appena rientrato a casa: a Vena di Maida, nel Lametino. Il bimbo era stato di recente ricoverato nel reparto di Pediatria del policlinico Sant’Orsola di Bologna, per approfondimenti sulla malattia rara che l’ha portato a pesare 143 chili all’età di nove anni.Nell’aprile scorso, il Corriere della Calabria aveva raccontato la storia del piccolo, di continua emigrazione sanitaria assieme ai genitori, gravi affanni quotidiani e uno straordinario coraggio personale. Era stata sua madre, l’avvocato Tamara De Fazio, a riassumerla in una lunga intervista, che – oggi riferisce – «ha determinato una solidarietà enorme e cambiato la vita della nostra famiglia». «Da Bologna siamo tornati con delle speranze. Lì, i medici – riferisce la signora – ci hanno detto che un farmaco sperimentale potrebbe essere utile al futuro di nostro figlio. Percorriamo una strada nuova, sorretti dalla fede che ci accompagna e dall’umanità, dalla comprensione e dall’aiuto che riceviamo in paese e ovunque ci troviamo».Mariano ha una grande vivacità intellettuale. È estroverso, simpatico, espansivo. Ama leggere, vuole conoscere in profondità i vari argomenti, pone domande acute, suona diversi strumenti musicali e serve la messa. Il bimbo ha una forza d’animo esemplare, a scuola è il leader della classe e i suoi compagni l’hanno ribattezzato “Il capitano”, riconoscendogli la fermezza di chi guida una nave resistente alla tempesta.«Il nostro viaggio a Bologna è legato – precisa la signora De Fazio – all’attenzione pubblica, sulla vicenda di Mariano, suscitata dal vostro giornale. Appena uscì la mia intervista, intervenne la Garante regionale della salute, Anna Maria Stanganelli, ci fece ottenere dei presìdi indispensabili e accelerò l’arrivo di una sedia a rotelle per il nostro bimbo. Il chirurgo ortopedico Massimo Misiti ci mise in contatto con alcuni specialisti dell’ospedale Rizzoli di Bologna, che presto videro Mariano per migliorarne la deambulazione. Lì, al Rizzoli, viste la patologia complessa e l’obesità importante del bambino, crearono un ponte con il Sant’Orsola, in particolare con il dipartimento pediatrico, in modo che lo visitasse subito il professore Andrea Pession, luminare e direttore di quella struttura».
E poi?«Al Rizzoli, i professori Cesare Faldini e Francesco Traina, che si erano ben documentati sulla storia di Mariano, avevano già preparato la strada per farci incontrare subito i pediatri del Sant’Orsola. Ricordo bene quel giorno. Era il mattino del 22 giugno scorso. Faceva caldissimo e venivamo da un viaggio estenuante in auto, poiché Mariano non aveva potuto prendere l’aereo. Il piccolo era sudato, stanco, privo di forze. Parcheggiamo la vettura all’ombra, vicino al Sant’Orsola, e io mi fiondo dal professor Pession. Lascio in auto mio figlio con mio marito. Parlo con gli specialisti e loro mi chiedono dove si trova Mariano per raggiungerlo alla macchina».
Allora escono dall’ospedale?
«Si, e vanno sino all’automobile, conoscono il bambino e ci propongono di ricoverarlo in giornata per avviare sofisticate indagini e studiare il caso. Manifestano una cordialità e un’umanità uniche. Noi non eravamo organizzati per il ricovero, avevamo programmato di rimanere a Bologna soltanto per le visite di quel giorno. Quindi il professor Pession e la sua équipe ci fanno rientrare di nuovo in Calabria e ci anticipano che, prima dell’inizio della scuola, Mariano potrà tornare per essere rivalutato. In effetti, arriva settembre, loro ci contattano e ci fanno partire il 14 del mese. Affrontiamo ancora una volta un viaggio complicato, sempre in macchina. Mariano adesso pesa 143 chili, necessita di pannoloni per la notte e tanto altro da portare. Arriviamo in ospedale nella giornata del 14 settembre. Dovevo restare io con il bambino, mio marito Dino aveva necessità di rientrare per lavoro. A Mariano danno una stanza singola e a me un posto accanto per fornirgli assistenza diretta».

Però qualcosa va storto?
«Sì, al punto che dobbiamo cambiare i programmi. Dopo dieci anni di viaggi della speranza, ci abbandona la nostra vettura, acquistata poco dopo la nascita di Mariano. Mio marito resta quindi a piedi, è costretto a tornare a Bologna, a chiamare un carro attrezzi e a lasciare in un deposito l’automobile, che attendiamo di riportare in Calabria con una bisarca. Dino arriva di nuovo in ospedale e ci ritroviamo in stanza con Mariano, con cui poteva restare soltanto un genitore, secondo le regole del reparto».
Un’odissea, insomma.
«Di più. Non c’erano posti negli alberghi vicini, pieni per un concomitante evento pubblico. Infermieri e medici sono gentilissimi, sorridenti, empatici. Capiscono la situazione, ci consentono di stare con Mariano e ci procurano due poltrone come letti. Per circa otto giorni, allora, riusciamo ad assistere il piccolo in ospedale e l’aiutiamo a spostarsi nei vari padiglioni, a sottoporsi agli esami previsti».
Che cosa emerge?
«I medici presumono che l’obesità di Mariano, con la quale combattiamo ormai da dieci anni, sia di origine genetica. Ci informano che, se l’ipotesi è confermata dagli accertamenti, forse per Mariano si può utilizzare un farmaco sperimentale, già commercializzato all’estero ma non in Italia, che potrebbe cambiare il destino, la vita di nostro figlio. Però ci vorrà ancora del tempo: si parla di dicembre o gennaio, per capire se si potrà utilizzare questa molecola innovativa, ora in uso in Germania e in Inghilterra».
E nel frattempo?
«Un dato è certo: adesso alle spalle abbiamo un pool di medici, dal genetista all’endocrinologo. Anche dal punto di vista respiratorio, Mariano è stato rivalutato, quindi il ventilatore polmonare col quale dorme di notte è stato riprogrammato. Il bambino è stato seguito e sorvegliato durante la respirazione notturna. Diversi parametri andavano aggiornati, modificati. Anche la mascherina che utilizzava doveva essere sostituita con una più adeguata. Ecco, adesso ci sentiamo più garantiti, sicuri: siamo seguiti da specialisti che, con controlli e ricoveri periodici, vogliono fare il massimo, il meglio per il nostro bambino. Abbiamo ricevuto, ribadisco, gentilezza, umanità e attenzioni meravigliose. Mariano ha mostrato la sua vivacità ai medici e agli infermieri che si sono presi cura di lui. Perciò, abbiamo un bellissimo ricordo di quei volti, di quelle persone, la gran parte di origini calabresi e siciliane».

Come siete ritornati?
«Viene il momento di rientrare a casa, noi non abbiamo più la macchina ma ci tocca riportare indietro tanta roba. Da Vena ci inondano di telefonate di solidarietà, al punto che non riusciamo più a rispondere al telefono. Quasi ogni giorno il telefono squilla tra messaggi e telefonate. Tutti vogliono sapere le condizioni del “Capitano” e le eventuali novità. Quando, poi, si diffonde anche la notizia che siamo rimasti a piedi, si scatena una solidarietà inimmaginabile».
Cioè?
«C’era chi sarebbe partito di notte per arrivare il giorno dopo; chi aveva noleggiato un furgone, chi aveva preso un’altra macchina per venirci a prendere. Ci ritroviamo alla fine con 10 o 15 persone pronte a noleggiare un mezzo per arrivare a Bologna e riportare a casa “Il capitano” con una macchina comoda, adatta alle sue esigenze. A un certo punto, ci assale pure l’imbarazzo: se dicevamo di sì a uno, magari l’altro ci restava male. Non avevamo nemmeno una data certa né l’orario delle dimissioni. Perciò fatichiamo a gestire questo aspetto. Inoltre, dobbiamo vedere, quando arriverà, di che morte dovrà morire la nostra macchina, che ci ha lasciato a piedi e senza parole. Anche in questa vicenda di sfortuna, abbiamo trovato affetto e solidarietà smisurati. Quando Mariano è poi rientrato a scuola, è stato accolto a braccia aperte con un cartellone enorme, una festa commovente. Stessa cosa hanno fatto in chiesa, perché Mariano frequenta la parrocchia».
Che cosa ne ha tratto?
«Niente è casuale, se credi nel Signore. Se non combattessimo ogni giorno, non sapremmo che ci sono persone così vicine, umane, premurose. Prima di partire, alcune mamme della classe di Mariano, diversi bambini e altre persone hanno voluto salutare di persona nostro figlio. La scuola sarebbe iniziata il 14 settembre e lui sarebbe stato assente per via del ricovero a Bologna. C’è stato anche chi, per il viaggio di Mariano, ci ha portato una crostata con marmellata senza zucchero. Siamo storditi da tanta amorevole partecipazione. Prima di partire, Mariano, che ama leggere anche in pubblico, ha voluto scrivere e recitare la preghiera dei fedeli, con cui ha augurato buon anno scolastico ai bambini e ragazzi della comunità di Vena».
Quali sono, ora, i suoi sentimenti?
«Si sono riaccese le nostre speranze e abbiamo potuto allacciare rapporti umani autentici, splendidi. L’informazione ha mosso le coscienze. Significa tanto, non solo per noi». (redazione@corrierecal.it)

13.10.23

I Sama-Bajau, il popolo capace di vivere in mare grazie a delle mutazioni genetiche





Un altra  storia     dopo   quelle  già precedentemente  riportate  (  I II  )   sul mare   e   sulle  acque  . Che  fanno parte      di noi   nella  nostra    vita  non  solo   come  luogo    di vileggiatura o  di  sfruttamento ma   anche come  vita  , avventura ,   e libertà  . Ma   soprattutto 
«Una goccia d’acqua potente è sufficiente per creare un mondo e per dissolvere la notte. Per sognare la potenza è sufficiente una goccia immaginata in profondità. L’acqua così potenziata è un germe che dà alla vita uno slancio inesauribile».                                                                                        Gaston Bachelard

A volte succede che articoli trovati mentre cazzeggio sulla home di https://www.bing.com/o su msn.it ti facciano venie alla mente vecchi ricordi tipo la mostra di genesi di Salgado teuta a Genova nel 2016   e  confermano  e  mi  fanno  venire   voglia   di  adare  (  con la  fantasia   )  alla  prossima  mostra    di  Sebastião Salgado a  Palazzo Ducale    di Genova   intitolata  appunto  Aqua Mater  e  che  si terra    
dal 23 marzo 2023 al 14 luglio 2024,

The Daily Digest
Storia di Zeleb.es •18 min.






Uno studio recente ha rilevato che un popolo nomade del sud-est asiatico potrebbe essersi


evoluto geneticamente per poter immergersi meglio . A differenza della maggior parte degli esseri umani, i Sama-Bajau vivono nel mare e trascorrono il 60% del loro tempo sott'acqua.Il loro stile di vita ha suscitato l'interesse dei ricercatori del Centro di geogenetica dell'Università di Companhge, in Danimarca. Melissa Llardo, l'autrice principale dello studio, si è recata dove vivono i Sama-Bajau per incontrarli e studiarli.








Sono un popolo nomade, che vive nelle acque delle Filippine, della Malesia e dell'Indonesia. Si immergono per pescare e usano elementi trovati nel fondo del mare per realizzare oggetti artigianali.



Melissa Llardo ha spiegato al programma "Inside Science", della BBC, che: "Forse per migliaia di anni, hanno vissuto in case galleggianti, viaggiando da un posto all'altro sulle acque del mare, e fermandosi sulla terraferma solo di tanto in tanto". Per questo motivo i Sama-Bajau

hanno sviluppato una straordinaria capacità di immersione e possono trattenere il respiro per ben 13 minuti, fino a 60 metri di profondità, ha spiegato il National Geographic. Perché studiare la milza? La milza controlla, immagazzina e distrugge le cellule del sangue. Grande circa quanto il pugno di una mano, si trova nella cavità addominale, appena sotto i polmoni. Quando ci immergiamo, funziona come una bombola subacquea biologica, aumentando la disponibilità di ossigeno, secondo la BBC. Un altro fattore, che ha fornito indizi sul fatto che la dimensione della milza potrebbe essere correlata alla capacità di immergersi, sono i mammiferi marini, come le foche, che hanno una milza proporzionalmente più grande





" Ho preso un dispositivo portatile ad ultrasuoni e un'attrezzatura per la raccolta della saliva. Siamo andati in diverse case e abbiamo raccolto immagini delle loro milze", ha detto l'autrice dello studio, a proposito della sua visita in Indonesia .Dopo aver misurato questo importante organo, i ricercatori hanno scoperto che la loro milza era più grande del 50% rispetto a quella

dei loro vicini, i Saluan, che vivono sulla terraferma ed entrano in acqua solo occasionalmente.Tutti i Sama-Bajau avevano milze con misurazioni simili
I ricercatori hanno anche osservato che i Sama-Bajau che svolgevano altre attività e, quindi, abitualmente non si immergevano, avevano una milza delle stesse dimensioni dei loro familiari.
Quindi, secondo lo studio pubblicato sulla rivista Cell, tutto indica che l'aumento delle dimensioni della milza è potenzialmente un'evoluzione genetica e non un adattamento momentaneo dell'organo. Tuttavia, Llardo ha avvertito che: "Non è chiaro da quanto tempo i Sama-Bajau abbiano questo stile di vita, o quando è stato proprio l’adattamento a dare i dati genetici che abbiamo adesso".

L'interesse scientifico nel comprendere come è avvenuta questa evoluzione e come funziona
l'organismo dei Sama-Bajau ha anche uno scopo medico. Come ha spiegato il National Geographic, il riflesso dell’immersione è simile a uno stato chiamato ipossia acuta, in cui gli esseri umani perdono rapidamente ossigeno. In alcuni casi, questa condizione porta alla morte. Pertanto, lo studio della milza di Sama-Bajau potrebbe servire per comprendere meglio questa condizione. Secondo stime approssimative, ci sono circa 1 milione di Sama-Bajau nel sud-est asiatico, ma sfortunatamente, vivono sotto minaccia.


Secondo National Geographic, i Sama-Bajau non hanno gli stessi diritti degli altri cittadini e vivono ai margini della società.


Inoltre, l’aumento della pesca industriale danneggia fortemente il loro principale mezzo di sussistenza, la pesca manuale.















































Stupidità o ludopatia. Ma dov'erano i loro club?

oltre all'articolo che trovate sotto la mia ipotesi e risposta alla domanda del titolo è ai club non gli ne frega niente fin quando non intacca la loro onorabilità di quel che fano i loro giocatori

A che gioco giochiamo? Ce lo dovrebbero spiegare questi ragazzi: malati o solo stupidamente arroganti. Ma forse non basterà. Dovrebbero spiegarcelo anche i club che studiano tutti i giocatori del mondo e non sanno studiare le cattive abitudini dei tesserati. Il mondo calcio non è un mondo marcio ma spesso tende a marcire. Le scommesse sono il pane di tutte le malattie.
Abbiamo vissuto e convissuto con il calcioscommesse,gente 
imbrogliona, calciatori truffaldini e truffatori.      Che poi il tifo [   e i media esaltado     i loro  successi    e   mondiali    spagna  1982  germania  2006   e  sminuendo   il  loro   reati   aggiunta  mia   ]     ed    li abbia riabilitati è altra storia. Però quelle storie ci hanno spinto a diffidare: non è tutto calcio quello che luce. Ed ora ci ritroviamo con la nouvelle vague: scommesse per vizio, scommesse per gusto, scommesse per qualche soldo in più ad arricchire portafogli già milionari. Scommesse per passare il tempo, magari mentre sei in panchina e la squadra in campo. Si dice: ragazzi malati. La ludopatia è un dramma prima ancora che un vizio. Oggi potremmo dire: speriamo siano malati e sarebbe desolante più che consolante. Sperare nella malattia per non credere di avere davanti giovinastri milionari stupidamente convinti di stare al di sopra di ogni legge. La legge del pallone è chiara: non accetta deviazioni su scommesse del proprio sport. Purtroppo parliamo di ragazzi giovani, nemmeno di scafati navigatori ormai pensionabili. Gente che si butta via. Nel caso siano malati, armiamoci di compassione. Ma nessuna compassione verso chi sapeva. O verso chi si è girato da altra parte. Malati, o stupidamente colpevoli, andavano tenuti d'occhio, salvaguardati o denunciati.

per piantedosi la mafia in sardegna non c'è ma lancia l'allarme consueto ed ovvio sulle sue infiltrazioni . ma la realtà è un altra le mafie soo ormai radicalizzate

 Nei  giorni  scorsi    vedere  articolo      la  nuova  12\10\2023 sotto     il ministro   è venuto  nell'isola    è  ha  fatto  le  seguenti  dichiarazioni    tranquilizzanti   .


Si  tende    a   smiuire    il  problema   come  si  è fatto    con  la  mafia  siciliana   al nord   e  so  sta  facendo ora  con l'andrangheta  al nord    e  nelle  altre  zone d'italia sardegna  compresa  .  Allo  stato attuale  di cose  ,  per  tutti  coloro  non aspettano --  come   questi  coraggiosi  giornalisti  che stanno denunciano la radicalizzazione dell' andrangheta nell'isola    di  cui  ho parlato     precedentemente    nel mese  scorso in  questo post    --i  morti ammazzati   e le  faide  ,  le  infiltrazioni  sono la  regola   cosi  come   il riciclaggio    di dearo sporco  ed il reinvestimento in atttività legali   e  si sta  passado     semre  più  o in alcuni casoi  lo  si  è  già  fatto aò radicamento  sul territorio  .  Infatti   a dimostrarlo    anche   se  implicitamente   è lo  stesso intervento   del ministro  dell'interno   istituzione   di solito    assente     e latente  , salvo casi eccezionali ed  ovvi  .  Ma  ancora    c'è  rimedio      come  dimostra  il  secondo articolo  

12.10.23

come è bello naufragar liberi le storie di Alexander Selkirk, il naufrago che ha ispirato il personaggio di Robinson Crusoe e Catherine King, canadese, Vive da 30 anni su un'isola galleggiante costruita col marito: «Lui è morto, ma non ho intenzione di andarmene»

 https://www.geopop.it/ (  se  le  foto  dovessero  scomparire   come  spesso  mi siuccede       quado  le  copio   dalla   retre   le  trovate   qui  su: https://www.geopop.it/la-storia-di-alexander-selkirk-il-naufrago-che-ha-ispirato-il-personaggio-di-robinson-crusoe/   ) 21 Luglio 2023 15:30  da 

La storia di Alexander Selkirk, il naufrago che ha ispirato il personaggio di Robinson CrusoeTutti conosciamo Robinson Crusoe, il naufrago inglese creato dalla fantasia di Daniel Defoe. La sua storia è ispirata, almeno in parte, alla vicenda di un marinaio scozzese che visse per più di quattro anni su un’isola deserta: Alexander Selkirk.


                            A cura di Erminio Fonzo

Sopravvivere su un’isola deserta è un compito complicatissimo, ma nella storia non sono mancati uomini capaci di farlo. Uno di questi è Alexander Selkirk, che nel 1704 fu abbandonato in un’isoletta del Pacifico, all’epoca chiamata Más a Tierra e facente parte dell'arcipelago di Juan Fernández. Selkirk vi restò in completa solitudine per quattro anni e quattro mesi, dall'ottobre del 1704 al 2 febbraio 1709, nei quali riuscì a sopravvivere nutrendosi di verdure e capre selvatiche. Fu tratto in salvo nel 1709 da una nave inglese e, dopo un breve soggiorno nel Regno Unito, riprese il mare, trovando la morte nel 1723. La storia di Selkirk fu una delle fonti di ispirazione di Daniel Defoe per la creazione del personaggio di Robinson Crusoe. La notorietà di Selkirk, inoltre, non è mai venuta meno e negli anni ’60 il governo del Cile ha voluto persino dare il suo nome a un’isola.
Alexander Selkirk nacque in Scozia, nella località di Lower Largo, nel 1676 e sin da giovane mostrò un carattere ribelle e attaccabrighe. Nel 1703 iniziò la carriera di marinaio, imbarcandosi sulle navi corsare, cioè autorizzate dal governo a compiere atti di pirateria contro le imbarcazioni appartenenti a Paesi nemici (il corsaro più famoso fu Francis Drake). Più precisamente, Selkirk si unì alla spedizione comandata da William Dampier, un celebre esploratore, che guidava una flotta composta da due navi, la St George e la Cinque Ports. La spedizione salpò l’11 settembre 1703 dall’Irlanda e si diresse verso la costa americana del Pacifico, ma si rivelò poco fortunata e fu più volte respinta dalle navi nemiche che aveva attaccato.
L’abbandono sull’isola deserta
Le due navi si separarono e nell’ottobre del 1704 il Cinque Ports, sul quale era imbarcato Selkirk, fece una sosta a Más a Tierra, un’isola disabitata di circa 50 chilometri quadrati, facente parte dell’arcipelago di Juan Fernández, a 670 km dalle coste del Cile.

La nave era in pessime condizioni e Selkirk litigò con il comandante, Thomas Strading, perché pretendeva che prima di ripartire fossero effettuate delle riparazioni. Strading non volle saperne e Selkirk si lasciò scappare una frase che gli sarebbe risultata fatale: dichiarò che avrebbe preferito essere abbandonato sull’isola invece di reimbarcarsi su una nave in quelle condizioni. Il comandante, ben lieto di liberarsi di un attaccabrighe, lo prese in parola. L’abbandono in luoghi deserti, del resto, era una punizione frequente per chi si ammutinava sulle navi corsare e in genere equivaleva a una condanna a morte.
Prima di ripartire, Strading lasciò a Selkirk un fucile, alcuni utensili, dei vestiti e una Bibbia. Lo scozzese aveva calcolato bene il rischio che correva il Cinque Ports, che effettivamente affondò poco tempo dopo. Tuttavia, le possibilità di sopravvivere sull’isola erano molto scarse.
Selkirk nell’isola di Más a Tierra
Nei primi tempi Selkirk rimase sulla costa. Era in preda alla disperazione e guardava sempre il mare,
nella speranza di avvistare una nave che potesse trarlo in salvo. Sopravvisse cibandosi di crostacei e molluschi.
Quando una colonia di leoni marini si arenò sulla spiaggia per la stagione dell’accoppiamento, lo scozzese si spostò nell’interno. Fu una mossa fortunata: Selkirk trovò una grande quantità di capre selvatiche, dalle quali poteva ricavare carne e latte, insieme a rape, cavoli e altri vegetali. Si rivelò molto abile, inoltre, nell’usare gli utensili di cui disponeva e gli oggetti che trovava sull’isola. Costruì due piccole capanne, una per dormire e una per cucinare, e trascorreva il tempo leggendo la Bibbia ad alta voce, unico modo per non impazzire.
Selkirk non aveva alcun contatto umano, nonostante in due occasioni delle navi spagnole si fossero fermate sull’isola e i loro marinai fossero scesi a terra. Lo scozzese, essendo un corsaro nemico, sarebbe stato torturato e probabilmente messo a morte se fosse stato catturato e perciò dovette nascondersi.
Il salvataggio
La salvezza giunse il 2 febbraio 1709, quando a Más a Tierra arrivarono le navi britanniche Duke e Duchess, impegnate in azioni di pirateria contro gli spagnoli. Dal giorno in cui Selkirk era stato abbandonato sull’isola erano passati quattro anni e quattro mesi. Il marinaio manifestò una gioia immensa nel vedere i suoi compatrioti, tra i quali c’era il suo vecchio comandante William Dampier.
Quando le navi ripresero il largo, il comandante della spedizione, Woodes Rogers, lo nominò secondo ufficiale del Duke. Il marinaio partecipò così con un ruolo da protagonista alla “guerra di corsa” (cioè la pirateria autorizzata) della nave lungo la costa americana del Pacifico. Nel 1711 il Duke completò la circumnavigazione del globo e, passando a sud dell’Africa, fece ritorno in Gran Bretagna.


Il ritorno in Gran Bretagna e la morte
Selkirk rivide il suo Paese dopo otto anni dalla partenza. La sua storia divenne presto famosa, perché fu narrata in un resoconto di viaggio da un ufficiale della Duchess, Edward Cook, e dal più noto A Cruising Voyage Round the World, scritto da Woodes Rogers nel 1712. Selkirk restò alcuni anni sulla terraferma e in seguito si imbarcò come marinaio sulle navi militari che prestavano servizio presso la costa atlantica dell’Africa. Nel 1723, mentre era in navigazione, morì di febbre gialla.Selkirk e l'ispirazione per Robinson Crusoe
La storia di Selkirk è spesso associata a quella di Robinson Crusoe, il protagonista del celebre romanzo di Daniel Defoe pubblicato per la prima volta nel 1719. Molto probabilmente, la vicenda di Selkirk era
stata una, ma non l’unica, delle fonti di ispirazione di Defoe. Infatti, insieme con alcuni punti in comune, tra i due personaggi vi sono differenze significative: per esempio, l’isola sulla quale visse Selkirk era disabitata, mentre su quella di Robinson viveva una tribù indigena; Selkirk era completamente solo e Robinson trovò la compagnia dell’indigeno chiamato Venerdì. Gli studiosi dell’opera di Defoe sono concordi nel sostenere che lo scrittore aveva tratto ispirazione anche da altre storie di naufraghi, come quella di Robert Knox, che aveva vissuto per venti anni tra gli indigeni dello Sri Lanka. Tuttavia, in genere l’opinione pubblica considera Selkirk il vero Robinson Crusoe.
La fama di Selkirk
La vicenda di Selkirk non ha mai smesso di suscitare interesse. Nell’Ottocento a Lower Largo gli furono dedicate una targa commemorativa e una statua. Inoltre, nel 1966 il governo del Cile decise che una due isole maggiori dell’arcipelago Juan Fernandez avrebbe assunto il nome di Isola Alejandro Selkirk. Curiosamente, il nome fu dato all’isola Más Afuera e non a Más a Tierra, che invece fu ribattezzata Isola Robinson Crusoe.
Selkirk è menzionato anche in varie opere letterarie e nel 2012 gli è stato dedicato un film di animazione, Selkirk, el verdadero Robinson Crusoe, coproduzione cilena, argentina e uruguayana (in inglese distribuito con il titolo Seven Seas Pirates). Insomma, uno che è vissuto quattro anni su un’isola deserta non può non destare curiosità.


 da   https://www.msn.com/it-it/  fonte  ilmattino  del  11\10\2023 

Una donna vive da 30 anni su un'isola galleggiante costruita con il marito: «Lui è morto ma non ho intenzione di andarmene»
© Internet 
Non si può dire che la vita di Catherine King, canadese, sia stata un'esistenza comune, così come non lo è la sua casa, stanziata su un'isola galleggiante costruita insieme al marito Wayne Adams ormai 31 anni fa. Adams è morto l'anno scorso, ma Catherine non ha voluto abbandonare la vita immaginata e tirata su insieme, solo con le loro mani.Il sogno di vivere nella natura
Parlando con Insider, la donna ha raccontato del suo primo incontro con il marito e dell'idea dell'isola, maturata a poco a poco: «All'epoca, King - guaritore, artista e ballerino -, lavorava come massaggiatore a Toronto», dove Catherine è cresciuta. «In quelle prime conversazioni - ricorda - abbiamo parlato del sogno comune di vivere nella natura», ha detto King, 64 anni, aggiungendo che il desiderio derivava dalla loro infanzia».«Eravamo bambini unici - ha raccontato - eravamo entrambi piccoli. Ci prendevamo in giro molto e eravamo molto vittime di bullismo. Così abbiamo scoperto che la natura poteva curare. Avevamo questo in comune».Dopo il loro primo incontro, che Catherine descrive come «cosmico», la coppia andò rapidamente a vivere insieme e iniziò a cercare un posto dove costruire una vita insieme. Il posto giusto fu trovato in una piccola insenatura al largo della costa di Tofino, nella Colombia britannica, conosciuta come "Freedom Cove", la baia della libertà . Essere stata attratta dalla baia non solo perché era isolata e accessibile solo tramite un giro in barca di 10 miglia, ma perché c'era una sorta di "magia" in essa. «Non puoi nasconderti da te stesso qui. Devi essere sincero con te stesso», ha detto.
L'isola galleggiante è stata così costruita da lei e Adams vicino alla riva, in modo da poter far parte della natura «senza interferire con essa». Proprio la stessa estate in cui trovarono Freedom Cove, racconta Catherine, una tempesta soffiò sulla costa, lasciando sulla riva assi di legno. «Abbiamo pensato che fosse un buon segno, che l'universo fosse favorevole a ciò che avremmo fatto».
Come galleggia
I lavori della casa galleggiante furono ultimati nel febbraio del 1992, ma da allora la struttura è cambiata molto. Per far galleggiare la struttura la coppia utilizzò il polistirolo, legando insieme le assi usando una corda a formare una ragnatela. I due, però, ampliarono rapidamente la casa con nuovi edifici per soddisfare i loro hobby e bisogni.

Un esempio? Diverse serre, un pollaio e una grande cucina, oltre a un sistema di purificazione dell'acqua, ma anche una pista da ballo, fino a dar vista a una struttura ampia e diversificata, come si vede nel video girato e diffuso da "Great Big Story".Le sfide di vivere sull'isola «Ogni anno ci sono tempeste invernali che rischiano di distruggere tutto» ha detto Catherine. Puntualmente, le tempeste portavano via intere parti della loro casa e dovevano ricostruirle.
Un’altra sfida che hanno dovuto affrontare è stata il problema del mondo moderno di guadagnare abbastanza soldi per permettersi la manutenzione della propria casa. Sette anni dopo aver costruito l'isola, furono scoperti anche dal governo municipale e dovettero iniziare a pagare le tasse annuali. Nel 2013, hanno deciso di unirsi al resto del mondo online installando Internet sull'isola, che secondo King costa di più sull'isola che in città.
Catherine ha spiegato che, come artisti, si sono uniti per lavorare con un budget «ridotto», aggiungendi che «hanno lavorato per molti anni in cui tutto ciò che guadagnavamo era di $ 6.000 all'anno».
La morte del marito
Adams è morto lo scorso marzo otto anni la diagnosi di cancro al retto, ma da allora Catherine non ha voluto abbandonare l'isola. «È rimasto il più vitale possibile - ha detto parlando del marito - il più attivo possibile. Anche fino alle ultime due settimane, stava ancora lavorando su un'importante scultura, che finirò per lui».
Diventare l'unica proprietaria e la sola abitante dell'isola non è stato facile: ha dovuto farsi carico di tutti quei "lavoretti" che una volta spettavano ad Adams, come far funzionare i generatori, fare rifornimento e gestire le continue riparazioni domestiche.
«È stata una ripida curva di apprendimento» ha detto Catherine, che, però, non ha intenzione di abbandonare la loro casa. «Per fortuna - ha detto - ho ricevuto l'aiuto di amici e familiari, che si sono alternati per stare con me, quindi non sono mai sola».

che palle il linguisticamente corretto ma che senso ha censurare le parolacce con asterischi nello scritto e con suoni nei video?

 Leggendo   certi    articoli  o vedendo certi video    sul  web    mi       chiedo  come  da  titolo  Che senso ha censurare le parolacce con asterischi nello scritto e con suoni nei video? Secondo ,me  nesuno     si  tratta  solo  d'ipocrisia  linguistica    o  le  usi   o no le usi    la  linguà  è cosi ricca  di figure  retoriche   doppi sensi   , ecc   non ha   nessun   senso  , specialmente per iscritto.  Infatti   scrivere c***o

invece che cazzo rende la parolaccia più evidente.Adesso poi molti hanno preso a censurare parole di ogni tipo per non incorrere nelle censure degli algoritmi. Quindi si trovano cose come p***o invece che porno, p*rca invece che porca e addirittura k*ll invece che kill, nonostante non siano parolacce.L'asterisco è un espediente veramente inelegante, se posso dirlo è anche più inelegante della parolaccia. È sciatto, sa di maestrina d'asilo, fa pensare che hai percezione che una parola è inadatta al contesto ma hai un vocabolario  sterminatoi   per esprimerti con la stessa forza in altri modi. Se non vuoi scrivere parolacce, scrivi "mi hai stufato" e non scrivi "mi hai rotto i …".E poi, se De André per  citare il primo  cantautore   che  mi  viene  in mente  nella sola La domenica delle salme ha infilato "troie", "vaffanculo", "cagare" e "coglioni", io almeno posso dire "cazzo"   




Non codivido  completamente ma  la  rispetto   la    risposta data  su https://it.quora.com/ di     

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QUALCHE DOMANDA A UN BUROCRATE SIONISTA di Filippo Kalomenìdis

Una riflessione sarcastica e provocatoria sulle dichiarazioni e minacce di azioni repressive del ministro Valditara contro gli studenti che solidarizzano con il popolo palestinese

«Se è vero che alcuni collettivi scolastici hanno inneggiato ad Hamas, alla morte dei ragazzi israeliani, vanno perseguiti dalla legge. Farò partire immediatamente nostre ispezioni nelle scuole coinvolte, chiedendo alla Procura di promuovere un'azione penale per odio razziale. L'azione di Hamas è
infame. Queste persone devono essere perseguite dalla Procura della Repubblica e spero finiscano in prigione, sono di mentalità nazista, personaggi che devono essere isolati e condannati senza se e senza ma. Non è plausibile che alcuni sindacati o partiti li difendano… A quello studente farei vedere le immagini dei ragazzi aggrediti senza pietà mentre ballano nel deserto. Sai cosa vuol dire democrazia? Sai cosa vuol dire antifascismo? Antifascismo significa condannare queste cose».
Giuseppe Valditara, ministro dell’istruzione e del merito
Signor Valditara, mi rendo conto quanto sia ipocrita la formula di rito “signor”, ma mi pare inevitabile, non fosse altro per mancanza di alternative che non implichino le conseguenze penali, scatenate di regola su chi vi avversa.Esplicito subito che il mio rivolgermi alla sua persona è pura retorica. Come Ghassan Kanafani, ritengo che il dialogo tra dominanti e oppressi sia un colloquio «tra la spada e il collo». Cito quindi le sue parole solo per esporre al pubblico disprezzo e alla rabbia politica delle nuove generazioni l’empireo che ogni giorno muove guerra loro, alla razza dei senza nulla. La strumentalizzo, mi servo delle sue frasi, del suo agire soltanto per questo scopo.Ho letto le dichiarazioni del 9 ottobre e sono felice di constatare che per lei “nazista” sia diventato un aggettivo spregiativo. Spero abbia consultato prima i suoi sodali, in particolare quelli con la fiaccola tricolore mussoliniana dentro il petto, nel simbolo di partito e le divise repubblichine dei padri conservate nell’armadio. Sono esilarato dal fatto che un ministro, nominato da una coalizione che della discriminazione razzista fa religione, bandiera e norma, ora invochi azioni penali per istigazione all’odio etnico.Mi ha regalato ancora un’omerica risata il suo ritenere d’improvviso la danza nella bolgia di un rave come un’espressione di democrazia, in confusa contraddizione con la campagna di criminalizzazione condotta dal governo Meloni contro i raduni musicali non autorizzati, sfociata nella legge 30 dicembre 2022 numero 199. Chiaro che non erano certo i rave a spaventarvi, ma la libertà di manifestare e mobilitarsi nel territorio dello stato italiano. È sempre divertente però appurare la macilenza della memoria dei piccoli burocrati che guardano a Tel Aviv come il diamante più splendente e avanzato del liberismo occidentale.Un’atroce e farsesco difetto nel suo caso, dal momento che è un accademico, ordinario di diritto romano e di diritti dell’antichità. Forse è per via di questa mancanza mnemonica che non conosce la differenza tra antisionismo e antisemitismo. Un cratere cognitivo che affligge pure il suo predecessore Bianchi, tecnico del Partito Democratico, promulgatore di una circolare del MIUR del novembre 2021, vera e propria direttiva di comportamento filoisraeliano imposto ai docenti nelle scuole e nelle università della repubblica. Adesso smetto di ridere, impresa non facile quando si ascolta il suo tono da attore mediocre, da cabotin in un’inconsapevole e pessima commedia. Del significato autentico della parola “democrazia” a quelli del suo lignaggio non è mai importato nulla. Se non nell’accezione del diritto illimitato del più forte che inscatola migranti e chiunque si opponga al vostro totalitarismo liberista nel cemento, nell’acciaio delle galere. Se non nell’accezione di «democrazia fascista», come la chiamava Concetto Marchesi, un uomo che di sicuro dalle sue parti non ricordano con piacere. Non s’è accorto di quanto fosse mostruoso e assurdo richiamarsi ai principi dell’antifascismo, per difendere lo stato d’apartheid sionista che perpetra da settant’anni crimini contro l’umanità e lo sterminio di un popolo? Come studioso di norme giuridiche non sa che la Convenzione di Ginevra del 1949 e il diritto internazionale, scritti dai sacerdoti dell’Occidente che l’hanno preceduta, sanciscono la lotta armata per la liberazione come legittima, protetta ed essenziale per ogni popolazione occupata?Non s’è avveduto di quanto fosse grottescamente dispotico augurarsi che dei minori finiscano in carcere, rei d’aver espresso legittimamente entusiasmo per la rivoluzione palestinese, per di più lontana dai confini della sua nazione fondata sul colonialismo? Non sarebbe stato meglio ammettere che tra colonialisti si è parenti stretti e che quei confini tracciati derubando e massacrando i palestinesi sono anche vostri, sono quelli del vostro mondo libero (libero per pochi, bianchi, ricchi prescelti, ovvio)?Soltanto nel mio luogo di nascita, la Sardegna, il suo ministero ha disposto entro il 2025 la chiusura di 40 scuole: perché non manda gli agenti della Digos a offrire istruzione e formare i nostri figli? Magari bastonandoli a sangue come a Torino, il 3 ottobre e altre miriadi di volte?La consapevolezza storica, imposta dal suo ruolo, non le ricorda che un popolo, quando si libera da decenni di colonizzazione, quando la vita schiacciata si solleva e abbatte gli argini, opera una cesura con la vostra vile morale liberale? E altrettanto vale per i giovani che sostengono in tutta la loro bellezza la Resistenza Palestinese dall’Italia delle schiavitù capitalistiche a voi cara?Tornando al rave nel Kibbutz Re'im, è disumano chi balla e festeggia sui cadaveri di generazioni di palestinesi, a pochi chilometri dal campo di concentramento di Gaza, dove quasi due milioni di persone sono condannate alla morte in esistenza? O chi pone fine alla raccapricciante gioia del carnefice che oltraggia a ritmo di musica la terra defraudata e le spoglie di fratelli e sorelle uccisi ogni giorno?La dedizione alla funzione di burocrate sionista le impedirà di rispondere con sincerità a queste domande, persino interiormente. I vostri sudditi nemmeno le prenderanno in considerazione.Lo faranno però a gran voce, con limpide parole-azioni, tanti studenti «politicizzati» (nel vostro surreale lessico repressivo, siete riusciti a dare una connotazione criminosa pure a questo attributo) stando accanto alla Resistenza Palestinese nelle piazze, nelle scuole e nelle università di ogni città. Nonostante i vostri sforzi polizieschi non riuscirete a ridurli al silenzio. «Il muro tenta i prigionieri a saltare oltre, anche se solo in sogno.Tenta i più forti a desiderare che Dio li abbia creati per volare come uccelli o ad arrampicarsi come l’edera.Tenta le vittime a infiltrarsi e a penetrarlo come nelle fantasie dei cartoni animati. Le tenta a pensare di utilizzare il frantoio a ganasce, il trapano o gli esplosivi. Tenta qualcuno a fare della mera possibilità di muoversi una vittoria impareggiabile».
(da “Sono nato lì. Sono nato qui” di Murid al-Barghouti)

11.10.23

DIARIO DI BORDO N 16 ANNO I Perché i fratelli Bianchi non hanno preso l’ergastolo per l’uccisione di Willy: le sconcertanti motivazioni della sentenza.,il dossieraggio \ macchia di fango cotro la giudice Iolanda Apostolico continiua . Dopo i video della sua resenza ad una manifestazione ora anche la sua vita privata

l'apertura     avrebbe    dovuto essere  un altra ma   la  notifica  arrivatami dai tanti   gruppi   di telegram 
 delle motivazioni  💩🙊🙈🙉🤬😢👿👎🏼👿☠   sulla  motivazioni   della    vergognosa    sentenza  d'appello  sulla   vicenda  di Willy Duarte   mi  hano  fatto    cambiare   il primo post  del  diario  di bordo  . Non sarò   esperto  giuridicamente ma le motivazioni mi sembrano  assurde perchè  già questo  :    « [...]Risulta con evidenza la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale, in quanto i concorrenti, con la condotta violenta tenuta da ciascuno di essi, pur rappresentandosi che il brutale pestaggio potesse determinare la morte della vittima, hanno agito ugualmente non solo accertando il rischio ma palesando una adesione psicologica all’evento poi verificatosi»: la morte di Willy.«In tale contesto e secondo le regole della comune esperienza, deve del tutto escludersi che gli imputati abbiano agito al solo fine di cagionare lesioni alla vittima, ove si consideri anche che sin dal calcio iniziale Willy è già incapace di difendersi ».   a  mio aviso dovrebbe  costituire  un aggrante    non un attenuante   in quanto  W  era  già a  terra   dopo  il  secondo  pugno  .   Infatti    da   

 Pierfederico Pernarella da Leggo.it

Omicidio Willy, i giudici di Appello: «L’ergastolo tolto ai fratelli Bianchi perché non avevano partecipato alla lite iniziale»
Depositate le motivazioni della sentenza di secondo grado che ha ridotto la pena a 24 anni
Omicidio di Willy Monteiro Duarte, l’ergastolo tolto ai fratelli Marco e Gabriele Bianchi perché non avevano partecipato alla lite iniziale che era stata invece innescata dagli altri imputati. I giudici della Corte di Appello di Roma spiegano così le ragioni per cui ai due fratelli di Artena sono state concesse le attenuanti generiche e quindi la riduzione della pena dall’ergastolo a 24 anni.La sentenza di secondo grado per l’omicidio del 21enne di Paliano avvenuto nella notte tra il 5 e il settembre del 2020 a Colleferro è arrivata lo socrso 12 luglio. Ora sono state depositate per motivazioni che per il resto confermano quello della Corte di Assiste di Frosinone L’Appello ha confermato le condanne a 21 anni per Mario Pincarelli e a 23 anni per Francesco Belleggia.Le motivazioni dei giudici  Deve ritenersi accertato «che l’aggressione inizia con il violento calcio sferrato da Bianchi Gabriele al petto di  Willy Monteiro Duarte con tecnica da arti marziali e con potenza tale da sospingerlo di schiena contro un’automobile parcheggiata, al quale segue un pugno sferrato sempre da Bianchi Gabriele, al momento in cui il giovane tenta di rialzarsi», scrivono i giudici.A sua volta, si legge ancora, «Marco Bianchi, in sinergia con il fratello, colpisce con un calcio al livello del collo e poi con un pugno il Cenciarelli» Samuele «intervenuto in difesa di Willy e poi lo stesso Willy con calci e pugni».Belleggia e Pincarelli, proseguono i giudici, «si affiancano da subito ai fratelli Bianchi e colpiscono Willy con un violento calcio alla testa (Belleggia) e con calci e pugni (Pincarelli) quando ormai Willy era a terra inerme», si legge nella sentenza.I giudici sono convinti del coinvolgimento dei quattro nell’azione omicida tanto che spiegano: «Risulta con evidenza la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale, in quanto i concorrenti, con la condotta violenta tenuta da ciascuno di essi, pur rappresentandosi che il brutale pestaggio potesse determinare la morte della vittima, hanno agito ugualmente non solo accertando il rischio ma palesando una adesione psicologica all’evento poi verificatosi»: la morte di Willy.«In tale contesto e secondo le regole della comune esperienza, deve del tutto escludersi che gli imputati abbiano agito al solo fine di cagionare lesioni alla vittima, ove si consideri anche che sin dal calcio iniziale Willy è già incapace di difendersi». Quindi i giudici precisano che la lite era iniziata già prima dell’arrivo dei fratelli Bianchi.Una circostanza che, secondo la Corte, costituisce un’attenuante: «Non si può non considerare che i fratelli Bianchi sono del tutto estranei al contrasto iniziale che ha poi provocato la violenta aggressione, che la condotta degli imputati si è esaurita in un breve lasso di tempo (circa 40/50 secondi) e che il violento pestaggio è anche ascrivibile agli altri imputati».  

Concordo  con  , non  ricordo il canale  di telegtam ,   RobbieS, [11/10/2023 11:40]

Potete dire tutto ciò che volete e assolvere quel giudice ma "toglierel’ergastolo ai 2 assassini perché non avevano partecipato alla lite iniziale che era stata invece innescata da altri" mi sembra pura demenza e inettitudine, o come si dice in burocratese "la (sentenza) cazzata del 2023" pari a quella dell'altro decerebrato che assolse l'africano stupratore perché "non poteva sapere che in italia non si può stuprare in spiaggia" !!

" l' ergastolo" lo sta già subendo quella povera madre, che piangerà suo figlio fino la fine dei suoi giorni .



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il dossieraggio  \  macchia di fango   cotro la  giudice   Iolanda Apostolico  continiua  . Dopo   i video della sua  resenza ad una  manifestazione    ora  anche  la  sua  vita privata


Beccata in moto senza casco! Se ne frega di ogni legge la giudice rossa che libera i clandestini: beccata dalle telecamere di Rete 4



Nel corso della puntata del 9  ottobre  di “Quarta Repubblica”, è stato mandato in onda il servizio firmato da Angelo Macchiavello sulla situazione al tribunale catanese e la Apostolico è stata pizzicata in una situazione tutt’altro che legale. Le telecamere della trasmissione di Rete 4 hanno infatti registrato la magistrata rossa a bordo di un motorino guidato dal marito ma senza casco.Vero     Come tutti sapranno, il dispositivo di sicurezza è obbligatorio per chiunque guidi o sia trasportato su un veicolo a due ruote, indipendentemente da età e cilindrata ma  da  qui   farne  << Un altro caso tutt’altro che edificante >> secondo  il  canale   telegram https://www.dcnews.it/      da  cui è preso il  video  sotto   

Video Player
<<  per la giudice Apostolico, già nel mirino delle forze di governo per quanto registrato nel corso delle ultime settimane. >> è  proprio vergognoso  . 
da https://www.opinione-pubblica.com/




Ecco     quindi    che  la  a destra  Melonianiana  \  Salvinista  ma non solo  esssa  se    analizziamo la storia italiana degli ultimi 60/70 anni  (  I II  ) perde il pelo ma non il vizio usando le stesse tecniche del dossieraggio  sia   in vecchio stile [ guerra fredda ] sia   in nuove  tecniche   [ da    tangentopoli    ad  oggi ] . Secondo  me    si tratta  oltre  che   di sciacallaggio   politico   mediatico   anche  di  sessismo in quanto  un    provvedimento   come   il  suo   è stato adottato dal giudice Rosario Cupri, un collega del giudice Iolanda Apostolico. la  notizia   presa   da  << Apostolico, un altro giudice libera sei migranti a Pozzallo: non convalidato il trattenimento (ilmessaggero.it) >>  risale al 29 settembre che ha rigettato un'analoga richiesta nei confronti di quattro tunisini nel centro di accoglienza sconfessando di fatto il decreto del governo. Ed  nessuno  lo  ha  ne  dossierato  ne attaccato . Inoltre      secondo il mio parere    di   cittadino   non ha  violato nessuna  legge  nè  giuridica  visto  che  la  sua partecipazione  a tale manifestazione  è  avvenuta      quando  ancora    non c'era la  legge    cutro  ed  la meloni  non era al governo ,  ma soprattutto  non è colpa non è sua  se   chi   scrive le leggi  le    scrive  e poi le  fa  approvare     in maniera  pedestre  ed  barbina    cioè non  tenendo    conto   ed   obbligado i  giudici   ad impugnarle  visto   che  violano sia la  costituzione italiana  sia   le legge europee  . Coincludo affermando  che   avendo  trovato   una  gudice   che  gli ha  rotto   le  uova  nel  paniere    anzichè    che attaccarla  \  criticarla nel merito   lo fanno   andando  a pescare la  sua preseza    ad   un   fatto di    5 anni  fa   per il  quale   nessuno  prima  s'era  lametato o  aveva   protestato per  la  sua    eventuale    imparzialità