25.6.19

Gli psicoanalisti d'America chiedono scusa agli omosessuali 50 dopo i fatti di stonewall



Risultati immagini per stonewall Che le più importanti società psicoanalitiche e psichiatriche, in Italia e nel mondo, non vedano più l'omosessualità come una patologia e, anzi, sostengano il valore psicologico delle leggi che tutelano i legami affettivi e familiari delle persone omosessuali, non è più, fortunatamente, una notizia. Lo è, invece, la decisione dall'American Psychoanalytic Association (APsaA) di porgere le sue scuse alla comunità LGBTQ. Scuse "da tempo dovute", si legge nel comunicato, per aver patologizzato, nel corso della storia, gli orientamenti non eterosessuali e le identità transgender. L'annuncio è stato dato pochi giorni fa in occasione dell'apertura del 108esimo convegno annuale dell'APsaA, svoltosi a San Diego, e in concomitanza con le celebrazioni del cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall, considerati simbolicamente l'atto di nascita del movimento di liberazione delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer (LGBTQ). Nel 1969 l'omosessualità era infatti considerata una patologia mentale e come tale veniva "curata". Disturbo mentale era considerata anche quella condizione di sofferenza (un tempo nota come transessualismo e oggi definita "disforia di genere") causata dall'incongruenza tra il proprio sesso anatomico e la percezione di sé come uomo o donna. A partire dagli anni Ottanta le teorie patologizzanti sono state sconfessate e l'omosessualità è stata eliminata dai manuali diagnostici internazionali.
I professionisti della salute mentale hanno imparato a riconoscere i danni psicologici causati dallo stigma sociale e scientifico e dalla sua interiorizzazione (omofobia interiorizzata e minority stress). Chi vuol farsi un'idea dei presupposti violenti e normativi delle cosiddette "terapie riparative" può vedere due film recentemente distribuiti anche in Italia: La diseducazione di Cameron Post e Boy erased - Vite cancellate. "È arrivato il momento di chiedere scusa", ha detto Lee Jaffe, presidente dell'APsaA "per il ruolo che anche noi psicoanalisti abbiamo ricoperto nel promuovere pregiudizi traumatici". Riconoscere gli errori non cancella il dolore accumulato, ma lo può curare. Anche se qualche terrapiattista della psiche, sedicente terapeuta, continua a considerare l'omosessualità una condizione da "riparare", i veri terapeuti sanno che il loro lavoro consiste nel promuovere l'autenticità, la dignità individuale e la capacità di amare in accordo con il proprio desiderio. Riconoscere un errore e scusarsi è un'azione interpersonale (e in questo caso anche scientifica) importantissima: trasforma un paradigma, ripara antiche ferite, rende possibile l'elaborazione collettiva di un pregiudizio e delle sue ripercussioni traumatiche.

per  approfondire  
fatti 
https://it.wikipedia.org/wiki/Moti_di_Stonewall
https://www.wikipink.org/index.php/Moti_di_Stonewall
 film
Stonewall 1995 dal regista britannico Nigel Finch.
Stonewall  diretto da Roland Emmerich con protagonisti Jeremy Irvine e Jonathan Rhys Meyers.



rapporto uomo e natura ma esiste una via di mezzo o è troppo sbilanciato da una parte e dall'altra ? i casi del carcere di pianosa e di Anticitera. L'isola greca dove nacque il primo computer



da repubblica  

Pianosa, da isola-carcere a paradiso naturale, ma solo per pochi: ''Qui l'ambiente viene prima dell'uomo''

Acqua da scenario caraibico e distese di macchia mediterranea sono il biglietto da visita di Pianosa, colonia penale del Granducato di Toscana dal 1856 divenuta nel 1977 carcere di massima sicurezza per volontà del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.



Pur portando ancora i segni di quelle strutture, oggi l'isola rappresenta, con i suoi 10 chilometri quadrati, una delle aree a maggior tutela dell'arcipelago toscano. Sono infatti vietati ancoraggio e pesca, la balneazione è consentita solo per due brevi tratti di costa e le visite, rigorosamente guidate, possono avvenire solamente per 250 persone al giorno. Il vecchio borgo, spopolato ai tempi del 41-bis, oggi è abbandonato e pericolante. Le guide del parco, però, difendono questa scelta: "Alcune strutture di valore saranno recuperate, però - racconta una di loro - non è possibile pensare a un ripopolamento dell'isola. Qui al centro, per una volta, non c'è l'uomo ma la natura".

invece la seconda storia  è  inversa  


Anticitera. L'isola greca dove nacque il primo computer cerca abitanti  . Con una popolazione ridotta a 40 unità la splendida isola a sud del Peloponneso, dove venne costruita la prima "macchina calcolatrice" della storia, lancia un bando: ai neoresidenti una casa, un appezzamento di terra e 500 euro al mese per tre anni













{}Alte scogliere a picco sul mare, calette nascoste e grotte da scoprire, un piccolo villaggio fermo nel tempo e una natura verde e rigogliosa che profuma di elicriso e rosmarino. Benvenuti ad Anticitera, piccola isola greca vicino la (ben) più grande Creta. Situata a sud del Peloponneso (in traghetto dista circa 4 ore da Laconia nel Peloponneso e 2 ore da Creta), questa perla delle isole Ionie è una terra rocciosa, selvaggia, ricca di natura incontaminata che ricopre per intero i venti chilometri quadrati che la compongono. Con le sue acque cristalline è perfetta per fare diving, ma anche per vacanze al mare lontano dalla solita folla delle destinazioni più gettonate. E' la meta perfetta per staccare la spina, sentirsi fuori dal mondo, immersi nella pace.
{}

Date le dimensioni ha un solo paese, tranquillo ma suggestivo, fatto di case bianche e un sali-scendi di vicoli, con un paio di taverne e una manciata di botteghe.
L'isola, insomma, non ha nulla a che invidiare alle arci-famose Cicladi, come Paros, Mykonos e Santorini, che saranno pure più grandi, ricche di attrazioni e posti alla moda, sono diventate veri poli turistici per amanti della movida. Anticitera, dal canto suo, rappresenta il volto più autentico della Grecia. Eppure nessuno la conosce, i turisti la snobbano e persino la sua popolazione sembra averle voltato le spalle. Sull'isola infatti sono rimasti solo quaranta abitanti - e neanche un bambino - tutti concentrati nel villaggio principale, Potamos (che è anche il porto).
Anticitera. L'isola greca dove nacque il primo computer cerca abitanti
                                             Anticitera, faro

Da qui l'idea: lanciare una campagna per ripopolare l'isola, cercando nuovi abitanti che siano disposti a trasferirsi e mettere su famiglia. A lanciare la campagna è stata qualche mese fa la chiesa ortodossa greca, che ha offerto per le nuove famiglie sia una casa, che un appezzamento di terra da coltivare o per avviare un'attività e un assegno di 500 euro al mese per i primi tre anni. La strada non è però in discesa. La selezione è guidata dalla chiesa, con una rigida trafila di permessi da ottenere e step da superare. In più i fondi, ovviamente, sono limitati. Le famiglie che ce l'hanno fatta per ora sono quattro: vengono tutti da Atene, perché, nota negativa per gli italiani che sognano un posto al sole greco, la precedenza va alla popolazione greca.



24.6.19

combatti per quello che dovrebbe essere il tuo paese e viene dimenticato dallo stato ma vive in The Ballad of Ira Hayes di Peter La Farge eripredsa poi da Bob dylan


Vedendo su netflix Rolling Thunder RevueI
                   un frame   del film  da https://www.netflix.com/it/title/80221016


un mix alchemico di realtà e fantasia, Martin Scorsese ricorda il tour di Bob Dylan del 1975 e una nazione che ha bisogno di reinventarsi. ho scoperto la tristissima storia ( Ulteriori news le trovate nei consueti approfondimenti a fine post ) di Ira Hamilton Hayes ( Scanton, 12 gennaio 1923 – Bapchule, 24 gennaio 1955) è stato un militare nativo americano. Era un Akimel O'odham, (nativo americano Pima) appartenente alla Comunità Indiana del fiume Gila.
Ira Hayes, 1923-1955.Fu un veterano della seconda guerra mondiale nella battaglia di Iwo Jima e la sua notorietà deriva dal fatto di essere stato immortalato, con altri fanti di marina, nella fotografia iconografica che ritrae un gruppo di soldati intenti a innalzare la bandiera statunitense. Dimenticato perchè ( ed per me i veri eroi sono questi ) << rifiutò sempre la condizione di eroe, e anzi si attivò per correggere una imprecisione sulla identificazione di uno degli altri raffigurati ( Harlon Block, primo a destra), che - successivamente caduto in battaglia - era stato dimenticato. Per questo fece 1300 miglia con l'autostop per raggiungere la famiglia di Harlon in una fattoria del Texas, chiedendo loro di far riaprire l'inchiesta e accontentandosi della semplice gratitudine dei familiari.Rientrato a casa Ira non riuscì a tornare alla normalità: troppa celebrità, troppi film e troppi inviti a convegni e cerimonie. Da parte sua considerò la sua notorietà per il "finto" innalzamento della bandiera (come di fatto era, trattandosi solo della ripetizione di un primo momento ben più importante per chi stava combattendo) una pura sciocchezza.




Approfondimenti  


                          Ira hayes e la  The Ballad Of Ira Hayes Peter La Farge


                           La  foto     di  Joe Rosenthal   della    battaglia di Iwo Jima 

cosa dobbiamo imparare noi uomini sul femminismo . il percorso di un padre, racconta la battaglia per i diritti delle donne e la sua relazione con la figlia.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone in piedi, testo e spazio all'aperto

Ziauddin Yousafzai sapeva, ben prima di avere una famiglia sua, che non voleva fosse come quella da cui veniva lui. Sapeva che voleva per le sue figlie una vita diversa da quella delle sue sorelle, che avevano i pezzi di polli peggiori, memo scarpe e meno vestiti, nessuna educazione scolastica, e da quella di sua madre che non poteva uscire da sola e non aveva documenti. Ziauddin Yousafzai è il padre di Malala, la giovane pakistana premio Nobel per la pace.

Nel libro Let Her Fly: A Father’s Journey, Lasciarla volare: il percorso di un padre, racconta la battaglia per i diritti delle donne e la sua relazione con la figlia.
«Quando ho sposato mia moglie, Toor Pekai», spiega sul settimanale Time, «abbiamo deciso di mantenere la parità in famiglia, rispettandoci come partner e crescendo nostra figlia Malala esattamente come i nostri figli Khusal e Atal». Una scelta personale venuta dall’esperienza perché quest’uomo racconta di non aver sentito la parola femminista fino ai 45 anni, fino all’attacco contro la figlia, colpita dai Talebani perché andava a scuola, e al trasferimento a Birmingham nel Regno Unito. «Era però femminismo quello che avevo cercato di mettere in pratica per anni nella mia famiglia e nella mia comunità».
«Credo», prosegue, «che i padri abbiano un ruolo cruciale nella lotta per i diritti delle donne. Certamente quando i tuoi diritti sono violati è la tua voce quella da far sentire più forte per combattere l’oppressione. Per questo le voci delle donne sono le più importanti nel femminismo, ma, nelle società patriarcali, la voce di un padre è la seconda per importanza nel far partire il cambiamento».
Secondo il padre di Malala è la famiglia il punto di partenza della rivendicazione dei diritti delle donne. «Quando un padre comincia il percorso nel femminismo può cambiare il futuro di tutta la sua famiglia». Lui stesso non sa perché ha cominciato questa battaglia, forse perché era stato bullizzato da piccolo per la balbuzie e la pelle scura. «Ero arrabbiato per qualsiasi tipo di discriminazione contro qualcuno solo per essere nato in un certo modo».
Di una cosa è certo: il patriarcato non funziona, la vita costruita in questo modo è triste e frustrante per chiunque. «Ho visto famiglie in Pakistan con un figlio e cinque o sei femmine e solo il padre lavora perché questo impongono le norme sociali e solo il figlio lavorerà. Tutto il peso su di loro perché le ragazze devono stare a casa, non possono studiare e avere un lavoro, solo aspettare di trovare un marito. Questo ragazzo sacrifica la sua vita e le ragazze non possono esprimere il loro potenziale. L’infelicità porta infelicità e accade, in maniera diversa, anche nei paesi occidentali, dove le ragazze hanno la stessa educazione scolastica dei maschi, ma poi gli stipendi più bassi, le molestie e la misoginia danneggiano le loro carriere e le loro vite».
I dati del Malala Fund e della Banca Mondiale dicono che se tutte le ragazze avessero 12 anni di scolarizzazione l’economia mondiale avrebbe un guadagno nell’ordine di grandezza di milioni di miliardi di dollari. «Malala ora studia a Oxford e, anche se ho pianto, nella prima settimana in cui era lontana da me, sono felice nel vederla indipendente e sicura nel mondo. I buoni genitori sono quelli che danno la libertà ai propri figli».

                            Vanity Fair 18/6/2019



23.6.19

quando la sconfitta sa di vitoria . il caso della dinamo Sassari basket sconfitta da Umana Reyer Venezia in finale solo a gara7




Inizialmente    , quando  ancora  s'era  in piena  partita  ovvero al  2  quarto  , commentai  a caldo  cosi  :



Mai poi ragionando   meglio  , cioè a freddo  soprattutto   dopo questa intervista  a Pozzesco      a Sardegna Live  del  24 giugno   2019
POZZECCO DA SOGNO: "RIMANGO ALLA DINAMO PERCHÉ AMO LA SARDEGNA". IL COACH RACCONTA LE EMOZIONI DELLA STAGIONE TERMINATA

Intervista all'uomo che ha cambiato la stagione della Dinamo. La Sardegna si è fermata per assistere all'impresa degli uomini del Poz: "Mi fermano per strada e mi ringraziano, ma dovrei ringraziarvi io uno per uno"





Da giocatore lo chiamavano “la mosca atomica”. Un soprannome piuttosto brutto, ammetterà lo stesso Gianmarco Pozzecco qualche anno più tardi, ma ci si era affezionato anche lui con quei capelli tinti di rosso, il cerotto sul naso, il sorriso guascone e la sfrontatezza dei suoi vent’anni vissuti al massimo dell’intensità.
Ribelle e geniale, playmaker straordinariamente moderno, le sue giocate furono una ventata di freschezza nel mondo della pallacanestro italiana. Il 15 maggio 2008, al PalaDelMauro di Avellino, si ritirava uno dei campioni più amati e controversi degli anni d’oro del nostro basket. Ma di stare lontano dalla vita di spogliatoio, il Poz, proprio non voleva saperne e così la decisione di insegnare quello sport ai giovani in giro per lo stivale e non solo. Orlandina, Varese, Cedevita, Fortitudo. Un percorso fatto di alti e bassi e poi, quando anche la carriera da allenatore sembrava essere in procinto di esaurirsi, l’approdo fra i Giganti.
L’ingaggio di Pozzecco a Sassari è arrivato a sorpresa a febbraio 2019 dopo le dimissioni di Vincenzo Esposito che ha lasciato la Dinamo all’ottavo posto in classifica con i playoff scudetto da inseguire, le Final Eight di Coppa Italia e gli ottavi di FIBA Europe Cup da disputare. Il percorso dei biancoblu in coppa si è fermato in semifinale, ma sono riusciti a portare a casa il primo trofeo internazionale nella storia dello sport sardo con la vittoria in Europe Cup contro i tedeschi del Wurzburg. La vicenda scudetto, poi, è storia nota. Dopo aver avuto la meglio su Brindisi e Milano i sardi si sono arresi solo in Gara 7 contro una frizzante Venezia che ha portato a casa il quarto tricolore. Al ritorno della Dinamo a Sassari oltre 5mila persone hanno atteso in piazza d’Italia i beniamini dello sport isolano. Una grande festa di popolo, una sbornia di gioia ed entusiasmo che il Poz non ha ancora smaltito e oggi, intervistato da Sardegna Live, commenta così.
La prima cosa che ci si chiede in queste ore, seppure ci sia l’ufficialità, è questa: il Poz rimane a Sassari anche l’anno prossimo?
Quando sono arrivato ho firmato un contratto fino a giugno, con possibilità di rinnovo per altri due anni. La società aveva però inserito una clausola di uscita che le consentiva di valutare se prolungare la mia permanenza o meno. Io speravo che il presidente si convincesse a togliere la clausola e Sardara l’ha effettivamente tolta dopo un mese vedendo che le cose andavano bene. Quindi se ero contento prima, lo sono ancora di più oggi. Ho allenato in posti dove avevo giocato come Bologna (sponda Fortitudo, ndr) e Varese, lì ho pagato il fatto di avere un coinvolgimento sentimentale forte. Qui a Sassari non ho mai giocato ma oggi ho un coinvolgimento uguale a quello di Capo d’Orlando, Fortitudo e Varese. Poi noi siamo professionisti e ci sono logiche che non puoi prevedere, ma adoro questo posto ed è l’unica cosa vera. Il rapporto che le persone hanno con me, l’affetto che mi dimostrano quotidianamente dopo solo cinque mesi è incredibile.
Ieri la gente in piazza vi ha riservato una accoglienza trionfale. Tanto amore per i ragazzi ma sembrava quasi che la gente più che capitan Devecchi, il celebre Polonara o l’idolo di casa Spissu non vedesse l’ora di salutare Pozzecco, come se fossi tu il grande personaggio della festa.
Mi rende felice, ma voglio che i riflettori siano puntati sui miei ragazzi. Provo più soddisfazione quando vedo la gente attorno a Marco, Achille, Jack e gli altri anche se chiaramente vivo di emozioni. Mi si scioglie il cuore quando faccio le foto coi bambini che fanno i muscoli con me, Achille o Rashawn. Mi rendo conto che la gente è molto affezionata a me, ma i protagonisti sono i ragazzi. La mia fidanzata è arrivata qualche settimana fa e l’avevo avvisata di quanto la gente fosse affettuosa. Abbiamo vissuto insieme altri contesti e sa che la gente mi riconosce, ma l’avevo avvisata del fatto che non avevo mai visto una roba del genere. Una continua dimostrazione di affetto di cui, nonostante l’avessi avvertita, è rimasta stupita anche lei. La cosa che mi sorprende è che non c’è un target, si va dal ragazzino alla signora più anziana. E poi un comune denominatore: la gente mi ferma e mi ringrazia. Anche se sono io che dovrei fermare tutti loro e ringraziarli. Ci sono posti speciali e posti un po’ meno speciali e questo è un posto speciale senza ombra di dubbio.
L’esperienza della Dinamo ha appassionato tutta l’Isola. Quanto avvertite il fatto di non rappresentare semplicemente una città, ma un’intera regione?
Non ho una buona memoria e non ricordo quando abbia parlato per la prima volta in conferenza della Sardegna, ma sono certo che era passato poco tempo. La sensazione che avessimo un’Isola dietro ce l’ho avuta fin da subito. Se non ci ho messo tanto a capirlo significa che è una cosa forte, un sentimento che vivi quotidianamente. Quando giochiamo nella penisola incontriamo sardi di Nuoro, Oristano o Cagliari che ci sostengono con un affetto che è lo stesso dei sassaresi. Un sentimento simile l’ho avvertito solo in Sicilia, è un fatto che va al di là dello sport. Il sardo è sardo, punto. Trovo bello come i sardi, pur sentendosi parte dell’Italia, avvertano una propria identità distinta che si esprime anche nelle tradizioni che avete conservato. Ho visto la Cavalcata Sarda, è qualcosa che nelle altre parti d’Italia non esiste, si è persa, è straordinario.
Dalla sincerità delle tue parole emerge che quando in piazza hai detto che quest’Isola ti ha cambiato la vita non era una frase di circostanza, lo senti davvero.
Prima di venire in Sardegna ero professionalmente quasi finito. La considerazione che aveva di me il mondo della pallacanestro era ai minimi termini per degli errori che avevo commesso da allenatore. Nella mia testa ero in pensione. Sono capitate due cose: la follia di Sardara che mi ha dato questa opportunità e il fatto di essere catapultato da un’Isola bellissima come Formentera a un’Isola altrettanto straordinaria come questa. Ho conosciuto un contesto straordinario dove per me è un po’ più semplice dare il meglio di me stesso e mascherare i miei difetti. Sono una persona un po’ particolare che vive molto di sentimenti e, nel momento in cui mi trovo in un contesto confortevole, riesco a creare attorno a me qualcosa di felice. Quando vivi in un contesto felice anche professionalmente riesci a dare qualcosina in più. Mi è cambiata la vita per questo motivo.
Come è proseguita la festa ieri sera?
Abbiamo cenato insieme al St. Joseph. Sai, stiamo molto bene insieme, però è anche normale che alla fine dell’anno, soprattutto se vivi lontano da casa come capita agli americani, non vedi l’ora di tornare. La nostra è stata una stagione lunga. La maggior parte delle squadre hanno finito chi a fine aprile, chi a inizio maggio. Le uniche due squadre arrivate al 22 giugno siamo noi e Venezia quindi è stato faticoso anche dal punto di vista mentale. Si percepisce che oggi questi ragazzi hanno la necessità di stare un po’ a casa dai loro familiari a ricaricare le batterie. Però stiamo talmente bene che quando siamo insieme siamo felici.
Il Poz dove trascorrerà le vacanze?
Avevo promesso ai ragazzini che si sono iscritti al Camp della Dinamo che avrei partecipato anche io quindi sto andando a Olbia e passerò qualche giorno con loro. Poi andrò una settimana a casa mia a Formentera, il 5 luglio andiamo con Pasquini, Stefano e gli assistenti a Las Vegas a vedere la Summer League e seguire qualche giocatore per il prossimo anno. Poi farò altri dieci giorni di vacanza, mi sposo con Tania, e tornerò per preparare la nuova stagione.
Dopo lo scudetto del 2015 si chiuse un ciclo e il roster venne rifondato. Dopo i successi di quest’anno, invece, quali sono le prospettive per quanto riguarda l’organico?
Il mio primo desiderio è quello di confermare più giocatori possibile. Se durante l’anno affermavamo che questi sono ragazzi straordinari è perché lo abbiamo pensato realmente, quindi abbiamo questa voglia. Poi i giocatori hanno una carriera molto corta quindi se hanno opportunità di lavoro stimolanti come giocare in Nba o in Eurolega vanno capiti. E’ normale che possano valutare scelte diverse da quella di rimanere a Sassari. Ma ho la consapevolezza che tutti siano estremamente affezionati a questo posto e a questi tifosi, quindi dovranno trovarsi di fronte a delle offerte nettamente più vantaggiose rispetto a quello che possiamo offrirgli noi per accettarle.
Nessuna descrizione della foto disponibile.delle  7  gare   ricorderò oltre    fatto che  è  arrivata  senza  aver perso  (  comprese  le  partite    della  coppa  e  i  la  fase  dei play off   )   gli  ultimi  3\4 mesi ,  la tenace  resistenza  a  non arrendersi e  darla  vinta   al  Venezia  , al miracolo   della gara  6 in cui  domino   e  reagi   colpo . Ricorderò  per  sempre ,  almeno spero😎😁😂🤔 , questa fantastica azione . Infatti  non c’è scudetto che mi possa emozionare di più anche se la squadra del giocatore dell'azione ha perso.   E poi   <<   Se vincere è difficile e  ripetersi lo è ancora di più, consolidarsi ad alti livelli non è comunque un traguardo semplice

  Stabilirsi al vertice di un campionato    abbastanza “monoteista” come la Serie A di basket – che dal 2000 a oggi ha visto cinque squadre (le uniche a vincere più di una volta) spartirsi diciotto titoli, di cui due revocati, su 20 – richiede un mix di abilità, bravura, continuità, solidità e fortuna. [...] >>  infatti  sempre  secondo questo articolo  del  sito https://www.ultimouomo.com/   << Col trionfo di sabato sera in gara-7, l’Umana Reyer Venezia è diventata una di quelle cinque squadre, bissando idealmente lo Scudetto del 2017 e siglando la terza stagione consecutiva con almeno un trofeo, vista la FIBA Europe Cup 2018 >>  Eco quindi  che   Questa sconfitta nulla toglie all'impresa portata avanti dalla Dinamo, ricordiamoci 22 partite vinte di fila, le grandi emozioni che questi ragazzi hanno saputo regalare a Sassari e alla Sardegna intera, dobbiamo essere orgogliosi perché quello che hanno fatto è veramente immenso, grazie ragazzi grazie Pozzeco grazie presidente Sardara💪💪💪. Una  sconfitta    che  sa  ,  come si può vedere  dal  filmato di sardegna  live  riportato sopra   , visti  gli onori  ricevuti  dai tifosi  e  sostenitori  ,   di vittoria  .
Infatti     alcuni   commenti    presi sui  social     confermano quello che  voglio dire     :  << Onore ai Veneti,hanno vinto meritatamente con un’altra squadra che ha dato veramente tanto...Forza Dinamo e complimenti di ❤️a Venezia 👍👍👍👍👍>> Complimenti a chi ha vinto ma anche a chi ha perso in gara 7.BRAVE TUTTE E DUE LE SQUADRE.L'unico anno in cui ci sono stati 2 vincitori, uno a inizio serie l'altro alla fine.

concludo    con  gli approfondimenti 

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la vita reale e i reality sempre più difficile distinguere la realtà dalla finzione . stefano e wilma non hanno visto il film the Truman Show per capirlo ?

stavolta  serra   ha perfettamente    ragione   e descrive  benissimo ., togliendomi le  parole di bocca ,  il mio giudizio   su tali programmi  . Lo so  che  sembrerò snob    ma : << [..... ] Non è tempo per noi che non ci adeguiamo mai\ Fuori moda, fuori posto, insomma sempre fuori, dai \ Abbiam donne pazienti, rassegnate ai nostri guai\ Non è tempo per noi e forse non lo sarà mai [....] >>  . Infatti è successo che una sera d'estate al fresco della sera di qualche anno fa con gli amici \ che si parlava degli insulsi programmi



ed  io rimasi in silenzio per( se  non ricordo male  )  per    40\45 minuti .  e   loro   si  stupirono   e     dalla mia risposta     simile      se  più dura   del video prima  citato    ne  nacque  un interessante  dibattito  .
Stefano e Wilma, sposati in tv e il divorzio impossibile. «Io la amo». «Mi spiace, io no»
Infatti  come   dice  Michele  Serra   nella  sua  Amaca  : << In omaggio alla necessità di capire l'epoca prima di giudicarla, ho cercato di decifrare la storia di Wilma e Stefano [ foto  al lato   ] i due giovani sposi del reality Matrimonio a prima vista che vorrebbero divorziare ma non ci riescono.Mi pare di avere capito che si sono sposati in televisione, ma non per finta, perché il matrimonio, pur essendo combinato da e per uno show, era un matrimonio vero; che ora vorrebbero divorziare, non in televisione ma per davvero, ma la cosa fatica a compiersi, forse perché non è ancora nato il format "Divorzio a prima vista" che magari consentirebbe procedure più snelle; e insomma che il ruolo di sposi, benché fatturato come prestazione televisiva, ha avuto le stesse implicazioni e ricadute di un matrimonio non in onda. Un po' come se un attore che interpreta Otello, una volta levatosi il trucco, tornando a casa ammazzi veramente la moglie.>>.  Ora come  fa  notare  anche  M.Serra se   per  i non amanti    di tali generi  o  annoiato   come  me  dopo averne  ( per  curiosità  , perchè c'era  un  tuo  corregionale   o    un tuo cittadino ) visto  le  prime due  edizioni    del Gf   e  una  (  non ricordo se la  prima  o  la seconda   ) d'Amici   di Maria de  Filippi  : << arrivare fin qui, ha un poco faticato, sappia che è stato faticoso anche per me scrivere le poche righe precedenti. Perché la storia stessa, per la sua natura di strettissima con-fusione tra vita e spettacolo, tra finzione e verità, non consente una vera disambiguazione, una lettura chiara dei ruoli. Che non abbia capito io, che cosa è davvero accaduto, non è grave. Un poco più grave è che non lo abbiano capito i due protagonisti, se non nel breve scampolo di lucidità di una frase di lei ("venire filmati per cinque settimane di seguito ha falsato tutto").>>.
Consiglio anch'io     tutti    gli  amanti  e  << anche ai due sposi: rivedere The Truman Show, è un film di vent'anni   fa  [   certo  ] ma dentro c'era già quasi tutto. Nella scena finale, 



[  specialmente    ] quando lui riesce a evadere dallo studio televisivo, piango   regolarmente di gioia.       >>  e  m'accorgo  quanto sia  bello    essere  considerato  snob  ,  da   chi  li    guarda    g credendo  d'evadere dalle  brutture  del mondo e dalle  responsabilità    finendo poi  per  rientrarvi  in maniera  conformistica  . Ma  soprattutto  libero  e sincero  rispetto    a  quelle persone    che    s'indignano  in privato  per la schifezza    ma poi  per  non fare  figure  di   💩 con la  massa  li  guarda                       

22.6.19

propanganda in crisi o mancanza d'argomenti da parte dei suoi adepti e dei suoi seguaci - sostenitori ?

lo  so che  tali argomentazioni sono fuffa    e  vengono a  noia  ed  non vale  la pena   perdere  tempo ed  sprecarne  a  riportarne   . Ma   dimostrano l'ignoranza  e la  mancanza  d'argomenti    e predicare  bene  e  razzolare male  perchè   se  ci    pensiamo  bene  ed ancora  facciamo funzionale  l'intelletto  , lo   spirito  critico  \  libero   arbitrio    ci s'accorge    che  anche  loro  sono per la  dittatura  del pensiero unico  e  come  quelli   che  contestano  chiamandoli    : << un imbecille globale che ripete sempre lo stesso discorso   >>

                       di Marcello Veneziani  da   Il Tempo 19 giugno 2017                                                                         tramite  http://www.imolaoggi.it/2019/06/21/

Ogni mattina, pomeriggio e sera, ovunque tu sei e a qualunque fonte d’informazione ti colleghi – video, radio, giornali, web ma anche film, concerti, omelie, lezioni a scuola o all’università, discorsi istituzionali – c’è un Imbecille Globale che ripete sempre lo stesso discorso: “Abbattiamo i muri, niente più frontiere tra popoli, fedi, razze, sessi e omosessi, non più chiusure in nazioni, generi, famiglie, tradizioni ma aperti al mondo”.Te lo dice come se stesse esprimendo un’acuta e insolita opinione personale, originale; finge di ribellarsi al conformismo della chiusura e al potere del fascismo (morto da 72 anni) mentre lui, che coraggioso, che spregiudicato, è aperto, non si conforma, ha la mente aperta, il cuore aperto, le braccia aperte, è cittadino del mondo. Sfida i potenti, lui, che forte.Sta ripetendo all’infinito, da imbecille prestampato qual è, il Catechismo Precompilato dei Cretini Allineati al Canone del Tempo. Tutti per uno, uno per tutti. L’Imbecille è globale perché lui sa dove va il mondo e si sente cittadino del mondo. L’idiota planetario si moltiplica in mille versioni.C’è l’Imbecille Cantante che dal palco, ispirato direttamente dal dio degli artisti, dichiara che lui canta contro tutti i muri e tutti i razzismi. Che eroe, sei tutti noi.Poi vedi l’Imbecille Attore o Regista che dal podio lancia il suo messaggio originale e assai accorato, perfettamente uguale a quello del precedente cantautore, ma lui lo recita come se l’umanità l’ascoltasse per la prima volta dalla sua viva voce. “Io non amo i muri, non mi piace chi vuole alzare muri” Che bravo, che anticonformista.Segue a ruota l’Imbecille Intellettuale, profeta e opinionista che per distinguersi dal volgo rozzo e ignorante, dichiara anche lui la Medesima Cosa, sui muri ci piscio, morte al razzismo, morte a Hitler (defunto sempre da 72 anni), viva l’accoglienza, i neri, i gay e i trans.L’Idiota Collettivo, versione ebete dell’Intellettuale Collettivo post-gramsciano, non pensa in proprio ma scarica l’app ideologica che genera risposte in automatico. Poi c’è l’imbecille a mezzo stampa o a mezzobusto che riscrive o recita ispirato l’identica pisciatina contro i Muri.E poi c’è il Presidente o la Presidente, che in veste d’Imbecille Istituzionale, esprime lo stesso, identico Concetto, col piglio intrepido di chi sfida i Poteri Forti (ai cui piedi è accucciato o funge da zerbino).Non c’è film, telefilm, concerto, spettacolo teatrale o sportivo, gag e omelia tv in cui non si ribadisca la lotta tra il Bene e il Male: Aperti e Filantropi contro Chiusi & Ottusi, Accoglienti contro Razzisti, Omofili contro Omofobi, Xenofili contro Xenofobi e Negrofobi.Voi quelli del Muro, noi quelli del Telepass.Le bestie da scacciare sono quasi sempre vaghe, anonime, mitologiche; e già, il male è sempre oscuro, cospira nel buio, non ha volto, solo maschere storiche o ridicole. Ora va di moda la maschera di Trumputin, in Europa di Le Pen, da noi di Salvini.Tu senti uno, cambi canale e ne senti un altro idem, spegni la tv e senti alla radio un altro ma il Discorso è sempre quello, apri il giornale e leggi ancora l’Identica Opinione; a scuola idem con patate, all’Università peggio-mi-sento, i Palloni Gonfiati dai media compilano lo stesso Modello Unico.Nessuno di loro è sfiorato da dubbi, invece a te sorge un primo dubbio: è un’allucinazione o è sempre la stessa persona, l’Imbecille Globale, che cambia veste, fattezze e mansioni e ripete all’infinito l’Identico Discorso?Segue un secondo dubbio: ricordo male o eravamo in democrazia, che vuol dire libertà e pluralismo, cioè opinioni libere e divergenti a confronto? Loro non credono alla Verità, sono relativisti, però guai a dissentire dal Discorso Obbligato con fervorino finale anti-Muro.Ma possibile che tutti la pensino allo stesso modo, conformi, allineati e omologati, e ritengano che la cosa più urgente e più importante del momento, il Messaggio Unisono da dare all’Umanità sia sempre quello? Allora ti sorge un terzo dubbio.E se l’Imbecille Globale a reti unificate fosse il Grande Fratello del nostro tempo? Se fosse lui il Portavoce multiplo del Non-Pensiero Unico, cioè del nuovo regime totalitario-globalitario? E se fosse proprio quell’Uniformità Totale e quel corale accodarsi la miseria prioritaria del nostro tempo?Non so voi, ma io di quell’Imbecille Planetario che ripete il Discorso Unico e Identico all’Infinito, non ne posso più.

neanche  noi  non ne   posso più 




anzi  non   meglio  


Quindi  , anche  noi ,   " caro "  veneziani   dovremo dire  la stessa cosa  su di voi  visto che sentiamo  ovunque  lo stesso ,  anche  se   a parti inverse  discorso \  ritornello . Manca  la  via di mezzo   che ci permette   di vedere le cose   in maniera  obbiettiva   e  senza  "  storture ideologiche "  d'entrambe le fazioni le parti 

è ancora possibile fermare l'odio e gli odiatori ? se si seguono tal esempi si .Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. ed altre storie



In un clima   d'odio    come quello Italiano e  d'analfabetismo funzionale  in cui questa  frase 


Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri.                                                                                                                                             Antonio  Gramsci  (  1891-1937 )
 è sempre   più   veritiera  ed    a passo con i tempi   soprattutto  dove   un ulteriore  caccia  alle  streghe   andata  in crescendo  dopo  l'11  settembre  2001    fatti   come questi   ,  ormai sempre   più radi ,  testimoniano di  come   che  ancora  ci sono   degli esempi     \  punti di riferimento  a  cui  aggrapparsi  e prende  spunto   in tale  lotta   contro l'odio   .  
Rispondendo    alla domanda     che  mi  sono posto  nel  titolo  dico che  : si può e si deve . Infatti oltre alla toccante storia ( a cui rimando il miei due post precedenti I II ) di Maria Grazia Carta mamma di Davide Marasco investito ed ucciso da un Albanese ubriaco e che fermamente s'è opposta e s'oppone ad ogni strumentalizzazione ed uso politico \ ideologico da parte di CasaPound ed affini della sua vicenda ci sono delle storie sia in ambito sportivo che in ambito culturale che qui mi accingono a riportare e commentare . 
La prima è quella di Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. 
Apro la solita rassegna stampa dei miei aggregatori di notizie per smartphone e leggo


E’ morto all’età di 63 anni, dopo lunga malattia, Gino Pasqualotto, storico campione dell’Hockey Club Bolzano e della nazionale azzurra di hockey su ghiaccio. In carriera il bolzanino ha vinto dieci scudetti e una Alpenliga. Poche settimane fa, durante una toccante cerimonia in sua presenza, nel Palaonda di Bolzano era stato dedicato un posso fisso alla sua maglia con i mitico numero «33». Grande la commozione dei tifosi sui social media.

Infatti per  curiosità  ,  consulto   il motore  di  twitter  , dove  i numerosi  post     di commozione     confermano     questo  breve e sintetico    post  . Cerco qualcos'altro   visto   che    si parla  di lui     come  uno di quelli   che   oltre  a lottare  contro  un male incurabile    ha  lottato con la sua attività sportiva  contro    l'odio ,   la  violenza  etnica   , nazionalistica  ,  e politica    dal  1945\6\ -1990   fra  tedeschi ed  italiani     fatta    di bombe  e di sangue  in Alto Adige  . Ecco   un articolo di repubblica  d'ieri   21 Giugno 2019



Il campione Gino che cancellò l'odio giocando a hockey

Bolzano in lutto per Pasqualotto: il tifo per lui unì italiani e tedeschi negli anni del terrorismo

Risultati immagini per gino pasqualotto
da  radionbc.it
Costruire una bomba è questione di chimica, e fisica. Per costruire l’odio ci vuole meno. Bastano le parole. L’odio etnico ne richiede pochissime, lo sappiamo. L’Italia ha conosciuto solo marginalmente il conflitto etnico, in un lembo di terra buffo a partire dal nome: Alto Adige Südtirol. Chi, oggi, conosce l’Alto Adige lo fa perché lo trova un luogo in cui passare le vacanze, farsi un selfie con una mucca o abbuffarsi di strudel, in cui l’odio etnico è roba da nostalgici fuori tempo massimo e libri di storia. La bomba non c’è più. È stata disinnescata con piccoli gesti che quasi mai si sono svolti sotto i riflettori. Tranne in un caso. Quelli del vecchio palazzetto del ghiaccio di via Roma, a Bolzano. Lì, di riflettori ce n’erano parecchi, tutti puntati sulla maglia numero 33, quella di Gino Pasqualotto, l’assassino che aveva un sorriso per tutti e che ha insegnato a un’intera città come si disinnesca la bomba dell’odio. 
Se cadevi, e giocando a hockey è facile farlo, Gino era pronto a rialzarti. Anche (e soprattutto) se gambe all’aria era stato lui a mandartici. Era uno che non le mandava a dire, il capitano. Riconoscibile per due motivi: per i baffoni e perché detestava il gioco sporco. L’hockey è uno sport duro, ma ha delle regole. Se le infrangi non sei un “furbo”, rischi di mandare all’ospedale (o peggio) il tuo avversario. Ma di furbi il mondo è pieno e se qualcuno andava troppo oltre le righe, dagli spalti di via Roma partiva il coro. «Gino! Gino! Punisci l’assassino!» da cui, per contrazione, il soprannome: Gino l’assassino. 
La sua carriera (dieci scudetti, più Mondiali e Olimpiadi) a cavallo fra gli anni Ottanta e primi Novanta si sovrappose al colpo di coda dell’odio etnico che colpiva Bolzano attraverso gli ordigni di Ein Tirol. Per Gino, che aveva esordito in serie A a 16 anni e a 17 aveva vinto il suo primo scudetto, esisteva solo l’hockey, se ne fregava dell’odio: Gino aveva avversari, non nemici. Se cadevi, lui ti alzava. E quando ti prendeva a spallate (a sportellate, come diciamo da queste parti) non chiedeva il certificato di nascita. Gino non lo sapeva, ma a un certo punto, sugli spalti, iniziarono a sentirsi lingue diverse. Tutti volevano vedere Crazy Horse, l’altro suo soprannome, in azione. 
E così, senza che nessuno se ne accorgesse, l’Hockey Club Bolzano divenne la squadra di tutti. La bomba era stata disinnescata da un tizio con i baffoni che, chiusa la carriera sportiva, divenne l’unico ausiliario del traffico al mondo a non aver mai ricevuto un insulto: chi si beccava la contravvenzione la teneva, felice di avere il suo autografo. Pochi mesi fa la sua maglia, la 33, è stata ritirata. Il 20 giugno, a soli 63 anni, anche Crazy Horse se ne è andato. Che poi, a pensarci bene, sembra quasi di sentirlo «Che dici bocia? Guarda che io giocavo a hockey, mica facevo politica». E infatti questo non è un necrologio, è un promemoria. Le parole che servono per costruire l’odio sono così poche da stare tutte in un tweet. Si disinnescano facile. Ce l’ha insegnato Gino l’assassino.




Luca D’Andrea è uno scrittore. Il suo ultimo libro è “Il respiro del sangue” (Einaudi 2019)


 le  altre  due   simili 







da   repubblica 


L'incoraggiamento è arrivato dai nipotini. "Capita la sera che leggiamo insieme delle storie - il sorriso di Domenico è intimidito dall'intervista inaspettata - E mi piace l'idea che ora siano orgogliosi di me e dei miei miglioramenti". L'ultima volta di Domenico Di Bartolomeo tra i banchi risale a quasi ottant'anni fa. "All'epoca si stava in quattro in un banco e si usava il calamaio al posto delle penne", ricorda il pensionato di Corato, che ha affrontato gli orali insieme ai suoi compagni di classe.
Licenza media a 83 anni per nonno Domenico: "Peccato non poter fare concorsi"
Obiettivo: conquistare a 83 anni la licenza media. "In una scuola, come la nostra, davvero speciale, che accoglie tutti", è la soddisfazione di Maria Pansini, docente di lettere di Domenico e dei suoi compagni di classe del Cpia 1 di Corato. In effetti il colpo d'occhio della foto di fine anno riscalda il cuore e riaccende le speranze. Nella scuola statale che garantisce a cittadini italiani e stranieri servizi e attività per l'educazione in età adulta, Domenico ha studiato italiano, matematica, scienze, francese e tecnologia, tutti i pomeriggi per un anno, dal lunedì al venerdì.
Il motto del Cpia 1 di Bari e delle sue sedi distaccate di Corato, Terlizzi, Bitonto e Molfetta, è infatti non solo alfabetizzare studenti adulti, ma promuovere la loro crescita personale, culturale, sociale e (perché no) anche economica, attraverso corsi di intregrazione linguistica e sociale e percorsi finalizzati all'acquisizione della licenza media. Per Domenico la licenza media è un traguardo e una nuova partenza. "Sto già affrontando qualche acciacco per l'età - ammette - non voglio che ceda anche il cervello, voglio tenerlo in funzione e sempre in allenamento". Quando ha bussato alle porte della scuola, Domenico aveva in tasca la licenza elementare e un passato da autista e da manovale, con una parentesi di vita in Germania.
"Non mi andava di passare tutte le sere a giocare a carte con gli amici - ricorda - ecco perché ho cominciato a studiare, quasi come un capriccio. Poi mi sono affezionato alla classe e alle insegnanti, che si sono dimostrate davvero comprensive". Un nonno, d'altronde, deve mettersi al passo coi tempi per stare dietro ai quattro nipotini, nativi digitali. "I bimbi di oggi sono tutti peperini - rilancia Domenico - e io non voglio essere da meno. Sono orgoglioso di sentirmi dire che sto migliorando nella pronuncia e coi verbi: non sarò diventato un professionista, ma almeno ora mi difendo".
Domenico è circondato dai colori di tutto il mondo. "Il primo della classe è Pepejean, uno studente universitario scappato dalla Costa d'Avorio - racconta la prof Maria Pansini - C'è una signora che è tornata a Corato dal Venezuela dopo i recenti disordini. E ancora, c'è Eduard che sa scrivere con ironia, c'è Aldo che ha 17 anni e ha scritto un tema simpatico descrivendo sua madre e Arcangela che ha scritto una toccante lettera a suo nonno che non c'è più. Ci sono Anna, Mario, Savino, Maria e Filippo che da genitori si sono messi in gioco ad una età non semplice per tornare tra i banchi di scuola. Donason e Abdul se la sono cavata con un italiano ancora incerto ma con l'impegno di chi vuole migliorare, Vincenzo è venuto a scuola con le mani screpolate dal duro lavoro in campagna, Tommaso arrivava dopo il turno in fabbrica, Giuseppe e Raffaele ora sperano in un lavoro migliore, più stabile. La sola nota stonata è stata non poter ammettere agli esami Yaya, purtroppo aveva il permesso di soggiorno scaduto".



da  https://www.coratolive.it/news/ giovedì 20 giugno 2019 di La Redazione
Prende la licenza media a 83 anni. Nonno Domenico: «L'ho fatto per i miei nipoti»
La storia - che arriva dalla sede distaccata del Cpia1, a Corato - ha fatto il giro del web






                              Nonno Domenico al centro della sua classe © n.c.


Una storia che scalda il cuore e che, in poche ore, è stata ripresa da diverse testate nazionali. L'ha raccontata Silvia Dipinto de La Repubblica, e riguarda il coratino Domenico Di Bartolomeo.
Nonno Domenico ha affrontato gli orali dell'esame di terza media alla veneranda età di 83 anni. Il motivo? Leggere le storie ai nipoti, ma non solo. «Non mi andava di passare tutte le sere a giocare a carte con gli amici - ha raccontato alla giornalista - ecco perché ho cominciato a studiare, quasi come un capriccio. Poi mi sono affezionato alla classe e alle insegnanti, che si sono dimostrate davvero comprensive».
A scuola c'era stato «quando si stava in quattro in un banco e quando al posto delle penne usavamo il calamaio». Dopo la licenza elementare ha cominciato a lavorare come manovale e come autista, passando parte della propria vita anche in Germania. Dopo la pensione è arrivata la voglia di migliorarsi. Ha studiato italiano, matematica, scienze, francese e tecnologia per un anno, fino agli esami.
Domenico sta conseguendo la licenza media a Corato, in una delle diverse sedi distaccate del Cpia 1 (Centro Provinciale per l'Istruzione degli Adulti) Bari, scuola statale. Un luogo dove si recupera il contatto con le lettere, le scienze e le arti e dove è possibile portare a termine il proprio percorso di studi. Il Cpia è anche uno scrigno pieno di storie da raccontare, come quella di Domenico.
Maria Pansini, terlizzese e insegnante di lettere, ha spiegato: «Siamo una scuola davvero speciale, che accoglie tutti». Nella classe con il signor Di Bartolomeo ci sono ragazzi che scappano da fame e persecuzioni, adolescenti, genitori che tornano a scuola per dare qualcosa in più ai loro figli, lavoratori che si mettono a studiare dopo aver passato un'intera giornata in fabbrica o in campagna o chi, dopo una vita di sacrifici, ha deciso di continuare ad arricchirsi. Come Nonno Domenico.










la seconda sempre dello stesso tenore ma più stupefacente avvenuta nella mia regione



Nonno Felicino diplomato alle scuole medie a 98 anni con 10. "E ora vado in vacanza""Ha il corpo e la mente di un ottantenne", racconta la figlia 


                                           MONIA MELIS






ARBUS. Anche per lui, come per i compagni (più giovani, di 84 anni) sono finalmente iniziate le vacanze. Ieri mattina è uscito dall'esame con il massimo: 10 su 10 e l'agognata licenza media. Oggi, per Salvatore Piredda – 98 anni lo scorso luglio – è un giorno di riposo nella sua Arbus, paese minerario della costa verde, nel sud ovest della Sardegna. È a casa della figlia Sandra, 60 anni, che di mattina presto gli ha letto le cronache locali: pagine e foto che raccontano la sua impresa. Ancora emozionato, risente un po' della tensione delle ultime settimane. Ma è davvero orgoglioso e contento; Felicino, appunto, come è noto a tutti. È questo, infatti, il nomignolo che gli ha affibbiato il padre da bimbo nella loro Pula, trenta chilometri da Cagliari, dove è nato nel 1921.
Niente (o poca scuola) per lui: a 13 anni ha dovuto seguire il fratello più grande nelle miniere di Montevecchio, tra le montagne del Sulcis, a scavar galena per ottenere piombo. Nel sottosuolo il baby minatore ha trascorso poco tempo, subito è passato alle officine meccaniche, sua passione rimasta tale per tutta la vita. A vent'anni, poi, il salto: le trincee della guerra lontano dall'isola dove tornerà - alle sue officine – solo cinque anni dopo. Per il resto una vita tranquilla, con gli ultimi anni da lavoratore trascorsi in una fabbrica tessile dopo la chiusura delle miniere; in mezzo il matrimonio con un'impiegata delle poste di Buggerru, tre figli, tre nipoti e due bisnipoti. Sempre con un cruccio: studiare; e un desiderio: il diploma di licenza media. "È un centenario con un corpo e una mente di un ottantenne – racconta la figlia al telefono del suo ufficio di assicurazioni – fino a qualche mese fa passeggiava per un chilometro circa, da sempre poi legge, si tiene informato, discute di qualsiasi argomento d'attualità anche ora". Niente cellulare per i problemi alla retina, ma segue con attenzione la tv.



                            unione sarda


I suoi testi preferiti negli anni? Quelli scolastici, di matematica e geometria. Poi, lo scorso settembre l'iscrizione, grazie alla disponibilità dell'Istituto comprensivo "Pietro Leo", alla dirigente Maria Antonietta Atzori, ai docenti. Nessun intoppo burocratico per la presenza di Felicino in aula tre volte a settimana, anzi lo stimolo continuo di aver un testimone reale di un'altra epoca. I 18 compagni l'hanno seguito con affetto, incoraggiato e da lui hanno ricevuto consigli e aneddoti preziosi: "Una classe straordinaria, i ragazzi lo abbracciavano e lo chiamavano nonno", racconta la figlia. Anche per lui le tre prove con l'orale di ieri sulla seconda guerra mondiale e il funzionamento di una miniera. Uno sguardo al passato, uno al presente e al futuro prossimo. Passato il caldo Felicino riprenderà a uscire: praticamente assenti ad Arbus i suoi coetanei (solo una donna di 104 anni), ma lui parla con tutti: dagli ottantenni in giù. E non mette ostacoli particolari davanti a sè. Nel cassetto c'è pure il sogno del diploma di perito meccanico, ma prima un po' di riposo.