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22.2.25

Heysel, il ricordo dello juventino Briaschi e l'abbraccio al tifoso sassarese Franco Tartaruga Fiori

A maggio  non ricordo     se  a metà  / fine  maggio di  quest'anno   ricorrono i  40  anni   del'Heysel  e  gia  la stampa ,  in  questo  caso  locale , inzia  a  ricordare  e    riportare storie  in merito  a   tale  vicenda   . Per    quanto  riguarda    i  ricordi  personali  ,  posso     dire     che   ancora  viva la memoria dell'evento ricordo ancora come se fosse oggi avevo 9 anni e la maerstra delle elementari ci chiese una riflessione su quello che era successo . Non riesco ricputroppo a ritrovare il mio vecchio scritto . Ma Ricordo , come tutti\e che La partita si giocò comunque per la decisione dell’Uefa per motivi di ordine pubblico. Il match iniziò con oltre un’ora di ritardo. Tra le immagini di quella sera, anche quelle dei giocatori della Juventus Cabrini, Tardelli e Brio che vanno a parlare con i tifosi. Il capitano Gaetano Scirea lesse loro un comunicato: "La partita verrà giocata per consentire alle forze dell'ordine di organizzare al termine l'evacuazione dello stadio. State calmi, non rispondete alle provocazioni. Giochiamo per voi".
 Un rigore di Platini consegnò un’amara e dolorosa vittoria alla Juventus per 1-0. I giocatori festeggiarono con Platini che portò la coppa e con un giro di campo. "Non sapevamo cosa era davvero successo, avevamo avuto notizie di un morto, forse due, ma non potevamo immaginare una tragedia così grande", avrebbero detto poi i giocatori bianconeri.
 Dopo questi miei fumosi ricordi lascio , oltre ai consueti link d'approffondimento che trovate a fine post , la parola a due protagonisti dellepoca che hanno vissuto la vicenda su due lati diversi . Un tifoso il primo , un calciatore della Juventus ell'eoca il secondo . Le    loro testimonianze  sono  prese dalla  nuova  sardegna   del     20\2\2025   il  primo  a quella  del  22\2\2025 il  secondo  



 «A I2 anni fa prima bancarella a 27 sono scampato all’Heysel) Franco Fiori, per tutti Tartaruga, sogna un centro pieno di locali e turisti Gli 
articoli più richiesti nel suo piccolo bazar: sciarpa et-shirt della Torres 


 Ho iniziato a lavorare a 12 anni, facevo il garzone e le consegne in bicicletta in giro perla città, diciamo che sono stato uno dei primi rider di Sassari. Poi mio padre mi ha instradato al commercio e la mia prima bancarella è stata un lenzuolo steso per terra in viale Italia, con qualche articolo che mi dava lui, che per tanti anni ha avuto la postazione fissa all'Emiciclo Garibaldi con la quale manteneva tutta la famiglia». Nella passeggiata mattutina tra piazza Mazzotti, corso Vittorio Emanuele e corso Vico,
 Franco Fiori, commerciante sassarese di 67 anni -per tutti in città Tartaruga « immagina un centro di Sassari pieno di turisti e di locali e ripercorre le tappe della sua vita, con tanti ricordi legati a vittorie entusiasmanti della Torres e della Dinamo, ma anche un momento drammatico, quando il 29 maggio del 1985 si ritrovò all’interno del settore Z.dello stadio Heysel di Bruxelles in occasione della finale di Coppa dei Campioni tra la Juventus e il Liverpool,durante la quale morirono 39.persone, di cui 32 italiane, e ne rimasero ferite oltre 600. «Sono passati quasi quarant'anni -— racconta Franco Fiori - ma ancora mi vengono i brividi se ripenso a quei momenti in cui ci ritrovammo in campo accan- to ai calciatori e sugli spalti molti di noi vennero schiacciati e non riuscirono a salvarsi». Prina di tirare su la serranda del suo bazar colorato, davanti all'ex hotel Turritania il commerciante - una vera icona per gli appassionati di sport in città- spiega il motivo di questo soprannome curioso e ammette che il grande murale con la tartaruga, apparso qualche anno fa in porta Sant'Antonio non era certo dedicato a lui. «Tartaruga è un nomignoloche mi hanno messo i miei amici da bambino —-Spiega Franco Fiori - perché quando venivano a chiamarmia casa per andare a giocare ero sempre molto lento nel prepararmi.
Iniziarono a chiamarmi così eoggi tutti mi conoscono in quel modo. Il murale? Non scherziamo, io non e'entro niente — ride il commerciante — l’ideacd:icnilo tece era tegata al Candelieri e alla loro antichissima tradizione». Nato in casa, in via Sardegna, nel 1958.in una famiglia numerosa, Tartaruga è stato tra i primi in città a credere nel merchandising legato allo sport. «Dopo le prime esperienza da ragazzino e qualche anno a Firenze — spiega risalendo il Corso — sono rientrato in città e intorno al 1987 ho iniziato a piazzare la bancarella nelle vicinan- ze dello stadio, dopo che qualche anno prima avevo dato una mano a un ambulante di Milano.che veniva a Sassari per vendere nei mer- catini e vicino'agli stadi. All'inizio vendevo solo sciarpe -- spiega il commerciante —- ricordo che in quel periodo, tra gli anni 80 e i primi anni Novanta, quella della Torres la vendevo a 3500 lire, oggi la vendo a 10/15 euro. Poi ho diversificato l'offerta e ho iniziato a proporre cuscini da stadio, gagliardetti e cappellini».Oggi; tra piercing, cartoline,bandiere e maglie di calcio e di basket Nba, gli articoli più richiesti nel suo punto vendita di corso Vico restano sempre gli stessi: la sciarpa e le t-shirt rossoblù dellaTorres. «In questi ultimi due anni con la squadra che sta andando bene -- spiega dietro il bancone del negozio -- le richieste sono aumentate na-turalmente. I sassaresi sono fatti così — aggiunge — se la squadra vince si ricordano la strada per lo stadio, altri- menti non si fanno vedere.LaTorres più forte che ho visto ? Forse quella dei fratelli Amoruso nel 2000, ma anche questa di quest'anno è una bella squadra, chissà come andrà a finire. Ho conosciuto anche il boom di presenze al palazzetto dello sport — prosegue — nel 2015 quando la Dinamo vinse lo scudetto in città erano tutti impazziti per la pallacanestro e per me gli affari con maglie e bandiere bîancoblù andarono alla grande».Residente nella zona di P0zzu di Bidda Franco Fiori crede ancora nelle potenzialità del centro storico. «Ho sceltodi vivere e lavorate in questa zona della città -- spiega -- perché sono convinto che possa riprendersi dall’attuale e crisi. Da anni sento parlare di centro intermodale e di una ripresa delle attività — prosegue — credo che se finalmente dovesse partire il progetto la zona del corso basso e di Sant'Apollinare potrebbe veder nascere nuove attività e anchei sas» saresi che sono andati via tornerebbero a viverèi. Chissà se sarò ancora dietro al bancone — conclude Tartaruga-a vendere sciarpe della Torres...» 

mentre finivo di    riportare  tale storia  mi arriva    sempre dallo stessso giornale   quest altro articolo 


Il calciatore  Massimo  Briaschi   ripercorre i momenti della tragedia. Quello stesso giorno allo stadio c'era anche Franco Fiori Tartaruga

Sassari «Quando ho visto la foto in bianco e nero sul vostro giornale mi è ritornato alla mente quel giorno di 40 anni fa, che doveva essere di festa e invece si rivelò la tragedia che tutti conosciamo». Il 29 maggio del 1985 Massimo Briaschi aveva 27 anni e insieme a Platini, Boniek, Tardelli, Rossi e gli altri giocatori della Juventus si ritrovò in campo insieme a centinaia di tifosi italiani che nella calca – nella quale morirono schiacciate 39 persone – si riversarono sul terreno di gioco per tentare di salvarsi la vita. Tra quei tifosi, con
la sciarpa bianconera al collo, c’era anche il commerciante sassarese Franco Fiori, per tutti “Tartaruga”, al quale qualche giorno fa abbiamo dedicato una pagina sulla Nuova Sardegna per raccontare la storia della sua vita, che passa anche per quella tragica giornata di maggio del 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, dove era in programma la finale di Coppa dei Campioni tra Juventus e il Liverpool. «Un amico mi ha mandato la pagina del vostro giornale e quella foto mi ha riportato sul terreno di gioco» racconta Massimo Briaschi che oggi ha 66 anni, fa il procuratore sportivo e vive a Vicenza. Attaccante dotato di un gran tiro, Briaschi aveva iniziato a giocare a calcio proprio nel Vicenza, per poi raggiungere la maturità con la maglia del Genoa e spiccare infine il grande salto nella Juve di Trapattoni.«Ho giocato anche un anno nel Cagliari nella stagione 1979/80 – spiega l’ex giocatore – sono legatissimo alla Sardegna e ho una casa nella zona di Sant’Elmo a Castiadas. Mi sono sentito di contattarvi – spiega Briaschi perché tramite il vostro giornale vorrei dare, se possibile, un grande abbraccio alla persona che era venuta all’Heysel per giocare al nostro fianco e che ho visto nella foto». Quel giorno Franco Fiori, (anche lui nel 1985 aveva 27 anni) dopo la traversata in traghetto fino a Genova e il viaggio verso Bruxelles con un pullman partito da Torino, si ritrovò allo stadio Heysel proprio nel settore Z - dove i tifosi inglesi sfondarono le reti divisorie - con due amici con cui era partito da Sassari. «Persi le scarpe e una sacca con la macchina fotografica – racconta Franco Fiori – e un ragazzo che era con noi sul pullman mi donò un paio di ciabatte che mi consentirono di non rientrare scalzo. Purtroppo una persona che era sul nostro pullman, il signor Giovacchino Landini, rimase schiacciato e morì. Io riuscii a salvarmi e finii sul terreno di gioco – aggiunge – e insieme ad altri tifosi chiesi ai giocatori della Juve di disputare la partita, perché altrimenti la situazione sarebbe peggiorata».
Quel frangente - immortalato nello scatto in bianco e nero che abbiamo pubblicato sul nostro giornale - è ancora impresso nella mente di Massimo Briaschi, che non aveva mai visto la fotografia. «Ricordo benissimo quel momento – spiega l’ex giocatore – sono istanti che è impossibile dimenticare. Eravamo rientrati negli spogliatoi – spiega – e a un certo punto ci mandarono fuori a calmare le persone che erano sul campo. In quel momento non si sapeva ancora bene cosa fosse accaduto – aggiunge – noi lo apprendemmo al rientro in albergo. Quel giorno persero la vita 39 persone che erano venute a sostenerci – prosegue l’ex calciatore della Juventus – una tragedia che forse si sarebbe potuta evitare se non si fosse scelto quello stadio quasi fatiscente. Al tifoso sassarese che ho rivisto nella foto che avete pubblicato – aggiunge – visto che abbiamo passato quei momenti insieme, uno da una parte e uno dall’altra, vorrei mandare un abbraccio e a quarant’anni di distanza dire grazie a lui e a chi era lì quella sera che nessuno di noi dimenticherà mai».

20.2.25

diario di bordo 104 anno III La ragazza eritrea yodit abraha che è stata accolta ora ha in affido un bimbo.,Da avvocato a libraio. La storia di Maurizio Piscetta., Commovente video di un ultras della Roma dopo il terremoto. "Un abbraccio ai napoletani, che Dio vi protegga"

   Ecco  le  news   pi.ù interessanti      di questa  settimana 


avvenire  18\2\2025 

                         Giacomo Gambassi, inviato a Palermo
 

«La Sicilia mi ha accolta. Palermo mi ha riconciliato con me stessa e fatto diventare una psicologa. Era giusto che mi mettessi a servizio di questa terra». Yodit Abraha sorride. I lunghi capelli neri scendono oltre le spalle. È nata in Eritrea ma il suo passaporto è etiope. E dal 1984 vive nella Penisola o, meglio, nell’isola dove è approdata per ritrovare i genitori fuggiti dall’Africa in cerca di un futuro migliore e dove «io sono rinata dopo

essere stata sradicata dal mio Paese». La cittadinanza italiana non l’ha mai chiesta. «Ma io mi sento italiana a tutti gli effetti. Lo dicono, ad esempio, il mio accento o il mio modo di gesticolare. Ed è uno scandalo che non si acceleri il procedimento per ottenerla», dice subito. Per lei restituire alla Sicilia quello che ha ricevuto ha significato una duplice scelta: dedicarsi ai migranti e dare una famiglia a un bambino che non ce l’aveva. Giuseppe è il ragazzino che ha in affido. «Ho chiesto esplicitamente che fosse un palermitano perché a Palermo devo tantissimo», racconta la donna. Lui ha 11 anni. Frequenta la quinta elementare. E da 6 è suo figlio “sine die”, come ha stabilito il giudice tutelare dopo che la futura mamma era passata dal Centro affido del Comune. Giuseppe la chiama «mamma» nonostante il differente colore della pelle. E insieme hanno creato sui social una sorta di sit-com che hanno ribattezzato “Diario di una mamma scoppiata”. «Perché voglio raccontare la realtà, senza nascondere le difficoltà», dice Yodit.
Come quelle che tocca con mano tutti i giorni nella struttura per l’accoglienza dei migranti di cui è la coordinatrice. È “Casa di Lucia”, rifugio per le donne, anche con figli, sbarcate nell’isola sui gommoni della speranza. A gestirla è il Cresm, il Centro ricerche economiche e sociali per il Meridione, e fa parte della rete di accoglienza del Sai Palermo, il Sistema accoglienza integrazione finanziato dallo Stato e voluto dall’amministrazione comunale. Ventuno i posti a disposizione nel Cresm per chi arriva dalle altre sponde del Mediterraneo. «Prendersi cura di chi è in grave difficoltà richiede molte energie – confida Yodit – ma siamo una grande famiglia. Ed è quella di cui fa parte anche Giuseppe. Per certi versi lui vive in una comunità domestica più ampia, come accade Africa». Una pausa. «La mia è una scelta di maternità. Però nell’affido non c’è un paracadute che ti sostiene. E il tasso di fallimento è elevato».
Ancora ricorda quando negli anni Settanta la madre e il padre sono partiti alla volta dell’Italia. «L’Italia che ci aveva colonizzati – chiarisce –. E trovavi in Eritrea ed Etiopia chi chiamava gli italiani “brava gente” e chi li accusava di segregazione». Lei era rimasta in Africa, cresciuta dai nonni materni. «Ho ancora in mente la loro casa aperta a chiunque avesse necessità. Erano poveri ma prevaleva in loro la volontà di condividere anche il poco che avevano». I suoi in Sicilia. «Approdati da irregolari. E ora cittadini italiani». Poi l’arrivo di Yodit e del fratello. «Mi sentivo persa ed estranea. Non è stato facile qui». A Palermo l’incontro con «una città multiculturale», fa sapere. «E leggendo un libro sulle case-famiglia ho deciso di iscrivermi all’università. Mentre studiavo, sono stata badante e baby-sitter». Lei ce l’ha fatta. «Adesso tocca a Giuseppe guardare al futuro». Al suo fianco la mamma che, per la legge, rimane straniera ma che Palermo considera una figlia a pieno titolo.



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AGI -
“Da avvocato a libraio, mi sento libero”. Quando parla Maurizio Piscetta, romano, sembra di sentire un giovane allergico ai compromessi, sempre pronto a sfidare la vita a duello. Eppure, ha compiuto 81 anni il 13 gennaio scorso ed è ancora colmo di entusiasmo. La sua memoria è una galleria di ritratti di personaggi eccellenti coi quali ha condiviso parecchio, per esempio Giuliano Vassalli (partigiano, giurista, ministro della Giustizia e “padre” del nuovo Codice di procedura penale dell’89) e l’editore Giulio Einaudi.


Poteva tentare altre carriere, come nasce l’idea della libreria? 

“Quando ebbi un dissenso violento alla facoltà di Giurisprudenza all’università La Sapienza”. 

Con chi?

“Con Giuliano Vassalli di cui ero suo assistente di diritto penale”. 

Cioè?

“A quel tempo contestavo il sistema con cui si facevano gli esami. Per esser chiari, c’era ancora la baronia: il docente voleva esercitare il suo ruolo, anche se restrittivo, sui discenti”.


Perché contestava quel metodo?

“Eravamo nel ’68. Ero docente e insieme discente (ho dato pure qualche esame a Lettere), avevo la capacità di indossare l’eschimo e di stare dietro a una scrivania. Non si era recepito il cambiamento che gli studenti volevano. E Vassalli non accettava questo. Oggi, col senno di poi, capisco Giuliano. E poi io ero nel Psi”.

Che vuol dire, anche Vassalli era socialista.

“Sì, ma io aderivo alle idee massimaliste di Riccardo Lombardi”. 

Quando è entrato nel Psi?

“All’età di 14 anni, nella Federazione giovani socialisti in provincia di Novara, dove viveva mia nonno materno, agricoltore. Per paura dei tedeschi, mia madre era scappata a Roma e mio padre in Francia. Per cui venivo da un’esperienza già precostituita, dall’antifascismo”. 


Poi cos’è successo?

“Mia madre, i miei zii e mio nonno volevano che frequentassi il Collegio Nazareno nel centro storico di Roma, perché avevano saputo che ci andavano i nobili”.

Lei è nobile?

“No. Al Collegio ho seguito fino al liceo Classico”. 

Chi erano i suoi compagni di classe?

“Figli di gente importante ed era frequentato anche da uno dei figli di Giulio Einaudi, Mario, con il quale siamo diventati amici per la pelle”.


Einaudi seppe che aveva deciso di fare il libraio?

“Come no. Frequentavo casa Einaudi, alla Balduina, per storicità editoriale, per capire come funzionavano i libri, e Mario mi spiegava. Poi ho avuto rapporto con Giulio Einaudi e con il suo direttore commerciale, Roberto Cerati. Giulio era un uomo estremamente comunicativo. Riusciva a trovare la forza nelle persone per portarle a fare quello che magari non volevano, da Calvino a Levi e a tanti altri ancora. Ho cominciato a 13-14 anni a incontrare questo signore. Quando mangiavamo insieme, Einaudi mi diceva che ero diventato un massimalista terribile”. 

Quando ha scelto di dedicarsi ai libri?

“Alla fine degli anni 60 vinsi un concorso all’Ufficio studi della Banca d’Italia. Però rifiutai, non avevo una bella opinione delle banche e mia madre, che era una persona molto democratica, mi chiese: ‘Sei contento?’ Sì, sono libero di pensare e di fare quello che mi pare”.  

Poi?

“Nel ’70 ebbi la prima libreria, al civico 343 di viale dei Colli Portuensi, strada che diede il nome all’attività. A quel tempo esistevano ventuno cartolibrerie nel raggio di un chilometro quadrato: si poteva fare un lavoro istruttivo correlato alla docenza; si ricordi, le librerie sono sentinelle di quartiere. Nel ’78, insieme con altri amici, fondo il Comitato di quartiere di Monteverde nuovo. Pochi anni dopo contesto alcune cose che non vanno nel Psi, come per esempio quando si è voluto costringere Fabrizio Cicchitto a dire che era un piduista: nel partito dicevano che ero un guerrigliero. E poi collaboro anche al giornale ‘Il Quartiere’ di Monteverde”.  

E la libreria?

“Nel ’74 cambio, dal civico 343 mi sposto al 379, dove la libreria si trova ancora oggi”.

Niente amore?

“Ho conosciuto mia moglie, belga, a piazza di Spagna. Era bibliotecaria presso l’opera pastorale ‘Aiuto alla Chiesa che soffre’ voluta dal sacerdote olandese Werenfried van Straaten (costituita nel 1947 per aiutare i fedeli della Germania orientale, ndr). In seguito sono arrivati i figli, nel ‘71 e ’73: oggi uno è libraio e l’altro nel settore import-export”.

Perché ha chiamato la libreria “Asterisco”?

“Fa pensare a qualcosa che ti sei dimenticato oppure a una nota, una spiegazione a piè di pagina”.

Come mai ha cambiato indirizzo?

“Il mio socio di fatto era andato via, apparteneva a una delle famiglie, i Farina, che a Roma aveva più edicole. Volevo fare esperienza sul campo. Avevo capito come funzionava un editore, il distributore, quindi mi mancava l’ultimo pezzo: fare il rappresentante di libri scolastici, e ho capito la funzionalità delle adozioni scolastiche. Quando ho fatto il presidente dei librai, del Sil (Sindacato italiano librai e cartolibrai) della Confesercenti - dal 2006 fino al 2021 responsabile di Roma e Lazio e per sette anni a livello nazionale - ho potuto mettere a sistema le richieste dei librai”. 

Quindi ha fatto l’avvocato?

“Quando sono uscito dall’università il partito mi affidava fascicoli di studio sul diritto penale. Allora si cominciava a parlare di diritto amministrativo e iniziavo a capire la grande importanza della lettera ‘d’, ovvero gli ampi spazi di manovra consentiti nella norma dalle parole delega e deroga. Non ho mai esercitato la professione di avvocato, era in conflitto con la figura del libraio, ma il fatto di dover studiare sempre alcune materie mi portava ad avere nozioni abbastanza interessanti. All’epoca la pochezza non c’era. Si trovava poca gente ma preparata, eravamo tutti figli della guerra. Pensi, la mia matricola all’università alla lettera ‘P’ aveva il numero 250. La mia attività era (ed è) paralegale, come la chiamo, ed è sempre stata parallela. Oggi ho costituito un gruppo di lavoro e ho a che fare con Comune, Regione e ministeri, verificando le anomalie nel rapporto tra istituti di credito e clienti”.

Ancora le banche?

(Sorride). “Ma ho a che fare anche con tutto ciò che riguarda le nuove norme europee. Attualmente mi sto occupando di discrasie mercatali, sia in sede fissa sia in sede ambulante. In un certo senso, continuo a fare il contestatore che ero all’inizio e lo faccio volentieri”. 

Che libri consiglierebbe?

“Il primo è ‘La democrazia in America’, di Alexis de Tocqueville. Si parla di un concetto che oggi si tira per la giacchetta dove si vuole, ma la democrazia o la si vive e si cerca di ottemperarvi altrimenti lasciamo perdere, facciamo un diritto privato ad personam. E poi, se vogliamo addentrarci in questioni pratiche, ‘L’economia’, di Riccardo Smith”.

Se tornasse indietro rifarebbe tutto?

“Sì, rifarei tutto. In punto di morte mia madre novantunenne, che era avanti anni luce, mi ha chiesto: ‘Sei contento?’ Sì – ho risposto - ho fatto le scelte giuste”

Gli amici le hanno mai dato un soprannome?

“Nell’ambito sportivo mi chiamavano Alice: ero smilzo e correvo come un pazzo. Giocavo a basket. Allora il professionismo non esisteva. C’erano le squadre Stella Azzurra, Ex Massimo, Fiamma Roma e Lazio, dove stavo io”.      

Che le hanno dato i libri?

“Il mio lavoro è stato un’immissione di acculturamento che non era così pianificato com’è oggi, al ribasso. I libri mi hanno dato un potere enorme su tutti coloro che, pur avendo uno status magnanimo, hanno accettato i miei consigli. E mi dànno il piacere di conoscere il pre, il post lo vedremo”.

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Commovente video di un ultras della Roma dopo il terremoto. "Un abbraccio ai napoletani, che Dio vi protegga"


 Non  sarà l'intera  tifoseria     Ultras ,  ma   questo piccolo gesto   di solidarietà  è significativo   in un contesto (   anche se     negli ultimi 10 anni    le  violenze  tra  gli ultras  sono quasi scomparse )   in cui  c'è odio   fra  tifoserie . 


@marina766589

♬ suono originale - Alessandro🟧🟥


La terra continua a tremare a Napoli, i Campi Flegrei sono tornati ad essere molto attivi, è in corso uno sciame sismico che sta mettendo a dura prova il popolo napoletano. Tanto agitazione e spavento per una situazione che non fa dormire sonni tranquilli.Nelle ultime 24 ore si sono succedute scosse di terremoto oltre i 3 gradi della scala Richter. A Pozzuoli molto ha gente ha preferito dormire in strada nelle proprie automobili e lo farà anche stanotte. Intanto da Roma è giusto il messaggio di un ultras della squadra giallorossa. "Oggi video serio, un abbraccio grande a tutte le persone che stanotte hanno dormito in automobile nella zona dei Campi Flegrei a Napoli. Bambini, anziani, disabili". "Un abbraccio ai napoletani che hanno dormito in strada per via delle continue scosse di terremoto. Un abbraccio grande, essere ultras della Roma è soprattutto questo, a volte il calcio si confonde con l'essere ultras. Un abbraccio da Roma, che Dio vi protegga", ha riferito il tifoso giallorosso. Il video pubblicato su TikTok ha ricevuto tantissime visualizzazioni, anche altri tifosi della Roma si sono uniti al messaggio. Un bel gesto di solidarietà

19.2.25

Espresso Macchiato di Tommy Cash, dalla polemica social alle carte bollate del codacons che chiede European Broadcasting Union (Ebu), organizzatore dell'Eurovision Song Contest. di cancellarla dalla lista

LE ' notizia      di  oggi che  il   Codacons  ha    chiesto  provvedimenti  per  la  canzone   che  sta  spopolando ovunque  sulla  rete  Espresso macchiato  .    Ricordo  di un brano di Alberto Fortis che cantava ...vi odio voi romani... eppure non risultano prese di posizione, forse questo brano fà più scalpore perché anche  se  in maniera  stereotipata    dice una qualche verità sull'Italia e il suo popolo escludendoovviamente   la parte onesta che sopporta mal volentieri.  L’espresso macchiato diventa un caso.  Infatti secondo  il  quotidiano.net  << Non sono stiamo parlando della classica tazzina di caffé italiano (in questo caso con l’aggiunta di un goccio di latte) ma della canzone del artista estone Tommy Cash che porterà all’Eurovision song contest 2025 (il festival della canzone europea) la sua “espresso macchiato”.E mentre sui social divampano le polemiche sul brano ritenuto da molti irridente se non irrispettoso nei confronti degli italiani (il cappuccino macchiato stereotipo sulla stregua “mafia, pizza mandolino”), il Codacons ha deciso di inviare un ricorso all'European Broadcasting Union (Ebu), organizzatore dell'Eurovision Song Contest. "Ferma restando la libertà di espressione artistica che deve caratterizzare eventi come l'Eurovision, non possiamo non sollevare dubbi circa l'opportunità di far partecipare in una gara seguitissima dal pubblico di tutto il mondo un brano che risulta offensivo per una pluralità di soggetti", spiega il Codacons.>>

la  canzone   in  questione  cioè Espresso Macchiato,è interpretata un po’ in italiano e un po’ in inglese, non mancano i riferimenti, oltre all’espresso macchiato, alla mafia nel passaggio “io ho molti soldi, sudo come un mafioso” o agli spaghetti e al lusso (che si sottende chiaramente legato ai soldi della malavita), e così via  ed  quindi comprensibile  ed  evidente  che   la  cosa   faccia  incazzare  .  Infatti   "In queste ore si stanno registrando numerose reazioni indignate da parte di cittadini e mass media circa il contenuto della canzone 'Espresso Macchiato' del rapper Tommy Cash, scelta per rappresentare l'Estonia al prossimo Eurovision Song Contest 2025 che si terrà a Basilea dal 13 al 17 maggio – scandisce il movimento dei consumatori –. Un testo contenente stereotipi sull'Italia e gli italiani, associati ai soliti cliché del caffè e degli spaghetti, ma soprattutto alla mafia e all'ostentazione del lusso, e che lascia passare il messaggio di un popolo legato a doppio nodo alla criminalità organizzata". Ma  se  è  vero   che giustamente, vanno contrastate le canzoni dei rapper con testi sessisti e offensivi verso le donne , ecc    non  è  con la  richiesta   di  proibirla     che      si risolve   la  questione  cosi li si fa   ancora  più pubblicità  . Cosa  fare    allora  ?  lasciarlo  cantare   e contestarlo   con una contro canzone   magari  o fischiarlo  mentre  la canta  . 

In Italia c'è patriarcato o no ? il caso Il sistema dei rider va in tilt sulle donne i fatti avvenuti a Torino. Ricevevano ore e consegne fisse, poi i messaggi: “Non capisco perché non me la dai...”

 In  Italia    c'è  patriarcato  o no  ?  

 N.b   per    eventuali  analfabeti  funzionali    o   per chi  si basa  solo sul  titolo     .  leggete  l'articolo perchè  il  titolo soprattutto la  prima  parte   è provocatorio  sarcastico 


Nei  giorni scorsi  dopo  il mio   post  :  Non c'è Festival senza polemica e puntuale come ogni anno in cui non vince una donna ecco che il femminismo militante si riprende la scena ho ricevuto diverse  email  del tipo : <<     bravo finalmente  uno  di  sinistra     che  dice una  cosa   giusta   .,   non se  ne  può  più    sentirti  dire   dalle  nazifemministe   che  pratichi  il patriacarto  per  ogni cosa  critica  che dici sulle  donne    ., ecc  >> .
Oppure     si  confondono i termini  preferendo    usare sessismo e  maschilismo   e ritenendo il termine   patriarcato fazioso    è  ideologico      
Ora   tali termini       

  1. Patriarcato: Il patriarcato è un sistema sociale e politico in cui gli uomini detengono il potere primario e predominano nei ruoli di leadership politica, autorità morale, privilegio sociale e controllo della proprietà. Questo sistema implica una gerarchia di genere in cui gli uomini hanno un ruolo dominante sulle donne.

  2. Sessismo: Il sessismo è una discriminazione basata sul sesso o sul genere. Si manifesta attraverso atteggiamenti, pratiche e istituzioni che perpetuano l'ineguaglianza tra i sessi. Il sessismo può colpire sia uomini che donne, ma storicamente e culturalmente colpisce più frequentemente le donne, rafforzando stereotipi di genere e disuguaglianze.

  3. Maschilismo: Il maschilismo è un insieme di atteggiamenti e comportamenti che valorizzano la superiorità e l'autorità degli uomini sulle donne. Si manifesta attraverso una visione del mondo che esalta la virilità, la forza fisica e l'aggressività come caratteristiche maschili, spesso a discapito delle donne. Il maschilismo è strettamente legato al sessismo, ma si concentra più specificamente sulla promozione di ideali e comportamenti tradizionalmente maschili.

In sintesi, il patriarcato è un sistema di potere che favorisce gli uomini, il sessismo è la discriminazione basata sul genere, e il maschilismo promuove la superiorità maschile attraverso atteggiamenti e comportamenti. Questi concetti   \  termini   nonostante    le   differenze  semantiche  sono interconnessi e  contribuiscono alle disuguaglianze di genere nella società.
Quindi    si in Italia      anche   se     non più come  un tempo (fino a  gli  anni 80  quando fu abolito il    delitto  d'onore   )   dove    il patriarcato era   istituzionalizzato  c'è a  mio   avviso    ancora  . Infatti  esso è  come  un  i fenomeni carsici   che    sembrano  fermi ma   in realtà  continuano . Quindi   fin quando  da  una parte    si  sttovaluterà o s'esalterà  \  rimpiangerà e  dall'altra  a  sovravalutalo   \ vedere   dove   non c'è    ,  l'emergenza   :  sociale  , antropologica \  culturale   deiu femminicii  o vilenza di genere   persisterà   e si raffozerà i più    facendo  si che   fatti  come  questi   riportatoi sotto    aumentino .


 da il Fatto quotidiano del 18\2\2025  


Molestie alle “troie” Il sistema dei rider va in tilt sulle donne

I privilegi I fatti avvenuti a Torino. Ricevevano ore e consegne fisse, poi i messaggi: “Non capisco perché non me la dai...”

l confine tra la responsabilità del singolo e quella dell’azienda che crea condizioni di lavoro favorevoli a molestie e offese è molto labile nei casi come quello delle due rider donne di Torino che sono pronte a fare causa alla piattaforma di consegne Glovo, dopo anni incastrate in un meccanismo di avances, sfottò
e molestie verbali. Una modalità viziata dagli algoritmi, dai punteggi necessari per lavorare, dalle corse per non perdere i vantaggi da cui derivava il loro stipendio e anche dalla creazione di una sacca di lavoratori “privilegiati” tutti uomini che distribuivano a loro volta vantaggi ai membri di un gruppo denominato “Veteran”.I FAVORI E LE AVANCES MASCHERATE DA SCHERZI
Chi era nel gruppo – non ammesso nelle policy dell’azienda, ma comunque gestito da un dipendente dell’azienda stessa – godeva di trattamenti di favore: ore e consegne fissate indipendentemente dalle prestazioni e dalle dinamiche dell’algoritmo, una manna dal cielo soprattutto per Erika, madre di due figli, che poteva così garantirsi di lavorare di giorno. Peccato che, per non perdere questo vantaggio, riceveva messaggi e battutine a sfondo sessuale, con riferimenti precisi e fin troppo dettagliati, che evitiamo di riportare per rispetto della lavoratrice. “Guardo il calendario ma non capisco come tu non me l’abbia ancora data” è il più pulito. Parole a cui la donna rispondeva con delle faccine. “Non volevo rischiare di perdere quei vantaggi così importanti per permettermi di avere cura dei miei due figli e di lavorare” ci racconta. “Lo sai che scherzo – le diceva il responsabile che l’aveva inserita da subito nel gruppo di privilegiati – non posso negare che ci sia un fondo di verità, ma sono abbastanza intelligente da scherzarci su”.

UN SISTEMA LUDOPATICO: “SPIA” PER POTERNE USCIRE

“Guido la bici meccanica – ci racconta invece Amelia – lo faccio da decenni, ho iniziato a Londra dove questo lavoro era bellissimo. Speravo di trovare lo stesso in Italia e invece mi sono ritrovata schiava di un algoritmo e di un sistema di punteggi che fa impazzire e che ti rende schiavo quanto la ludopatia, nella speranza di vedere apparire la notifica che ti assegna una consegna per pochi euro”. Amelia entra così nel gruppo dei “Veteran” dopo Erika. “Io lavoravo già per Foodora – ci spiega – e stavo per fare causa all’azienda. Poi Foodora è stata acquisita da Glovo, con cui avevo iniziato a e ho lasciato stare la causa”. Da allora, come una sorta di “premio”, Amelia è stata fatta accedere al gruppo privilegiato e anche esplicitamente le venivano chieste informazioni sulla causa, sui sindacati, sulle piattaforme concorrenti (ma questo avveniva con tutti i veterani) e sulla loro stessa avvocata attuale, Giulia Druetta, che si occupa di diritto del lavoro e che da anni si batte per i rider. “È come se mi avessero chiesto di fare praticamente l’infiltrata”. Era il suo prezzo da pagare per poter uscire da quella folle dinamica che la teneva sveglia di notte a scrollare in cerca degli ordini liberi. Amelia, oggi, dopo anni trascorsi a pedalare a più non posso ha dovuto lasciare quella sella che pure le piaceva dopo una diagnosi di aritmia cardiaca. “Penso ai miei colleghi, mi deridevano perché avevo una bici meccanica invece che i loro scooter o le loro bici con la pedalata assistita: dovevo star loro dietro, avevano un vantaggio competitivo che io non avevo e dovevo pedalare sempre più forte”.

I CRITERI DISCRIMINATORI SU DONNE E STATO DI SALUTE

Un aspetto, quello della salute, che potrebbe trovare spazio ampio nella causa oltre al riconoscimento del lavoro subordinato a tutti gli effetti (le piattaforme ritengono quasi sempre che i loro rider non siano dipendenti a tutti gli effetti), e il fatto che gli algoritmi non abbiano criteri neutri, o meglio che applichino criteri che di fatto non tengono in consilavorare derazione le caratteristiche personali dei rider, dal genere ai carichi di cura alle condizioni fisiche. Al punto che, per garantire dignità di lavoro, nascono sacche di “privilegi” illeciti come il gruppo dei veterani torinesi. E gli stessi veterani, raccontano le due donne, devono tenere ritmi da lavoro dipendente con una media di tre ordini l’ora per almeno otto ore. Una organizzazione, insomma, nei fatti reiterata e strutturata. “Siamo stati nel gruppo per un paio d’anni”, raccontano. Agli altri rider, quelli non privilegiati e ignari, andavano gli ordini che avanzavano dai nostri, contesi sulla base di efficienza e punteggi. Anche in questo caso, le donne sono le più discriminate. Gli ordini maggiori arrivano infatti di sera, racconta Erika, e chi ha figli a carico spesso ha difficoltà ad accettarli. “I primi tempi – dice – quando ho iniziato per arrotondare in cioccolateria, portavo spesso con me i miei figli che si addormentavano in auto”. Ha vissuto anche situazioni pericolose: “Da uomini che mi chiedevano di entrare in casa loro anche insistentemente a consegne in situazioni difficili, al buio e in luoghi poco sicuri”. Da questo punto di vista, avere dei vantaggi le è sembrata una manna dal cielo.

TUTTI CONTRO TUTTI “PERCHÉ DENUNCI COME QUELLA TROIA?”

Questo complesso sistema, però, crea volente o nolente il contesto ideale per il proliferare di comportamenti sessisti e molesti. E nutre anche l’omertà di chi per anni, all’ombra di un’azienda che non è chiaro quanto fosse inconsapevole di questi privilegi, ha gestito a piacimento dei lavoratori nei fatti privi di diritti e tutele. Abbiamo scritto un messaggio nel pomeriggio di ieri a un portavoce di Glovo per l’italia, ma al momento in cui andiamo in stampa non abbiamo ancora ricevuto risposta. Certo è che i riferimenti del gruppo “Veteran” sono stati sostituiti con altri più giovani, che hanno azzerato questi privilegi.

Intanto, i messaggi indirizzati in queste ore a Erika sono un esempio del clima generale, come le offese ad Amelia. Dopo il primo articolo pubblicato sull’edizione locale di Repubblica, le due donne hanno ricevuto dai colleghi del gruppo improperi e richieste di spiegazioni sul perché non abbiano tenuto un comportamento omertoso nei confronti di chi non ha fatto altro che “aiutarle” per così tanto tempo. Proprio lei che è “una madre” avrebbe “dovuto capire”: è uno dei concetti dei messaggi. Avrebbe dovuto evitare di parlare delle avances per non mettere in difficoltà chi le ha fatte. Proprio lei, che non sarebbe come “quella troia” di Amelia.



18.2.25

diario di bordo n 103 anno III .bocciato in seconda media perchè genio ma riamesso in terza dal tar , bandito dale scuole americane Freckleface Strawberry di Julianne Moore perchè aiuta ad accettarsi , Inghilterra Bandiera trans sull'altare: lo sfregio woke in chiesa.



In un paese  In un paese in cui la mediocrità e l'ignoranza sono la regola, uno capace non può che essere emarginato. Dà fastidio  è  il  caso di   

Uno Studente di 12 anni ha un Q.I. di 130 ma viene bocciato in seconda media per «basso rendimento» La decisione del Tar che riammette lo studente e condanna il Ministero dell'Istruzione .

fonte Leggo 


Bocciato in seconda media perché troppo intelligente. Per questa ragione, alla fine dell'anno scolastico 2023/24, una scuola di Vicenza non aveva ammesso alla classe successiva un alunno di 12 anni. La notizia fu appresa con grande stupore dai genitori dello studente, che avevano impugnato la decisione dei dirigenti scolastici davanti al Tar (Tribunale amministrativo regionale), consapevoli delle difficoltà del figlio legate ad un quoziente intellettivo superiore alla media e ad un elevata ansia da prestazione.
Dopo aver analizzato tutti gli aspetti del caso, i giudici del Tar hanno riammesso il 12enne in classe, condannando il Ministero dell'Istruzione a risarcire la famiglia le duemila euro, ovvero le spese della lite.«Non è stato allestito un piano personalizzato»
Come riporta Il Giornale di Vicenza, all'alunno era stato riscontrato un quadro di «plus dotazione
cognitiva», ansia da prestazione, tendenza al perfezionismo e bassa autostima. La combinazione di questi elementi aveva influenzato negativamente l'andamento scolastico del 12enne. Secono la famiglia e il Tar, lo studente necessitava di Bisogni Educativi Speciali (BES). Lo stesso istituto scolastico aveva riconosciuto le difficoltà evolutive legate all'apprendimento senza, tuttavia, organizzare un sostegno e un piano personalizzato di studi dedicato all'alunno.
«Nel corso dell'anno scolastico la scuola non avrebbe apprestato in favore del minore un percorso personalizzato, creando un effetto disparitario nei confronti degli altri alunni», ha spiegato il legale dei genitori. Il Tar, dunque, ha annullato la bocciatura. La sentenza, a prescindere, non modifica il percorso scolastico del 12enne, perché a inizio anno era stato ammesso in terza media dal Tribunale in via provvisoria.

 come  il caso  di  Julianne Moore sconvolta perché l'Amministrazione Trump ha bandito dalle scuole militari il suo libro Freckleface Strawberry  .  Il  fatto   in se  strano  in quanto trattandosi di un libro innocuo e che insegna l'accettazione di sé e degli altri. Prova ne è la sinossi ufficiale, che recita:

 Se hai le lentiggini, puoi provare a fare queste cose: 1) Cercare di farle andare via, sempre che lo scrub non funzioni. 2) Coprirle, sempre che tua mamma non ti sgridi perché stai usando il suo pennarello. 3) Scomparire. Ma dove potresti andare? Oh, eccoti qui. C'è un’altra cosa che puoi fare: 4) IMPARARE A CONVIVERCI! Perché dopotutto le cose che ti rendono diverso ti rendono anche... TE.

il libro contiene un messaggio positivo, quindi non c'è ragione per non farlo circolare nelle scuole. La speranza è che questo gesto stupido scateni colossali proteste in modo che tanti bambini che soffrono perché non riescono a omologarsi a un gruppo possano consolarsi con una lettura piacevole quanto utile.

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Inghilterra Bandiera trans sull'altare: lo sfregio woke in chie
sa



Ancora una volta la Gran Bretagna si conferma un fortino della religione woke. E parlare di religione non è casuale in questo caso, considerando che la vicenda riguarda la chiesa britannica. Il reverendo della cattedrale di Sunderland, nel Nord-Est, ha ricoperto il suo altare con la bandiera pro-trans Progress Pride, violando di fatto il diritto canonico. Come evidenziato dal Telegraph, si tratta di una bandiera con una versione modificata della bandiera arcobaleno che include colori e simboli extra per rappresentare le persone nere, transgender e intersessuali.n realtà non è la prima volta che accade un episodio del genere, considerando che i tribunali britannici si sono già espressi in passato vietando l’uso della bandiera in quanto “non è un emblema cristiano”.   Ma la cattedrale di Sunderland, he fa parte dell'Inclusive Church Network che supporta il permesso del matrimonio tra persone dello stesso sesso nella Chiesa d'Inghilterra, la usa per decorare il tavolo nella sua cappella laterale. Il reverendo Jacqui Tyson ha affermato sui social media che la chiesa è "aperta a tutti" condividendo un'immagine del drappo: "Sono orgoglioso di servire in una chiesa aperta a Dio e aperta a tutti. Amo queste persone e così fa Dio".Interpellato dal quotidiano, il reverendo Ian Paul  [ con cui  concordo  , eccetto  sul  considerare  false  le  teorie \  ideologia  transgender  ,  pur  non essendo  da  un paio d'anni praticante  , asnche  se  vado  ai matrimoni , funerali  ,  ecc ,  in quanto mi sento più    spiritualità \  laico credente   ]  ha sottolineato che in realtà l’uso della bandiera non significa che la chiesa sia aperta a tutti, poiché "esclude le persone che non accettano le false affermazioni dell'ideologia transgender": "Questa è una violazione del diritto canonico per due motivi. Innanzitutto, non include ma esclude: esclude le persone che non accettano le false affermazioni dell'ideologia transgender. In secondo luogo, distorce e travisa lo scopo della tavola della Comunione, che è intrinsecamente ‘inclusiva’ in quanto invita tutti a condividere e ricevere i doni del pane e del vino, che ci ricordano che Gesù è morto per tutti. La tavola della Comunione così com'è non potrebbe essere più inclusiva. Sostenere che abbia bisogno di una bandiera o di qualsiasi altra cosa da aggiungere per renderla più ‘inclusiva’ è un grave malinteso".


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17.2.25

Non c'è Festival senza polemica e puntuale come ogni anno in cui non vince una donna ecco che il femminismo militante si riprende la scena

 


Anche  se      condivido e  faccio mie    alcune  cose  di base  con il feminismo, soprattutto  dopo che  ho   conosciuto e  continuo  a   confrontarmi   Daniela Tuscano e  Stefy Pastori, devo dire    che quest'articolo : <<  La follia su Sanremo: "Festival della violenza patriarcale" >> del il Giornale  del  16\2\2025   deliberamente     rielaborato      salvo  alcune  parti     in  corsivo e    fra    virgolette  , ha  tutti  i  torti   .  
Veniamo al  post  vero e   proprio  .
Non poteva  mancare    la solita  polemica   post  san Remese   .  Quest'anno  riguarda  la   mancanza  sul  palco dei vincitori    delle  donne . Non è la prima volta che ci sia qualcuno pronto a sollevare il polverone se non vince una donna o se una donna resta fuori dalla cinquina finale. Quest'anno non fa eccezione, con Giorgia, data per favorita, al sesto posto e un quintetto di finalisti tutto al maschile. Le polemiche si concentrano sul fatto che nel nostro Paese ci  sia   un problema di maschilismo (detto anche patriarcato) interiorizzato e radicato, per il quale al momento di votare si scelga sempre di dare la preferenza agli uomini.
Questo è il succo delle polemiche che si rincorrono da sa da quando  Carlo Conti ha reso nota la rosa dei cinque finalisti tra i quali il pubblico avrebbe poi dovuto votare il vincitore, che alla fine è stato Olly. <<Questa polemica si ripete in modo perpetuo e il rischio è  >> sempre secondo   ILGIORNALE << che a qualcuno, chi  per cavalcare l'onda femminista e raccogliere qualche voto in più (Sanremo porta anche voti) non venga l'idea di inserire le quote rosa anche a Sanremo. Utopia? Forse ma non troppo, perché ci sono sempre i geni in tal senso, pronti a prendere la palla al balzo per cavalcare l'onda che in quel momento sembra più conveniente.>>
Ci aveva già provato  dal gruppo  Non una di meno a puntare il dito contro il "Sanremo patriarcale", quando   Fedez ha portato sul palco insieme  a  Masini   "Bella stronza". E lo ha fatto aprioristicamente   senza nemmeno capire il senso della canzone modificata per l'occasione. "Il Festival della restaurazione porta in finale tutti maschi", si legge in uno dei tweet che stanno raccogliendo maggiori critiche all'indomani della finale del festival di Sanremo. E ancora  dallo stesso     gruppo    femminista   si legge : "A Sanremo ha vinto un uomo, e tra i primi 5 classificati non c'è nemmeno una donna. È stato un Festival all'insegna della violenza patriarcale". E si prosegue: "I gender bias premiano la credibilità (o la presunta tale) dei cantautori e la bonaggine maschile. Per la credibilità alle donne e alla fregna solo briciole. Le artiste devono continuare a fare il triplo per ottenere una scarsa metà". Secondo   ILGIORNAlE << Ci ha messo   del suo anche Brunori Sas: "Podio solo maschile? Questo podio ha rappresentato un maschile che sicuramente non è patriarcale".Ormai tutto, in questo Paese, dev'essere politica. Come ci insegna Giorgia, che solo due anni fa imputava l'assenza di donne alle canzoni e non al genere. E oggi, invece, considera "scandaloso", imputabile a "qualcosa di atavico" la stessa situazione.>> .
 Il festival di Sanremo è una gara canora, c'é chi vince, c'é chi perde, perché ogni volta ci devono essere questi ignobili attacchi polemici  su un presunto sessismo che ha davvero stancato ? E basta, dateci un
po' di tregua da tutto questo odio, tanto lo sappiamo da sempre che a Sanremo vincono   sempre  i cantanti la cui società discografica paga di più e questo a prescindere dal sesso dell'artista e  della  bellezza  o mediocrità  della  canzone \   componimento musicale .  
Infatti  il  vincitore del festival     ha  come  manager  , una  donna , Marta Donà (  foto a  destra  )che rappresenta gli ultimi quattro vincitori del Festival. Ma  quelli   del gruppo non una  di  meno     l'ignorano  e preferiscono  non parlarne  pur di portare acqua  a l loro mulino  .

"La porta di confine": miniaturizzazione e versi “griffati” dalla dimensione poetica del mio amico e concittadino Francesco Pasella




 Il mio amico  e  compagno di  strada  Francesco  Pasella   mi  ha  regalato   il suo  libretto  poetico  : 


La plaquette lirica “La porta di confine” (Poesia tra mondi emersi) di Francesco Pasella è la 67esima opera della “Piccola collana di memorie”, ideata da Salvatore Tola e sviluppata negli anni con il collaborativo impegno di Salvatore Ligios della Soter editrice.  Francesco   ha  ,  tesi che  condivido , come  riportaa Mario Pischedda (visionarioe  poliedrico  artista di Bortigiadas, videomaker, fotografo, poeta-scrittore e giornalista), che del poeta Francesco evidenzia la “rara dote che pochi hanno, ovvero la brevità a cui aggiungere anche l’umanità e per chiudere il cerchio direi anche più di un verso felice e paradossalmente ermetico e spaziale”. Il riferimento è: “Lanciare dardi,/ ami,/ su cosmi fumanti”.//. E il nostro poeta tempiese “è un lanciatore, un discobolo direi di dardi poetici su cosmi fumanti”.  

Altra preziosità sta nella riproduzione del Paesaggio agrodolce, olio su tela di Giuliano Sale (pittore nato a Cagliari nel 1977, vive e lavora a Milano), in sintonia con la porta di confine esplora artisticamente l’ambiguità contemporanea.>> .   Infatti  secondo : << "La porta di confine": miniaturizzazione e versi “griffati” dalla dimensione poetica del tempiese Francesco Pasella >> Logudoro live  la miniaturizzazione poetica operata da Francesco Pasella, sia nel limite numerico delle composizioni che nell’essenzialità estrema dei versi pubblicati, lo porta a concentrare e griffare con il suo stile, di profonda concettualità, un ermetismo estremo e stratificato riflessivo linguaggio, sperimentato e consolidato con innumerevoli pubblicazioni, per varcare limiti tra realtà e oltre. In tempi di totalizzante globalizzazione e di poteri attenti ad innalzare muri ci arriva un messaggio di poesia che incede verso l’esaltazione dell’esperienza conoscitiva e che parla ai cuori; insomma un coltivo di ponti proiettati a stabilire contatti e dialogo tra persone e culture, capaci di sfidare tempi e fedi dai segni ancestrali. [...] .

Francesco Pasella propone anche  se   usando   solo  il cuore e  poco la mente    la sua personale visione e senso-valore dell’esperienza poetica e  non solo  da riscoprire con segni di contemporaneità, attingendo alla sua originaria sorgente di umanità ed alle molteplici interpretazioni dei flussi di pensiero che cattura con una straordinaria capacità di introspezione e sensibilità per le emozioni fugaci da trasformare in simboli di fratellanza e di esperienza poetica dalla dimensione universale.Infatti  <<La parola-poesia porta >> sempre secondo   Logudoro lice <<ad esplorare e comprendere, analizzare i tempi che consumano
indistintamente il tutto, nonostante lo “scorrere e ripetersi” esistenziale, ma è anche connessione e sincretismo per far emergere legami di e tra culture: l’atzeca-messicana mediata dal senso cristinianizzante. E da questa varcata porta di confine, tra mondi emersi, possiamo “vivere/ il giorno dei morti/ mesoamericano,/ quando le anime/ tornano per far festa,/ maschere ricamate,/ altari per brindare,/ carri e sfilate,/ banchetti per vivere”.// >>

 Fra    le  poesie più belle     che  mi sono piaciute

La pressione  sul cuore
un  cuore     che chiede aiuto allla mente  

cosmi  fumanti

lotta  per  essere  se stesso  e   allostersso tempo  non andare alla deriva   nel mare della  vita 

il mio  albero 

ha  trovato  qul centro  di gravità permanente    che  noi  tutti cerchiamo e  lo rafforza    e  lo sviluppa                   

Mi  è piaciuto     perchè  in tale   opera    c'è Un culto di radice e identità per avvicinare due mondi ed onorare la memoria dei propri antenati, nella consapevolezza che “nei gusci mollicci siamo morti,/ si è frantumato il cuore”,/ ma lo spirito è presenza ed essenza vitale di ricordanza della fase naturale dell’esistenza.Ma  soprattutto  Altra preziosità sta nella riproduzione del Paesaggio agrodolce, olio su tela di Giuliano Sale (pittore nato a Cagliari nel 1977, vive e lavora a Milano), da  me ripresa   qui  a  sini.stra  in sintonia con la porta di confine esplora artisticamente l’ambiguità contemporanea.

    16.2.25

    Boicottaggio san remo 2025 giorno V ( fine ) . ho visto la serata finale è dico che San remo è San remo un boicottaggio verò è impossibile almeno che non scegli d'andare su un isola deserta

    Nonostante  m'ero prefissato di non seguire  san remo  perchèil festival è  stato specialmente negli ultimi 25 anni un evento molto artificioso e cosruito , che tende a stupire a tutti i costi e rispetto a gli anni passati trova sempre meno posto una musica d'autore eccezion fatta petr artisti del calibro di noemi , brunori sas ,  per citare quelli di quest'anno che con coraggio e stile timbrano a loro modo una kermesse sempre piu sbiadita  e decadente. 
     Ma   e
    cco che anche  quest  anno    oltre  alla giornata   dei   duetti e delle cover  ,  ho  seguito,anche  se  non  completamente  troppo  pubblicità e troppi siparietti  inutili per  allungare il  brodo  ....  ehm...  lo spettacolo   , la  finale del festival    .  E posso dire  che  quel vecchio trombone di Feltri,a  cui il  sottoscritto aveva dato seguito,quest'anno   non  ci ha  azzeccato  completamente  perchè    ci  sono  state  canzoni  buone  e decenti .
      
    Per il resto, come fa giustamente notare Lorenzo Tosa : << sarà ricordato come il festival della noia, dell’appiattimento, di “cuore, patria e famiglia” (rigorosamente al singolare), con la sola Geppi Cucciari che, per una notte, è riuscita a ricordarci cosa sia uno spettacolo e che la satira, tra le righe, se sei dotata di intelligenza e ironia, la puoi fare ovunque. Grazie Geppi. Mai come quest’anno Sanremo è stato uno specchio impietoso del Paese, dopo anni in cui aveva restituito un’immagine deformata. Carlo Conti ci ha solo mostrato l’Italia per quella che drammaticamente è oggi: pavida, conservatrice, reazionaria. Tra l’applauso del pubblico (tele)votante. >>.
    Infatti  oltre le  solite   " canzonette  "     che  durano nella nostra  mente    neppure  un anno per  poi essere    dimenticate    e  finire  nell' oblio  ( salvo    che  le radio  , qualche  programma   nostalgico ,    o qualche  cover  non  le  ritirano fuori   ) 


      e  mediocrità assortite    ci sono state  canzoni  bellissime    e dai   testi  più o meno     profondi    come quelle    che   hanno  vinto  i  primi   3  posti    .  Ma  prima  d'arrivare    alla mia recensione   . Voglio parlarvi     della   mia elucubrazione mentale  \  dialogo  fra  me   e  me     nata  da questa  mia  incoerenza   ed  andare   in direzione  ostinata  e  contraria  

      

    •  mi chiedo  ma  che  faccio a fare   post  simili   se  poi non riesco    completamente   in pratica  qullo che mi   propongo  
    • Nessuno è perfetto non farti venire  sensi di colpa  inutili e  fuorvianti \ frustranti   . on hai  niente da  rimproverarti  perchè :  1  ) almeno  ci hai provato  ., 2)   e  come  hai  detto  tu   e  come  dice la  cover  di  una  famosa  canzone  D'Andreiana   ) << anche   se  noi   ci  crediamo assolti siamo per  sempre  coinvolti  >>.  visto  che stamattina  , durante  il  caffè   \  l'uscita  al bar  settimanale     nello scambio  di opinioni  con*****  i l  tuo compagno di viaggi  poeta   che    anche   se lui     che  la  pensa  come  te   (  vedere  sopra  )   non  segue   san remo   ne  hai  parlato  ed  avete  commentato  le  canzoni  soprattutto quelle   vincitrici   . 
    •   ha  ragione  lottare  contro   i muri di gomma  e  la  cultura  nazional  popolare  usata soprattutto    negli   ultimi  30  anni  come   arma  di distrazione  di massa    non più come  evasione     non  è  semplice     ed  è impossibile  come dice anche   quest  articolo  di due  anni fa  : <<Perché Sanremo era e resta una Festa nazional popolare >>  di  https://www.globalist.it/media/  Perché Sanremo era e resta una Festa nazional popolare .Infatti Non raduno, serata, sagra dal gusto nazional popolare. Ma Festa che, come tutte le Feste, istituzionalizza il rito. e  la  presenza   due  ani  fa   appunto del  presidente  della   Repubblica   Mattarella   ( che  evidentemente   voleva  svagarsi  e  distrarsi    dalla  beghe  istituzionali  😂😜😛 e  qui  mi fermo non vorrei essere  denunciato    visto che   i nostri servizi  monitorizzano    le  nostre  comunicazioni  con  spy  ware  e  simili       finire    schedato  o peggio  denunciato     )   ha messo il sigillo definitivo 

    Veniamo   adesso    alla  mia  recensione  delle    canzoni   vincitrici   dell'edizione  di  quest'anno  

    Balorda  nostalgia - olly

    Bella   .  ma  in realtà più scontata, e già alla vigilia la più quotata (altro che sorpresa), con una canzonetta caruccia, banalotta e piaciona in perfetto stile festival. troppo melodica    proprio  come le  canzonette      descritte    da  Renzo Arbore  in Grazie dei  fiori  bis  e   come  mi  sembra  di  capire  dal significato del testo  che  ne  da   https://www.soundsblog.it  

      volevo essere  un duro  - lucio Corsi 

    bella  e  toccante     meritava  la    vittoria     se  non  fosse  per  un sistema   di voto  balordo ed  astruso  . vero vincitore del festival resta quel ragazzo sulla destra qui sotto che di nome fa Lucio Corsi: un marziano sull’Ariston che ha restituito dignità alla fragilità in un mondo di machismo esasperato. Secondo posto e premio della Critica.

    l'albero delle noci  Brunori Sas
      un altro  pezzo    da  novanta  .  toccante  e  emozionante  il testo . Già  arrivare terzo   è  stato    un successo  in  quanto  si    rileva    essere  , unico vero erede dei grandi cantautori italiani.



    le  altre   mi  procurerò il testo e  l'esibizione  via  web     soprattutto   per  le canzoni  di Achille Lauro Bresh, Giorgia  .  fedez  

    Concludendo , nonostante tutto , mai come quest’anno Sanremo è stato uno specchio impietoso del Paese, dopo anni in cui aveva restituito un’immagine deformata. Carlo Conti ci ha solo mostrato l’Italia per quella che drammaticamente è oggi: pavida, conservatrice, reazionaria. Tra l’applauso del pubblico (tele)votante come le pecore di Dante per usare un riferimento letterario . Con questo è tutto al prossimo san remo

    Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

       Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto al  centro    )  considerato il primo tatuat...