a Donatella Colasanti
La Macchina del Consenso non conosce soste, a quanto pare.
Dopo i fatti di Guidonia e della Caffarella (oltre alla patetica cornice d’indignazione sulla morte della povera Eluana) era infatti inevitabile il ritorno di fiamma della folta e abituale congrega di quei cittadini che nel nome del “popolino” reclama “giustizia, solidarietà e sicurezza”; non è certamente una novità, grazie ai trabocchetti morali in cui spesso si cade di fronte a certe vicende, ma la realtà è però fatta anche di numeri in grado di raccontare un'altra storia, taciuta dai megafoni del perbenismo, più “nostrana” e scomoda e ben al di là del pur eloquente dato statistico rilasciato dal Viminale, perchè fino a prova contraria lo stupro e la violenza in genere sulla donna non hanno mai avuto bisogno, per essere praticati, di un passaporto o di approdare clandestinamente sul bagnasciuga con un gommone; anzi, a tal proposito, sarebbe più opportuno ripristinare oltre al proprio cervello anche il consueto appuntamento con la Ragione per leggere più correttamente il presente, invece di imbracciare nervosamente il moschetto e dimostrare di appartenere alla cosiddetta società civile e di doversi arrogare il diritto di sceriffo di sé stessi e della Patria contro lo stupratore mitteleuropeo.
Cominciare significa soprattutto ricordare la violenza privata alle donne, quella cioè che avviene entro le mura domestiche, come un punto di partenza obbligato e necessario per arrivare a comprendere a pieno le dinamiche di una cultura del sopruso e della sua estremizzazione, appunto lo stupro, che viene tramandata fin dalla notte dei tempi, e, come si vedrà, anche attraverso le modalità più insolite.
Tanto per cominciare varrebbe la pena rispolverare altri dati statistici a conferma che simili abomini non sembrano essere una esclusiva sociale dell'Italia invasa dagli extracomunitari; certamente la cosa non ci può e non ci deve consolare, ma evidentemente non deve essere abbastanza per chiedersi come mai in Italia sia possibile tollerare lo squadrismo xenofobo mentre si continua con molta naturalezza a perseverare su una condotta di matrice patriarcale e detentiva che ha visto molto spesso la donna vittima, succube e protagonista di “doveri” e quasi mai di “diritti”, nonostante lo specchietto per le allodole di una emancipazione che ha sortito sì risultati e conquiste di libertà inimmaginabili fino alla fine degli anni ’60 (come la recente legge contro lo stalking)...ma che ha forse puntato troppo sulla eguaglianza di diritti piuttosto che sulla diversità di valori.
Probabilmente siamo così abituati a ragionare attraverso un costante bombardamento mediatico che incita a condannare e contemporaneamente a vestire gli abiti vecchi del buonismo e moralismo da non renderci conto di navigare tutt’ora sulla scia di una legislazione sì “moderna” ma con le sfumature di un passato di aberrazioni come il delitto d’onore e la potestà maritale, divenute regole ed usi condivisi dalla maggioranza della fallocrazia dominante almeno fino al 1975, ossia all'introduzione della Riforma sul diritto di famiglia e alla vittoria referendaria per il divorzio; basti pensare ad esempio che il termine stupro, quarant'anni fa, non entrava neanche nel linguaggio corrente perchè la violenza sessuale non era ancora riconosciuta come un “delitto contro la persona”, ma semplicemente come un “crimine contro la morale” …roba da far percorrere un brivido di ottimismo e far sogghignare persino quei simpaticoni di Barbablù e Landru, incluso ovviamente i loro futuri seguaci...
E nel caso in cui la malcapitata di turno riesca faticosamente a trascinare se stessa e il suo aggressore dentro le aule di un tribunale (presiedute soprattutto da uomini, ovviamente) l'equità e le aspettative in un giudice vengono in qualche modo intaccate (oltre alle difese e avvocature opulente) anche dalle opinioni della "gente comune" (uomini,...ma anche donne “ammaestrate”) che paradossalmente vede nella vittima la causa del comportamento criminale dello stupratore; è emblematica in tal senso l'overture di protesta di cittadini nel Processo per stupro, documentario televisivo girato in un tribunale, che è testimone (anche ascoltando le parole degli avvocati difensori) di un'Italia troglodita e telecomandata da una moralità affossata nel triviale con il gentile contributo di emarginazione e di una sottocultura derivata dalla cosiddetta famiglia allargata, dove la donna era sostanzialmente un animale privo di libertà, da addomesticare e in dovere di sfornare prole, possibilmente maschile come forza-lavoro.
Oggi qualcosa è cambiato, ma fino ad un certo punto, se pensiamo alle vessazioni morali subite dalla ragazza violentata nella notte di Capodanno, costretta in qualche modo a difendersi (di nuovo, e da sola) da pesanti insinuazioni ed a fuggire da una realtà che ingabbia e molesta più del suo aggressore, italiano stavolta e forse per questo esentato dalla rabbia della “gente comune” e anzi bellamente difeso persino con striscioni da stadio sotto casa, soprattutto se entrano in gioco dei vecchi luoghi comuni mai passati di moda, e cioè che ad una donna, seppur incauta, non è permesso dire prima “si” e poi “no”: il ripensarci e serrare le gambe per proteggere la propria intimità è considerata una “provocazione”, innescando così (secondo i “perbenisti”) una sorta di relazione causa-effetto nella quale la vittima è considerata pure responsabile della violenza subita.
Morale della (per modo di dire) favola: lo “stupratore di Capodanno” si è avvalso dello “sconto” e si becca solo 2 anni e 8 mesi di carcere (per il momento, in attesa dell'appello alla sentenza) quando il reato di violenza sessuale ne prevede da un minimo di 5 fino ad un massimo di 10 anni. E ovviamente il “popolino” tace perchè probabilmente di negri e romeni non ce n'è in questa vicenda...
E' quindi mai possibile credere che, di fronte a simili contraddizioni, il problema ricorrente della violenza sessuale sia risolvibile con la repressione delle etnie presenti nel nostro Paese, quando i primi a dare il “buon esempio” siamo ancora oggi proprio noi, soprattutto nel giudicare? E, del resto, alcuni riscontri sembrano proprio dar ragione alla storica Joanna Burke che, in un libro recentemente tradotto in italiano, evidenzia, attraverso lo studio dei crimini sessuali dal 1860 ad oggi come lo stupro sia stato sempre considerato (a torto) un reato di “classe” e soprattutto imputabile al “diverso”; ...cioè, in pratica quel che avviene ancora oggi.
Siamo così sicuri che la violenza privata e lo stupro siano fenomeni scollegati e ben distinti, e non riconducibili invece ad uno dei tanti aspetti caratterizzanti il dominio dell’Uomo nei confronti dei suoi simili?
Oppure è quanto mai fondato il sospetto che tutto ciò abbia ben poco a che fare con la salvaguardia della donna, vedi la recente reintroduzione del controverso reato di immigrazione clandestina?
Eppure dovrebbe essere abbastanza evidente che alla Macchina è sufficiente un pretesto per oliare gli ingranaggi e aprire una breccia tra le folle attraverso le dispute dialettiche tipiche dell'italiano medio, che in siffatte circostanze si riscopre straordinariamente Lancillotto e soprattutto con la personalissima esperienza di allenatore di calcio, prete, imprenditore, operaio, milite, con la solita e discutibile retorica “da bar”.
Dovrebbe, appunto...ma nonostante tutto, continuiamo a tediarci a voce alta, forse per dare un senso al solito tozzo di pane d'informazione; quanto basta ovvio, pur di sopravvivere a se stessi e alla propria tranquilla quotidianità.
Con un tale indotto mediatico l'essenza del vero problema non può che sfuggire, e quindi è abbastanza normale (o mirato) che la stessa cultura della violenza sessuale nel corso dei secoli si sia ben “adattata” al nostro modo di leggere la realtà, addirittura rimanendone estasiati di fronte ad una reinterpretazione nelle opere d’arte dei secoli scorsi: un po' quanto probabilmente può succedere ai visitatori di una delle tante Mostre come la recente che si è svolta a Roma sui Sabini, antica popolazione dell'Italia centrale, meglio conosciuti per il Ratto omonimo che avrebbe in qualche modo contribuito, secondo la tradizione, a dare i natali alla Roma caput mundi.
Ovviamente qui non si vuole biasimare l’interpretazione di un mito attraverso il valore espressivo della correlata opera d'arte in un contesto storico-culturale, altrimenti dovremmo come minimo imbottire di tritolo e polverizzare il Colosseo se si pensa alle atrocità commesse nella sua arena durante i giochi, ma è sicuramente legittimo discutere l'idea che possa aver ispirato un Giambologna se non altro per il resoconto e la continuazione di una comoda e falsa interpretazione della Storia divenuto poi mito, senza aver potuto verificare a fondo il nucleo di verità che tutti i miti e le leggende contengono...a meno che l'atroce falso che associa la donna al Demonio e alla cacciata dal Paradiso Terrestre (fino a passare all'epoca delle accuse di stregoneria) ci potrebbe rivelare la Verità e riportare inevitabilmente agli arbori di questa Civiltà, fiorita probabilmente grazie ad uno stupro di massa che a noi è stato venduto invece attraverso il termine edulcorato di ratto; quindi il Tempo in genere sembra essere stato abbastanza ingeneroso con la donna, bistrattata dal mito e dalla realtà e riconosciuta universalmente vittima solo dopo le orribili mutilazioni psicologiche oltre che fisiche subìte durante gli orrori in Rwanda e Sebrenica, ma pure sul risultato ottenuto in sede Onu di condanna dello stupro etnico, considerato crimine di guerra, vale la pena ricordare come la presunta presa di coscienza internazionale non lenisce affatto le ferite di un ritardo nella Storia Moderna (era proprio necessario? Non bastava Nanchino?) e l'interpretazione legislativa del singolo Stato su premeditazione e tipologia di reato.
Infatti, se genocidio e stupro etnico rientrano a pieno titolo e nella medesima maniera nella voce di condanna da parte di un Tribunale internazionale, come mai le legislazioni dei vari Paesi pongono sempre in second'ordine lo stupro rispetto ad una morte violenta? Eppure fino a prova contraria e a parte il periodo e il numero delle vittime a confronto, non è che corra molta differenza tra quanto accaduto alle donne dell'enclave musulmana di Sebrenica, le sevizie subite dalla quattordicenne alla Caffarella o il “massacro del Circeo”.
Possibile che lo stesso, identico reato commesso invece in tempo di pace possa avere delle “attenuanti generiche” a meno che non intervenga la sacralità e il sacrificio della vittima pur di rendere inviolabile la propria intimità come è successo per la dodicenne Maria Goretti? Cosa rende così diversa la santità di Maria Goretti dalla (dimenticata) sofferenza terrena di Donatella Colasanti vissuta e uccisa per ben tre volte? Infatti, dove non riuscirono la tortura e la violenza intervenne poi defintivamente il cancro tre anni fa, ma probabilmente a darle un dolore più atroce della sua malattia fu un incubo che si materializzò qualche mese prima, dopo ben trent'anni dai fatti del Circeo, e cioè quando uno dei suoi aguzzini, Angelo Izzo, fu inspiegabilmente scarcerato e messo in condizione di uccidere nuovamente.
Si parla tanto di sicurezza nelle strade e immigrazione clandestina, ma già da allora dove erano le folle oceaniche della “gente per bene” (che pensa di affidarsi all'Esercito nelle strade e ai vigilantes pronti a manganellare il primo malcapitato che non risponda al “chi va là” in italiano) quando Donatella e tante come lei si sono dovute difendere, anche recentemente, con le unghie dai propri dolorosi silenzi, dai pregiudizi e dalla ipocrita e patriarcale solennità del Potere e dei processi che hanno visto assolti il più delle volte gli aggressori?
E, senza entrare nel merito della imbarazzante vicenda delle intercettazioni telefoniche e sui presunti flirt del nostro Capo del Governo con l’umiliante ed immaginabile applicazione della regola del do ut des, una delle conclusioni più sconfortanti in questo “miraggio” di Democrazia e che chiude il nostro lungo discorso è la stessa attualità vista “al femminile”, a conferma probabilmente di uno dei tanti flop in fatto di conquiste di libertà, e cioè la già citata “emancipazione”.
“Emancipazione”..... oppure potremmo meglio chiamarla “integrazione”, la stessa che invece stiamo negando agli “diversamente italiani”?
Già, perchè nonostante il termine “integrazione” venga di solito utilizzato in ambiti prettamente razziali e poco c'entrerebbe, a priori, con la condizione della donna, di fatto sempre di “integrazione” potrebbe trattarsi se si pensa che in Italia il più elementare dei diritti come il voto alle donne è arrivato solamente nel 1946 e che ci siamo portati fino al 1980 il matrimonio riparatore e legiferato solo nel 1996 in termini di stupro come “crimine contro la persona”: cioè appena tredici anni fa, dopo decenni di lotte e di assurde limitazioni nei più elementari diritti civili. Si potrà discutere o meno sui giochi di parole che rappresentino meglio i fatti, ma la realtà di una discriminazione ancora in corso non si può certamente negare (nel mondo del lavoro, ad esempio, e con una maternità imminente).
Di sicuro non è facile, ma se riuscissimo ogni tanto a far prendere aria al cervello e a comprendere come la fantomatica “subumanità” della donna e del “diverso” in genere siano paradossalmente utilizzati proprio come “arma del Potere” anziché dalla comunità vilipesa ed ingannata, forse ci renderemmo conto di essere schiavi di moderne e camuffate Dittature arroccate nelle stanze dei bottoni degli Stati democratici, mantenute e rafforzate dalle nostre illusioni di sentirci "liberi"...ma di fare quel che dicono loro.
Se non si comprende il gioco perverso con il quale la Macchina ci controlla e ci prende pure sonoramente per il culo, probabilmente non arriveremo mai ad avere le idee più chiare su ciò che si sta materializzando sotto i nostri occhi, e cioè una progressiva mancanza di libertà che ci viene servita su un piatto referendario o semplicemente cavalcando l'onda delle emozioni e della paura di turno, insita stavolta nella sessualità violata di una donna,...tanto un pretesto vale l'altro pur di farci credere che “un maggior controllo significa sicurezza per tutti”: e chi non ha a cuore la propria incolumità, al prezzo di qualche rinuncia nelle libertà civili? E' già successo negli Usa con il Patrioct Act, dopo i fatti del 11 settembre.
Si tratta semplicemente di riflettere un poco, ma allo stesso tempo bisognerà soprattutto rendersi conto che, in tempi di mobilità sociale, le regole del gioco cambiano repentinamente, come i protagonisti, le metodiche e gli interessi in ballo. Quindi anche i Tiranni, primo tra i quali il nostro senso critico, perennemente in bilico tra i media ed una scarsa memoria storica.
Senza la “presa di coscienza” di un evidente declino dei valori di convivenza civile, finiremo sì per invadere le piazze, ma nell'unico intento di rimanere assai smunti e con lo sguardo smarrito al cielo.
In attesa di un miracolo forse o, peggio ancora, di qualcun altro che s'affacci nuovamente dal balcone.
Autore: Salvatore, blogger Liberi finalmente liberi
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