17.1.12

Dipendenza sessuale Essere dipendenti dal sesso, come drogati, è il sintomo di qualcosa che non va nell'ambito sessuale ma spesso non solo. Vediamo di cosa si tratta e come si guarisc

 DA  http://www.amando.it/

  Un tempo detta ninfomania, oggi il bisogno compulsivo di fare sesso è anche chiamato bulimia sessuale o dipendenza dal sesso, in inglese sex addiction. Ed è proprio con questo ultimo termine che il disturbo è stato inserito nei manuali di psichiatria, accanto alle nuove dipendenze come quelle da internet, da cellulare e da videogiochi.



Ma cosa significa soffrire di dipendenza sessuale? È una vera malattia e come si può curare?


Il disturbo
La dipendenza dal sesso appartiene ai disturbi ossessivi, dove il sesso è il mezzo per difendersi da qualcosa che fa paura.Le persone con questo disturbopensano al sesso in continuazione, e nel tentativo di riempire un vuoto interiore, hanno il bisogno impellente di avere rapporti sessuali, da una a cinque volte al giorno. La spinta all’attività erotica è irresistibile e deve essere soddisfatta a tutti i costi, con qualsiasi persona si ha a fianco, facendo diventare ilsesso il perno intorno al quale gira tutta la vita, le amicizie, il lavoro, gli hobby e gli amori. Il sollievo, però, dura giusto il tempo di un rapporto, del quale poi ci si vergogna, ma che alla fine è l'unico modo per avere una consolazione.
È lo stesso meccanismo che avviene nel drogato o nell’alcolista, che ricercano la soluzione in quello che invece è il problema; solitamente si diventa vittime di impulsi sui quali si perde ogni tipo di controllo, perché bisogna soddisfarli immediatamente.


Chi ne soffre
Solitamente chi soffre di questo disturbo è una persona che ha paura della vera sessualità, intesa come rapporto con l’altro e scambio profondo. Può riguarda uomini e donne di ogni età, e nell'ultimo periodo c'è una nuova categoria di persone che soffre di questo disturbo: gli uomini over 60.Spesso si tende a giustificare questo comportamento con l’idea errata che le prestazioni sessuali sono un simbolo di successo, ma la realtà è ben diversa, e questi uomini sono mossi soprattutto dalla paura di invecchiare e spesso se ne rendono conto solo quando hanno toccato il fondo. Si arriva a diventare schiavo del sesso quando con il passare del tempo e di fronte al fisiologico calo delle prestazioni, questi uomini si vedono sottrarre quel punto di forza su cui hanno investito tutta la vita e allora cercano di fermare il tempo provando a dimostrare a se stessi e agli altri di potercela fare. Così si contornano di numerose partner, spesso giovani e desiderabili per aumentare l’autostima e poco conta se l’amore di queste donne è stato comprato.

Come si guarisce
In America, ormai da anni, sono nate delle vere e proprie cliniche per i dipendenti dal sesso in cui la cura è basata sull'astinenza forzata per mesi e l’uso di farmaci.
In Italia si cerca di ricorrere in primo luogo ad una psicoterapia; le più utilizzate sono quelle di tipo cognitivo-comportamentale, che cerca di raccogliere le sensazioni che il paziente prova quando avverte l’insopprimibile spinta di fare sesso con chiunque. Quindi gli si insegna a controllarsi nel momento del bisogno, cercando di distrarsi concentrandosi su altro.
Altro tipo di psicoterapia è quella analitica basata sull'idea che l’origine del disagio va cercata in una sofferenza profonda che si fa sentire a livello sessuale perché è li che si esprimono le parti più segrete. In questi casi il terapeuta dovrà aiutare il paziente a vedere nel “sintomo”, i conflitti profondi mai risolti.
A volte il trattamento psicologico va accompagnato da una cura a base di farmaci che controllano l’umore e tolgono il pensiero fisso del sesso. Solitamente però gli psicofarmaci servono solo a contenere il paziente temporaneamente, perché la terapia fondamentale è quella psicologica.
Molto utili sono anche i gruppi di auto-aiuto (simili a quelli per alcolisti) guidati da esperti, dove l’obbiettivo da raggiungere è quello di far diventare nuovamente un piacere ciò che è diventato ossessione.

La Carità che uccide. Come gli aiuti dell’Occidente stanno devastando il Terzo mondo


credevo che  tali articoli fossero  solo  dela sinistra  invece .... lo  pubblica un sito  dell'ulktra destra  come  http://www.questaelasinistraitaliana.org/



La democrazia non è il prerequisito della crescita economica. Al contrario, è la crescita a essere un prerequisito della democrazia. E l’unica cosa di cui non ha bisogno sono gli aiuti. L’analisi-choc del perché l’iniezione di aiuti economici nelle casse dei paesi africani è un’iniezione letale.
“Quando la Banca Mondiale crede di finanziare una centrale elettrica, in realtà sta finanziando un bordello.” Paul Rosenstein-Rodin, vicedirettore del Dipartimento economico della Banca Mondiale.
Il 13 luglio 1985 va in scena il concerto “Live Aid”, con un miliardo e mezzo di spettatori in diretta: l’apice glamour del programma di aiuti dei Paesi occidentali benestanti alle disastrate economie dell’Africa subsahariana, oltre mille miliardi di dollari elargiti a partire dagli anni Cinquanta. Venticinque anni dopo, la situazione è ancora rovinosa: cosa impedisce al continente di affrancarsi da una condizione di povertà cronica? Secondo l’economista africana Dambisa Moyo, la colpa è proprio degli aiuti, un’elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l’Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga. E nella peggiore, contribuisce a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie a massicce iniezioni di credito nelle vene di Paesi privi di una governance solida e trasparente, e di un ceto medio capace di potersi reinventare in chiave imprenditoriale. L’alternativa è chiara: seguire la Cina, che negli ultimi anni ha sviluppato una partnership sofisticata ed efficiente con molti Paesi della zona subsahariana. Il colosso cinese, che non deve fare i conti con un passato criminale di colonialismo e schiavismo, è infatti in grado di riconoscere l’Africa per la sua vera natura: una terra enorme ricca di materie prime e con immense opportunità di investimento. Definita l’anti-Bono per lo spietato pragmatismo delle sue posizioni, in questo libro Dambisa Moyo pone l’Occidente intero di fronte ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue “buone azioni”, e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l’Africa a liberarsi dell’Occidente, e del paradosso dei suoi cosiddetti “aiuti” che pretendono di essere il rimedio mentre costituiscono il virus stesso di una malattia curabile: la povertà.
Questa la scheda di un libro che ha fatto scalpore, edito da Rizzoli, scritto da Dambisa Moyo.
DAMBISA MOYO è nata a Lusaka (Zambia) nel 1969. Formatasi tra Oxford e Harvard, ha lavorato per la Banca mondiale e Goldman Sachs. Nel 2009, grazie al successo mondiale di questo libro, la rivista “Time” l’ha segnalata tra le cento personalità più influenti del mondo. Scrive sull’“Economist” e sul “Financial Times”.

Ne consiglio a tutti la lettura.

dire la verità è scomodo Taranto, «Denunciato per la protesta contro l’inquinamento»

I turisti vanno a villeggiare sulle rinomate spiagge del meraviglioso Golfo di Taranto, mangiano anche i prodotti locali e sono compiaciuti delle sue bellezze.
Non tutti sanno, però, quanto l’inquinamento da diossina abbia colpito gli abitanti di Taranto e dintorni.
Se la nostra memoria non è tenuta a ritenere i fatti accaduti lontano da noi, non penso che sia un crimine per chi ci vive ricordarli per amore di sé stesso e degli altri (specialmente i turisti).
Mi sono imbattuta in questo articolo sulla Gazzetta del Mezzogiorno, ecco cosa è accaduto a chi non si rassegna a dimenticare.
Vi invito a leggerlo: per me è un esempio di negazione del diritto alla libertà dell’informazione e alla rivendicazione della tutela della propria salute e dell’ambiente.   


La Gazzetta del Mezzogiorno.itPuglia
Martedì, 17 Gennaio 2012 11:05






Taranto, «Denunciato
per la protesta
contro l’inquinamento»

TARANTO 
 «Ora denunciateci tutti». Scatena la reazione di diverse decine di cittadini nonchè di un folto gruppo di movimenti ed associazioni il fatto che sia stato denunciato uno dei giovani che martedì scorso, insieme a tanti altri, davanti al Tribunale dove era in corso la prima udienza del processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, ha issato uno striscione che metteva in evidenza come sul processo per il delitto di Avetrana si fosse accesa in modo potente l’attenzione dei media, mentre sull’inquinamento che da anni colpisce la città non si registra analoga attenzione.
«Quando un gruppo di giovani decidono di valorizzare la propria città e, senza far uso di bandiere o colori politici, si adoperano per migliorarla, ripulendo ed abbellendo le pubbliche piazze, vengono lodati dall'opinione pubblica ed apprezzati dalle autorità. Ma se un giorno - si legge nel documento di protesta - decidono di manifestare pacificamente usando uno striscione per portare alla luce una questione macroscopicamente ingiusta e dolorosa ecco che vengono denunciati. La motivazione? I coraggiosi ragazzi hanno inscenato una pacifica dimostrazione, durata pochi minuti, dinanzi al Tribunale dove da tempo si celebra il processo per la morte della povera Sarah Scazzi, divenuto fenomeno mediatico che suscita tanto scalpore per la curiosità morbosa del pubblico e la folta audience. Intervenuti a frotte, i media si sono trovati di fronte un gruppo di giovani e uno striscione con queste parole: “Su Sarah avete speculato ma del nostro inquinamento non avete mai parlato”». «Poche riprese rapide - si legge nel documento - ed il silenzio è calato nuovamente ma la protesta non è passata inosservata. No, perché uno di questi giovani è stato denunciato, quasi fosse un attentatore alla quiete pubblica».
Ma, si chiedono i firmatati dell’esposto, «è giusto che portatori di verità vengano denunciati come comuni malfattori? O sono solo detentori di una realtà che viene tenuta forzosamente nascosta sotto il tappeto? I risultati dell'inquinamento a Taranto devono rimanere un segreto di cui sono a conoscenza ben pochi: i cittadini di Taranto, i miticoltori, gli allevatori, i malati ed i tanti morti di tumore». «Esprimiamo piena solidarietà ai giovani - prosegue il documento - che, con vero spirito di sacrificio, si fanno portatori di una verità dolorosa, del senso di disagio e di lutto che la cittadinanza sopporta da decenni, nel silenzio delle autorità, della Regione e della Nazione, avvezze ad usare ben altro trattamento di acquiescenza verso i responsabili dell' inquinamento».
Tra i gruppi che aderiscono ci sono: 1000 per Taranto, Altamarea Taranto, Ascolto Aiuto, circolo Arci Pepper, Creativa Mente, Federazione provinciale Verdi, gruppo Mcs Puglia, Joe Black Production, Taranto lider, Taranto Pulita, Vivi Taranto e Wwf Taranto.
16 GENNAIO 2012

16.1.12

Fosse Ardeatine, storico tedesco accusa l'Italia "Roma scelse di non perseguire gli assassini

 (...)  Ma ho scoperto l'altro giorno guardandomi allo specchio
Di essere ridotta ad uno straccio
Questo male irreversibile mi ha tutta divorata
È un male da garofano e da scudo crociato

  (....)
Modena City Ramblers   40 anni  in Riportando tutto a casa  1994

 il  ritornello   di  questa   canzone  in  canna  nello stereo    conferma    questa  notizia   presa   da  
da  repubblica  online d'oggi 15\1\2012

Il settimanale Spiegel rilancia la ricerca di Felix Bohr su documenti provienienti dall'AA, il vecchio ministero degli Esteri. Da cui verrebbe alla luce la volontà comune di Roma e Berlino, a fine anni 50, di evitare l'estradizione e il processo ai criminali. Le ragioni del governo democristiano: evitare di dare l'esempio ad altri Paesi per rivalersi sui criminali di guerra italiani, ma anche per non incrinare i rapporti con la Germania di Adenhauer e non dare un vantaggio propagandistico al Pci

I documenti scoperti da Bohr portano alla luce il contenuto di un colloquio che l'ambasciatore tedesco Manfred Klaiber ebbe nell'ottobre 1958 con il capo della procura militare di Roma, colonnello Massimo Tringali, nella sede diplomatica tedesca. Dopo il colloquio, Klaiber scriveva a Bonn che il colonnello Tringali aveva "espresso che da parte italiana non c'è alcun interesse a portare di nuovo all'attenzione dell'opinione pubblica l'intero problema della fucilazione degli ostaggi in Italia, in particolare di quelli alle Fosse Ardeatine".
All'ambasciatore tedesco, Tringali aveva spiegato che ciò "non era auspicato per motivi generali di politica interna" e "esprimeva l'auspicio che dopo un doveroso e accurato esame, le autorità tedesche fossero in grado di confermare alla Procura militare che nessuno degli accusati era più in vita o che non era possibile rintracciare il loro luogo di residenza, oppure che le persone non erano identificabili a causa di inesattezze riguardo alla loro identità".
Il colonnello italiano avrebbe aggiunto che, nel caso in cui le autorità tedesche fossero arrivate dopo un'inchiesta alla conclusione che tutti o parte dei responsabili dell'eccidio vivevano in Germania, "la Bundesrepublik era libera di richiamarsi all'accordo italo-tedesco di estradizione e di spiegare che le informazioni richieste non potevano essere fornite, in quanto la Bundesrepublik in base ai suoi regolamenti non estrada i propri cittadini".

L'ambasciatore Klaiber, iscritto al partito nazista dal 1934 ed entrato sotto Hitler nel ministero degli Esteri del Terzo Reich, aveva aggiunto una nota personale in cui appoggiava la "ragionevole richiesta" italiana, a cui bisognava fornire una "risposta assolutamente negativa". Il risultato fu che nel gennaio 1960 dall'AA di Bonn arrivò all'ambasciata tedesca a Roma la risposta che nel caso della maggior parte dei ricercati "non è possibile al momento rintracciare il luogo di residenza", esprimendo anche il dubbio che "essi siano ancora in vita". Un addetto dell'ambasciata annotò che "ciò corrisponde al risultato atteso".
Le ricerche di Felix Bohr hanno invece accertato che, in alcuni casi, sarebbe stato facile rintracciare criminali nazisti che alle Fosse Ardeatine ebbero un ruolo non di secondo piano. Carl-Theodor Schuetz, che aveva comandato il plotone di esecuzione, lavorava presso il 'Bundesnachrichtendienst', i servizi segreti tedeschi. Kurt Winden, che secondo Kappler aveva collaborato alla scelta degli ostaggi da fucilare, nel 1959 era il responsabile dell'ufficio legale della Deutsche Bank a Francoforte. Per quanto riguarda invece l'Obersturmfuehrer Heinz Thunat, nel 1961 il suo indirizzo era "noto", ma un funzionario dell'AA scrisse a Klaiber e Tannstein di comunicare agli italiani che "su Thunat non si è in grado di fornire informazioni".
Risultato: il procedimento per gli altri responsabili dell'eccidio alle Fosse Ardeatine venne archiviato in Italia nel febbraio 1962.

Dalla Sicilia scocca la scintilla del popolo sovrano. Ma i media fanno finta di niente

da http://www.questaelasinistraitaliana.org

          

Riporta il sito Messinaora.it:
16 gennaio 2012 – Bloccati in Sicilia anche gli svincoli di Avola e Lentini dell’autostrada Siracusa-Catania. La protesta degli autotrasportatori siciliani e del movimento dei Forconi, che raggruppa i produttori agricoli dell’isola, è scattata già nelle prime ore del mattino.
Trasporto su gomma bloccato in tutta la Sicilia, 100 mila siciliani, oltre 100 presidi. A Messina la protesta ha interessato i tassisti che si sono ritrovati a Piazza Duomo dove fino alle 12 e nel pomeriggio dalle 15 alle 19, hanno fermato i mezzi. Adesione totale da parte degli operatori , che dovrebbero rimanere riuniti in assemblea fino a venerdì.
Sul fronte degli autotrasportatori, presidi sono stati organizzati all’altezza dei caselli autostradali in entrata e uscita da Messina. Camion e Tir sono fermi alla barriera di Divieto, a Villafranca Tirrena e ai caselli di Tremestieri, sul versante opposto. Una protesta forte ma pacifica, con la possibilità di transito per auto e pullman in entrambi i sensi di marcia.
Nessuno stop invece per le navi traghetto che hanno effettuato regolarmente le corse attraverso lo Stretto di Messina.

Come i Vespri siciliani storici, questi sommovimenti siciliani preannunciano radicali cambiamenti in Italia, la cui portata è al momento imprevedibile.


Infatti, Più di cento mila manifestanti tra agricoltori, artigiani, commercianti, professionisti stanno bloccando la Sicilia per chiedere le giuste rivendicazioni, per assicurare reddito alle proprie aziende e alle proprie famiglie ridotte al fallimento per le scelte sbagliate della politica regionale e nazionale. Si prevede entro stasera il blocco totale della Sicilia.
“I manifestanti chiedono ad alta voce le dimissione del governatore della Sicilia, Lombardo – dice Martino Morsello del Movimento dei Forconi – per aver tradito i siciliani, per averli raggirati nelle precedenti elezioni avendo promesso loro la defiscalizzazione dei prodotti petroliferi e l’applicazione dello statuto siciliano.
Non è escluso nelle prossime ore che i manifestanti agiranno con maniere forti per chiedere al gorverno regionale le riforme e provvedimenti adeguati.
L’aumento del costo del carburante, la mancanza di regolamentazione dei pagamenti della committenza, il cartello imposto dalle compagnie assicurative e una rete infrastrutturale inadeguata sono le ragioni della protesta, alla base anche della nascita del Movimento ‘Forza d’urto’.
“Noi stiamo soffrendo di piu’ rispetto al resto d’Italia – spiega il presidente dell’Aias Giuseppe Richichi – perche’ siamo periferici. Abbiamo piu’ volte chiesto l’intervento dello Stato in maniera da non allontanarci ulteriormente dall’Europa, ma non siamo stati ascoltati. Il nostro e’ uno sciopero spontaneo che non vuole produrre un eccessivo caos e che ci auguriamo vedra’ l’adesione di tutti i siciliani. Ma e’ necessario perche’ ormai siamo con le spalle al muro. Non ci saranno le situazioni che si sono venute a creare nel 2000. Noi non vogliamo danneggiare nessuno. Ci fermiamo solo per il bene della Sicilia”.
Nei supermercati del resto d’Italia potrebbero presto mancare tutti quei prodotti, a partire da frutta e ortaggi, che arrivano abitualmente dalle campagne siciliane. Ci saranno presidi nei punti strategici dell’isola. Queste le richieste: defiscalizzazione dei carburanti e dell’energia elettrica; blocco delle procedure esecutive di Equitalia, utilizzo più razionale dei fondi europei.

quindi mi chiuedo  come   fanno  questi  di  Qelsi : come mai i media stanno ignorando tutto questo ?

Quando gli atei sono più rispettosi dei cattolici e dei credenti delle diverse fedi \ confessioni

Questa (  vedere  titolo  ) è l'dea  che mi sono  fatto  da  questo articolo   sull'unione  sarda  del  15\1\2012 

«Destra e sinistra? Identiche» La “via crucis” dei non credenti
Raffaele Carcano, segretario nazionale dell'Unione atei e agnostici razionalisti

di GIORGIO PISANO  pisano@unionesarda.it

Non è vero che anche i bancari hanno un'anima. Ce n'è almeno uno sicuro e felice di non averla. Si chiama Raffaele Carcano (  foto a sioinistra  )  , 45 anni, capufficio in un istituto di credito a Roma ma soprattutto segretario nazionale dell'Unione atei e agnostici razionalisti (Uaar). Padri nobili come l'astrofisica Margherita Hack e il matematico Piergiorgio Odifreddi, l'associazione raccoglie l'esercito dei non credenti. Che sono certamente più dei quattromila iscritti dichiarati. C'è anche una rivista ufficiale (che ovviamente si chiama L'ateo) e un rosario senza fine di iniziative che - a seconda dei punti di vista - stupiscono, scandalizzano, aiutano a sperare.
L'Uaar, che svolge servizi di assistenza morale in tre ospedali di Torino e uno di Milano, è una legione civile, pacifista, agguerrita. Riconosciuta dal ministero come associazione di promozione sociale, viene puntualmente ignorata da giornali e televisioni, scansata dalle organizzazioni clericali, bersagliata da frange dell'estrema destra.
Secondo l'Osservatorio di Pavia, il 99 per cento dell'informazione religiosa che passa in televisione riguarda la Chiesa cattolica. E gli altri? Nella laicissima Italia non hanno diritto di cittadinanza. O meglio, possono starci a patto di stare in silenzio, non esistere o quasi e accettare una discriminazione fatta di piccole miserie quotidiane. L'Uaar non è un partito-contro, non si batte per l'abolizione del Vaticano o di chiunque abbia fede in qualcosa. Rivendica semplicemente il diritto a non essere credenti. Che, detto così, sembra niente. E invece.
Carcano spiega molto bene questo concetto in un libro appena uscito per gli Editori Riuniti. Laureato in Scienze storico-religiose («per conoscere meglio l'avversario»), ignora con olimpica serenità le minacce dei fondamentalisti di Militia Christi, le martellate sul citofono della sede dell'Unione, le telefonate anonime, gli insulti prêt à porter.
Dice d'essersi sentito ateo per la prima volta quando aveva dodici anni. Da lì è cominciato un percorso che l'ha portato nel tempo a condurre una battaglia che, nonostante i silenzi di tanta informazione, fa molto rumore. Basti ricordare la denuncia per far togliere il crocifisso dagli uffici pubblici, il ricorso contro il Concordato Stato-Chiesa (firmato da Benito Mussolini e rivisitato da Bettino Craxi), gli autobus che pubblicizzavano l'ateismo, la campagna per sbattezzarsi e la realizzazione di una Sindone «tecnicamente identica» a quella venerata da milioni di cattolici.
Sulla propria pelle ha verificato fin da subito che un conto è raccontarsi non credente al bar, altro conto è dichiararlo pubblicamente. Il primo incidente risale a quando svolgeva il servizio militare e c'era da compilare il cartellino di riconoscimento da tenere poi sempre in vista, appeso al collo. Nome, cognome, nazionalità e infine religione. Ateo, ha precisato lui. Ma siccome nessuno se la sentiva di scrivere una cosa del genere, sono ricorsi a un escamotage che sarebbe piaciuto ad Andreotti: hanno cancellato la voce religione e scritto semplicemente omessa.

 Omessa, cosa? La risposta è affidata alla fantasia di ciascuno. Carcano, dove volete arrivare?
«In Italia il numero di atei e agnostici è in grande crescita, com'è già accaduto in molte democrazie evolute. L'Uaar è l'unica associazione che si batte per i diritti dei non credenti e per la laicità dello Stato».

Perché, l'Italia non è un Paese laico?
«Dovrebbe, non lo è. In un Paese migliore un gruppo come l'Uaar non avrebbe ragione di esistere. Siamo gli unici in Europa occidentale a non riconoscere le convivenze: vi sembra un caso?»

Lei spara su destra e sinistra: non salva nessuno?
«Non sono un tifoso dell'antipolitica. Fatta questa premessa, prendo atto con rammarico che destra e sinistra, per ragioni diverse, non osano rivendicare i diritti dei non credenti».

Se la prende col compromesso astorico: cos'è?
«Credo sia un'eccezione tutta italiana: è quel fenomeno che sancisce un'unione non dichiarata tra forze cattoliche e forze laiche».

Tutti usano il termine laico. Che significa, in realtà?
«I vescovi o l'ultimo dei materialisti adoperano questa parola perché ha una percezione positiva. Nessuno oggi vuol definirsi radicale. Un tempo si affermava con lo stesso impeto d'essere papisti. Ora non lo direbbe nessuno, nemmeno Benedetto XVI. Tanto è vero che pure lui parla di laicità».

Cioè?

«Fate attenzione a quale contributo sta dando alla legge sul testamento biologico, attualmente in via di definizione. Viene detto e ripetuto che è a favore dei cosiddetti laici. Vero invece esattamente il contrario».

Governo Monti.
«Ne pensiamo abbastanza male. Il fatto che vi fossero tre ministri al convegno di Todi promosso dal cardinal Bagnasco la dice lunga sui legami tra potere esecutivo e Vaticano. Altri segnali: la fretta di andare a salutare il Pontefice in partenza a Fiumicino prima ancora dell'investitura a presidente del Consiglio».

Poi?
«Altri aspetti inequivocabili. Per esempio Avvenire, quotidiano della Cei, contrario alla nomina di Veronesi a ministro della Salute in quanto laicista: perlomeno inquietante. Beh, com'è finita? Veronesi non è diventato ministro, al suo posto c'è il responsabile di un grande movimento ecclesiale».

Dunque, Monti bocciato fin da subito.

«Valuteremo in base a quello che farà. L'esordio, in ogni caso, non è stato esaltante. Siamo di fronte a un governo orientato».

Parlate di ateofobia: che significa?
«Nei Paesi a maggioranza musulmana i cristiani denunciano una forte limitazione nell'esercizio dei diritti civili. In Italia i non credenti hanno meno diritti di qualunque cattolico. Wojtyla e Ratzinger sono ateofobici».

E gli atei devoti?
«Sono pochissimi, e tra l'altro nemmeno atei. Giuliano Ferrara, che li rappresenta, è dichiaratamente un teista. Gli atei devoti non contano comunque nulla perché non incidono sugli atei veri».

Poi ci sono i credenti furbi, esatto?
«Umberto Oppus, sindaco di Mandas ad esempio. Ha emanato un'ordinanza per imporre l'uso del crocifisso negli uffici pubblici ma l'ha ritirata non appena ha saputo che avevamo presentato ricorso alla Corte di Strasburgo. E se n'è pure vantato. Giudicate voi».

Tra i vostri bersagli, la stampa è al primo posto.
«L'informazione italiana sulla religione di Roma non ha eguali nel mondo».

Ma nel mondo nessuno ha il Vaticano vicino di pianerottolo.
«Questo è sicuramente vero. Però non basta a giustificare un atteggiamento generalmente prono».

Ce l'avete perfino col segretario nazionale dei giornalisti, Franco Siddi.
«Non l'ho attaccato. L'ho solo invitato a dire del papa quello che ha detto su Berlusconi. E cioè: non ci abitueremo mai a un presidente del Consiglio che ritiene sia compito della stampa decantare solo le sue gesta e quelle del governo. Provi a dire altrettanto di Benedetto XVI».

Non è che soffrite un po' della sindrome del martire?
«Non ci sentiamo martiri. Però abbiate l'onestà di giudicare dai fatti, verificate se è vero o no che i non credenti sono discriminati».

Ha detto: il papa fa notizia solo quando non fa il papa. Ossia?

«All'udienza generale del mercoledì il pontefice affronta di solito questioni dottrinali piuttosto importanti ma i giornali se ne guardano bene dal parlarne. Preferiscono stare in superficie, strafotografarlo quando s'affaccia per l'Angelus o se sta partendo in viaggio pastorale».

Ovvio, i giornali non sono una palestra teologica.
«Dicono del volontariato della Chiesa: che esiste e fa sicuramente del bene. Ma il volontariato non lo fa solo la Chiesa. Pian piano si è passati da una dimensione spirituale della fede a uno spirito identitario. Nessuno disconosce le radici cristiane dell'Italia ma non sono le uniche. Dunque siamo di fronte a un identitarismo fittizio».

Sostiene che l'incredulità cresce insieme al progresso.
«Due statistiche. La maggioranza degli atei è normalmente istruita. La maggioranza dei laureati è atea. Studiare non fa rima con ateismo, però aiuta».

La Chiesa non è solo Ratzinger. Ci sono anche i don Gallo, i don Ciotti, i Tettamanzi.
«Ed è proprio quella parte della Chiesa con cui combattiamo fianco a fianco per tante battaglie laiche. I meriti di don Gallo o di don Ciotti sono fuori discussione ma mi chiedo quanto siano rappresentativi della gerarchia ecclesiastica. Appena un 20 per cento dei credenti si riconosce in loro. Quanto al cardinal Tettamanzi, penso sia innovativo sotto il profilo pastorale e conservatore su quello dottrinale».

Perché avete promosso gli autobus atei?
«Per riprenderci visibilità. A Genova il gestore della pubblicità ci ha respinto due slogan su tre. Sono usciti solo i cartelli con la scritta la buona notizia è che in Italia vivono milioni di atei, quella ottima è che credono nella libertà di espressione ».

Che dicevano quelli censurati?

«Fondamentale è il primo che abbiamo proposto: la cattiva notizia è che Dio non esiste, quella buona è che non ne hai bisogno».

Secondo lei la religione si fonda su ignoranza e paura?

«Soprattutto paura. Alimenta un elemento di insicurezza che destabilizza la capacità raziocinante dell'individuo».

Campagna per sbattezzarsi: che senso aveva?
«Ci battezzano che non siamo in grado di capire e di volere. Possiamo avere il diritto, da adulti, di cancellare dai registri parrocchiali qualcosa che non abbiamo scelto? Stimiamo che, grazie alla campagna per lo sbattezzo, siano usciti dalla Chiesa cattolica almeno ventimila italiani».

Segue la provocazione dell'occhio per mille.

«È solo una campagna di informazione sul funzionamento dell'otto per mille e che noi abbiamo stravolto in occhio. La Chiesa incamera esclusivamente da questa voce un miliardo di euro l'anno su un totale complessivo di sei miliardi a cui si aggiunge il costo dell'insegnamento della religione cattolica (docenti pagati da noi e scelti dal vescovo). Per finire, c'è l'esenzione Ici, stimata secondo l'Anci (l'associazione nazionale dei Comuni d'Italia) in 500 milioni di euro».

Ma la madre di tutte le guerre è quella contro il crocifisso.
«Senz'altro. Riteniamo che in uno Stato laico non debba essere esposto negli uffici pubblici poiché è un simbolo di parte. La Corte europea per i diritti dell'Uomo ci ha dato ragione in primo grado e bocciato in Appello. A mio parere, è rimasta impressionata dal fatto che ben 14 governi si sono pronunciati contro di noi».

Vivete con una sola certezza: buon appetito ai vermi.
«Pensiamo che la vita sia una splendida opportunità che prima o poi finisce. Vale la pena di utilizzarla bene sapendo che ha una fine».

Non coltivate, come tanti credenti, il dubbio?
«Il dubbio è un'arte che va insegnata. Certo che li abbiamo, i dubbi. Se si coltiva l'abitudine a leggere, qualche dubbio prima o poi salta fuori».

Nessuna invidia verso chi ha il dono della fede?
«Non provo invidia perché i problemi fanno parte della vita. Essere razionali vuol dire affrontarli con la logica e non proiettarli in un dopo di cui non si ha alcuna prova».

Se per caso si sbaglia, l'inferno non glielo leva nessuno.
«Un'inchiesta sociologica americana dice che a mentire di meno sono quelli che credono in un dio punitivo, a seguire ci sono i non credenti mentre i più bugiardi sono quelli che credono in un dio misericordioso. Se tanto mi dà tanto, finirò in Purgatorio».


  e  quindi credo  che  gli attacchi  fatti da  http://www.uccronline.it siano in gran parte  gratuiti e generalizzati ad  iniziare  da  questo  qui ed altri che trovare   qui  sotto

La  tesi espressa   in questo post  è  confermata   dall'esperienza  che  ho avuto  e  ho tutt'ora  con Rosalba  Sgroia -- foto  a  destra -- ex responsabile ma  ancora  iscritta  dell' UAAR( Associazione di atei e agnostici ) trovando  , girando  per  i  siti  di splinder , dei suoi  video   ne  trovate  sotto  uno  , dalla lettura   dei  suoi  scritti  \  interventi su i suoi blog   di splinder  e  non  (  ecco i due   blog  su splinder non  pèiù attivi    : 1) http://rosalbasgroia.splinder.com   ., 2) http://neroassenso.splinder.com e   quello  che  è ,  dopo la  chiusura ormai prossima   di splinder , il  suo  blog  attuale   http://neroassenso.wordpress.com   e  ritrovata  su  facebook )   e  poi   dalla  collaborazione   nel  mio  ex blog  colettivo    cdv.splinder.com

 

 

15.1.12

cosa è la speranza ?




quale speranza può esserci che ci sia mai un cambiamento se il carattere di un popolo è quello che è , e se il passato ha lasciato su di esso un'impronta quasi " genetioca " ? ( Italianità di Silvana Patriarca laterza 2010 pag 276 )

meglio un giorno da Borsellino che una vita da Cosentino

http://www.facebook.com/popviola

il caso di Milano sioamo all solito sciacallaggio exenofobo da parte dei media

 leggo  sulla   Bacheca  dell'amico  e  compagno di strada  Carlo Gubitosaa  :<< Qualcuno ha chiesto scusa alla comunita' Rom per aver detto che gli assassini del vigile a Milano erano Rom Sinti? Poi si e' scoperto che erano due con passaporto tedesco ma "di origine slava". Da giornalista mi fa ribrezzo il razzismo che si insinua nella cronaca dei delitti, dove si dovrebbe essere piu' rispettosi che in altre occasioni ma spesso si scade nello sciacallaggio xenofobo.>>.  Sempre   sulla  stessa  bacheca    c'è l'ottimo commentoi  di  Lorenzo Lucioni: << Ogni fatto di violenza o illegalita' che, direttamente o indirettamente, si puo' associare a rom, e' puntualmente riportato dalla stampa con chiara impronta razzista. i giornalisti di cronaca non sono quasi mai illuminati, gli approfondimenti a freddo alle volte si ravvedono, spesso parzialmente.non provare ribbrezzo per qualcosa che e' in noi fino al midollo.Infatti  , sempre  lo stesso Gubitosa fa  notare  che L'ondata di bufale dal sapore xenofobo travolge "Il Giornale" (  vedere sotto   al centro lo  Screenshot   )  
(  fin qui  niente  di nuovo  sotto il sole  visto  che    che  è insieme  alla padania veicolo  di coloro che incrementano  l'odio   con le  loro teorie  assurde  e  razzistiche ed  exenofobe  , se non proprio tali , ci si  avvicinano  moltissimo  )    ma anche  ed  è questo   che  fa  paura  e  dovrebbe far  riflettere  Repubblica.it, Corriere.it e "Fatto Quotidiano". Con buona pace di chi dice che per essere giornalisti bisogna vivere di giornalismo dimostrandolo col 740 alla mano, io dico che per essere giornalisti bisogna conoscere le regole di una professione  e  fare  cosi  
da  http://www.giornalismi.info/ del 15 gennaio 2012 - Carlo Gubitosa


Il razzismo è una malattia contagiosa, trasmessa attraverso i media.Quando la cronaca diventa "caccia allo straniero".
Dov'è nato il ragazzo che ha ucciso il vigile Savarino a Milano? Nemmeno il capo della Squadra Mobile sa dirlo, ma per le grandi testate italiane non c'è dubbio che sia un Rom. O in alternativa un nomade, slavo, al massimo tedesco.
Due uomini uccidono un vigile urbano travolgendolo con un'auto. Hanno importanza le loro origini per decidere come giudicarli? Il buon senso dice di no, e se qualcuno ti uccide un parente non è consolante pensare che sia stato uno svizzero, un bianchissimo neozelandese o un nobile britannico della camera dei Lord. Non ci interessa da dove viene, ci interessa che cosa ha fatto e che subisca le conseguenze del suo comportamento.
Anche la deontologia del giornalismo dice che la nazionalità di un criminale è irrilevante. Può esserlo quella di una vittima in caso di persecuzioni razziali, ma quella di un criminale non aggiunge nessuna informazione utile al fatto di cronaca, e si presta a indebite inferenze che estendono il suo comportamento anche ai "simili" del criminale. Nella "carta dei doveri" del giornalista, infatti, è scritto a chiare lettere che ogni riferimento a "caratteristiche della sfera privata delle persone è ammesso solo quando sia di rilevante interesse pubblico".
Ciò nonostante, la cronaca dell'omicidio dell'agente di polizia municipale Niccolò Savarino viene arricchita si molti particolari "etnici". Su Repubblica.it alle 9:35 del 13 gennaio si legge che "i due uomini visti dai testimoni sono entrambi nomadi" ma alle 12.31 dello stesso giorno quel testo diventa "I due uomini visti dai testimoni - e descritti come nomadi -".
La distinzione tra la realtà oggettiva e la descrizione fatta da fonti non primarie, per quanto dirette, è già un bel passo avanti. Il passo successivo potrebbe essere l'accensione del cervello per domandarsi che cosa caratterizza un nomade "a prima vista", e quali sono i segni particolari per distinguerlo con un veloce colpo d'occhio da una persona con uno stile di vita stanziale. E sulla homepage non ci sono controlli più stringenti sulle notizie pubblicate, al punto che per diverse ore si parla di "due ragazzi di origine rom sinti di 26 e 28 anni". Ma poi scompaiono.
L'errore di Repubblica probabilmente è ereditato dall'Ansa, che alle 9:15 dello stesso giorno produce un lancio di agenzia viziato da fretta, ignoranza o entrambe le cose, un minestrone dove si afferma che "i due uomini visti dai testimoni sono entrambi nomadi" (senza neppure il doveroso "sarebbero"), che sono stati "compiutamente identificati" dalle forze dell'ordine, e che "uno dei due sarebbe di nazionalità tedesca, l'altro di origini slave". Vai a capire.
Anche il Fatto Quotidiano, che pure ha una redazione locale a Milano e in questo caso avrebbe potuto consumare più scarpe e meno tastiere, rinuncia al dovere di verifica sul campo e al diritto di esercitare l'intelligenza critica, e decide di ripetere pari pari il compitino/minestrone fornito dall'Ansa: "sono due nomadi gli assassini di Niccolò Savarino". Anche in questo caso l'articolo viene corretto, e nel giro di poche ore si passa a "Sarebbero due i sospetti responsabili dell'omicidio". Ottimo lavoro, condizionale dubitativo più eliminazione del dato di nazionalità in quanto irrilevante ai fini della notizia. Ma la prossima volta non è meglio contare fino a dieci e rileggere meglio prima di fare clic sul tasto "pubblica"? Vi assicuro che non ho nessuna fretta di sapere da che paese viene un assassino, su questo tipo di vicende preferisco un articolo che esce per ultimo ma esce bene. E credo che molti lettori del Fatto, amanti del giornalismo rigoroso e accurato, sarebbero d'accordo con me.
A dispetto della "compiuta identificazione" descritta confusamente dall'Ansa e da chi le è andato appresso dovendosi poi correggere, il prestigioso Corriere della Sera non parla di nomadi, tedeschi o slavi, e in via Solferino gli assassini "sarebbero due Rom sinti incastrati dal cellulare". Salvo poi far cadere il condizionale dubitativo e affermare perentoriamente nell'interno dell'articolo che "I due Rom, dell'83 e dell'85 erano in liguria con un'auto a loro intestata". Ma il web ha memoria corta, e a poche ore di distanza anche l'articolo "Vigile ucciso dal suv. Due fermati" viene ammorbidito e stravolto, fino a diventare "Vigile ucciso dal Suv, telecamera Atm filma l'assassino", se non altro perché i due fermati non c'erano. Ma nel frattempo la notizia è stata ripresa su altri siti e commentata in rete, per confermare la teoria degli "zingari assassini". E se lo dice il Corriere della Sera...
Domenica 15 gennaio l'agenzia Agi segnala un avvenuto arresto e annuncia una "conferenza stampa che si terrà questa mattina alle 11:00 in Questura", ma anche dopo l'arresto la nazionalità del sospettato rimane un mistero. Non ho modo di presenziare direttamente alla conferenza stampa, e dopo alcune telefonate riesco a mettermi in contatto con Alessandro Giuliano, il capo della squadra mobile di Milano, che mi spiega come stanno le cose: i sospettati dell'omicidio Savarino non sono due, ma è uno solo, si chiama Goico Jovanovic e non si sa dove sia nato.
A detta di Giuliano, di lui sappiamo soltanto che è di origine serbo-bosniaca, perché i suoi familiari sono noti alle forze di polizia, si sa che ha precedenti per reati contro il patrimonio, che vive a Milano da vari anni e che la sua famiglia vive in Europa da decenni. Sul piano formale, invece, la questura di Milano (per ammissione del Capo della Squadra Mobile) non sa dire quale sia la nazionalità di questo giovane ragazzo. Giuliano mi spiega per telefono che l'urgenza di raccogliere prove e impedire la fuga del sospettato ha messo in secondo piano gli accertamenti su di lui o sui componenti della sua famiglia per verificare se in tasca hanno un passaporto italiano, francese, tedesco o di qualche altro paese.
Ciò nonostante, anche in assenza di dati certi e a vari giorni di distanza dalle rettifiche di Repubblica, Fatto Quotidiano e Corriere, il 15 gennaio "Il Giornale" titola spavaldamente "I Rom finiscono sotto torchio", e l'autrice di questo capolavoro ha anche il coraggio di firmarsi Paola Fucilieri, a differenza di tutti gli altri pezzi citati finora attribuiti genericamente alla redazione della testata. Più la bufala è razzista, più si propaga velocemente: provate a cercare su Google "I Rom finiscono sotto torchio" e potrete toccare con mano con quale rapidità si sono riprodotte su internet menzogne come quelle della Fucilieri.
Su Repubblica.it, invece, lo sport domenicale del 15 gennaio non e' la torchiatura dei rom ma la "caccia agli slavi", e al momento di scrivere questo articolo non ci risulta che sia stato rettificato.
Lo stesso giorno il Corriere della Sera si affretta a spiegare che Jovanovic, classe 1987, sarebbe "nato in Germania, di origine slava". Come se le cause del comportamento criminoso di un Europeo o di un italiano vadano ricercate anche nelle "origini" e non più solo nella nazionalità. E' il razzismo 2.0, che chiede conto anche ai nuovi cittadini italoeuropei della provenienza dei loro bisnonni, per distinguerli da quelli di razza pura. Ma dopo essere stato ricontattato per confermare questo dato, Giuliano mi spiega che la nascita in Germania è solo una delle tante origini dichiarate dal ragazzo, che in altre occasioni ha fornito altre identità affermando di essere nato a Palermo o a Parigi, nel 1990 o addirittura nel 1994. In pratica i giornalisti si sentono autorizzati a dire tutto, tranne che non possono dire ancora nulla perche' non ci sono dati certi.
Il giorno prima della conferenza stampa, invece, Repubblica sostiene che "dei due ricercati gli investigatori sanno ormai tutto, tranne dove si trovano", li descrive come "i due nomadi" e sostiene che "entrambi sono di origine slava, anche se di passaporto tedesco il proprietario del Suv (...) mentre è italiano il suo amico e complice abituale". E il dubbio rimane: nomadi, slavi, tedeschi o italiani? Spiegateci per bene con chi dobbiamo prendercela.
Una volta calmati i bollori della folla assetata di vendetta, l'accertamento di origine, nascita, nazionalità e passaporto di questo ragazzo avrà ancora importanza? E sul piano sostanziale, culturale e umano, non dovremmo dire che un ragazzo "milanese" da anni e una famiglia "europea" da decenni sono un problema nostro e non di altri popoli? Il dato rilevante non dovrebbe essere il fatto ché vivono da anni assieme a noi, anche se in tasca hanno una carta bollata che li associa a qualche altro paese?
In ogni caso, visto che finora non lo ha fatto nessun collega, sarò io a porgere delle scuse.
Chiedo scusa a tutti quelli che hanno letto bufale fidandosi delle testate che le hanno sdoganate e pensando che il mestiere di giornalista preveda l'obbligo di verifica delle notizie o quantomeno la prudenza nel diffondere notizie incongruenti.
Chiedo scusa soprattutto alla famiglia Savarino, che al proprio dolore ha visto aggiungersi la confusione da voci incontrollate, l'istinto di "caccia allo straniero" e la nostra ansia irrazionale di voler appiccicare per forza ad ogni assassino una bandiera che non sia tricolore, perché i cattivi sono sempre "gli altri".
Chiedo scusa ai Rom Sinti, coinvolti in questa vicenda solo perché oggi il nostro pregiudizio più di moda ricade su di loro. Se questo omicidio fosse avvenuto cinque o sei anni fa, probabilmente sarebbe stato più istintivo parlare di "marocchini", e andando più indietro nel tempo i presunti assassini sarebbero stati senz'altro "albanesi".
Chiedo scusa anche a tutti i razzisti dal cervello ottenebrato che appena hanno letto "Rom Sinti", sono scattati come molle con una "caccia allo zingaro" che ha trovato un sfogo visibile in rete e troverà chissa quali sfoghi invisibili nel mondo reale. Mi scuso anche con i razzisti perché se nel loro cervello ha attecchito l'ignoranza, la superficialità, il pregiudizio e la paura del diverso non è soltanto colpa loro. Dietro ogni uomo che legge poco ce n'è un altro che scrive male.
Qui sotto potete ammirare alcune conseguenze di questa storia scritta male e raccontata peggio, sputando su tutte le buone pratiche del giornalismo e sui codici deontologici che restano nei cassetti a prendere polvere. Chi semina vento raccoglie tempesta, e chi semina odio raccoglie razzismo. Qui ne ho distillato una minima parte, che va moltiplicata per milioni di lettori, ascoltatori e telespettatori. Guardate gli effetti di questa bufala sui Rom Sinti e pensateci bene, cari colleghi. Non vi costa nulla rispettare voi stessi e la vostra professione, e l'alternativa può avere un prezzo altissimo per tutti.
 Ora è  profondamente ipocrita indignarsi e dissociarsi dagli atteggiamenti, dalle dichiarazioni, dalle posizioni espresse, senza affrontare con decisione  l'uomo, l'essere umano che quelle idee ormai le ha nel dna
C'è un interessante trattato su questo: "I volenterosi carnefici di Hitler"(  foto  a  destra  ) di  Daniel J. Goldhagen    che spiega molto bene come, anche quando latente, ogni genere di razzismo culturale non si potrà mai spegnere.In pratica, l'autore prende in considerazione il fatto che non furono solo i militari a perseguitare gli ebrei: non avrebbero potuto, senza l'appoggio della popolazione. Così come non sarebbe stato possibile, per il governo, attuare politiche antisemite così pesanti, senza il popolare consenso. E la Germania potè (terzo motivo) fare quello che ha fatto, per la sua posizione di potere che andava facendosi sempre maggiore, negli ultimo periodo degli anni 30.

Quello su cui comunque l'autore insiste, è che l'antisemitismo, in Europa e non solo in Germania, è una questione secolare, nata sulla scia degli insegnamenti del cristianesimo che volevano gli ebrei delle persone orribili (avevano condannato gesù cristo alla croce e lo avevano assassinato). Con il tempo, dato che ai cristiani non era permesso svolgere attività legate agli scambi di denaro, e che agli ebrei non era concesso lo svolgimento di molti tipi di lavoro, si ebbe che gli ebrei si occupavano di commerci e della gestione delle prime banche. Da qui, anche la nascita di quelli che l'autore chiama "complotti economici e finanziari". Ed  è quello   che  negli ultimi 20\25  sta  succedendo in Italia  . Infatti  come giustamente  << La crisi economica esaspera una cultura comunque xenofoba. E non   ----  cone dice  l'articolo  della  rivista  AltraEcomia  che  riporto sotto    interramente   ----    c’è da illudersi: passata l’indignazione per il pogrom di Torino e la strage di Firenze, la logica liberista, la cultura dell’efficienza, torneranno a dominare, causando nuove guerre ai poveri e nuove lotte fra poveri. A meno che non si cominci a ricostruire una cultura dei diritti e della solidarietà. >>
Nel 2007 Mihai Mircea Butcovan scrisse sul settimanale Internazionale una lettera aperta a un immaginario “cronista razzista”: “Sono stanco di inseguire gli articoli che contengono l’equazione rumeno/straniero=delinquente (dove la variabile straniero non è incognita, ma la soluzione di tutti i mali) per poi chiedere rettifiche che non arrivano mai. Allora per una volta protesto prima”. Butcovan, che è romeno e scrive i suoi libri in lingua italiana, chiedeva al suo ipotetico interlocutore di “non scrivere quell’articolo razzista. Così sapremo orientarci e capire se ‘da quindici anni in Italia’ è una grave malattia pregressa o un certificato di buona salute”.
L’articolo torna alla
mente all’indomani del tentato pogrom di Torino, ossia l’incendio di un campo rom, nel quartiere delle Vallette, ad opera di un gruppo di cittadini staccatosi da una manifestazione -ufficialmente una “fiaccolata contro la violenza”- organizzata dopo la denuncia di una ragazzina del quartiere, che aveva detto d’essere stata violentata da due giovani rom. Il maggiore quotidiano locale -La Stampa- aveva riportato con

la censura dettata dall'ignoranza il caso di rimozione e chiusura account su vimeo di nemesianimale.net


Il video di Nemesi Animale  rimosso da  vimeo  , ma  riopotato  su  youtube  e  sotto da me    riportato  non  da  youtube  , ma  copiando  sul  mio desktop  e poi caricato  da li

mostrava uno di questi allevamenti, ma senza volerne puntare col dito uno in particolare (in questo caso della ditta Bruzzese) preferiamo mostrarvi il video dicendo che la situazione è uguale in tutti gli allevamenti intensivi di questo genere. Quando ero bambina, il fine settimana andavo a trovare i miei nonni e lungo la strada, all’altezza di Palmanova (provincia di Udine) circa, c’era un enorme allevamento di polli, da fuori erano dei grandi capannoni grigi in cemento e l’odore che si spargeva per chilometri era insopportabile, ci si accorgeva che ci si stava avvicinando già centinaia di metri prima, all’epoca non realizzavo cosa succedeva lì dentro ma quando chiesi ai miei genitori come potevano vivere i proprietari così vicino (avevano una stupenda villa giusto a fianco) loro mi risposero “Per i soldi”…
Non mi ha meravigliata il fatto che stamattina il link al video non funzionasse più, così ho contattato Genesi Animale, il loro account su Vimeo.com è stato cancellato e con esso anche tutti i video contenuti. Il video in questione è stato ripubblicato su Youtube e qui di seguito presento la dichiarazione di Nemesi Animale ( www.nemesianimale.net  ) al riguardo:

         “OLTREPASSARE LA CENSURA!
Il video della nostra investigazione su Bruzzese è stato rimosso dallo staff di Vimeo.com e ci è stato chiuso l’account, su cui avevamo anche altri video.
Questo perché a loro dire abbiamo pubblicato “immagini di crudeltà e violenza su animali” e quindi violato le condizioni della community. Abbiamo ribattuto dicendo che queste sono immagini che mostrano la realtà, ciò che accade di nascosto dietro alle porte degli allevamenti, e che la loro censura è un’altra spessa porta che impedisce alle persone di vedere cosa accade agli animali negli allevamenti e nei macelli.
Immaginiamo che ci sia stata qualche segnalazione da parte di chi trova il nostro video troppo scomodo e speriamo che sia solo un errore a cui ripareranno, perché Vimeo è una community di persone sensibili ed è utilizzata appositamente da molti gruppi antispecisti di tutto il mondo per pubblicare le loro investigazioni.
 Nel frattempo è urgente che tutti coloro che hanno condiviso e pubblicato il nostro video modifichino il link e utilizzino quello su Youtube, che trovate in fondo a questo messaggio.
 È importante che tutti coloro che hanno visto quelle immagini le condividano, le diffondano, le mostrino a chi ancora non sa cosa si nasconde dietro all’industria delle uova.
Di fronte alla censura e alle menzogne, diventa ancor più necessario diffondere le immagini che documentano la realtà e sentiamo che il lavoro svolto da noi e altri gruppi di attivismo è sempre più importante.
                                        GrazieNemesi Animale 


La  battaglia   di  tale  assocciazione  è  giusta e  sacrosanta  \  condivisibile   perchè serve  a far conoscere cosa si cela dietro all'industria delle uova, alcuni attivisti di Nemesi Animale hanno deciso di documentare le condizioni delle 200.000 galline prigioniere dei capannoni già attivi di questa azienda  (  ,ma  potrebbe essere  anche  di altre  ) 
Quello che emerge è un mondo terribile che tutti dovrebbero vedere in prima persona: file di gabbie di sette piani una sopra l'altra, con decine di migliaia di galline che urlano, si lamentano, cercano inutilmente di aprire le ali, si beccano a vicenda per lo stress, molte sono ferite, prive di piume e penne, muoiono tra le loro compagne o vengono lasciate agonizzanti nei corridoi e finiscono mangiate dai topi. Si tratta di un luogo che rimane impresso per la sua inquietante architettura, in cui gli animali sono prigionieri fino alla morte e vorrebbero poter uscire per vedere il sole, respirare aria fresca e toccare il prato con le zampe.
Gli allevamenti di galline in batteria per la produzione di uova sono

14.1.12

come affrontare la crisi ed essere felici

Gli europei (  ed   tutti i paesi  del Nord   del  mondo  ) avevano perso  salvo alcune comunita  di persone   considerate matte   e\o stravanganti  come : 
                                                 il matto di  Francesco  Guccini 

                                                             un matto di de  andrè
                                                                       i matti di de gregori


il senso dell'essenziale  (  proprio come   questa  l'altra  canzone  de Modena  city Ramblers  )



, ma la crisi ce lo farà riscoprire. Peccato che ci sia bisogno di questo per ritrovare il gusto della semplicità ecco come  fanno  a vivere  conn 1000 € al mese

  da  http://www.presseurop.eu/it/

tendenze e costume  Spagna

Viva la vita low cost

9 gennaio 2012 El País Madrid



Un supermercato Dia a Valencia.
                                         Un supermercato Dia a Valencia.Polycart via Flickr CC
 
In tempi di crisi, quando si è costretti a sbarcare il lunario con 1.000 euro lordi al mese e non si vuole rinunciare del tutto al proprio stile di vita, ridurre le spese è una scelta obbligata. Una tendenza che sta stravolgendo le abitudini dei consumatori.  
Secondo le cifre del Sindicato de Técnicos del Ministerio de Hacienda (Gestha), in Spagna 17,1 milioni di persone guadagnano appena mille euro lordi al mese. Parliamo del 63 per cento della popolazione attiva. Con questa cifra arrivare alla fine del mese è una fatica degna di Ercole, e fare la spesa diventa un'avventura complessa. Oggi, per migliaia di spagnoli, acquistare un prodotto è un atto di rinuncia.
In questo scenario di sofferenze e privazioni, il fenomeno del low cost è in grande crescita e con ogni probabilità nell'immediato futuro è destinato a svilupparsi ulteriormente, occupando uno spazio sempre più rilevante nel tessuto sociale ed economico.
Ristoranti, viaggi, automobili, assicurazioni, elettronica, immobili, tempo libero, abbigliamento, alimentari: nulla sembra sfuggire al fascino del basso costo. Resta da capire se il fenomeno sopravviverà una volta superata la crisi. Si tratta di una strategia strutturale o congiunturale? In che modo cambierà l'atteggiamento del consumatore dopo la fine della crisi? Sarà più razionale e meno impulsivo? La ricerca del prezzo più basso è ormai diventata un nuovo stile di vita?
"Spendere molto denaro in maniera compulsiva è una patologia che incontriamo spesso, mentre al contrario il risparmio estremo non ha un'accezione clinica", spiega Guillermo Fouce, psicologo e professore dell'Università Carlos III di Madrid. Secondo Fouce, insomma, non esistono "malati di risparmio". Non è una precisazione irrilevante, perché se portati all'estremo tutti i comportamenti legati all'acquisto possono creare complicazioni.
Non c'è dubbio che il consumatore del dopo-crisi sarà molto diverso da quello attuale. Innanzitutto avrà imparato da questi tempi difficili. "Il consumatore sta scoprendo grazie al low cost che può acquistare prodotti simili a quelli a cui è abituato a prezzi di gran lunga inferiori", sottolinea Javier Vello, responsabile del settore distribuzione e consumo della società di consulenza PriceWaterhouseCoopers. In secondo luogo "dopo la crisi, il cliente farà più attenzione alle spese, e sarà più cosciente delle alternative a ciascun articolo".
L'attuale periodo di estrema difficoltà economica lascerà strascichi profondi, e con il tempo sarà sempre più difficile tracciare un profilo del consumatore. Questo aspetto influenzerà non poco le strategie commerciali delle aziende, e di conseguenza il concetto di occasioni di consumo diventerà dominante. Per esempio è probabile che individui con un certo potere d'acquisto sceglieranno il low cost per alcuni prodotti e privilegeranno le marche più costose per altri. Ma in ogni caso tutto ciò riguarda il futuro, e oggi il concetto di low cost spadroneggia nei settori più disparati.
"Il consumatore è passato da quella che chiamo una 'funzionalità superiore' a una 'funzionalità sufficiente', che è la più economica. In altre parole, perché acquistare un'automobile dotata di tutti gli optional quando in realtà non ne ho bisogno?", spiega Javier Rovira, professore della business school Esic.
Juan Carlos Esteban, un giovane disegnatore sposato con figli, è l'esempio di come lo stile di vita low cost si sia insinuato in gran parte del tessuto sociale spagnolo. La sua "strategia del risparmio" ha cominciato a prendere forma nel 2007, "quando le spese hanno iniziato a mangiarsi lo stipendio". Il piano di Esteban abbraccia le telecomunicazioni ("in poco tempo ho cambiato tre volte operatore di telefonia mobile, e oggi anziché 50 euro al mese ne spendo 18"), le assicurazioni ("per il mio monovolume ho stipulato una polizza con un franchising globale che mi permette di risparmiare 350 euro rispetto alla precedente") e l'alimentazione ("compro soprattutto prodotti sottomarca". In totale, oggi Esteban spende il 25 per cento in meno rispetto a prima.  
"L'essenza del low cost non si limita all'abbassamento dei prezzi in sé, ma comprende il taglio dei costi superflui per ottenere un prezzo inferiore", sottolinea Jorge Riopérez, responsabile de settore consumo e industria di Kpmg. "Oggi si fa molta confusione tra [prodotti] low cost  e low price. Naturalmente anche il low cost mira a ridurre i prezzi, ma in altri casi la concorrenza può portare a un taglio basato non sulla riduzione dei costi ma su un minore margine di profitto".

L'unione fa il risparmio

Il fenomeno del low cost testimonia una situazione di emergenza, ma paradossalmente anche la volontà di non rinunciare al proprio tenore di vita e di continuare a godere di prodotti accessori o addirittura di lusso. "Le famiglie sono

ecco come viaggiare senza droghe

  foto tratta  da http://gobilumusic.wordpress.com/2009/09/09/dylan-dog-e-la-musica/

Afghanistan, marine Usa urinano su cadaveri, il video

se  criticare  queste  cose   vuol  dire  essere  anti americano  lo  sono  .
Va bene  direte erano terroristi  e criminali  ,  ok  ,  ma  che  c... un minimo di rispetto  nèdella  pèersona nè dei morti




da Notti notturne: 13 anni fa, moriva Fabrizio De Andrè

da  http://mattax-mattax.blogspot.com/2012/01/13-anni-fa-moriva-fabrizio-de-andre.html?spref=bl


L'11 gennaio 1999, Fabrizio De Andrè ci lasciò da questo assemblaggio naif, dimostrando, ancora una volta, di fare la cosa giusta.

13.1.12

libero pensiero


Libero pensiero

Tra “Grande fratello”
gossip
e sesso a volontà
ormai il disegno è evidente
non il libero pensiero vi preme
ma una società libera
dal pensiero

Pietro Atzeni