4.11.12

Donatella Turri la Bardot sardo-veneta: «Così salvo i cani torturati»


 Come  si può desumere sia    da quest'altro articolo della nuova  sardegna   un attrice e  un appartenente  al mondo  dello spettacolo ha scelto     già  da tempi  non sospetti  , almeno cosi sembra, la  causa  animalista   


Dalla nuova sardegna del 4\11\2012 un artitcolo interessante di Pier Giorgio Pinna

INVIATO A SANPANTALEO
Ha vissuto cinque vite. Nell’ultima salva cani torturati,feriti,abbandonati. «Fellini mi diceva che ero troppo “pispoletta” per la parte che nella Dolce Vita fu poi affidata a Valeria Ciangottini, eppure nonostante gli occhi malandrini e quella mia aria sbarazzina io già allora avevo un’unica grande passione: non il cinema, ma gli animali. I randagi.I gatti.Tutte le bestie.Persino i topi». L’ex attrice Donatella Turri, due matrimoni alle spalle e nessun figlio,ha 69 anni,ne dimostra 20 di meno ed è sempre bellissima. Sardo-veneta, sin da piccola legata all’isola, abita da decenni in Gallura.Prima a Porto Cervo. Adesso sulle colline di San Pantaleo. Dopo tante esperienze internazionali fatte alleSeychelles, a Ischia, a Saint Tropez e tra Roma e Milano anche nella moda, oggi è questo il suo
regno: un gommone di cinque metri all’ancora e una casa con una meravigliosa vista sul mare
della Costa, popolata da undici meticci raccolti per strada e tre micioni dimenticati dai vecchi
padroni che ti guardano con l’aria di saperla lunga.
La prima vita. Sembra uscita da un romanzo la storia di Maria Donatella Turri Gandolfi,(  foto sotto al centro  ) questo il suo nome completo.

Donatella Turri con alcuni dei suoi undici cani nella casa sulla collina di San Pantaleo (Foto servizio Gavino Sanna)
Di madre veneziana (la signora Aldina,che poi avrebbe spesso accompagnato la figlia minorenne sul set), l’ex attrice è nata nel marzo 1943, due mesi dopo la morte improvvisa del padre,padovano. «Mamma al momento del parto venne trasportata in calesse da Riccardo Bacchelli,
l’autore del Mulino del Po», ricorda lei oggi tramandando i racconti di famiglia. «E sin da bambina ero scatenata: via, in strada, sempre dietro a barboncini e cuccioli»,aggiunge.
La seconda vita. «Quando avevo 14 anni,dopo un primo trasferimento a Bologna, mia madre si sposò con quello che sarebbe poi diventato il mio papà per sempre,l’imprenditore Gandolfi: politicamente vicino al Partito liberale italiano,operò in Sardegna con cantieri a Oristano e divenne a lungo il presidente regionale dei costruttori – continua l’ex attrice – È da quel momento che è nato il mio amore per l’isola.
Mio papà, d'altronde,non era il tipico miliardario che pensa solo a fare soldi: si trovò un socio, lavorava 15 giorni al mese e i restanti li passava viaggiando con noi: “Perché dovrei faticare a far soldi se poi non ho il tempo per spenderli?”, era la sua frase preferita».La terza vita. E il cinema? «Il debutto avvenne nel 1960 a Roma con “I dolci inganni” dopo un provino fatto al Liceo Internazionale dove ancora studiavo» - dice Donatella Turri–Lo stesso anno ho partecipato a “Risate di gioia”,nel 1961 a“Che gioia vivere” e nel ’62 ho fatto la protagonista in “La cuccagna”. È sul set di quest’ultimo film, ritratto in controluce dell’Italia del boom economico, che ho conosciuto Luigi Tenco.
All'inizio mi considerava una pariolina antipatica.
Poi, prima che si uccidesse a Sanremo,siamo diventati amici. Ma non siamo mai stati fidanzati, com'è stato scritto».
La quarta vita. Perché è finita così presto con il mondo della celluloide? «Guadagnavo bene, lavoravo poco, ma non faceva per me: in giro c’erano troppi palloni gonfiati. E la mia famiglia era più che benestante di suo. Mi sono guardata attorno. Ho frequentato il Piper. Sono diventata una delle ragazze di Bandiera Gialla. E mi sono divertita un sacco con Arbore e Boncompagni. Più avanti, con un’amica,
ho rilevato la Documento film.
C’erano frammenti in bianco e nero di estremo interesse,anche sulle miniere del Sulcis. Dopo averli catalogati e sistemati,li abbiamo venduti al Dipartimento storia-educazione della Rai».Negli anni’80 e’90,mentre si dedica a creazioni di moda e franchising,sposa Giancarlo Gorrini,assicuratore che dopo Tangentopoli chiamò in causa Di Pietro per il famoso caso della Mercedes ( l’allora pm venne inseguito scagionato da tutte le accuse).Da lui si è separata anni fa. La quinta vita. Molto prima, però, il trasferimento definitivo nell'isola. «Ho avuto a lungo un appartamento a Porto Cervo, ma l’ho venduto per comprare questa tenuta di quasi due ettari a San Pantaleo dove i cani possono stare meglio–spiega oggi Donatella–Qui a casa,l’ho chiamata AbbaIlde,vivono randagi che in passato sono stati sotto posti a sevizie feroci». Adesso hanno età comprese tra i 10 e i 2-3 anni.Con loro,un paio di cuccioli che presto saranno dati a nuovi proprietari.Mentre due cani da caccia abbandonati da automobilisti sulla provinciale che porta al paese sono stati “alloggiati”,
sempre a cura di Donatella,in altrettante cucce lungo la viuzza che porta alla sua abitazione.Ma per via dei continui Sos che arrivano dalla Lida di Olbia la residenza dell’ex attrice è una specie di polo per aiutare animali sofferenti .Dove i super felini Alice, Zazà e Taitù dimostrano come a volte sia una leggenda il perenne conflitto cane-gatto. Dei randagi che tiene con lei Donatella conosce tutto: «Si chiamano Natalino, Virgola, Schumy,Ciro, Tobia, Belinda, Lothar, Arturo, Rambo, Lulù e Minnie.
Uno era stato scaraventato nella campana del vetro: per segare il cassonetto abbiamo dovuto pagare il Comune.Un altro sepolto incaprettato, solo la testa fuori dalla terra.Un altro era finito nel laccio di un bracconiere. Un altro ancora aveva la colonna vertebrale frantumata, solo il 50% di possibilità di sopravvivere a un intervento durante il quale gli hanno applicato tante placche metalliche: per mesi sono stata china sul pavimento con lui per aiutarlo a camminare, è lui Schumy, ora è veloce come una lepre». Lei non lo dice, ma pur di salvarli ha speso decine di migliaia di euro.«Adesso non sono più ricca,eppure quando vedo un animale soffrire non so resistere e lo aiuto»,si limita ad aggiungere prima di corrervi a verso la sua sesta vita.

sempre  dalllo stesso giornale

Successi  e  mondanità Quei film con Chabrol e Monicelli Negli anni’60 ha lavorato anche per Lattuada e René Clement


È durata un decennio l’avventura nel cinema di Donatella Turri.Intutto ha partecipato a 11film.
Il primo diretto da Lattuada, il secondo da Monicelli,ilterzo da Renè Clement e il quarto da Luciano Salce(  foto  a destra )  Per il grande regista  francese Claude Chabrol  ha girato nel 1969 «Una moglie infedele”.«Mi hanno attribuito tanti fidanzamenti , ma uno è vero: ho
avuto un flirt con Ugo Tognazzi», racconta oggi Donatella.
«Lui – prosegue – non voleva : per via della differenza d’età,diceva. Così sono stata io a a conquistarlo», racconta ancora lei.
Che, sino al primo matrimonio  con lo sceneggiatore Maurizio Bonuglia,d aneddoti di quel periodo potrebbe fare un elenco sterminato:«... come quella volta che mia madre lanciò una secchiata d’acqua contro Celentano e Don Backy: loro volevano farmi una serenata sotto il nostro albergo mentre insieme giravamo “Uno strano tipo” , ma avevano sbagliato stanza e con le chitarre si erano piazzati per due ore davanti alla sua camera anziché sotto la mia ».
In quella fase della sua carriera, Donatella ha conosciuto Claudia Mori, «non ancora mo gliedi Adriano», Sylva Koscina e tanti altri protagonisti di Cinecittà.C’era scritto da allora nel suo destino che sarebbe diventata
una Brigitte Bardot in difesa degli animali? «Macché, macché...io BB l’ho conosciuta,era nostra vicina Saint Tropez,stupenda,fantastica, una meraviglia della natura. In quel periodo stava con l’attore e playboy Gigi Rizzi. Non facevano che litigare. Noi sentivamo le urla ogni notte.Lei alla fine lo ha sbattuto fuori dalla sua villa:ce lo siamo ritrovati nudo sulla terrazza del nostro residence».(pgp)





si al ricordo del 4 novembre no alla festa delel forze armate

ecco perchè  non mi piace  il 4 novembre   e preferisco il ricordo  alla celebrazione 


.  Perchè  succede sempre  cosi   gli alti papaveri   scaricano le  loro  resposabilità anche  gravi   su  i loro  subordinati  come del caso sotto riportato  

  dall'unione sarda  del 3\11\2012

 
































Paolo Gaspari ha ricostruito la verità grazie alle memorie di 16 mila prigionieri Le bugie di Caporetto.
Sconfitta,non vile disfatta «Cadorna scaricò le colpe sull’esercito travolto» Il toponimo Caporetto è entrato nella lingua italiana come sinonimo di disfatta, ritirata in massa. Come Waterloo per i francesi,per gli italiani la cittadina oggi slovena è diventata il simbolo della più tragica sconfitta della Prima Guerra mondiale che vide l’esercito austro-ungarico e tedesco sfondare le  linee alpine sull’Isonzo e riversarsi nella pianura veneta.L’Italia fu a un passo da perdere la guerra. Ma da quella battaglia durata due settimane scaturì la reazione che portò alla riscossa sul Piave e alla vittoria.
 Quella vittoria, che si celebra domani con la ricorrenza della fine della Grande Guerra,nasce dagli eventi di Caporetto.

 Scusate  l'interruzione ma  è più forte  di me ,   certi colegamenti mi  vengono all'improvviso  e  cerco di bloccarli  . Per una riflessione su tutte le guerre. Una intensa canzone del grande e indimenticabile Fabrizio de André con le straordinarie foto di Lisa Bernardini.

 Rprendiamo  con articolo 

La storia della ritirata è stata finalmente riscritta grazie alla scoperta di una mole enorme di documenti negli archivi militari, non perché tenuti segreti per nascondere la "vergogna"del nostro esercito,ma solo perché  volutamente ignorati dagli storici. Oggi è possibile sapere la verità e restituire l’onore a quelle migliaia di ufficiali, sottufficiali e truppa che combatterono eroicamente, molti morirono e in 300 mila furono fatti
prigionieri, per fermare l’enorme offensiva messa in atto dagli austroungarici. Su di loro fu fatta cadere la colpa della sconfitta: gli eroi si ritrovarono ad essere indicati come i codardi che fuggirono in massa apren-
do le porte dell’Italia all’invasore e la loro memoria è stata tramandata con l’ignominia della  disfatta.
NUOVA VERITÀ. La realtà della sconfitta è ben diversa da come è stata sinora raccontata. Fu determinata non dalla viltà dei soldati (se non in pochi casi),ma dall’impari entità delle forze in campo, da un esercito
stremato dalle 12 battaglie dell’Isonzo e da tre anni di trincea,dall’impossibilità in quelle condizioni di tenere un fronte lungo 20 chilometri davanti al massiccio sfondamento.Ma soprattutto fu causata dalle gravissime responsabilità strategiche del comandante in capo generale Luigi Cadorna e dei suoi diretti collaboratori, i quali immediatamente scaricarono i loro plateali errori sui reparti in  ritirata. Da qui nacque la leggenda nera di Caporetto,rafforzata dal fascismo per esaltare la riscossa del Piave e per altre  ragioni sostenuta
nel secondo dopoguerra.
da http://www.gasparieditore.it/
IL LIBRO. La nuova verità emerge grazie al poderoso studio dello storico friulano Paolo Gaspari. Un volu-
mone di 600 pagine edito dallo stesso studioso che a Udine guida una importante casa editrice specializzata nei libri sulla Prima  Guerra, apre la  strada a ricerche  inedite e a una  nuova interpretazione di quei  giorni. Certo, ci vorranno  anni prima che questa verità trovi spa zio nei manuali  scolastici e nelle  università dove è sempre lungo e  difficile cambiare  la tradizione degli studi, ma un solco è stato tracciato.
Paolo Gaspari,che vive a contatto con i luoghi e i ricordi della Grande guerra,insieme ad una pattuglia di esperti si occupa della storia  militare del ’15-’18. Tra i numerosi volumi sinora pubblicati anche tre di dieci dedicati interamente alla Brigata Sassari. 
«Seguendo il corso dei nostri studi, abbiamo messo assieme
le tessere di un complicato mosaico. Ed è venuta fuori un’im-
magine ben diversa di quella che abbiamo sempre visto su
Caporetto», spiega Gaspari.
IL BOLLETTINO. Tutto comincia con quel famigerato bollettino  del 27 ottobre 1917 firmato a  Roma dal generale Cadorna (che poi verrà sostituito con il
generale Armando Diaz): «Alcuni reparti del IV Corpo abbandonarono il 25 ottobre posizioni importantissime senza difenderle. Circa 10 reggimenti arresisi in massa senza combattere. Vedo delinearsi un disastro, contro il quale combatterò sino all’ultimo...la mancata resistenza di reparti della 2 Armata vilmente ritiratisi senza combattere e ignominiosamente arresisi al nemico… L’esercito cade non sotto i colpi del nemico esterno, ma sotto i colpi del nemico interno per combattere il quale ho inviato al governo quattro lettere che non hanno ricevuto risposta».Come si vede Cadorna scarica sul basso e anche sopra di lui.
I MEMORIALI. La verità esce  dallo studio di 16 mila memoriali scoperti negli archivi dell’Esercito che conservano le dichiarazioni raccolte a caldo dagli ufficiali catturati dai tedeschi e rientrati dalla prigionia. Si tratta delle testimonianze in diretta dei quattro quinti dei graduati che si ritrovarono coinvolti a Caporetto.«In questi memoriali gli ufficiali, dal generale al diciannovenne sottotenente,dovettero raccontare quanto era accaduto e quanto avevano visto dal 24 ottobre al giorno della cattura. Solo poche centinaia di giovani scrissero un paio di stringate paginette,la gran parte lasciò mezza dozzina di fogli protocollo e alcuni 40-50
fogli con gli schizzi delle posizioni,facendo i nomi dei sottufficiali e dei soldati coinvolti nella loro vicenda personale».
Inoltre Gaspari ha potuto esaminare 400 interrogatori fatti ai militari sopravvissuti.
Gli ci sono voluti tre anni per fotocopiare circa 7mila di questi memoriali, tutti quelli riguardanti i reparti della 2a Armata accusata di viltà da Cadorna. «Come si può immagi nare si tratta del più grande archivio italiano di diaristica: il fatto che sia legato alla storia militare è senz’altro una delle ragioni per cui la cultura italiana non l’aveva preso in considerazione.
Mi sono emozionato nel trovare testimonianze di fatti rimasti sconosciuti,di vere battaglie ignorate dalla storiografia italiana (Cividale, Udine,Codroipo, solo per citare le maggiori). La storia raccontata dagli ufficiali di prima linea mi ha consentito,attraverso lo studio incrociato delle testimonianze, di ricostruire quasi tutti i combattimenti  I vinti di Ca-poretto diventano di colpo coloro che ci svelano ciò che altri hanno mascherato o taciuto».
Cosa accadde, allora? In  estrema sintesi: è fuori di dubbio che la tattica, l’addestramento e l’armamento dei tedeschi a Caporetto erano superiori. Alcuni reparti "imperiali", meglio preparati e freschi,compirono autentiche imprese nell’occupare posizioni decisive.Il Bollettino di Cadorna parla di reparti in fuga, ma i reparti sono costituiti dai battaglioni di  poche centinaia di uomini e  non da migliaia di soldati delle divisioni.«Le cose andarono di-versamente», conclude Gaspari: «Attaccati e circondati da forze fresche e prepoderanti gli italiani combatterono sino a morire o ad essere catturati in 300 mila. 
Un numero enorme,di cui non si seppe nulla sino a guerra finita.Furono interrotte le comunicazioni e il comando di Cadorna incapace e disorganizzato,questo sì,per ordinare una reazione, scaricò le colpe della disfatta sui soldati».
                                                    Carlo Figari


chi ancora resiste

Dovunque c'è qualcuno che combatte per un posto in cui stare o per un lavoro decente o per una mano d'aiuto. Dovunque qualcuno lotta per ottenere la libertà, guarda nei loro occhi, mamma, e vedrai me Bruce Springsteen

Innocente



Voglio immaginarlo forte, Carmine. Di quella forza che solo gli insegnanti, i colleghi possono conoscere: quella forza fatta di sguardi, di costanza, di notti affaticate e piane, di voci appassionate e calde. Aeree, stellate. Perché così sicuramente doveva sentirsi Carmine di fronte ai suoi studenti: un albatro nei territori della conoscenza, e l'aula diventava emozione, pianeta. Carmine aveva tutta la sua vita lì e anche di più. Insegnante, artista della pazienza. I suoi erano sogni di radici. Perché senza la scuola non si vive, tutt'al più si esiste.Carmine non ha più r-esistito. Si è reciso la giugulare con un colpo netto, alcuni giorni fa, dopo la constatazione che in quell'aula non sarebbe più tornato, che era condannato a restare un precario per sempre, "ammettendo di essere fortunato", chiosava poi, amaro. Aveva appena conseguito la laurea specialistica: "E dovrei essere gioioso ma sono triste perché il ministro Profumo ci sta distruggendo il futuro". Con l'elevazione a 24 ore settimanali di servizio lui era tagliato fuori, addio supplenze annuali. I giornali raccontano che era passato a scuola a salutare i colleghi.Quel nodo in gola, quella minuscola bolla di silenzio che lo ha preso, fino a soffocarlo, proprio lì, nella gola, io la conosco bene. Io che, come lui, ho attraversato vent'anni di precariato, più fortunata solo perché, probabilmente, nata e vissuta al Nord. Hanno scritto, della sua, "vita precaria". No. Era una vita lacerata. Quella bolla è diventata gigante non solo per l'ultimo colpo, quello che lo ha ucciso. Lo è diventata perché la pazienza si era lisa, sfibrata, umiliata. Dopo anni di silenti sopportazioni sulla presunta pigrizia dei docenti, invettive sulla nobiltà del suo impegno, mentre nessuno, come noi, sa quanto appassionante e doloroso sia occuparsi di altri esseri umani, giovani, fiorenti, quelli che proseguiranno il nostro cammino. Cultura è coltivazione, è prosecuzione nell'orto dell'umanità. Un atto comunionale. Quando la comunione s'interrompe, la vita cessa di essere umana.Di quanta violenza è fatto questo disperato amore degli intellettuali! Una fine come Seneca: o, forse, flaubertiana, nel senso di scioccante e impudica e "illetterata". Non esiste alcuna letterarietà nello svenarsi, è qualcosa di convulso e barbaro e primordiale. Quel gesto ferino è stato compiuto proprio sull'organo che trasmetteva conoscenza. E' stato un assassinio della parola e dell'arte. Ha testimoniato la resa dell'umanità. Non son più io, non son più uomo.Pochi giorni fa lo pseudo-intellettuale Giuliano Ferrara, direttore del "Foglio", berciava in tv: "Dài, su! l'Italia è ricchissima, vanno tutti in Bmw, il Paese è pieno di champagne e caviale... Voglio sapere una cosa: perché non si suicida più nessuno? Forza! Suicidiamoci! Adesso sono 6 mesi che non si suicida più nessuno ... Esigo un suicidio al giorno! Anzi, due!".Dall'altra parte, il silenzio. Contemporaneamente a Carmine si è tolto la vita un operaio sardo, anch'egli cinquantenne, che aveva perso la moglie due anni fa in seguito a un tumore e che doveva badare ai due figli, anch'essi disoccupati. Non trovava lavoro da sei anni.Perdonatemi, avrà sicuramente pensato, non sono degno di fare il padre. Non ne posso più.No, Carmine, no, ancora ignoto lavoratore: non siete voi gli indegni. Se il moloc post-capitalista oggi è stato saziato, sappiate che non siete morti invano. Sembrano vuote parole, e forse lo sono; inadeguate, senz'altro. A voi le hanno tolte, e voi avete creduto di rimanere muti per sempre. Ma il vostro urlo silente le ha restituite a noi. I funerali di Carmine si svolgeranno oggi alle 13, nella Basilica di San Tammaro a Grumo Neviano. Se costoro si tacciono, grideranno le pietre.

3.11.12

Vicenza Baby-nuotatore rasato a zero “Punito come gli ebrei”

Non Aveva  tutti  i torti   il  caro e  "  compianto  "  (  perso per  strada  )  cofondatore  del  vecchio blog   (  cdv.splinder.com )  Danny , alias  Danilo Pilato   che commentando  la morte  di Pantani  scrisse  un post   critico  sullo  sporalla  faccia dell'educazione  spartana  e  del  sacrificio  


qui la  versione originale  della sigla   del serial  in questione  )  con   o senza  droghe  e mezzi  sintetici


Infatti  leggete  nell'articolo sotto  da  repubblica  del  3\11\2012   a che cosa  s'è arrivati  .  Posso capire  , meglio  , allontanamento   \ la  scissione del contratto   ,  da parte degli istruttori   della  piscina  o della  squadra    se << Non si impegnava >>  ma  da li  a fare una cosa del genere  non nè  educativo nè formativo  

                        “Rasato come un ebreo”la punizione dell’allenatore

VICENZA — «Ora ti rasiamo i capelli, come agli ebrei». È la minaccia shock che due insegnanti di nuoto hanno rivolto ad un baby-atleta vicentino di appena 11 anni. La colpa da espiare: non aver vinto la gara di nuoto cui aveva partecipato.
Una minaccia che si è tradotta in gesto vero e proprio, eseguito da un’atleta più anziana della comitiva. A denunciare l’episodio, avvenuto a maggio, i genitori del piccolo.
GLI hanno rasato i capelli, come agli ebrei. È l’accusa shock a  tre istruttori di nuoto di Vicenza che avrebbero così punito un baby-atleta di appena 11 anni. La colpa da espiare: secondo alcuni non aver vinto la gara di nuoto a cui aveva partecipato,secondo altri non aver tenuto in ordine la propria stanza e aver commesso delle marachelle durante una trasferta a Locarno in Svizzera, dall’ 11 al 13 maggio scorso. La punizione sarebbe stata eseguita da un’atleta più anziana della comitiva. A denunciare l’episodio,che sarebbe avvenuto durante una meeting internazionale di nuoto, i genitori del piccolo che dopo la trasferta hanno visto tornare loro figlio completamente rasato, con una croce di capelli disegnata in cima alla testa.
L’undicenne ha spiegato di essere stato punito in questo modo dal responsabile degli allenatori, un uomo di 52 anni, e  dalla sua vice di 28, i quali avrebbero poi assegnato l’esecuzione materiale della “lezione” a un’atleta più anziana.
Partendo dall’esposto dei genitori, ora la Procura sta indagando per abuso di mezzi correzione e i tre al centro delle accuse saranno ascoltati dai magistrati il prossimo 8 novembre.  Secondo la ricostruzione degli inquirenti, il taglio dei capelli sarebbe stato minacciato, ma  non attuato, anche nei confronti di un secondo ragazzino della stessa età, i cui familiari hanno a loro volta presentato denuncia. Il piccolo avrebbe evitato la punizione solo perché i genitori presenti a Locarno lo hanno allontanato dalle competizioni. «Abbiamo stabilito immediatamente di sospendere cautelativamente i due istruttori — spiega il responsabile della società di nuoto vicentina — . Lo abbiamo fatto per difendere i bambini e dar modo agli allenatori di spiegare le proprie ragioni nelle sedi opportune».
I maestri di nuoto si sono giustificati sostenendo che è abitudine rasare i capelli in occasione delle gare, che altri bambini lo avevano già fatto, e che la croce disegnata sulla testa del piccolo rappresentava solo il simbolo della Svizzera, senza alcun riferimento antisemita.
Tant'è , dicono, che in altre trasferte avevano fatto disegnare stelle o bandiere sul capo dei bambini, a seconda del Paese in cui gareggiavano. Una versione che nell'interrogatorio del prossimo 8 novembre dovrà convincere i magistrati. E in-
tanto arrivano le prime reazioni. Lo stesso responsabile della società sportiva ha ammesso: «Se la dinamica si rivelasse come hanno esposto i genitori, si tratterebbe di una cosa che si allontana totalmente dai valori sportivi che professiamo».Più duro il commento del sindaco della cittadina in provincia di Vicenza in cui è accaduto l’episodio: «La società di nuoto ha fatto bene ad allontanare i tre perché la punizione scelta è assolutamente poco felice».
Sulla vicenda indaga la squadra mobile di Vicenza, che però tiene il massimo riserbo considerata la giovane età dei protagonisti.






2.11.12

E le Pussy? di matteo tassinari


Preghiera Punk
Considerato il messaggio, il luogo, la "follia" provocatoria del gesto di 3 ragazze contro una dittatura potente e feroce come il freddo dei Gulag,
ritengo questa la foto più bella della storia del Rock
E le Pussy Riot?
di Matteo Tassinari

Ricordate le Pussy Riot? Quel folle quanto curioso ed eccentrico trio punk geniale tutto al femminile incarcerato per "teppismo motivato da odio religioso" per una imprudente performance anti-Putin nella cattedrale di Cristo Salvatore di Mosca, la chiesa che fu teatro della canonizzazione dell'ultimo Zar e della sua famiglia, la culla della divina liturgia Ortodossa? Eravamo rimasti all'incirca a questo punto: ora diventa vincolante non lasciarle sole, scrivere di loro, parlarne, bypassare loro notizie al mondo, le loro foto, chiedere, cercare in rete, anche i siti esteri, affinché non subiscano torture, sevizie o maltrattamenti di cui i Servizi dell'ex Armata sovietica, tanto i livelli sono ancora quelli, meno rumorosi ma forse più feroci e capaci di una volta. Maria Aliokhina e Nadia Tolokonnikova, le due componenti della band punk Pussy Riot, sono state condannate a due anni di carcere per aver fatto un paio di salti a suon di musica nella cattedrale di Mosca ed aver pregato la Madonna di liberare il loro Paese dal tiranno Putin, sono state trasferite in due differenti colonie penali lontano da Mosca, famiglie, figli. Isolate, almeno due di loro.

Dicevamo di non dimenticarci di loro

Ora, non lasciamole sole

Scrissi così quando capitò il fatto, perché sentivo che sarebbe accaduto, si sarebbe avverato. Ora, due di loro, sono in carceri di massima sicurezza o "colonie", come le chiamano qui, ma sempre gulag rimangono. Per creare distanza, strappare fisicamente da ogni contesto sociale e pubblico i soggetti ritenuti scomodi ai potentati dello Zar degli Zar, Vladimir Putin. Luoghi spettrali, che nulla di diverso hanno dai campi di sterminio nazisti, stesso sangue immolato all'altare del dio guerra, stesso fluido che determina ogni nostra azione o pensiero. Stessi posti di tortura, dove spruzzano quando meno te l'aspetti il peperoncino negli occhi, ti schiacciano le dita nei cassetti, il panno bagnato in bocca a testa in giù in modo di scatenare l'istinto-panico provando la sensazione di annegare e le torture più disumane che non conosciamo e che preferiamo non conoscere. Per ora, le tre giovani attiviste hanno conquistato la scena internazionale e sono diventate famose in tutti i paesi dell’occidente, il simbolo della protesta contro un regime soft con le unghie affilate come quelle di una tigre di Владимир Владимиров, meglio noto come Vladimir Vladimirovich Putin.

Se questo è un uomo

Reset. Nella canzone, le Pussy Riot, hanno invocato il nome della Vergine Maria, esortandola a liberarle dal primo ministro russo Vladimir Putin e di diventare un femminista. Hanno usato, certamente, un linguaggio crudo e originalissimo per attaccare Putin e Kirill I, patriarca di Mosca e della chiesa Ortodossa russa, denunciando e descritto gli stretti "legami" tra KGB e la chiesa russa. I crescenti legami tra Stato e Chiesa, sono stati un bersaglio di critiche e proteste da parte di molti attivisti. Il Patriarca russo Kirill , aveva apertamente sostenuto Putin  nella rielezione del 2012 al Cremlino. Dopo lo spettacolo in cattedrale, le Pussy Riot dissero: "In Russia, succede che la chiesa possa diventare un'arma sporca in campagna elettorale". Parole che, nella loro, audacia stravagante e disperata rabbia, non devono essere piaciute ai due uomini più potenti in Russia: Putin-Kirill. Intanto il Movimento Pussy Riot cresce e Mosca rimane il centro di vari posti dove si ritrovano Pussy Riot e simpatizzanti. L'80% sono tutte donne molto giovani e laureate ed espertissime di comunicazione multimediale. Il 14 dicembre 2011, per dirne semplicemente una, un gruppo s'è esibito in cima ad un garage vicino al centro di detenzione di un carcere, il "Mosca n°1", dove molti degli attivisti dell'opposizione erano detenuti tra i prigionieri. Performance riuscitissima, e applaudita dai prigionieri che da dentro sbattevano tutto ciò che era di metallo, dalle sbarre delle finestre al metallo che c'è in una cella.
Le pulzelle della cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca
che hanno pregato la Madonna che si porti via Putin in solfeggio Punk-Rock

Katia forse si può "rieducare"
Ekaterina Samutsevich, 30 anni è l'unica ad essere stata scarcerata con la libertà condizionata. La giuria ha accolto le parole della difesa che sostenevano che Ekaterina avesse partecipato marginalmente alla performance rispetto alle altre donne, in quanto impedita dalle guardie stesse intervenute sul posto. Inoltre, non so attraverso quali parametri, i giudici hanno ritenuto che Ekaterina può essere "rieducata" se non commetterà altri reati nel frattempo, anche ha ascoltato la lettura della sentenza con il pugno chiuso alzato in segno di solidarietà con le altre due Pussy Riot condannate. Probabilmente Ekaterina non ce l'ha fatta e il "No Pasaran" non è riuscita a portarlo in fondo e le limitazioni mortali che la Siberia emana nell'immaginario storico russo e non solo, è qualcosa di devastante, manicomiale, farebbe paura fottuta a chiunque. E in ogni caso, senza sapere ancora come siano andate di preciso le cose, è solo bene che Ekaterina non sia in una "colonia" infame siberiana. 
Nadia Tolokonnikova, considerata la stratega del gruppo, mentre parte per Perm in Siberia situata sul fiume glaciale Kama ai piedi dei monti Urali

Nadia e Maria in Siberia

Per le altre due movimentiste, sono stati confermati i due anni di carcere richiesti dall'accusa. Alla lettura della sentenza Nadia e Maria sono rimaste impassibili e non hanno dimostrato di non nutrire alcun rancore contro Katia, che ha ascoltato la sentenza. Le Pussy Riot (per le quali gran parte dello star-system mondiale, dai Red Hot Chili Peppers alla Ciccone dagli Abruzzi, s'è mobilitato assieme al campione del mondo di scacchi Gary Kasparov) avevano chiesto scusa ai fedeli della Chiesa Ortodossa, senza però mai pentirsi del loro gesto, in quanto "l'azione è di stampo politico ed esclusivamente contro Putin, come era stato chiesto loro dalla Chiesa stessa, senza che questa si degnasse di ascoltare le donne". Per questa ragione Maria Aliokhina, studente di quarto anno presso l'Istituto "Giornalismo e Scrittura Creativa" di Mosca e Nadia Tolokonnikova, che Amnesty International l'ha definita "una prigioniera di coscienza a causa della "gravità della risposte giuridiche delle autorità russe" è quella più esposta e nel centro del mirino di ogni milizia russa. Le due componenti della band punk femminista Pussy Riot condannate a due anni di carcere, sono state trasferite in due differenti colonie penali lontano da Mosca, lontano dalla loro casa, dai loro mariti, dai loro figli. Maria sarà prigioniera in una colonia penale di cui non si sa ancora nulla. Nadia è già stata spedita in Siberia a 2mila chilometri da Mosca, reclusa in una colonia definita dalle altre Pussy Riot, visto che ormai è un movimento di migliaia di donne molto giovani, la più dura delle colonie, non si chiamano più gulag, ancora attive.
Perm, in Siberia, Colonia abbandonata. In realtà è solo
Propaganda per dire che in Russia i Gulag non ci sono più
L'infinito cosmo siberiano


Si, la più dura, considerati i tanti morti dissidenti dal governo Centrale del Pcus morti nel vento e nel gelo del silenzio siberiano. Forse ce l'hanno così tanto con Nadia perché è così bella e intelligente, speriamo che non le tolgano intelligenza e bellezza. Condannate, giovani madri, con un'accusa ridicola, beffarda per quanto miserabile nel suo caustico e corrosivo significato storico che si cerca di passare alla sinfonia di regime: “teppismo motivato da odio religioso”. Mi chiedo cosa dovremmo scrivere allora di tutti i preti, suore, al chiuso di seminari pedofili sparsi nel mondo? Adolescenti vittime di soprusi e vessazioni sessuali? Che dovremmo dire del padre messicano Marcial Maciel Degollado, potentissimo prelato del Vaticano negli anni '80 e intimamente amico di molti cardinali tutt'ora in servizio al fianco del Papa e fondatore di Regnum Christi, ma anche stupratore seriale di tanti minori, relazioni mantenute con almeno due donne, da cui ha avuto sei figli che ha violentato e morfinomane? Per questo ritengo sia utile che ci sia un'equità davvero imparziale e che non conosciamo. Dura, ma molto più dolce in quanto totalizzante ed eterno. Vera, poiché è l'origine di tutto, al punto che noi umani non siamo in grado di percepire. Ora ci spaccherebbe il cuore. Un amore così immacolato capace di perdonare ciò che è macchia, non lo reggeremmo.
*Il vero orrore*

Odio religioso? Semmai, odio politico! L’odio religioso spinge i terroristi a incendiare le chiese o a farle saltare in aria, magari assieme ai fedeli in preghiera dentro e non ad andarci a danzare dentro. Si può parlare invece senz'altro di vera crudeltà da parte di chi ha avuto il coraggio di dare tanta sofferenza a due giovani donne e ai loro familiari. Una sanzione pecuniaria sarebbe stata una giusta pena, al limite, ma non carcere, basta con gli individui rinchiusi senza sapere di preciso dove, come, perché e fino a quando. La crudele condanna alle tre ragazze, secondo la veterana e attivista per i diritti umani Lyudmila Alexeyeva, è “una misura deterrente” per intimidire il movimento d’opposizione delle Pussy Riot, molto prolifico a Mosca  e anche nei paesi limitrofi, grazie a questi movimenti di attiviste e alla Rete. Spesso sono composte solo da donne che non accettano di subire inerme la spudoratezza di un uomo che con i dittatori dell'Unione Sovietica o Pcus, non ha nulla di diverso l'ex presidente del Kgb ora primo ministero della Federazione Russa. "L’offesa alla religione è solo un pretesto. La ragione vera è l’intolleranza dei  potenti verso coloro che amano la libertà e la giustizia" conclude in un articolo Lyudmila Alexeyeva.

Il bel Movimento Pussy Riot mentre manifesta a Mosca



Video sui maltrattamenti delle polizia russa contro attivisti e Kasparov


L'ultima mossa di Garry

Il campione del mondo di scacchi Garry Kasparov, da sempre, è un attivista contro Putin e non perde occasione per denunciare le violazioni perpetue del presidente russo contro la popolazione. Fuori dal Tribunale, oltre a lui, c’erano almeno 3mila persone che protestavano contro la sentenza di condanna emessa contro la banda femminile Punk Rock. Tra i manifestanti, gli arrestati sono 30, tra cui Kasparov. La polizia ha presentato un esposto assicurando che un giovane agente è stato morso proprio dal genio storico dello Scacco e che ha avuto necessità di ricevere cure mediche. Tuttavia esiste un video, che anche per questa volta dovrebbe servire a scagionare Kasparov e che mostra come di fatto Kasparov sia stato vittima dell’aggressività della polizia russa. Ora occorrerà attendere la conclusione delle indagini e capire se anche per lui il Tribunale russo stabilirà un esemplare sentenza di condanna. L'impressione è che questa volta Putin si voglia togliere un sassolino dalla scarpa che lo tallona da diverso tempo. L'occasione gli è propizia.

Io ho mosso, forza, ora tocca a te

sono geograficamente del centro italia ma geograficamente e culturalmente mi sento del sud


per  denominazione istat   noi sardi dovremo essere del centro  italia , ma  io mi  sento  del sud  perchè in sardegna abbiamo  (  anche se  sono quasi scomparse   e  rimaste solo a folkore  )  antiche tradizioni ed usanze  come  quelle del sud  citate  in questa  stupenda canzone  di  un altro  artigiano di parole  della  canzone italiana




Una battuta sbagliata di quel 2 novembre 1975 di Leonardo Pisani



Non riuscendo a trovare le parole per celebrare il 37 anni di questo evento lascio che a farlo sia questo scritto del mio contatto di facebook pubblicata da Leonardo Pisani il giorno Venerdì 2 novembre 2012 alle ore 8.32

 Una battuta sbagliata, avevo poco più di 6 anni quel 2 novembre del 1975. Sembra preistoria, la tv era la paleotelevisione alla Eco, due canali, i programmi iniziavano tardi e finivano prestoe la sera si andava a letto con carosello. Vivevamo in 5  in una casa a confine del mio quartiere natio “Lu Suritiedde” e quello medievale “Gret a rocc” : una camera da letto comune dove dormivamo tutti, compreso mia sorella di un anno.Si andava a scuola con il grembiule blue e fiocco rosso, le caramelle golia sostavano una lira, il gelato solo di domenica e l’arcobaleno era il più gettonato. I più“ricchi” semmai compravano  il camillino oppure la coppa rica all’amarena.

Era il tempo dei ciccio polenta, di patatine in busta, del superga o super santos, di Domenica In e delle lezioni di inglese in Tv, di Belfagor e di Gamma quei bei sceneggiati che non trasmettono più.
 I giocattoli quasi inesistenti, ma bastava un pallone di pezza per diventare Rivera o Mazzola, un barattolo per giocare a lu scatiliedde, una specie di nascondino aviglianese, e poi cerbottane con le canne di plastica da elettricista. Quando eravamo fortunati ci costruivamo i “carruozzi” o qualche capann rubando materiale edilizio con la  finta disattenzione dei muratori. Altri tempi, forse bei tempi.
Ma quella battuta sbagliata  degna della cattiveria dei bambini  me la ricordo, appena sentita la nostzia al telegiornale perchè mia madre mi mise un ceffone, anzi alla aviglianese nu “scurzone nand a gret ” in faccia – una veloce doppietta- e le parole :” nun s’ pazzeja cu chi more”. Da bimbo impertinente e vivace conoscevo quel nome, ma non sapevo ancora il valore della vita e della morte. Ora lo conosco e capisco quello schiaffo educativo. Era il 2 novembre e il telegiornale lento, con mezzo busto e studio in bianco e nero diede l’annuncio della atroce morte di Pier Paolo Pasolini.Una battuta sbagliata ed una storia sbagliata come cantava “l’artigiano delle parole”.



1.11.12

patria e radici

continuando il discorso del post precedente sul  4  novembre    ,  non è  assolutamente  vero che io  odio il mio paese   ecco la mia  concezione  di patria 

versione degli "Stornelli d'esilio" di Pietro Gori, interpretata da Franco Trincale nel vinile "Canti per la libertà". 

Dedicato di cuore a tutti i VERI anarchici.





le altre due  non abbiano bisogna  di spiegazione   e presentazione  , ma  comunque trovate qui  qualcosa  

invece riprendo il tema  delle radici   gia  trattato  nei post precedenti di questo  blog   lascio la  parola a Gianluca Medas   e ad un pezzo  del suo spettacolo    tenuto  a  tempio  al festival dei sapori ( 15-21 ottobre   2012  )   vedere   post  precedenti  .

Gianluca Medas -- voce narrante
Andrea Congia -- chitarra classica

È un'alleanza stretta da tempo immemore quella dell'uomo con il Vino, e in omaggio  per celebrare la storia dello squisito nettare: Lunedì 15 Ottobre, alle ore 19:00,  Gianluca Medas  ha raccontato  di quando Dioniso danzava sulla terra rivelando ai mortali il segreto dell'inebriante bevanda  .Nel 
Reading letterario si è parlato della Storia del Vino, dietro la quale sono  (  cosi come  tutti  gli antichi 


da http://sardegna-del-sud.mondodelgusto.it/ in particolare  qui  dovete trovate maggiori news  su tali collana  


sapori  e mestieri    raccolti il lavoro e la cultura dell'uomo, proponendo la rievocazione dei miti e delle leggende che riguardano questa tradizione e appoggiandosi all'accompagnamento musicale della chitarra classica di Andrea Congia.
dalla rete 
Un Racconto che si arrampica su per i tralci arricciolati, seguendo la sinuosa curva degli acini per tuffarsi nelle fini nervature delle foglie a cuore: una storia che nasce nella notte dei tempi e che rivela come la preziosa coltivazione della Vite, in Sardegna, abbia preceduto persino l'arrivo dei fenici. Bevanda euforizzante, avvolgente, inebriante, il Vino rinvigorisce l'uomo, educandolo alla moderazione: chi voglia realmente possedere lo spirito di questa bevanda divina, sentiero che apre all'uomo la strada al rapimento estatico, non può concedersi eccessi, pena la perdizione e lo smarrimento. 
Il Mito, le Leggende, gli Dèi: echi di un mondo antico raccolti e raccontati da Gianluca Medas per riscoprire un sapore e un profumo della nostra Terra, l'aroma di un patto millenario sancito con la Natura rievocato in una Storia accompagnata dal suono di una chitarra stuzzicata dal tocco di Andrea Congia.

Musica proposte, ecco l’ottava nota Una scala innovativa: un libro di Giancarlo Dalmonte, prefazione di Paolo Fresu

da  facebook 
Questa  proposta   di cui trovate   sotto  ) potrebbe  ,  essere  un rinnovamento  , uno svecchiamento  alla musica  , cosi s'eviterebbero plagi   o  rassomiglianze  troppo marcate   tra  melodie  e componimenti musicali  . Questo almeno   da  quel poco che  ne  capisco  sia : per il miei problemi uditivi .,   da quel poco  che ho studiato  d'educazione musicale  alle medie   e non riuscendo a legare con il primo ( cioè  fino alla II media  )  e  avendo un cane magari preparata   certo , ma  dal  carattere repressivo   ( in terza media  )  ., 2)  dall'amicizia   ,  come amici     di    greffa  due  musicisti    di cui uno  anche   di chitarra ., 3) come  parente  d'intrattura ( è marito  della  cugina  in  1  di mio padre  )  un insegnante di musica  nonché  uno degli organizzatori  del festival   time jazz . 

dalla  nuova sardegna  del 22\10\2012


Musica proposte, ecco l’ottava nota
Una scala innovativa: un libro di Giancarlo Dalmonte, prefazione di Paolo Fresu



di Giampaolo Meloni 


ORISTANO  .  È possibile ipotizzare una nuovo sistema tonale e contribuire almeno alla ricerca di note finora non esplorate? Sì, risponde Giancarlo Dalmonte nel saggio "L'ottava nota", da pochi giorni in distribuzione nelle librerie italiane, pubblicato dall'editrice Pendragon di Bologna nella collana "Studi e Ricerche" del proprio catalogo di saggistica. Il volume si avvale della presentazione scritta dal musicista sardo Paolo Fresu. Il jazzista ha scritto che il libro è "talmente lucido e profondo da diventare un saggio a 360° nella storia della musica e della fisica acustica, senza mai tralasciare l'aspetto emozionale dell'arte dei suoni che Giancarlo Dalmonte, da musicista appassionato, affronta con trasporto". Il musicista Giancarlo Dalmonte, 71 anni, di Iglesias, pensionato, ex insegnante e giornalista, propone una nuova scala musicale a 8 note e 24 quarti di tono. Propone che l'ottava nota si chiami NU (come le prime due lettere della parola "nuova") e che sia collocata tra il Sol e il La. Ottiene i 24 quarti di tono con l'ausilio delle alterazioni musicali ^ (su) e v (giù). "Detto in "musicalese", si tratta di una scala 24tet (toni equamente temperati) che incorpora al suo interno tutti i suoni dell'attuale sistema, per cui è garantita la salvaguardia dell'inestimabile patrimonio musicale composto fin qui. La proposta di una nuova scala - spiega Dalmonte -
dalla  rete
 si regge sul presupposto secondo cui: l'attuale sistema musicale è in piena fase di saturazione, per esaurimento delle combinazioni sonore ancora possibili tra quelle artisticamente significative. Insomma: il sistema tonale (o temperato che dir si voglia), per dirla grossolanamente, sta finendo". La proposta ha già avuto un riconoscimento significativo: è già inclusa in due elenchi internazionali, sia delle scale esistenti nel mondo (ormai più di duemila) e sia delle scale ventiquattresimali (un centinaio). Giancarlo Dalmonte ha insegnato per quarant'anni all'Enaip Sardegna, ente di formazione professionale delle Acli.
Ha esercitato l'attività di musicista, è stato componente del consiglio regionale dell'ordine dei giornalisti, in rappresentaza dei pubblicisti sardi. Attualmente in pensione, vive a Iglesias con la sua famiglia ed è addetto stampa di Amnesty International per la Sardegna. Il volume verrà presentato sabato 10 novembre alle 18 a cura dell'Arci di Iglesias nella sede della Società operaia di mutuo soccorso.


L’AQUILA E LA BAMBINA CIECA

da  Claudia Pasquariello 18 dicembre alle ore 15:10 · Il vento sussurrava tra i pini della montagna, portando con sé gli echi di un mondo ...