23.11.13

quando il potere da i numeri e predica bene ma razzola male gettando merda \ fango chi lo contesta civilmente

musica consigliata Oltre la guerra e la paura (Modena City Ramblers)


La  prima storia  è questa  . Ora non dico che uno\a  possa  cambiare  idea  o per  un percorso  ideologico  o  per opportunismo  , ma  mi da  fastidio  che   tu accusato    di tali reati faccia poi la morale a  gli altri  . 

Brindisi, dai festini alla censura. Cosimo Mele caccia assessore che invita Cicciolina

L'ex deputato Udc era stato costretto alle dimissioni dal partito dopo una notte a base di escort e cocaina. Ora, diventato sindaco di Carovigno, annulla un evento di benificenza con la presenza della pornodiva. E allontana dalla giunta l'organizzatrice della manifestazione




Dai festini luci rosse a base di cocaina alla censura di Cicciolina. E’ la parabola di Cosimo Mele, deputato Udc fino al 2007 e ora sindaco di Carovigno, in provincia di Brindisi. L’ex parlamentare ha revocato la delega all’assessore alla Cultura del suo Comune, Maria Pascale, che aveva organizzato un evento di beneficenza al quale avrebbe dovuto partecipare anche l’ex pornodivaIlona Staller, alias Cicciolina.E invece l’attrice hard, nonché anche lei ex deputata per il Partito radicale, a Carovigno non ci metterà piede. La finalità dell’iniziativa, prevista per il 14 dicembre, era quella di raccogliere di fondi in favore della famiglia di un ragazzo affetto da gravi problemi di salute.  L’assessore, insieme con la cooperativa Creattivi, aveva organizzato l’evento nel castello Dentice di Frasso, invitando Cicciolina e l’attrice Serena Grandi, icona della commedia sexy all'italiana. Ma il sindaco Mele, evidentemente nella veste di “difensore della morale”, ha annullato questa manifestazione, ritenendo la scelta delle due madrine “inopportuna”. Non solo. Dopo un polemico scambio di accuse per iscritto sull'argomento, ha anche revocato la delega all'assessore Pascale. Una decisione che ha fatto discutere, se non altro per i trascorsi poco limpidi di Mele. Il sindaco di Carovigno, eletto la scorsa estate e supportato da liste civiche, era stato nel luglio del 2007 costretto a dimettersi dall’Udc proprio dopo aver trascorso una notte con una escort che accusò un malore: Mele è ancora sotto processo per l’episodio all’Hotel Flora di via Veneto a Roma. Secondo i pm, vi fu anche utilizzo e cessione di cocaina: l’ex deputato è accusato di spaccio di sostanze stupefacenti.

la seconda  è invece  il becero modo  di reagire  dell' Agcom  alla  critica   che   Frank La Rue – relatore speciale delle nazioni unite per la promozione e tutela della libertà di informazione ha indirizzato al nostro Paese al termine della sua visita ufficiale. il quale    da   reppubblica  online  di qualche  giorno  fa  : 

Regolamento anti-pirateria, l'inviato Onu frena l'Agcom
A Roma Frank La Rue ha illustrato i risultati del suo giro di incontri per valutare lo stato della qualità dell'informazione in Italia. E ha parlato dei compiti dell'Agcom in materia di copyright: "La rimozione dei contenuti spetta all'autorità giudiziaria                di ARTURO DI CORINTO

Diritto d’autore, la Siae getta fango sul relatore speciale dell’Onu  di   de  il fattoquotidiano | 22 novembre 2013

Ha dell’incredibile quanto sta accadendo attorno al Regolamento sul diritto d’autore online che l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni si avvia a varare e, in particolare, alla pacata ma ferma critica a tale iniziativa contenuta nelle raccomandazioni che Frank La Rue – foto  a  sinistra    tratta  repubblica  -- relatore speciale delle nazioni unite per la promozione e tutela della libertà di informazione ha indirizzato al nostro Paese al termine della sua visita ufficiale.Dopo l’articolo a firma di Edoardo Segantini pubblicato ieri sulle pagine del Corriere della Seranel quale si apostrofava il Relatore speciale delle Nazioni unite come “un consulente dell’Onu, tale Frank La Rue, che ogni tanto appare nei cieli italiani” e se ne mettevano in dubbio le competenze, arriva ora la notizia di un’autentica iniziativa di mailbombing istituzionale lanciata addirittura dallaSiae, la società Italiana autori ed editori.L’iniziativa – originale e decisamente estranea al protocollo istituzionale – è stata avviata attraverso una mail, che ho potuto visionare, con la quale il Direttore Generale della Siae, Gaetano Blandini, richiamando l’articolo di Segantini sul Corriere di ieri, chiede a decine di associazioni di categoria di scrivere alle più alte cariche dello Stato [n.d.r. delle quali annota addirittura gli indirizzi mail] per denunciare quanto sia singolare che ricevano questi personaggi [n.d.r. il riferimento è al Relatore speciale delle Nazioni Unite] che sembrano rappresentare piuttosto i grandi signori di internet e non ascoltino, invece, chi rappresenta la produzione artistica del Paese, con il suo 5% di Pil e 1,5 milioni di lavoratori.E’ un’autentica iniziativa di delegittimazione del ruolo e della funzione del Relatore Speciale delle Nazioni Unite, ribattezzato come un qualsiasi “personaggio” e dipinto come al soldo di non meglio identificati “signori di internet”.Sfugge, purtroppo, al Direttore Generale della Siae come è drammaticamente sfuggito all’autore del pezzo pubblicato sul Corriere della Sera che il punto non è se un Relatore Speciale delle Nazioni unite possa o meno parlare a nome delle Nazioni Unite ma che, un esperto internazionale chiamato dalle Nazioni Unite, tra l’altro, ad esaminare e valutare se e quanto leggi dei singoli Stati rispettino lalibertà di informazione, all’esito di una visita ufficiale in Italia, ha ritenuto di raccomandare – così come puntualmente previsto dal mandato ad esso conferito dalle Nazioni Unite – al nostro Paese di prestare grande attenzione al Regolamento che l’Autorità per le comunicazioni si avvia a varare giacché, a suo giudizio, contrario ai principi fondamentali in materia di diritti dell’uomo e del cittadino.Quanto poi al “rimprovero” mosso alle più alte cariche dello Stato per aver incontrato un Relatore speciale delle nazioni unite nel corso di una visita ufficiale, non si può che suggerire a Siae un ripasso veloce delle regole della diplomazia internazionale che disciplinano, tra l’altro, l’appartenenza del nostro Paese all’Onu e ricordare al Direttore Generale che, contrariamente a quanto scritto da Eduardo Segantini sul Corriere, Frank La Rue, non è “apparso nei cieli italiani” come un ufo ma a seguito di un invito ufficiale del nostro ministro degli Esteri.Perché l’Italia si copra di ridicolo, manca solo che prima si inviti un relatore speciale delle Nazioni Unite e poi le più alte cariche dello Stato si rifiutino di incontrarlo.Difficile credere, d’altra parte, che per Siae – ente pubblic economico a base associativa sotto la vigilanza tra gli altri del Ministero dei Beni e delle attività culturali – sia difficile avere incontri o dialoghi con i vertici delle nostre istituzioni.E’ perfettamente comprensibile avere opinioni diverse sulla futura disciplina del diritto d’autore online ma ciò non dovrebbe consentire a nessuno di delegittimare il sistema dei diritti fondamentali dell’uomo del quale l’Onu in tutte le sue articolazioni – inclusi gli alti commissariati ed i relatori speciali – è garante ultimo.Peccato davvero registrare che chi è garante del sacrosanto diritto degli autori ad essere remunerati per la propria attività si senta autorizzato a delegittimare in modo tanto offensivo chi è, a sua volta, garante di un diritto almeno pari ordinato come è quello alla libertà di manifestazione del pensiero.

per il maltempo in SardegnaCrozza, puntata solidale per la Sardegna. E risponde a Lara Comi


 qui  sotto  oltre  che nel  video  di crozza  il suo becero  intervento

http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2013/11/tragedia-sardegna-inammissibile.html

21.11.13

Tragedia Sardegna. Inammissibile dichiarazione di Lara Comi, Pdl: “I sardi sono morti perchè ignoranti”

speravo di tornare  alla normalità   è di parlare  d'altro  , senza  per  questo dimenticare :  i morti   tempiesi  ( e non  )
  sia  che  li conoscessi  o  meno  ,il fango  nelle pareti di casa  di  mio  zio  e  il   garage  allagato  .Maa   certe  cose   mi fanno incazzare  ed arrabbiare  non bastavano  i post   imbelli    di certi , una minoranza  per  fortuna  , continentali



adesso ci si  mettono  anche  i nostri politicanti  .  Non ho parole  lascio  che a parlare  sia    questo articolo  di http://www.zappadu.com/


Tragedia Sardegna. Inammissibile dichiarazione di Lara Comi, Pdl: “I sardi sono morti perchè ignoranti”







 Incredibile commento della deputata europea del PDL Lara Comi (  foto  a destra  )   sulla tragedia che ha colpito la Sardegna.
Le sue parole sono state riportate su Facebook dalla giornalista Selvaggia Lucarelli. Ecco il messaggio: “Io di fronte a certe tragedie mi chiedo come certa gente non abbia il pudore di tacere. Lara Comi stamattina ad Agorà è stata capace di scagliarsi contro il condono edilizio come se il suo partito ne fosse stato sempre il più fermo oppositore e vabbè. Ma la parte migliore è arrivata quando è arrivata a sostenere che la gente in Sardegna è morta perchè c’è anche una diffusa ignoranza sulle norme di sicurezza basilari in caso di alluvioni. “Ma come si fa a rifugiarsi in uno scantinato, è l’abc!”.
“Qualcuno spieghi alla Comi che la gente è mediamente più sveglia di lei, per cui no, non s’è rifugiata in uno scantinato. L’ha capito che era pioggia e non un bombardamento aereo. Il problema è che la famiglia di Arzachena (madre, padre e due figli) è morta nello scantinato perchè lo scantinato era la sua casa. Il problema è che un’anziana è morta nello scantinato perchè è scivolata e ha battuto la testa. Altre due anziane erano invalide e sono morte come topi, con l’acqua che saliva. Gli altri sono morti chi nei campi, chi in macchina, chi in strada travolto dalla piena come il padre e il suo bimbo.Prima di andare in tv a sparare minchiate, abbiate almeno l’umanità e la decenza di andare a informarvi per capire cosa è successo, come è morta la gente, perchè. Sono sedici persone, sedici storie, sedici vite, non sedici sprovveduti che non avevano il manuale di sopravvivenza sul comodino. Un po’ di rispetto, cazzo”.

  Quindi


Gentile Signora Comi, la prego di scusarmi se mi permetto di scriverle questa lettera, io che sono sarda e dunque ignorante.Vorrei farle sapere alcune cose, se lei che ha studiato alla Bocconi e dunque è colta, avrà la condiscendenza di leggermi fino in fondo.Vorrei dirle che la famiglia di brasiliani perduta tutta intera, madre padre e due figli, non si erano rifugiati nello scantinato per resistere alla pioggia assassina: loro in quel mini appartamento ci abitavano, ci vivevano. Io non so dove lei viva, signora Comi, certo non in un seminterrato visto che sta al Parlamento Europeo e dunque non ha bisogno di adattare una cantina ad abitazione. Vorrei farle sapere anche che il poliziotto morto ammazzato da un ponte che è crollato proprio mentre lui era in servizio e apriva la strada ad un’ambulanza che soccorreva dei feriti, nemmeno lui era un ignorante e non si era rifugiato da nessuna parte: era proprio in servizio, mi creda. Ma il ponte ha ceduto, signora Comi, e quel ponte doveva essere proprio malconcio, come quello su cui sono morti altri due “ignoranti” nel loro fuoristrada; malconcio come tanti altri che da anni attendono di essere risanati dopo le alluvioni passate, e di cui la Regione si è già dimenticata. La “nostra” Regione, signora, quella amministrata da un suo compagno di partito che ha ritenuto poco importante stanziare fondi ai Comuni sardi per opere di mitigazione del rischio da dissesto idrogeologico (che per le persone ignoranti come noi sardi significa “prevenzione”).Vorrei farle sapere che mamma e bimba morte in auto mentre tornavano a casa non si erano rifugiate in alcuno scantinato, e neppure quel padre che ha tentato inutilmente di sottrarre almeno il figlio dalla furia del fango, prima di cedere alla violenza che glielo ha strappato dal suo disperato abbraccio. E potrei continuare, signora Comi, magari potremmo sperare che chi ancora non è tornato perché l’acqua lo ha sorpreso mentre cercava di riportare a casa il bestiame (ma lei cosa ne sa, mi perdoni, di campagna di mucche di fango, di puzza di letame?) che possa ancora essere vivo, che possa tornare…Ma non voglio tediarla, a quest’ora lei già si starà domandando cosa vuole questa ignorantissima sarda che non sa che bisogna chiamarla onorevole, e continua a rivolgersi a lei col “signora”.Ma sa, signora: ciò che ha detto l’altra sera in tv non è proprio per nulla onorevole, e volevo farglielo sapere.E a dirla tutta, non è nemmeno molto da signora, deputata europea Lara Comi.
 da  la  bacheca  di facebook  dell'olbiese  Silvia  cera


 una tragedia  per  buona  parte imprevedibile nella  quantità  d'acqua    vedere   questo video    girato all'inizio del temporale , ma  non nelle  conseguenze vedere  url  sotto






infatti è vergognoso    che  la  città d'Olbia   escluso il centro storico come  dice  la  stessa Silvia Cera in questa  intervista  a servizio pubblico  del  21\11\2013
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si  sia allagata  ed  sorto quel  disastro che noi tutti  sappiamo in 10 \15 minuti

Ora  vado a nanna notte


la memoria al tempo d'internet , dei tablet, ihod , smartphone Esplora il significato del termine: «Mio padre a 93 anni si è ritrovato su YouTube in un video di guerra» Un filmato anonimo del ’42 di soldati in partenza. «Vedi quegli ufficiali sorridenti? Sono quelli che ci mandavano a morire»

"(...) Memoria pensosa e rovina di ciò che è passato in anticipo, lutto e melanconia, spettro dell'istante (stigme) e dello stile il cui scatto stesso vorrebbe toccare il punto cieco di uno sguardo che si guarda negli occhi e non è lontano dallo sprofondarvisi fino a perdere la vista per eccesso di lucidità. (...) "

[Jacques Derrida, Memorie di Cieco (L'Autoritratto e altre rovine)]


 dal corriere della  sera  del  21\11\2013  
YouTube ha 8 anni, mio padre 93. Fino a poche settimane fa non si erano mai incontrati: l’uno a inseguire il futuro tra miliardi di clic e nuovi Psy, l’altro aggrappato alla memoria per afferrare la coda della vita, sognando di allungarla all’infinito. Poi un giorno è accaduto, complice il tablet, e la memoria è diventata futuro, il presente un brivido intenso.
Mio padre si è riconosciuto, settant’anni prima, in un video anonimo girato nella caserma di Novara alla vigilia della partenza del suo reggimento per il fronte russo. Pochi secondi d’immagini sono bastati per riavvolgere il film di una vita intera. Come una nuova venuta al mondo, perché lui è uno di quegli uomini, ne rimangono pochi, che hanno vissuto due volte: prima e dopo la guerra, dentro e oltre l’orrore, quello vero, quello assoluto, alla Conrad. Un filmato di quasi due minuti, trovato per caso nell’infinità della Rete, girato da chissà chi... Ecco com’è andata.«Papà, guarda, questo è un piccolo computer». «Ma dai? - dice lui - Quella roba lì piccola e piatta un computer?». «Sì, basta scrivere il nome di quello che vuoi cercare e lui lo trova». Non l’avevo portato a caso, il tablet, da mio padre. Da qualche tempo, da quando le forze l’hanno abbandonato ed è confinato nello spazio di casa - lui ciclista da salite e pedalate Colnago -, viaggia all’indietro nel ricordo dei suoi anni, di «quegli» anni. Gli anni della guerra, dei tre fronti, della lunga prigionia in Russia.«Proviamo - m’interroga - a vedere se funziona. Scrivi “campagna di Russia”». Google sforna centinaia di siti. Ne scelgo uno che parla di reduci e di caduti. Troviamo nomi, i volti di qualche ragazzotto con la vitalità dei vent’anni ma l’inquadratura già fissa e sfumata delle epigrafi. «Capitano Toscano, cerca Toscano. E poi Olginati Pompeo, lo zio di tua madre. Aveva ventun’anni, è saltato in aria per una bomba qualche trincea più in là della mia».Ci sono tutti, con le date di nascita e di morte, luoghi lontani, ricordi che prendono vigore. «Sono l’unico a essere tornato vivo del mio paese», Bellinzago Lombardo, campagna milanese, un migliaio di anime contadine allora, qualcuna di più oggi. «Quando le mamme degli altri soldati m’incontravano per strada abbassavo gli occhi, provavo imbarazzo per essermi salvato al posto dei loro figli. A volte cambiavo strada, altre mi facevo forza e le affrontavo. Mi chiedevano: ma hai visto il mio Emilio? E il Pietro? E del Carlo, che ne è stato del Carlo? Ripetevo a tutte quello che avevo visto, quello che sapevo. Poi acceleravo il passo e filavo a casa». Si passa una mano sulla fronte, mimando il gesto che faceva quando portava l’elmetto, dopo essere scampato a un bombardamento. «Non ho mai sparato un colpo - dice in automatico, come a ribadire a se stesso l’idea che l’ha sempre sostenuto, allora come oggi - non ho mai pensato di poter uccidere un uomo».Poi rivolge lo sguardo al tablet, affascinato da quel quadretto luminescente. E insiste: «Prova con Sforzesca, la mia divisione». Clicco s-f-o-r-z-e-s-c-a e entro nel sito sforzesca.altervista.org. Ci sono tutte le notizie. Vado alla voce multimedia, trovo cinque filmati postati su YouTube. La data è 1942. «L’anno in cui sono partito per la Russia. E avevo già fatto due fronti». Clicco sul numero 4. Non so perché non seguo l’ordine normale, il cursore finisce subito sul 4. Il filmato comincia con l’inquadratura della scritta «Caserma Passalacqua».
P.s   se  non lo vedete lo trovate  qui 
http://www.corriere.it/cronache/13_novembre_21/mio-padre-93-anni-si-ritrovato-youtube-un-video-guerra-8b1a0abc-527f-11e3-b1ef-e7370d1a3340.shtml


«È la mia - si anima mio padre -. Quella di Novara, sono partito da lì. Riconosco il cortile, era tutto circondato da alberi». Le immagini scorrono veloci, in bianco e nero, come nelle comiche che da bambino guardavo in tv il sabato dopo la scuola; la musica che le accompagna, invece, è lenta e struggente. Si vede un plotone marciare e ufficiali conversare sorridenti nelle uniformi nere. «Eccoli lì, sono loro, quelli che ci mandavano a morire»; poi è ripreso il palco con un microfono, alcune donne sullo sfondo ad aggiustarsi il vestito della festa, prima di esibirsi per tenere alto il morale della truppa. E infine loro, i soldati, quelli che ricevono il pacco da portare al fronte per il viaggio in fondo alla notte: scatolette, tabacco, piccoli arnesi; quelli che salutano i parenti come si fa quando si parte per le vacanze; quelli che guardano fissi l’obiettivo della cinepresa o il vuoto che da lì a pochi giorni, nella steppa russa, li avrebbe inghiottiti. Ancora un primo piano su un gruppo di ufficiali, poi una carrellata sui soldati seduti in attesa dello spettacolo. Da destra a sinistra. Uno, due... «Papà, ma quello sei tu», dico sottovoce tra lo stupefatto e il timore di illuderlo. «Io? Dove?», si china in avanti. «Sì, eri tu, sei uguale a quelle foto che mi hai fatto vedere tante volte». Pausa, cursore del filmato all’indietro. Minuto 1 e 32 secondi.Mio padre mi chiede «la tavoletta», si avvicina al video, sgrana gli occhi. Play. Al minuto 1 e 35” metto in pausa e fermo l’immagine. «È vero, sono io», sussurra rialzandosi di scatto come a prendere le distanze da qualcosa che impressiona. «Fammelo rivedere». Una, due, dieci volte. E poi ancora. Alla sua destra due donne, una è crocerossina, alla sua sinistra un soldato. «Non lo riconosco, però quello dietro di me forse sì».Cinque secondi arrivati dal buco nero della storia, cinque secondi preziosi come la memoria. Guardo mio padre e mi chiedo se sia più felice o sconvolto. «Ho visto qualcosa - confessa - che non mi uscirà più dalla mente». Poi volta la testa e allontana il suo piatto dalla tavola apparecchiata. «Non ho fame, vado a stendermi un po’». Si passa la mano sugli occhi. Mia madre si avvicina e gli dice: «Sei ancora uguale ad allora». Settant’anni dopo. In mezzo la vita normale di un uomo comune: Francesco Brambilla, da sempre per tutti Mario, classe 1920, caporal maggiore del 54° Reggimento Fanteria. Un uomo normale con una storia speciale, che grazie a YouTube vivrà nel futuro. 

da Converti gli a capo in...Nheit Vorrei costruire un grattacielo in Sardegna, nel letto di un fiume, con le fondamenta scavate nel fango. Al piano attico ospiterei chi s’inventò il G8 alla Maddalena,





giovedì 21 novembre 2013


SARDEGNA BLUES
Vorrei costruire un grattacielo in Sardegna, nel letto di un fiume, con le fondamenta scavate nel fango. Al piano attico ospiterei chi s’inventò il G8 alla Maddalena, i suoi soci, le loro famiglie, e gli amici degli amici, quelli che si succhiarono 330 milioni dalle mammelle dell’isola eressero due cattedrali incompiute nell’arcipelago, inquinarono il mare, e senza creare un solo posto di lavoro, si precipitarono dietro a un altro disastro naturale, un terremoto, lasciando il centro dell’Aquila in macerie, in compenso inventandosi un’Aquila 2 di becere villette, per terremotare pure il paesaggio e pavoneggiarsi in tv. Vorrei costruire un grattacielo in Sardegna, nel letto di un fiume, con le fondamenta scavate nel fango. A pianoterra, nei garage e nei sotterranei, gratis ospiterei tutti i continentali e i loro complici, gli amministratori locali, che dall’Aga Khan in poi, in soli cinquant’anni esatti, hanno violentato l’anima di un’isola millenaria, rifilandole il loro sogno mediocre da arricchiti: costruire un’enorme Jacuzzi al centro del Mediterraneo. Nei piani di mezzo, infine, inviterei tutti quei sardi che pur di ottenere l’agibilità di una cantina, e potersi affittare un’altra bara con bagno, hanno tradito i boschi, il mare e il vento. Vorrei costruire un grattacielo in Sardegna, nel letto di un fiume, con le fondamenta scavate nel fango. Vorrei sedermi in cima a un monte, aspettando che piova.
[Diego Cugia]

20.11.13

anche i perdenti possono essere vincitori . profeta fuori noiosa\ limitata in patria . le storie di Giorgio albertazzi e di rita pavone



Ha scelto di festeggiare i suoi primi novant’anni nel modo che più ama: recitando su un palcoscenico. Giorgio Albertazzi – è di lui che si parla, l’unico grande “mostro” del teatro italiano che ci è rimasto, assieme ad Arnoldo Foà – ha scelto il palco della Versiliana a Marina di Pietrasanta; e ha messo in scena il recital 'Io ho quel che ho donato' omaggio a Gabriele D'Annunzio nel 150esimo anniversario dalla sua nascita. Un recital di cui è autore, regista e interprete.Scelta non casuale. “Sono nato”, racconta Albertazzi nelle note di regia, “a tre passi dalla 'Capponcina' di Settignano, la villa con i levrieri e i cavalli del Vate. Dall'altra parte della strada c'era la 'Porziuncola' di Eleonora Duse. Spiavo al di la del cancello grigio-argento della Capponcina (D'Annunzio non c'era più, la villa era stata venduta e rivenduta) se per caso arrivasse qualche segno”. Un recital che è una 'messa a nudo' del poeta, ne ripercorre la biografia e la poetica, molto più ricca e profonda di quanto il cliché non dica. Proprio alla Versiliana D’Annunzio soggiorna nell'estate del 1906 nella Villa all’epoca dei conti Digerini-Nuti. "Io sono nel più bel posto dell'universo" scrive in una lettera ad Emilio Treves del 5 luglio di quell'anno. "Quella frase di D'Annunzio 'Io ho quel che ho donato' – spiega Albertazzi - si adatta in modo perfetto allo spirito di ciò che vuole significare questo mio spettacolo che è anche, anzi soprattutto, un omaggio. Al Vate, certamente, ma anche al pubblico e, se me lo concedete, un poco a me stesso. Tante cose sono state dette, scritte e recitate su D'Annunzio. Io stesso sono stato inseguito dalla sua ombra fin da ragazzino".Un grande artista, Albertazzi, attore superbo, e per tutte le sue innumerevoli interpretazioni, valgano le amate “Memorie di Adriano” di Margherite Youcenar: le ha recitate in mezzo mondo, credo sia arrivato a oltre mille repliche, il primo allestimento pensate, è del 1990. Geniale e per tanti versi anomalo, ma regista sensibile e scrittore finissimo, con una vita che definire intensa è riduttivo, è un romanzo. Anni fa, stiamo parlando del 1988, per Rizzoli, ha pubblicato una autobiografia che ha voluto titolare – significativamente - “Un perdente di successo”.In quel libro c’è tutto l’Albertazzi che conosciamo, ma anche quello più intimo e sorprendente: l’istrione certamente, ma anche il grande professionista, l’incorreggibile snob, l’invidiato e invidiabile, irresistibile seduttore. Nel “perdente di successo” racconta tutto se stesso, non nasconde nulla: l’infanzia, l’adolescenza, i miti della gioventù che lo portano come molti della sua generazione a militare nella repubblica di Salò, assieme, per fare qualche nome, a Dario Fo, Walter Chiari, Raimondo Vianello, Carlo Mazzantini, a uno storico direttore dell’“Espresso”, Livio Zanetti; gli studi, gli amori, la guerra, il carcere, il cinema e il teatro…
Un po’ di tutto questo lo si ritrova negli articoli pubblicati appunto in occasione dei 90 anni. Albertazzi racconta dei suoi progetti futuri, tanti e impegnativi per i prossimi novant’anni; di come, con una punta di amarezza vede il mondo peggiorare, “con l’avidità di ricchezza che produce sofferenza, e la necessità di ritrovare il sorriso, la “leggerezza”, il senso del limite, se non si vuole precipitare in un rovinoso appiattimento”. Gli hanno chiesto tante cose, e tante cose ha detto Albertazzi in questi giorni; e probabilmente dice anche cose che non sono state riportate. Impossibile, per esempio, che in tanto discorrere non gli sia uscito nulla sulla sua cinquantennale amicizia con Marco Pannella e i radicali. Perché Albertazzi in tutte le occasioni che contano, ogni volta che ce n’era bisogno, è sempre stato, generosamente e disinteressatamente, vicino ai radicali, a fianco di Pannella.E allora torniamo a quel “Perdente di successo” scritto nel 1988. Non sono tanti – anzi sono proprio pochi – i politici citati in quel libro: una fugace citazione di Alcide De Gasperi, Mario Scelba, Giuseppe Di Vittorio, Palmiro Togliatti e Nilde Iotti, silenzio su tutti gli altri. Però a pagina 224 e 225 un lungo, affettuoso brano dedicato a Marco Pannella e a Emma Bonino: “Solo dei matti come i radicali potevano rivolgersi a me: Emma Bonino, mirabile ragazza, Spadaccia  e Pannella. Con Pannella ho avuto sempre quella specie di complicità che c’è tra attori (o gitani) da ‘dietro le quinte’. Capace di grandi impennate giacobine e coup de théatre (digiuni, bocche bendate in TV) di grande effetto, Pannella è, nel mare magnum dei politici italiani, il solo capace di intuizioni non legate all’apparato, non di parte, cioè, ma ‘politiche’ nel senso più alto, di filosofia. Passammo una notte intera alternandoci  ai microfoni di ‘Radio Radicale’ e la sua pervicacia e la fiducia nella propria parola di convincimento  e nella bontà della lotta, erano di grande qualità umana, quasi mistiche… Pannella è comunque uno che fa in un mondo di gente che ‘dice’ di fare guardandosi bene dal farlo, e in questo senso è un rivoluzionario…”.E più di recente: “Per mia natura sono un anarchico, per essere più precisi mi sono sempre definito un anarchico di centro. Nel senso che non amo la violenza, che ha pure una sua bellezza, ma le vittime della violenza sono sempre i più deboli, quindi la rivoluzione armata non mi interessa. Mi interessano invece le battaglie per i diritti civili. Ho fatto tutte le battaglie con i radicali, dal divorzio all’aborto, le ho sostenute tutte  e ho trascorso molte notti insonni con loro. Sono anche a favore della campagna che vorrebbe Pannella senatore a vita sarebbe bello dopo tutte le battaglie civili che ha combattuto”.Sarebbe bello, sì, e le istituzioni ne guadagnerebbero. Sarebbe bello se il presidente Napolitano ne nominasse tre di senatori a vita, lo può fare, tre grandi giovani vecchi: il rabbino emerito della comunità ebraica di Roma Elio Toaff; Marco Pannella; e  lui, Giorgio Albertazzi.             

  


da la domenica di repubblica del 17\11\2013

Dopo pappe e palloni a un certo punto la Rai la ostracizzò. Lei se ne andò in America, in tv con la Fitzgerald,Eco ne descrisse la fenomenologia e i Pink Floyd quasi divennero suoi fan Ora l’ex ragazzina terribile è tornata dal suo 


esilio dorato per realizzare il disco della vita: “Per troppotempo la mia immagine è rimasta legata a un solo personaggio Ma io sono anche altroe adesso voglio il meglio” 

MILANO 
La locandina è lì, visibile a chiunque con un minimo di ricerca. È del 7 marzo 1965 ed elenca gli ospiti della puntata dell’Ed Sullivan Show, rete televisiva Cbs, alle otto di sera, mezza America in visione: «C’era Duke Ellington,subito sotto c’era Ella Fitzgerald e più sotto ancora ci sono io, ovvero Rita Pavone». Andava così, e pur ingigantendo un po’, una cosa del genere la racconti a tutti anche mezzo secolo dopo. E soprattutto chiedi rispetto per quella storia, che portò la ragazza celebrata in patria per cose tipo Pappa al Pomodoro e Partita di Pallone (guai a chi le tocca,s’intende, un sacco di
lettere P come lei, Pavone) a girare il mondo e a costruire ricordi non proprio alla portata di chiunque. «Da ragazzina a Torino le mie coetanee, ma proprio quelle più trasgressive, tolleravano al massimo Natalino Otto. Io ascoltavo Sinatra e quelli come Sinatra. Lo potevo fare grazie a un amico di mio padre che viaggiava spesso verso Oltreoceano e mi portava i dischi che facevano davvero impazzire gli americani».Nasce tutto lì, appunto a Torino, con il padre alla Fiat in quella che tecnicamente era la perfetta famiglia torinese con lavoro alla Fiat. E poi evolve in una storia pazzesca, che si divide tra i successi internazionali, versioni multilingue di ogni canzone di successo e i lacci e lacciuoli del paesone Italia, che alla ragazzina con androginia evidente regalò una popolarità assoluta, quella vera,dei tempi, con le apparizioni sull’unico  canale tv da venti milioni di spettatori a botta: ma che non le perdonò nulla.Rita Pavone è tornata in circolazione dagli esili dorati della Svizzera e di Maiorca, ha passato guai con la salute, si è ripresa e ora ha coronato un sogno definitivo, ovvero il disco della vita: «È quello che avrei voluto fare dall’inizio,se non fossi finita subito, da ragazzina,nel meccanismo del grande successo di pubblico in Italia, con la televisione, le canzoni, i tanti dischi venduti e soprattutto quell’immagine, un personaggio che non mi piace granché ricordare come unica cosa forte della mia vita, anzi».Ed ecco così un doppio cd, Masters, che sta ricevendo critiche sontuose e inattese: un pugno di standard americani ma senza piacionismi — nessun pezzo stra famoso e acchiappa pubblico ma brandelli magici di soul, swing, pop: autori come Bacharach, Hoagy Carmichael,Bobby Darin, Libby Holden.Trattasi di autentico sfizio, al punto da dire, come ha detto: «Voglio il meglio e lo voglio come una volta. A me va benissimo che oggi con il computer si possa fare tutto con la musica, ma   ci tenevo tanto a lavorare, cantare e suonare come   si faceva una volta: anche  perché se non ci riuscivo così non avrebbe avuto senso un’operazione simile». Un disco sorprendente, ma tanto, tirando fuori quella voce assurda per potenza e grinta.Ovvero, lo sfizio riuscito. Avercene.In realtà succedeva ed è successo di tutto, attorno a lei e al suo successo spaziale,al tempo: «Tutti i problemi, quelli che hanno portato alla fine dell’epoca d’oro, sono arrivati col matrimonio».Ovvero quello con Teddy Reno — lui giàsposato (e separato) — ad Ariccia alle porte di Roma, quel prete cui Rita va a chiedere speciali dispense, lui si mette a farle la predica e spiegarle il perché e il percome: «Gli risposi, con rispetto: le ho solo chiesto se si può fare. Se non si può,niente. Andrò a vivere nel peccato, ma nel peccato mi ci avete messo voi». La sposò poi un prelato, che capì le sue istanze («E dire che per una promessa fatta a mia madre io ero arrivata casta al matrimonio»). Ma al quale tolsero  subito importanti incarichi. E intanto là fuori,l’Italia gossippara che impazziva appresso alla maternità-scandalo. Un giorno, il patatrac. In tv va alla grande Alighiero Noschese con le imitazioni,Rita è un suo cavallo di battaglia (una volta la trasforma in Nilde Iotti che si lamenta con Togliatti: “Perché perché la domenica mi lasci sempre andare  al comizio del partito di Baffone?”).Ma una sera a Doppia Coppia aNoschese scappa del tutto la frizione: e la imita incinta, con feroci ironie sul bellissimo ma spiantato Teddy accalappiato dalla cantante e sul sesso del nascituro.«Era una parodia crudele. Non doveva tirare in ballo il figlio che stava per nascere: feci causa alla Rai, la vinsi. Il giorno stesso il presidente Leone firmò un’amnistia generale che cancellò anche quel reato». E insomma, niente,la storia di un clamoroso successo da noi finisce in pratica lì, con la Rai che si offende per la causa e l’ostracismo per gli anni a venire e, va ricordato sempre, l’ostracismo Rai, allora, era ostracismo da tutto. Per fortuna in America c’era Ed Sullivan…. «Mi aveva preso in simpatia,ed era curioso dell’Italia: un’altravolta al suo show c’eravamo io, Paul Anka e Topo Gigio». Prego? «Lui. Con lo stesso staff italiano e il doppiatore Mazzullo che  parlava in inglese». Ecco.Oggi possiamo arrivare però a una decisione finale. Quello della partita di pallone, il maschio, non andava alla partita, vero? «Diciamo che rimanemolto ambigua la cosa, quella che è molto chiara è lei, il senso del messaggio è quello e il richiamo brusco di lei».Fino a che è diventata simbolicamente una storica avversaria del calcio. «Ma quando mai? Mio padre mi portava alle partite, girando il mondo ho conosciuto i più grandi, una volta a Mosca c’erano Pelè e Garrincha: ho una foto con loro due». Insomma, tornando al fattaccio,il paese era cambiato, la tv era reclusa ma ci fu molto altro, gli show, le parti d’attrice anche per La strada, in una post-Gelsomina: «Avevo lavorato con Giulietta Masina: pensi che alla sera veniva Fellini a prenderla, così, tranquillo,come se fosse un qualsiasi impiegato.La Wertmüller mi diceva che io e Giulietta avevamo lo stesso sguardo». Oggi, questo esilio ben riparato in Svizzera e Spagna, è sempre per farla pesare un po’ a questo paese? «L’Italia è fantastica ma è un paese senza memoria,come sfuggire al confronto con gli altri posti? Giorni fa era l’anniversario di Edith Piaf, in Francia speciali su speciali in tv, da noi non accadrebbe». Non si può far stare dentro tutto quanto in una rievocazione: dell’ascesa, caduta — dorata anch’essa — e traversie e gli specchi del Paese che un po’ evolve e molto no. Qualche spunto, aneddotica fantastica qui e là. Umberto Eco, per dire. Che nelDiario Minimosi occupò per diverse pagine della Rita e lanciò una sentenza definitiva: «Lei è Lolita spiegata per la prima volta al popolo». Nel senso che Nabokov era  riservato una ristretta cerchia di perversi lettori di libri (perversi in quanto lettori, non per Nabokov) prima volta pubblicamente a milioni di persone l’impulso chiarissimo della sessualità giovane — se poi ci aggiungiamo la famosaandroginia di facciata la faccenda diventava pressoché esplosiva. Quelle pagine di Eco campeggiano nel sito ufficiale,ricchissimo, della cantante: «Ricordo benissimo quei giorni, ero stupefatta:uno come Eco parlava di me. Mi sarebbe andata benissimo anche se mi avesse maltrattato per tutte quelle pagine». È tornata, Rita, in grande stile allo show tv recente di Gianni Morandi. Rievocazioni  insieme, medley da mandare ai matti il pubblico sui sessanta (ovvero, la maggior parte o quasi) e i ricordi degli inizi: «Entrambi giovanissimi eravamo stati reclutati dalla Rca che ci teneva in una pensioncina di piazzale  Clodio, avevamo anche una specie di tutor». Un giorno Gianni rientra e la trova che si sbaciucchia con Bruno Filippini,bellone canterino d’epoca. Ma è vero che le urlò “Lo vado a dire alla tua mamma”? «Verissimo: aveva una cotta per me, ma io filavo con Bruno». E dire che Morandi era il versante progressista del paese — la Rita, con quella parte lì e in generale con i moralismi rigidi non si è mai trovata bene — e quanto al discorso di come lo scricciolo androgino attirasse ragazzi e uomini che potevano permettersi quello che volevano,beh, insomma, c’era appunto Eco a spiegarlo, se proprio si vuole lasciar perdere la perfidia del gossip d’epoca.Resterebbero i Pink Floyd. In realtà resterebbero tre o quattro libri da scrivere, ma quella dei Pink Floyd è deliziosa.Siamo già in epoca web. «Un giorno scopro che un sito scrive che i Pink Floyd parlavano di me in un vecchio brano, che si chiamava San Tropez: addirittura un verso che dice “prenderò un appuntamento con Rita Pavone”».In realtà il testo dice che prenderà un appuntamento al telefono (“Making a date for later by phone”) ma in rete c’è chi sostiene di aver sentito benissimo “Rita Pavone”. Balla colossale, ma lei si diverte e ci marcia su: «Ma è vero: una volta, in Costa Azzurra stavo per conoscere i Pink Floyd che erano nello stesso albergo, allora l’ho raccontato  scherzandoci un po’». Ma a quel punto il web non lo tiene più nessuno. E Rita va, la leggenda urbana le si addice fermo restando che ora, essendosi tolta la voglia di fare il disco definitivo, se ne va tranquillamente a inseguire la leggenda e basta. In caso contrario fa lo stesso, come disse quella volta al prete.

"Affiliazioni irregolari e inquinamento malavitoso". E il Grande Oriente d'Italia sospende la loggia . pulizie in vista o pausa di riflessione ?

stanchi delle logge deviate e desiderio di fare pulizia \ nuova reputazione o opportunismo o nascondere la polvere sotto il tappeto ?




da repubblica online del 17\11\2013




La Rocco Verduci bloccata in ogni attività a tempo indeterminato. La decisione senza precedenti di Gustavo Raffi, dopo l'ennesima inchiesta giudiziaria


di GIUSEPPE BALDESSARRO

REGGIO CALABRIA - "Irregolarità nelle affiliazioni, e possibile inquinamento di carattere malavitoso". Sono queste le ragioni che hanno spinto il gran maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi, a "sospendere a tempo indeterminato la loggia Rocco Verduci da ogni attività massonica". Una decisione senza precedenti dei "fratelli muratori" che per la prima volta, e in maniera ufficiale, ammettono il rischio di infiltrazioni mafiose, e in particolare della 'ndrangheta, nelle loro strutture territoriali. La notizia è stata diffusa oggi dal Quotidiano della Calabria, che spiega come il provvedimento sia arrivato all'indomani di un'ispezione dei vertici della massoneria nazionale alla loggia con sede a Gerace, nell'etroterra della Locride, e che ha il suo "tempio" per le riunioni a Siderno, città della costa.
La vicenda sarebbe legata ad una segnalazione arrivata sul tavolo di Raffi dopo l'ennesima inchiesta giudiziaria. Lo scorso inverno con l'operazione "Saggezza" erano finiti in carcere una serie di personaggi legati a doppio filo da una parte con esponenti di vertice della 'ndrangheta e dall'altra ai grembiulini della Locride. La Dda di Reggio Calabria scoprì che tra le file della criminalità organizzata c'erano anche alcuni massoni che, di fatto, rivestivano una sorta di doppio ruolo su cui convergevano una serie di interessi. Da qui l'ispezione del Grande Oriente avvenuta alcuni mesi fa e durata il tempo necessario affinché un incaricato del gran maestro incontrasse le realtà del territorio e i frequentatori del "tempio". La relazione che ne è scaturita parlava poi in maniera chiara di "irregolarità nelle affiliazioni, e possibile inquinamento addirittura di carattere malavitoso". In altri termini chi avrebbe dovuto gestire l'entrata in massoneria di nuovi soggetti non avrebbe rispettato le procedure e, cosa ancor più grave, non si sarebbe curato di verificare la possibile vicinanza ad ambienti criminali del papabile "fratello".
Quanto basta per portare Gustavo Raffi a decidere di sospendere "a tempo indeterminato la Loggia Rocco Verduci da ogni attività massonica". Una sospensione a cui in futuro, "se ritenuto opportuno", potrebbe seguire, secondo le regole della massoneria, la demolizione dell'Officina che potrebbe cessare di esistere. Per il momento c'è la sospensione, una sorta di messa in sonno collettiva, ritenuto in ogni caso un atto "forte" e che tra l'altro potrebbe non essere l'unico del genere viste le tante inchieste calabresi in cui affiorano legami tra fratelli massoni ed esponenti della criminalità, in diverse aree della regione.
Un segnale chiaro che arriva dall'interno del Goi, in cui c'è stato chi ha segnalato le anomalie e c'è anche chi, come Gustavo Raffi, è stato conseguente con una decisione mai assunta prima. Un segnale che riporta i componenti della massoneria a pretendere trasparenza e qualità nelle affiliazioni in modo da continuare a lavorare, secondo l'orientamento massonico.

Marco Pinna, il chitarrista che ha stregato gli Usa: “La mia carriera da Strehler a Chester Thompson”

da  http://www.sardiniapost.it/

Articolo pubblicato il 7 novembre 2013

Marco Pinna
«Ho cinquantotto anni, portati con disinvoltura. Infatti non ho ancora cominciato a pensare a che cosa farò da grande». Marco Pinna è di una semplicità spiazzante e complessa, butta lì frasi apparentemente astruse e contraddittorie; in realtà è l’unico modo per descrivere le sue molte vite racchiuse in una sola biografia.Chitarrista per vocazione, diventata professione grazie alla tv .«Un giorno vidi un programma con quattro ragazzi che suonavano, erano i Beatles, da quel momento ho iniziato a studiare e a esercitarmi per conto mio col chiodo fisso di imparare al meglio». L’artist,a originario di Oristano, vive da due anni negli Usa, a Nashville.Nella capitale del Tennessee, famosa per ilcountry ma ormai punto di riferimento per tutte le sperimentazioni, c’è arrivato grazie all’intuizione e alla determinazione di un manager locale:«Ha sentito alcuni miei pezzi su internet e mi ha mandato un messaggio nel quale c’era la bozza di un bel contratto pronto da firmare e la richiesta di trasferirmi negli States. Non mi sono fatto pregare, così sono salito sull’aereo con mia moglie e la mia chitarra. Attualmente ho un visto speciale che mi permette di stare qui».Non che in Europa le cose andassero male, anzi: le sue performance gli avevano già fatto guadagnare una discreta notorietà. Lasciata la Sardegna nel 1979, Marco ha espresso ben presto il suo talento, lavorando negli anni ottanta con il maestro Giorgio Strehler; nel 2007 ha realizzato al progetto “Ses Cordas” con un altro chitarrista sardo, Roberto Diana. Nel 2011 il trasloco negli Usa. «Faccio solo e soltanto la mia musica. La chitarra con le corde in nylon, il mio strumento principale, qui è una novità assoluta e gli americani apprezzano proprio quest’aspetto».
Vita da nomade della musica che traspare anche nei suoi pezzi, caleidoscopio di sonorità che lui stesso definisce «incrocio di molte culture», Marco Pinna racconta volentieri e con entusiastica dovizia di particolari la sua quotidianità a stelle e strisce. «La mia giornata inizia alle sei del mattino, dopo un caffè e qualche lettura mi esercito seguendo una tabella piuttosto lunga e impegnativa al termine della quale lavoro nel mio studio per poi dedicarmi alle pubbliche relazioni. Spesso mi esibisco anche in altre parti del Paese, viaggio moltissimo e sovente mi capita di perdere la cognizione del tempo e dei posti perché tutto avviene in maniera veloce. Qui negli Usa – chiarisce – fare il musicista equivale ad avere un’azienda che ha bisogno per andare avanti di più figure: manager, avvocato, commercialista e agenzia di booking. Insomma, devi avere il profilo di un uomo d’affari con una struttura solida alle spalle che sia capace di sostenerti; il talento e l’unicità non bastano, devi essere serio e affidabile. Dal mio punto di vista gli Stati Uniti sono meravigliosi, lo Stato funziona benissimo ed è leale col cittadino, le regole sono poche e chiare. La libertà qui è sacra. Se vali, ti apprezzano e ti aiutano. Le persone in media sono molto cordiali e alla mano, darsi arie non è concepito. Per quanto ho potuto vedere sinora, il difetto è di non possedere un’identità culturale forte, anche perché stiamo parlando di una nazione giovane; per il resto ci saranno anche altri lati negativi, tuttavia io non li ho ancora notati».Nonostante manchi dall’Isola da più di trent’anni, il chitarrista rivela: «Nei miei brani non mancano i riferimenti alla mia terra che è fonte incredibile d’ispirazione. La Sardegna non è solo suoni, ma anche profumi, sapori, mare e luoghi che comunque mi mancano. Quando torno a Oristano, adoro passeggiare nel centro storico, soprattutto di notte, quando l’atmosfera mi comunica chiaramente che io, comunque, appartengo a questa città, anche se sono in capo al mondo. Qui ho amici straordinari che porto sempre nel cuore. Il risvolto che non mi manca e che ho percepito quando sono andato via è l’invidia, unita alla tendenza ad affossare chi si dava da fare; non so se le cose siano cambiate col tempo, ma, lo spero».Tra un ricordo e l’altro, Marco Pinna accenna anche ai suoi progetti professionali con un pizzico di sana scaramanzia e malcelato orgoglio: «Sto lavorando al mio primo cd americano, ti posso solo anticipare che alla batteria ci sarà Chester Thompson, al basso Victor Wooten, mentre alla chitarra ritmica avrò Kyle Nightingale. Saranno tutti fisicamente con me al momento della registrazione in studio. Il produttore è Denny Jiosa, il chitarrista di smooth jazz nominato per ben quattro Grammy Award».
Un bel traguardo, quasi raggiunto in pochissimo tempo, grazie al lavoro e alla volontà: «A chi vuol seguire la mia strada, mi sento di raccomandare sacrificio, applicazione costante e onestà intellettuale, sono tre ingredienti che possono portare molto lontano e la mia esperienza lo dimostra».
Giovanni Runchina

19.11.13

nera che porta via che porta via la via nera che non si vedeva da una vita intera così . Alluvione del 18\11\2013 in sardegna

il post  d'oggi  doveva  d'essere  di tutt'altro tenore   ma la   ( come   questa  del  mio amico  \  compaesano )

Sergio Pala.      incredulità....le tragedie del passato non ci hanno insegnato proprio nulla...ci evolviamo, sappiamo cosa accade dall'altra parte del mondo in meno di un secondo...andiamo sulla luna e in fondo agli oceani...ma forse incoscientemente pensiamo che certe cose accadano "lontano"....e qualche immagine trasmessa dai tg ci lascia interdetti per pochi secondi...giusto il tempo per poi riprendere il nostro solito, noioso zapping..stamattina invece si respira un aria surreale...la morte ha bussato nelle case dei nostri amici..dei nostri vicini..dei nostri conoscenti..vittime della forza della natura e dell'assoluto spregio di essa da parte dell'uomo...ora sarà un addossarsi di colpe, inchieste, politici in doppio petto che passano belli belli in abito a salutare chi scava tra il fango...povere persone...che la terra vi sia lieve...e che le vostre morti..non siano - ancora una volta- vane.......
dettata  da  questo articolo  http://www.meteoweb.eu/2013/11/  trovato  sulla mia bacheca  di facebook   e postato da  https://www.facebook.com/fiorella.ferruzzi



Comunicato stampa dei Geologi, “non è solo colpa dei fenomeni estremi”: urbanizzazione sfrenata fra le cause  martedì 19 novembre 2013, 12:10 di Lorenzo Pasqualini


In queste ore drammatiche, con la Sardegna in ginocchio per la gravissima alluvione nell’area di Olbia, i 
Il presidente del Consiglio nazionale dei Geologi Gian Vito Graziano ha affermato: A fine agosto noi geologi avevamo già detto dei rischi e della fragilità del territorio. Qualora non fossero ancora chiari i termini del dissesto idrogeologico i geologi hanno il dovere morale di non abbassare la guardia, ricordando al Paese che la popolazione esposta a fenomeni franosi ammonta a 987.650 abitanti, mentre quella esposta alle alluvioni raggiunge 6.153.860, come evidenzia ancora l’Annuario ISPRA. Anche se le proiezioni quantitative per la frequenza e l’intensità delle inondazioni sono ancora incerte, l’Agenzia europea sostiene che sia probabile che l’aumento delle temperature in Europa porterà a inondazioni più frequenti e intense in molte regioni, a causa del previsto aumento dell’intensità e della frequenza di eventi meteorologici estremi”.
“Ma non è solo colpa dei cambiamenti climatici – ha proseguito Graziano – perché ad esempio l’urbanizzazione sfrenata, ha eroso dal 1985 ad oggi ben 160 km di litorale. I numeri recentemente pubblicati nell’Annuario dei Dati ambientali 2012 dell’ISPRA parlano chiaro: se in Italia per oltre 50 anni si sono consumati in media 7 mq al secondo di suolo, oggi se ne consumano addirittura 8 mq al secondo. Significa che ogni 5 mesi viene cementificata una superficie pari a quella del comune di Napoli e ogni anno una pari alla somma di quelle dei comuni di Milano e di Firenze. Per non parlare degli incendi, il 72% dei quali risulta essere di natura dolosa, il 14% di natura colposa e il restante 14% di natura dubbia. Da tempo i geologi chiedono l’istituzione di una commissione che possa affrontare tali problematiche così come fece la Commissione De Marchi”.

una delle  tante  foto  di olbia  post  alluvione 
geologi hanno lanciato un comunicato stampa, attraverso il loro organo ufficiale, il Consiglio Nazionale dei Geologi: In Italia sono 6.153.860 gli abitanti esposti alle alluvioni – si legge nel comunicato. Il probabile aumento delle temperature potrebbe portare in Europa a inondazioni più frequenti ed intense. Ma quello che sta accadendo non è solo per colpa dei cambiamenti climatici.







Inizialmente la colonna sonora doveva essere questo





ma non me la sento di tenermi tutto dentro e stare in silenzio , davanti ad immane disastro a pochi km da me , e che vede coinvolti anche dei parenti ( fortunatamente non tra le vittime ) e lasciare che a parlare siano il " fiume di parole " ( per parafrasare una vecchia canzone San Remese degli  anni '90 ) dei tg e dei giornali locali e nazionali con il loro bla ... bla .. ripetitivo \ retorico e spesso vuoto e senza spessore . Fortunatamente è mi è ritornata ala mente questa canzone ( lo so che le immagini sono come spiegato nel video dell'alluvione di genova  del 1970 ) di un grande poeta





18.11.13

all'estero ci'insultano o ci trattano da serie b però i nostri prodotti gli piacciono \ Il vino bianco preferito da Obama prodotto da un sardo in Maremma

Il bianco di un vignaiolo originario della Sardegna è il preferito del presidente Usa e della first lady. 



Michele Satta, figlio di Vincenzo, nato a Nulvi, è l'uomo che produce il vino preferito dalla coppia presidenziale. La sua esperienza non è stata messa a frutto in Sardegna ma nei vigneti di Bolgheri, in Maremma. "Zio Baingio mi portava con sé in campagna. I miei genitori preferivano la villeggiatura sulla costa, ad Alghero. Io, nell'incredulità generale, sceglievo Nulvi. Così ho imparato a fare il fattore". 

Se gli chiedi del “Costa di Giulia”, il vino bianco preferito del presidente degli Stati Uniti Barack Obama e di sua moglie Michelle, risponde quasi infastidito. Come se soddisfare i gusti del personaggio più potente della Terra fosse un dettaglio della sua vita di vignaiolo, di “uomo di campagna”, come ama definirsi. Michele Satta ha origini sarde, visto che suo padre Vincenzo era di Nulvi, provincia di Sassari, piccolo centro di neanche tremila abitanti, lontano da tutto. Da Sassari e anche dal mare di Castelsardo (la strada è piuttosto impegnativa), ma l'isolamento non ne ha fiaccato le capacità. I nulvesi sono abili a trattare la terra e la natura. Da queste parti producono il “Grananglona”, in pratica un Grana padano fatto con latte di pecora anziché di vacca. Una prelibatezza.RICORDI A Michele Satta, che si è costruito una solida fama in Maremma, nella zona di Bolgheri (dove nasce il Sassicaia, il vino italiano più famoso nel mondo, anche questo opera di un sardo geniale, Giacomo Tachis, considerato tra i massimi enologi del mondo), quando sente parlare di Nulvi, si illumina il volto. È là, durante le vacanze estive, che ha imparato ad amare la natura. «Zio Baingio mi portava con sé in campagna, poco fuori il paese, in località “Fontana sa nughe”. I miei genitori preferivano la villeggiatura sulla costa, ad Alghero. Io, nell'incredulità generale, sceglievo Nulvi. È così che ho imparato a fare il fattore».NATURA AMICA Perché Satta più che produttore di vino (e dire che il suo Bolgheri rosso superiore I Castagni 2008 ha ottenuto un successo strepitoso e i riconoscimenti unanimi dei critici, tra cui i “cinque grappoli” dall'Ais, l'Associazione italiana dei sommelier), si considera un fattore. Ovvero, il conduttore di un'azienda agricola diversificata: terra e animali, a contatto stretto con la natura. «Ho una visione intima del rapporto con la terra. Bisogna collaborare con essa e ti ripagherà con frutti copiosi e meravigliosi».Nel mondo del vino, complesso, difficile, rischioso, Satta è entrato dalla porta di servizio. Nel 1983 ha ereditato una vecchia vigna, ancora in produzione, in località Vigna al cavaliere, comune di Castagneto Carducci, provincia di Livorno, e da lì ha iniziato. Metteva il vino nelle damigiane, all'antica, poi pian piano è diventato uno dei produttori italiani più sofisticati, non solo per la qualità delle sue bottiglie ma per il carisma che possiede. I vini italiani, ma anche quelli francesi, trasudano cultura, tradizione, odori, antiche abitudini, tempi scanditi da consuetudini centenarie. I francesi lo chiamanoterroir , parola intraducibile che dice tutto questo, contrapposto al varietalismaustraliano, statunitense o, perché no, cinese, ovvero la capacità di produrre vini, anche ottimi, da vitigni che si adattano a qualsiasi clima (cabernet sauvignon, chardonnay, merlot), ma che estrapolati dal contesto storico in cui per secoli hanno prosperato, perdono quel non so che, il terroir , appunto.LE RADICI «L'ambiente in cui viene prodotto», riflette Michele Satta, «dà al vino un'impronta irripetibile. E la dà anche alle persone. La Sardegna per me non è mai stata solo mare, lì ho trovato le mie radici. Ci torno spesso, sarò da voi in primavera per far conoscere i miei vini, che il distributore Horeca contribuirà a diffondere in quella che considero la mia terra. Io sono rimasto colpito da alcuni vermentini e da rossi ricchi di personalità. La classe dei vignaioli sardi sta crescendo, la rinascita può cominciare promuovendo le eccellenze alimentari dell'Isola. Dobbiamo capire che il cliente non è più solo il conoscente della porta accanto, ma anche l'avvocato di New York o l'imprenditore di Singapore, affascinati da un vino che arriva da una terra antica e ancora misteriosa come la Sardegna».IL PIÙ GRANDE Satta ha parole affettuose per Giacomo Tachis («un monumento») e sorride alla provocazione di qualche anno fa del più famoso enologo italiano, quando disse che i «sardi amano il cannonau ma non sanno farlo». Una provocazione che «l'uomo del Rinascimento del vino italiano nel mondo», «il principe dell'enologia», artefice e inventore di grandi vini come Tignanello, Solaia, Sassicaia, Terre brune e Turriga, poteva permettersi. «Il grande Giacomo, forse, voleva spingere i bravi e giovani enologi sardi a sperimentare vie nuove, ad avere coraggio. Per esempio, a utilizzare maggiormente il Syrah, vigneto che in Sardegna darebbe risultati eccezionali».Infine, il “Costa di Giulia”, che Barack ha ordinato al ristorante “Caffé Milano” di Washington, il 17 gennaio scorso per festeggiare il compleanno di Michelle. «Un 65% di vermentino e un 35% di sauvignon blanc per alleggerire il retrogusto di mandorla amara del vermentino». E Obama è preso per la gola. Ci voleva tanto?

Ivan Paone

FIRENZE – Muore; corpo su marciapiede per 90 minuti fra l'indifferenza dei passanti

un giusto equilibrio fra indifferenza e morbosità ( fortunatamente questo non è successo , forse perchè si tratta di una grande città , e non di una piccola bidda cittadina )  No  ?  . Mi chiedo ma come mai di solito la generazione dei cellulari sempre pronta a fotografare e mettere su social network tali fatti non sia intervenuta . Forse non non era un fatto eccezionale o siamo assuefatti alla morte ? Mi stavo apprestando a trovare una risposta ma mi chiamano ad apparecchiare per la cena 




da toscana news tramite Oknotizie





FIRENZE – Muore; corpo su marciapiede per 90 minuti

Scritto da: Redazione 18 novembre 2013









FIRENZE - Un malore improvviso e per lui non c’è stato niente da fare. Se n’è andato così un uomo anziano in pieno centro a Firenze, nei pressi di piazza Santa Croce. Una notizia che fa parte della vita e, quindi, può considerarsi “normale”. Ma ciò che desta scalpore è che il corpo dell’uomo sarebbe rimasto sul marciapiede per circa un’ora e mezza.Tutto ha avuto inizio alle 13.15 quando l’uomo si è improvvisamente accasciato. Un giovane medico se n’è accorto ed ha subito messo in atto le pratiche rianimatorie. Ma per l’anziana persona non c’è stato più niente da fare ed il medico, dopo oltre un quarto d’ora di tentativi, ha dovuto desistere. L’uomo è stato quindi coperto con un lenzuolo bianco in attesa dell’arrivo del servizio funebre.Ma l’attesa è stata davvero fuori dal normale. Infatti, i servizi funebri, chiamati per rimuovere il corpo dello sfortunato anziano, sarebbero arrivati intorno alle 14.45, novanta minuti dopo il malore. E, secondo alcune testimonianze, il corpo sarebbe rimasto a terra tra la completa indifferenza dei passanti e i flash di qualche turista giapponese.

Decostruire la mascolinità non significa demolire l’uomo. È reinventarlo, liberarlo dalle catene degli stereotipi affinché possa essere se stesso,

Ultimo  post  per  questa  settimana   sulla violenza  di genere o  femminicido    La nostra  mascolinità, spesso definita da stereotipi cul...