22.4.18

Gabriele Clima: "Bullismo? Noi adulti abbiamo delle responsabilità"




Lo scrittore Gabriele Clima, premio Andersen 2017, parla del rapporto tra adolescenti, adulti e libri. Toccando anche l'aspetto del bullismo nelle scuole. Intervista di Davide Berti, video di Gino Esposito. sotto  l'intervista   completa  presa   grazie  alla pagina  fb  di geolocal    da  http://gazzettadimodena.gelocal.it/modena/cronaca/2018/04/21/news/
























MODENA. Il viaggio di uno scrittore comincia quando le sue pagine, dagli scaffali di una libreria, finiscono nelle mani di chi ha sete di parole.
Il viaggio di uno scrittore per ragazzi inizia quando capisce che per parlare a loro deve prima di tutto capire ciò che per lui hanno significato l’infanzia e l’adolescenza.
Il viaggio di Gabriele Clima, scrittore premio Andersen 2017 per “Il sole fra le dita”, mette la vita nei libri, la sua vita, torna la sua rabbia adolescenziale e la traduce in pagine.


Persona schietta e pragmatica, quando ci vuole la parolaccia la scrive - «perché, non è forse il linguaggio reale?», sottolinea - ricorda che la vita non è mai una passeggiata e lui preferisce dirlo subito ai ragazzi. Perchè non c’è passeggiata più bella di quella che ti fa fare anche un po’ di fatica: «Io parlo solo di storie di ragazzi perchè le storie sono... ragazze. Nei ragazzi c’è una vita da una parte pura e dall’altra crudele, che è ciò che costituisce anche la nostra vita da adulti. Ma noi, spesso, non ricordiamo la nostra vita da ragazzi, anche quando diventiamo educatori. E allora le storie possono aiutare questo processo di riavvicinamento di noi adulti ai ragazzi e dei ragazzi ai libri». In due giorni ha incontrato centinaia di studenti grazie alla libreria San Paolo di Modena tra scuole Calvino, Leopardi e Lanfranco, sempre mettendosi in gioco.Quando ha deciso di raccontare se stesso?
«Io racconto storie vere, non sempre tutti gli episodi sono successi ma cerco sempre di essere autobiografico perché io ho vissuto una adolescenza irrequieta, inquieta, anche problematica. Quello che conta è che i ragazzi oggi vivono in una serie di problemi che noi adulti buttiamo sulle loro spalle attraverso la televisione, Facebook, internet. Raccontare storie ai ragazzi di quello che succede intorno a loro è un modo per avvicinarli a noi e ripescare quei processi fondamentali che fanno crescere anche noi adulti. Quanti adulti si credono maturi? Dov’è la linea di demarcazione che separa l’adolescenza dalla maturità? Quando cessa il processo di aggiornamento delle mappe con cui navighiamo la realtà? Io spero mai, perché sarebbe la morte dell’anima e del pensiero. Oggi, invece, vedo i ragazzi estremamente attivi nel pensiero e consapevoli di quanto questo possa modificare la realtà che vivono».
Il bullismo è un tema presente nei suoi libri: come si arriva a questi fatti?
«Le responsabilità sono ripartite. Noi adulti ne abbiamo molte di più di quante pensiamo. Il problema non è tanto l’esplosione di rabbia, l’odio o la follia che comunque c’è ed è presente, sta dilagando in questi ultimi tempi. Il problema è il mancato percorso essenziale di educazione emotiva che nelle scuole non si fa, in famiglia non si fa, non si fa in genere. Il problema non è la rabbia che poi esplode, il problema è la gestione delle emozioni. La rabbia è un sentimento buono, positivo come tutte le emozioni. È la sua mancata gestione che può fare dei disastri, come quelli che vediamo. Io racconto storie non per creare un percorso in cui i ragazzi possano identificarsi, ma per raccontare il mio, che è esattamente un percorso attraverso la rabbia, la mia rabbia adolescenziale, forte, attraverso una strada che io faticosamente mi sono scavato e aperto tra le fronde della vita, una strada dal buio alla luce ».
Cosa manca ai ragazzi?
«L’educazione sentimentale, l’educazione alle proprie emozioni, che vanno conosciute. Conoscere anche la rabbia, anche le emozioni di cui si vergognano e hanno paura. Esplorare quei mondi remoti del proprio animo in cui il buio si forma, perché conoscendo il buio si può anche ingabbiare in qualche modo».
Quando finiranno gli adulti di nascondersi dietro al ritornello “questi giovani non hanno voglia di fare niente”?
«Molto comodo per gli adulti, ci salva da percorsi che sono quelli che non abbiamo battuto fino ad ora. È molto comodo per noi ripercorrere sempre gli stessi passi: oggi occorre cambiare strada, cambiare ottica, cambiare mentalità. Lo fanno i ragazzi, perchè noi adulti non ci riusciamo ?».

finalmente dopo tanto bullismo , criminalità minorile ed atti vandalici una storia di legalità fra i giovani la storia della rapina di Dolo .






leggi anche

Dolo, rapina a mano armata in pieno giorno alla gioielleria Canova
Due malviventi hanno agito a volto scoperto: legati i due titolari e minacciati alcuni giovani.

https://www.facebook.com/lanuovasardegna/posts/10156365259579878  atti vandalici su statue  del 1800 a cagliari 

Questi sono i giovani.....non solo esempi negativi, ci sono bravi ragazzi onesti e con grande senso civico!!!! Grazie e bravissimi  🎊🎆🎇

da http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/2018/04/21/

Rapina in gioielleria a Dolo, arrestati i quattro malviventi: erano stati inseguiti da due 16enni

Individuati grazie al coraggioso inseguimento da parte di due adolescenti e alle indicazioni dei testimoni



MESTRE. Due amici 16enni di Dolo: hanno assistito alla rapina di una gioielleria, chiamato il 112, inseguito i rapinatori fino a venire minacciati con la pistola, descrivendo l'auto della fuga e permettendo ai carabinieri di rintracciare e arrestare i malviventi. "Menzione d'onore al grande senso di legalità di questi ragazzi: sono stati bravissimi , hanno anche rischiato qualcosa", si complimenta il comandante provinciale dei carabinieri, Claudio Lunardo, "questi sono i valori dei ragazzi della nostra terra a 16 anni: determinati, ci hanno messo loro nelle condizioni di portare a termine le nostre indagini".
Dolo, due 16enni eroi aiutano i carabinieri a catturare i rapinatori




L'hanno chiamata operazione "GoldrRiver", fiume d'oro. Carabinieri e Procura di Venezia sono certi di aver individuato la banda di rapinatori trasfertisti che ha messo a segno la rapina ai danni della gioielleria Canova di Dolo, il 13 ottobre, nella centralissima va Mazzini.Sabato Mattina sono così stati arrestati in puglia i quattro presunti autori del colpo, individuati anche grazie al pronto allarme di due adolescenti, che - accortisi d quanto stava accadendo - hanno chiamato il 112 con il loro cellulare e iniziando un pericoloso inseguimento a distanza dei rapinatori.

La conferenza stampa dell'operazione GoldRiver
I banditi, però, si sono accorti del pedinamento e hanno minacciato i ragazzi con una pistola, scappando a piedi, mentre un complice si allontanava in auto con il bottino.I carabinieri di Venezia, avevano subito volto le indagini sul gruppo dopo la rapina alla gioielleria "Canova" di Dolo dove due malviventi, a volto scoperto e sotto la minaccia di un'arma, avevano brutalmente malmenato la proprietaria del negozio ed un cliente, entrambi poi immobilizzati a terra con mani e piedi legati. I banditi fuggirono con gioielli ed orologi per un valore complessivo di circa 45.000 euro e con l'aiuto di due complici ritornarono in Puglia . Un aiuto corale, alle indagini dei carabinieri. All'arrivo della pattuglia, infatti, altri passanti hanno indicato ai militari la via di fuga dei malviventi e in particolare che uno di loro aveva imboccato uno stretto vicolo: il maresciallo dei carabinieri di Dolo, inforcata la bicicletta offertagli da un passante, ha così tentato l'inseguimento, trovando lungo la strada i due ragazzi, che hanno descritto la Punto blu utilizzata per la fuga e parte della targa.Ne è nata un'indagine, coordinata dal pubblico ministero Giorgio Gava, che ha portato a seguire le tracce dei rapinatori fino in Puglia e a ricostruirne i movimenti nei giorni precedenti al colpo, come il sopralluogo preliminare fatto a Dolo pochi giorni prima.






Brindisi, svaligiraono gioielleria in trasferta: arrestati in 4

All'alba, è partita l'operazione che ha visto impegnati i carabinieri di Venezia insieme ai colleghi di Brindisi, per l'esecuzione di quattro ordinanze di custodia cautelare ffirmate dal giudice per le indagini rpeliminari Roberta Marchiori. Sono così finiti in mantette quattro uomini, accusati della rapina: il 39enne Francesco Andriola, il 34enne Luciano pagano , il 32enne Ugo Ugolini e il 37enne Maurizio Cannalire.




21.4.18

«Io, un ladro gentiluomo: tanti furti e nessun erede». Tutti i colpi del veneziano Vincenzo Pipino . la cui storia diventa un film

non esistono più i ladri di un volta





VENEZIA. Settantacinque anni, 25 dei quali passati in carcere, il veneziano Vincenzo Pipino ora ha deciso di "appendere i guanti al chiodo" per sopraggiunti limiti di età. In questa intervista con Sabrina Tomè ("la Nuova Venezia") racconta i suoi colpi più clamorosi, dal Canaletto all'incursione a Palazzo Ducale, "ma senza mai usare violenza, il furto è un atto d'amore per gli oggetti". e adesso gireranno un film sulla mia vita». Circa 5 mila i colpi messi a segno in decenni di attività e per i quali ha finito di scontare la pena (dopo 15 sentenze) nel luglio scorso


La sua epopea diventerà un film: "Sono stato contattato dalla Th20 Century Fox" 




razismo allll'incontrario o fanatismo \ fondamentalismo religioso ? secondo me entrambe . la storia di Aurora Chahrazad Belhamra figlia di uan italiana e di un marocchino






«Io, picchiata dalle mie coetanee perché poco musulmana»

La storia di Aurora, oggi 18enne, aggredita e minacciata da tre coetanee marocchine per le quali è iniziato il processo

Picchiata da tre ragazze perché senza velo. Al via il processo
Il racconto di Aurora
CASTELNOVO MONTI. E’ stata minacciata, picchiata e perseguitata da due studentesse per razzismo “al contrario”: le due marocchine trovavano insopportabile che la ragazzina, all’epoca 14enne, figlia di un matrimonio misto, avesse uno stile di vita non musulmano e libero. Nei giorni scorsi è iniziato il processo, davanti al giudice di pace, per le giovani violente: dovranno rispondere del reato di minacce e lesioni personali in concorso.
A raccontare l’accaduto è stata la vittima di questa storia, Aurora Chahrazad Belhamra, ora 18enne, residente a Casina, rappresentata dall’avvocato Domenico Noris Bucchi. Il primo novembre 2015 Aurora è stata anche ospite dell’angolo Openspace su “Le Iene”, su Italia1, intervistata da Nadia Toffa. Nel 2016 Aurora è stata candidata nella lista “per casina” del sindaco uscente Gianfranco Rinaldi.
I fatti risalgono all’ottobre 2014 e hanno sempre avuto come teatro la fermata dell’autobus di Castelnovo Monti, che la studentessa usava per recarsi a scuola.«Un giorno sono andata nella parte anteriore del bus per timbrare l’abbonamento; mentre tornavo indietro tre studentesse (non della mia scuola) marocchine hanno iniziato a insultarmi: “marocchina falsa e sfigata” – racconta Aurora – Un mio amico mi ha chiesto se le conoscevo, ho risposto di no e che proprio per questo le compativo. Le tre hanno continuato ad apostrofarmi con offese, finché ho detto all’autista di scaricarmi prima e sono andata a piedi fino a casa».Ma non era finita qui. «Il giorno dopo ero in corriera, loro erano alla fermata, continuavano a dirmi “scendi, scendi”; io ho fatto finta di niente finché il bus è partito».Il giorno dopo ancora «ero in corriera in fondo, loro sedute a metà: hanno cominciato a cantare dei cori in arabo (“ti strappiamo i capelli, ti spacchiamo la faccia, ti picchiamo”)». Un altro giorno «una ragazza mi ha detto di scendere perché qualcuno aveva bisogno: ingenuamente sono scesa e, tre contro uno, hanno iniziato a picchiarmi, a tirarmi per i capelli, mi hanno tirato lo zaino in faccia, colpito con calci. Sono finita al pronto soccorso, ho dovuto portare il collare per un mese per un trauma cervicale. Una mia amica ha chiamato mia mamma, che mi ha raggiunto all’ospedale».Una prognosi di sette giorni, come da certificato medico. «All’uscita dall’ospedale ci siamo fermate in caserma per sporgere denuncia. Io non le conoscevo, ma sapevo il cognome di una sola perché abitava a Casina: ci hanno pensato i carabinieri ad identificarle». In realtà la ragazza residente a Casina era minorenne: da lei i militari sono risaliti alle altre due, ora alla sbarra.La persecuzione ha avuto un’altra coda perché, prosegue Aurora, «in seguito su Facebook quelle hanno scritto minacce verso i miei genitori e si sono vantate di avermi picchiato: ho fotografato le schermate e le ho portate in caserma».Il motivo di tanto accanimento è stato uno solo: Aurora, mamma italiana e papà marocchino, secondo le antagoniste era troppo “italiana”. «Mi prendevano in giro per il mio nome, metà italiano e metà arabo, scrivevano che mio padre non è un buon musulmano perché non mi ha fatto indossare il velo – spiega Aurora – In casa mia sono cresciuta libera, si celebrano sia la festa del montone sia Natale».Aurora precisa che è stata offesa altre volte per le sue origini. «Insulti come “sporca marocchina” sì, ma è stata la prima volta che qualcuno è arrivato ad alzare le mani. Si è trattato di razzismo da parte di marocchini verso chi non è osservante. Sono voluta andare in fondo a questa vicenda, anche dal punto di vista legale, perché il razzismo non va accettato, qualunque sia la sua provenienza. Mi interessa dare loro una lezione, non solo per me ma per tutti i musulmani moderati: gli estremismi sono sempre pericolosi, soprattutto con il clima attuale».Aurora nel frattempo è diventata mamma, di un bimbo che ora ha 7 mesi. Progetti futuri? «A giugno darò la maturità, spero di trovare un lavoro non appena preso il diploma».


Elisa, ragazza sarda che ama la campagna: ecco chi è la bella pastora che ha invaso la rete


Da quando le sue foto sono apparse sui social hanno fatto il giro del web. La bella pastora di Serdiana a soli 19 anni ha scelto un mestiere sicuramente non facile ma che porta avanti grazie alla sua grande passione per gli animali .
Elisa Piga, una giovanissima  ragazza di Serdiana che di mestiere fa la pastora. Niente di strano,per  noi  sardi   Quello che ha colpito gli internauti più della professione è però la bellezza della ragazza. Molti hanno storto il naso pensando che una giovane di cotanta beltà non potesse svolgere un mestiere così duro, “tipicamente” maschile. Gli stereotipi, duri a morire. Come  testimoniato da   storie  di donne pastore  che  trovate  anche   qui  sulm blog   . 
Elisa Spiga, invece si dedica da tempo agli animali lavorando in una fattoria di Soleminis con il suo fidanzato. Pecore, capre, galline, asini cavalli sono il suo pane quotidiano    e   dalle foto del suo profilo facebook il suo paradiso.
Molti però scrivevano commentando la foto condivisa dalla pagina l’Eco di Barbagia: “È una farsa, non può essere un pastore”. Tra vari commenti anche molti uomini ammaliati dalla bellezza più che dalla bravura della ragazza. Per Elisa fortunatamente anche tanti complimenti per aver scelto un mestiere così duro e sicuramente non facile e che oggi molti giovani della sua età non farebbero mai.Per rispondere agli increduli la giovane pastora ha mandato un altro scatto alla pagina l’eco di Barbagia mentre è intenta a mungere le sue capre “Elisa mi ha mandato questo bellissimo scatto ( foto a sinistra  )  che la ritrae a lavoro con il suo gregge.  Così, giusto per smontare i dubbi di qualcuno!Essere una bella ragazza non significa che non si possa essere un’ottima allevatrice “





ecco la sua  storia    raccontata  da  http://www.youtg.net


CAGLIARI. Diciannove anni, bella e con una enorme passione per la campagna, le sagre paesane e gli animali. Tanto che da tempo lavora nella fattoria del fidanzato, ogni giorno a stretto contatto con il bestiame, con una predilezione per capre e pecore, più di una volta immortalate in selfie caricati poi sui social. 

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È la storia di Elisa Piga, 19 anni di Serdiana, secondo tanti l’altro (bel) volto della pastorizia sarda. La sua foto profilo su Facebook la immortala mentre tiene per le corna un caprone, che sembrerebbe per nulla turbato. Qualche giorno fa una sua foto comparsa su Instagram è stata rimbalzata poi su Facebook, con migliaia di condivisioni e reazioni come, per esempio, sulla pagina de L’Eco di Barbagia (con oltre 7 mila like). 
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D’altronde, associare una bella ragazza con il ruolo del pastore, da sempre sinonimo di mascolinità fiera e senza fronzoli, non è una cosa che capita tutti i giorni. “Passo le mie giornate a lavorare con gli animali – scriveva lo scorso giugno Elisa sulla pagina di un concorso pubblicato da una rivista femminile
perché il mio ragazzo possiede a Soleminis una piccola azienda con tanti animali (capre, pecore, mucche, cavalli, asini, galline, anatre, maiali, conigli, cani, gatti). Insomma, una bella fattoria e ovviamente con tutto questo bestiame c'è tanto lavoro da fare!! La mia passione è sempre stata quella per gli animali, soprattutto quella per i cavalli, tanto è vero che sfilo a cavallo per le feste paesane”.

20.4.18

Ancora qui - Il pastificio simbolo dell'orgoglio sannita: "L'alluvione de 2015 non ci ha fermato" ed altre storie

 questa  3  puntata   dello speciale  di repubblica   che trovare  sotto   mi ricorda   come anche la  ditta ( un azienda  florovivaistica  ) della  mia  famiglia  si e ripresa  dopo   due    tristi  eventi   che  colpirono  non  solo  la  mia zona    ma   l'intera  sardegna 


 il  primo  l'incendio  o meglio  un estate  di  fuoco    che  raggiunse  il  culmine   il  28  luglio    1983  


All'epoca avevo 19 anni e decisamente ben più tollerante al caldo di come non lo sia oggi. Era il 1983 e abitavo in una località del sassarese in Sardegna, epicentro dell'ondata di calore peggiore anche di quella del Luglio 2003.Allora non c'era Internet per avere informazioni. NIENTE, c'erano solo le previsioni meteo della RAI, e siccome era Estate, venivano annunciate dalle signorine "buona sera".Probabilmente era il 18 Luglio quando vidi il termometro della mia stazione meteo toccare la fatidica soglia di 40°C attorno alle 18, salendo di botto di 10°C, dato che alle 16 c'erano 30°C.Tale fenomeno, per la mia esperienza di allora, era davvero raro, in quanto i pomeriggio erano quasi sempre refrigerati dalla brezza, ma quel giorno no, un vento rovente si mise a soffiare da est, sputando il calore dell'interno verso la costa.Poi seppi che una stazione meteo dell'aeronautica militare (se non erro era Capo San Lorenzo), quel pomeriggio misurò 47°C.Un valore assurdo per la Sardegna.La sera, come ero solito fare, uscii con gli amici, ma il caldo non mollava, rammento ancor oggi che l'aria soffiava bollente e bruciava la pelle. Il caldo era asfissiante e secchissimo anche alle 23, e quando tornai a casa il termometro misurava 36°C.La notte fu caldissima, ed il mattino dopo la temperatura minima fu di 31°C. Un valore minimo che non avevo mai visto prima di quel giorno.Quel mattino, il sole appariva di un colore insolito, quasi sangue, ed era immerso in un cielo appannato di arancione. Era giunta un'ondata di calore epocale e l'atmosfera era spettrale.La gente iniziò a parlare di caldo, chi aveva un termometro lo portò in cortile, per strada per misurare la temperatura. Il caldo era il tema di quei giorni.Il mio termometro, posto nella stazione meteo che anni addietro avevo costruito in legno e dipinto di vernice bianca di barca, quel pomeriggio segnò 44°C.Mi pareva un sogno, un incubo, un non so che.Quel pomeriggio uscivo varie volte dal relativo fresco di casa per vedere il termometro, e l'aria che mi veniva addosso sembrava venire da un grande braciere di carbone ardente.Ero molto incuriosito dall'evento, e come spesso avveniva, ascoltavo ogni pomeriggio RADIO TG3, edizione regionale (Sardegna), che trasmetteva il bollettino meteo e le temperature appena registrate.I valori letti dal giornalista facevano accapponare la pelle. E la notizia del giorno era il caldo. Ma anche il caldo a quei valori fa venire "la pelle d'oca". Non so perché, ma a me succedeva così, ed è una sensazione che ho provato anche in seguito con 42 gradi.Quei giorni la tipica brezza sparì, ma anche il vento iniziò soffiare debole, per poi intensificarsi a fine luglio.Rammento che in quei giorni, Videolina, la prima tv privata della regione, trasmise vari servizi dell'ondata di calore, ed appresi che gli allevamenti di polli del Campidano avevano visto decimata la popolazione.A migliaia e migliaia furono gli animali da cortile a morire di caldo, in specialmodo gli negli allevamenti, al chiuso.Ma non morivano di caldo solo gli animali, e si iniziò a parlare di persone che morivano durante il lavoro. Spesso erano operai costretti a lavorare sotto quel sole cocente, oppure persone anziane.Ma l'evento più drammatico stava per iniziare, era quello degli incendi. Già dal primo giorno di caldo si erano avuti i primi incendi, ma questi si erano man mano ingigantiti e aggredivano zone sempre più ampie.Il cielo era ovattato di fumo, e si sentiva un odore acre di incendio. Dal cielo iniziarono a cadere ceneri. Una mattina gli oggetti posti all'esterno era lievemente velati di fuliggine. Erano le ceneri dei boschi secolari che andavano a fuoco.Il caldo non passava, le notti erano caldissime, il mio termometro non scese mai sotto la soglia di 30°C in tutto il periodo di quel luglio, per 15 giorni (sino ai primi di agosto) misurai sempre massime oltre i 40°C e minime sempre superiori ai 30.Anche le case iniziarono a divenire bollenti, e tante famiglie dormivano in cortile perché in casa era impossibile prender sonno. C'è chi iniziò ad accusare anche danni ai mobili in massello, alle porte, in quanto il legno si spaccava dal gran calore.Non rammento il giorno esatto, ma vi fu una recrudescenza dell'ondata di caldo per effetto anche degli incendi ormai sempre più aggressivi. E una notte la minima fu di 35°C e di giorno vidi il termometro di mercurio salire a 45°C. Forse era il 28 luglio 1983.Nessuno dava previsioni su quando sarebbe finito quel supplizio.Si sopravviveva, diverse imprese edilizie, visti gli svenimenti degli operai, decisero di sospendere i lavori.Alcuni ospedali chiusero per caldo dei reparti. Di certo la climatizzazione non era disponibile come lo è oggi.La gente moriva di caldo, ed anche i giornali locali iniziarono a parlare di evento storico. In alcuni paesi si passò da una media di un funerale alla settimana ad un funerale al giorno.Si viveva un evento tragico che fu culminò da una notizia gravissima: nella zona di Tempio Pausania, città del nord Sardegna, gli incendi che non davano tregua ai boschi secolari, circondarono un folto gruppo di persone che cercavano di spegnere un incendio.E' l'incendio noto come di Curraggia, era il 28 luglio 1983.
immagine 1 articolo 39097La morte a Curraggia.L'incendio provocò 9 morti e 15 feriti tra le persone che cercavano di spegnerlo. Tra le varie ipotesi sulle le cause che scatenarono le fiamme, l'opera dei piromani è una certezza. Le concause furono le alte temperature estive di quei giorni e il vento che soffiava impetuoso.Le fiamme partirono dal mare, si fecero largo tra strade, boschi e arbusti in direzione di Tempio Pausania fino ad arrivare nelle campagne di Bortigiadas e di Aggius per poi propagarsi sulla collina di Curraggia.Con l'allarme diffuso dal suono delle campane, si organizzarono rifornimenti sul luogo dell'incendio, cibi e bevande di conforto per gli operatori accorsi. Tra i volontari che si prestarono alla lotta contro le fiamme, pochi erano dotati di equipaggiamento adatto: alcuni di loro cercavano di domare le fiamme in ciabatte, vestiti con pantaloncini e maglietta.Numerosi furono i soccorritori accorsi da tutta la Sardegna, uomini e mezzi del corpo forestale dello stato, dei Vigili del fuoco e delle compagnie municipali antincendio. Diversi di questi uomini, operatori e volontari, furono improvvisamente accerchiati dal fuoco che provocò 9 morti e 15 feriti. (Fonte Wikipedia).I notiziari iniziarono a parlare diffusamente della situazione di emergenza, e ovunque (specie nei paesi) si aveva paura degli incendi.La Sardegna era in fiamme, bruciava l'aria, bruciava la terra, bruciavano le persone.Dopo oltre due settimane il caldo iniziò ad attenuarsi, ed il termometro scese decisamente sotto i 40°C, ma ci volle un'altra settimana prima di avere valori termici più consoni per il periodo per quelle zone, ovvero di 29°C gradi di massima.Articolo redatto da un appassionato lettore del Meteo Giornale.

e le  famose  nevicate   del 1985

  ma  ora   basta  parlare  di cose  tristki e  riprendiamo l'argomento  del titolo


Centosessanta anni di pasta, un'alluvione che spazza via tutto e un pastificio che non si arrende. È la storia della Rummo di Benevento, azienda di maestri pastai nata nel 1846 accanto a un fiume e tramandata di padre in figlio per sei generazioni. Dai mulini alla tecnologia, la Rummo ha attraversato oltre un secolo e mezzo senza mai piegarsi a terremoti e calamità. Ma nella notte tra il 14 e il 15 ottobre 2015 una bomba d'acqua ha colpito il Sannio: in poche ore è precipitata la pioggia che in genere cade in un mese. L'esondazione del fiume Calore e dei suoi affluenti ha messo in ginocchio l'intera provincia. Un'onda di fango e detriti ha distrutto il pastificio, terrorizzando 20 operai che si trovavano all'interno e provocando 40 milioni di danni. La famiglia Rummo non si è persa d'animo e la rinascita è diventata simbolo dell'orgoglio sannita. Con l'aiuto dei dipendenti e di mille volontari giunti da tutta Italia, l'azienda ha raccolto e smaltito 115 autotreni di fango. La produzione di pasta non si è mai fermata: è continuata in altre aziende subito dopo l'alluvione ed è tornata nello stabilimento Rummo a marzo 2016. 


Intanto una gara di solidarietà nata spontaneamente sul web ha dato l'energia giusta per la ripresa: migliaia di persone e volti noti come Fiorello hanno sostenuto l'acquisto della pasta sannita pubblicando foto in rete dietro l'hashtag "Save Rummo". "L'aiuto della gente è stato fondamentale - dice Cosimo Rummo, presidente e amministratore delegato - non ci siamo mai arresi". Prima dell'alluvione il pastificio sannita produceva 100mila tonnellate di pasta l'anno, oggi arriva a 70mila.

anche dire basta è un arte . Che dovremo apprendere



Nel corso di Piazzapulita, in onda su La7, Stefano Massini ha dedicato un racconto all'"arte di dire basta" .


                   Video da La7

Lo scrittore fiorentino ha cominciato il suo monologo narrando la storia del lunghissimo assedio di Candia e della battaglia ventennale tra Venezia e l'Impero Ottomano.

per  approfondire  

Assedio di Candia
parte della guerra di Candia
Candia III.jpg
Mappa di Candia del 1651.
Data1 maggio 1648 - 27 settembre 1669
LuogoCandiaCreta
EsitoVittoria ottomana
Schieramenti
Comandanti
Voci di battaglie presenti su Wikipedia
  da   https://it.wikipedia.org/wiki/Assedio_di_Candia
L'assedio di Candia fu un episodio della guerra di Candia combattuta tra Venezia e l'Impero Ottomano per il possesso di Creta, durante il quale la città di Candia, capitale dell'isola, subì un estenuante assedio, il secondo più lungo della storia dopo l'Assedio di Ceuta (1694–1727), durato 21 anni, dal 1648 al 1669, e terminato con la conquista turca della città e dell'isola.

19.4.18

Basta foto su Facebook, mamma e papà si inventano le vignette con protagonista la figlia Il mantovano Diego Tarchini e la moglie Maria Chiara Bertuzzi sono gli autori di "Nina, perché?"


Il mantovano Diego Tarchini e la moglie Maria Chiara Bertuzzi sono gli autori di "Nina, perché?








da http://gazzettadimantova.gelocal.it/tempo-libero/2018/04/18/


Basta foto su Facebook, mamma e papà si inventano le vignette con protagonista la figlia.
Il mantovano Diego Tarchini e la moglie Maria Chiara Bertuzzi sono gli autori di "Nina, perché?" che su Amazon è tra i libri per l'infanzia più venduti
                  di Vincenzo Corrado
Niente foto della figlia sui social, ma un libro di vignetteEcco alcune vignette dal libro 'Nina, perché. Tutti i perché di una bambina di 3 anni' (video a cura di Tecla Biancolatte)
MANTOVA. Nei giorni in cui impazza la polemica sull’opportunità di pubblicare o meno sui social network le foto di Leone, figlio della coppia d’oro del gossip 2.0 Fedez e Chiara Ferragni, c’è chi per la propria piccola ha risolto la questione in un modo alternativo. E creativo.
L’architetto mantovano Diego Tarchini e la moglie Maria Chiara Bertuzzi hanno infatti deciso di non postare più immagini della figlia di tre anni, senza per questo però rinunciare a tenere una sorta di diario che tra qualche anno la piccola potrà rileggere e che con tutta probabilità le strapperà più di una risata. È nato così “Nina, perché”, un piccolo caso editoriale: un libro per bambini che in una settimana ha venduto oltre 400 copie piazzandosi in prima posizione nella speciale classifica di Amazon dei volumi italiani per i più piccoli.
«Nina è un nome di fantasia - spiega Tarchini - e questo è l’unico aspetto non reale del libro, che è costituito da vignette ispirate dalla vita di tutti i giorni. Con mia moglie, infatti, tante volte ci siamo trovati a ridere delle battute involontarie di nostra figlia. Lei come tutti i bambini spesso ha delle uscite davvero particolari: “Nina perché” non è altro che una raccolta di domande di nostra figlia. La vera autrice è lei». Il progetto “Nina perché” non è nato sulla carta, ma sul web. «Tra maggio e giugno del 2016, per evitare di pubblicare troppe foto di nostra figlia sui social network - spiegano Tarchini e Bertuzzi - abbiamo deciso di raccontare attraverso le vignette alcuni episodi divertenti che la vedevano protagonista. Io e mia moglie ci lavorammo insieme per qualche mese e nel novembre 2016 aprimmo la pagina Facebook Nina, perché? e il sito ninaperche.com ». Il libro (10,40 euro su Amazon) raccoglie dunque alcune delle vignette apparse online, rivisitate e corrette.
Ma quali sono i dubbi e le domande della bambina che hanno fatto ridere in primis i suoi genitori e negli anni i quasi 12mila follower della pagina Facebook “Nina, perché”? Un esempio: in una vignetta Nina si dimena in maniera strana e quando la madre le chiede cosa stia facendo lei risponde candidamente che «sto provando a staccarmi dalla mia ombra, non vedi?». C’è poi la vignetta con Nina che chiede se nei biscotti che sta mangiando c’è l’olio di Pasqua (e non di palma). Piccoli sketch involontari, semplici ma efficaci. «Sui social - dice Tarchini - i genitori pubblicano tante foto dei figli ma io non sono così sicuro che tra qualche anno ci saranno adolescenti contenti di essere apparsi davanti a migliaia di persone in pannolino o in altre situazioni imbarazzanti. E così nato il nostro libro».
La vignetta dedicata alla Gazzetta:






18.4.18

Disturbi alimentari, la storia di Lavinia: "Vi racconto come ho perso 81 kg in un anno" Protagonista di questa storia di coraggio e tenacia è la 42enne Lavinia Corona, psicologa e sindaco di Vajont. "Avevo toccato i 171, poi è arrivato anche il cancro, ma non ho mollato"


per  approffondire  


da   messaggeroveneto.gelocal.it/pordenone/cronaca/2018/04/17/


La storia del sindaco Lavinia: "Vi racconto come ho perso 81 kg in un anno"
Vajont, la Corona e la lotta col disturbo da alimentazione incontrollata. «Avevo toccato i 171, poi è arrivato anche il cancro, ma non ho mollato»
di Giulia Sacchi

VAJONT. Quella di Lavinia contro “Attila” è una battaglia lunga più di trent’anni. Una lotta che le ha lasciato tante cicatrici, sul corpo e nel cuore, ma che si è conclusa con una vittoria frutto di determinazione e impegno. Protagonista di questa storia di coraggio e tenacia è la 42enne Lavinia Corona, psicologa e sindaco di Vajont.
Il suo nemico storico, “Attila” come lo chiama lei, è quello che in gergo medico è definito eating, ossia un disturbo da alimentazione incontrollata. «In poche parole abbuffarsi», semplifica Lavinia.
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Com'era 
Una storia, la sua, che affonda le radici nell’infanzia. «Ho solo un ricordo che lego alla prima abbuffata: avevo meno di dieci anni e passavo le domeniche davanti alla tv – racconta –. Guardando un film western, ho mangiato uno stracchino intero con grissini e bevuto coca cola». Nulla rispetto a quanto avrebbe fatto negli anni successivi. «Sono stata capace di mangiare soltanto a cena due pizze maxi e tre Mc menù al Mc Donald’s», aggiunge.
Le conseguenze delle abbuffate sono facilmente intuibili: Lavinia arriva a pesare 171 chili. Una situazione che ha ripercussioni negative sul suo stato di salute: le vengono diagnosticati il diabete, tre ernie al disco e spondiloartrite alla colonna vertebrale.
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Com'è   adesso
Queste ultime le costano cinque mesi di immobilizzazione a letto, infiltrazioni e un paio di punture spinali senza esito. Ma nemmeno i problemi di salute frenano le abbuffate. La svolta arriva nel 2013, quando Lavinia è costretta a fare i conti anche con il cancro: in quel momento capisce che deve riprendere in mano la sua vita. I medici sono chiari: con un peso così elevato, le restano al massimo sei mesi di vita.

«Ho capito che dovevo agire e ho iniziato a documentarmi sulla possibilità di un intervento chirurgico per dimagrire: con le diete non c’era verso – spiega –. Il primo ostacolo da superare era trovare un ospedale e soprattutto un chirurgo disposto a prendersi l’onere di operarmi senza fare domande: non avrei mai avuto l’ok all’intervento, se avessi dovuto passare per una valutazione psicologica. Ho fatto il possibile per individuare una soluzione perché non volevo morire».
Lavinia riesce a trovare la struttura sanitaria che nel 2015 esegue il bypass gastrico: sorge nella sua terra, il Friuli. In un solo anno, tra il 2015 e il 2016, riesce a perdere 81 chili: da 171 scende infatti a 90 chili. Ma questa operazione non è la sola che deve subire: si aggiungono le plastiche di ricostruzione in un ospedale emiliano. L’ultimo intervento risale allo scorso 18 gennaio.
«487 punti esterni dopo le diverse operazioni, quelli interni non li conto più – ci scherza su –. Il primo intervento di addominoplastica è arrivato nel pieno della campagna elettorale: era il 28 aprile 2016, 176 punti che non volevano chiudersi, tanto che il 14 luglio sono tornata “sotto i ferri”». Ma Lavinia è più forte del dolore per le operazioni e delle complicazioni che non le danno tregua: guarda dritta all’obiettivo e combatte senza sosta. Un percorso lungo e in salita, ma la meta, sebbene le paure non manchino nemmeno oggi, è stata raggiunta.
Ora ad attendere Lavinia c’è un’altra salita: quella che la porterà al monte Lussari. «Quando mi sono ammalata di cancro e ho deciso di riprendere in mano la mia vita, ho fatto un fioretto: percorre a piedi il sentiero del pellegrino sul Lussari, monte che amo sin da bambina – spiega –. Non sarò sola in questa avventura: vorrei con me il mio chirurgo plastico, la mia psicologa, il mio compagno e la mia migliore amica.
Quest’ultima, in particolare, è stata sempre il mio faro e mi ha sostenuta in ogni scelta. Per compiere la nuova missione mi serve solamente un po’ di “fiato” in più. Mi impegnerò e taglierò anche questo traguardo».


Inoltre  il fatto che  nel parla  pubblicamente  con un blog   e sintomo   che   vuole   farcela   e  cambiare    ma  sopratutto   vuole
  L'immagine può contenere: sMS

Infatti  sempre secondo  lo stesso giornale 





La sua esperienza descritta in un blog

  sempre   second lo stesso giornale 17 aprile 2018

«Quello che racconto è crudo, ma vero. Spero possa servire per aiutare gli altri»


Oggi un blog a puntate, in futuro forse un libro. Lavinia Corona ha deciso di raccontare la sua storia nel blog “Aggiungi un posto a tavola”, consultabile alla pagina weblavydoc.blogspot.it. La scelta di questo canale non è casuale. «Mi consente di scrivere le mie riflessioni anche in ordine sparso e senza l’impegno che richiede un libro, ma soprattutto di arrivare in maniera più rapida ai giovani e a quanti stanno combattendo la mia stessa battaglia – spiega –. L’auspicio è che la mia storia, con vittorie e innumerevoli cadute, possa aiutare anche solo una persona nel suo cammino di vita o almeno riesca a strappare un sorriso».
Lavinia non usa mezzi termini nel racconto: non c’è nulla di edulcorato. La realtà è una sola, dura e dolorosa. «Quello che scrivo è crudo ma vero – afferma –. Non seguo un ordine, tant’è che nel blog parto dalla fine del mio percorso. Procedo per puntate: per ora ne ho pubblicate quattro».
A Lavinia sta a cuore il messaggio che col blog [https://lavydoc.blogspot.it/] vuole lanciare. «Voglio far capire alle persone che si può uscire da quello che all’inizio appare come un tunnel in cui non si intravede la luce – osserva –. La fatica è notevole e non bisogna forzare la mano. D’altronde, se non si tocca il fondo, non si può risalire». Lavinia né nasconde le sue paure di oggi né nega che “Attila” è ancora presente. «Pure le fissazioni sono difficili da cancellare – conclude –. Quando vado al ristorante o in una sagra, prendo ancora le misure: prima di sedermi al tavolo, calcolo se c’è lo spazio giusto per passare. Sono sì cambiata, ma fuori. Nella mia testa sono obesa e lo sarò per sempre». (g.)

Ecco perché il razzismo è subdolo , da imbecilli ed ignoranti. aggressione ed insulti razzisti a Paolo Diop è nero, senegalese .ed Si dichiara orgogliosamente fascista, ha militato in Casapound



Permetto che non condivido la sua scelta culturale ed ideologica .  Forse un po' affrettata dovuta alla scarsa conoscenza della storia d'Italia . Ma qui si tratta di


razzismo (raz·zì·ṣmo/ )
sostantivo maschile
Ogni tendenza, psicologica o politica, suscettibile di assurgere a teoria o di esser legittimata dalla legge, che, fondandosi sulla presunta superiorità di una razza sulle altre o su di un'altra, favorisca o determini discriminazioni sociali o addirittura genocidio.
estens.
Qualsiasi discriminazione esacerbata a danno di individui e categorie.

ed  ignioranza    che  va   al di  là di  qualsiasi comprendonio  e  che   secondo la storia  che riporto sotto  ( per  la quale  ringraziuo l'amica  ed  utente   Daniela  Tuscano    per  aver  mess    e  condiviso oltre  che  su https://www.facebook.com/compagnidistrada/ appendice  social    del blog   ed avermi fatto conoscere  questa  ottima  pagina   facebook   )    va  al di là  degli  schieramenti ideologici    e  culturali .

Futura
Ieri alle 13:47
Paolo Diop è nero, senegalese ed è arrivato in Italia quando aveva pochi mesi. Si dichiara orgogliosamente fascista, ha militato in Casapound, è responsabile immigrazione del “Movimento nazionale per la sovranità” di Alemanno e Storace, stima tantissimo Salvini ed è un fiero oppositore dello Ius Soli..
Qualche giorno fa, all'uscita di una discoteca di Civitanova Marche, Paolo e la sua ragazza Francesca sono stati fermati da alcuni ragazzi che hanno iniziato a insultarli. Paolo è stato picchiato al grido di “sporco neg*o”, mentre alla sua compagna hanno spaccato un piede.
Un attacco razzista, probabilmente per il fatto di vedere un ragazzo nero con una ragazza bianca. Non sanno che Paolo è un camerata o uno che la pensa probabilmente come loro. Sanno solo che è nero. E per questo va punito.
Tutta la nostra solidarietà a Paolo Diop e a Francesca. Perché il razzismo non guarda in faccia a nessuno, divide il mondo in bianchi e neri, genera odio e violenza. E noi difenderemo sempre, dalla violenza del razzismo, anche chi lo professa e finisce per diventarne vittima. Sperando che prima o poi si capisca che a forza di appiccare incendi, andremo a fuoco tutti e non si salverà nessuno.
Nel frattempo, gli auguriamo una buona guarigione. Magari leggendo un buon libro di Martin Luther King.

Un attacco razzista, probabilmente per il fatto di vedere un ragazzo nero con una ragazza bianca. Non sanno che Paolo è un camerata o uno che la pensa probabilmente come loro. Sanno solo che è nero. E per questo va punito. 
Tutta la nostra solidarietà a Paolo Diop e a Francesca. Perché il razzismo non guarda in faccia a nessuno, divide il mondo in bianchi e neri, genera odio e violenza. E noi difenderemo sempre, dalla violenza del razzismo, anche chi lo professa e finisce per diventarne vittima. Sperando che prima o poi si capisca che a forza di appiccare incendi, andremo a fuoco tutti e non si salverà nessuno.
Nel frattempo, gli auguriamo una buona guarigione. Magari leggendo un buon libro di Martin Luther King.

Decostruire la mascolinità non significa demolire l’uomo. È reinventarlo, liberarlo dalle catene degli stereotipi affinché possa essere se stesso,

Ultimo  post  per  questa  settimana   sulla violenza  di genere o  femminicido    La nostra  mascolinità, spesso definita da stereotipi cul...