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9.2.19

red land . un ottimo cast per un film propagandistico un occasione persa per parlare in maniera obbiettiva di foibe ed norma cossetto senza cadere nella strumentalizzazione

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Come già annunciato   sulla  mia  bacheca  di  Fb

Ho finito di vedere il film Red Land / rosso d'Istria . Ecco un mio giudizio parziale. Ottimo cast per un film mediocre e di propaganda . Occasione sprecata per parlare in maniera obbiettiva delle foibe. E rendere omaggio a norma cossetto senza usarla ideologicamente. Voto 4.5 . Ne parlerò domani più dettagliatamente bel blog . Notte a tutti/e

  ecco ora   il mio giudizio completo sul film Red Land /rosso d'Istria .



Ottima la fotografia ed ottimo cast. Film partito bene ed in maniera originale il flash black / viaggio a ritroso nella memoria alla dylan dog e ottima la descrizione del 25 luglio e del 8 settembre ma poi si scade nella solita propaganda anticomunista ed nella storiografia a senso unico e deleterio per ricordare in periodo cosi doloroso e complesso come quello del confine orientale . Molte inesattezze nel contesto storico segnalate da questo articolo del sito collettivo https://www.wumingfoundation.com/giap/ . Infatti nel film non si vede nessuna reazione ne dei gerarchi fascisti o degli italiani fascisti quando gli slavi parlano la loro lingua come se il fascismo ed poi la sua appendice repubblicana l avevano vietato . Occasione sprecata per parlare in maniera non strumentale ed ideologica di  foibe  e di Norma Crossetto . Si parla continuamente dell’esercito “titino” in arrivo. Viceversa, le esecuzioni sommarie e le violenze del settembre-ottobre 1943 in Istria si devono a partigiani locali; le truppe titine arriveranno solo nell’aprile-maggio di due anni dopo;
Si spiega che papà Cossetto era un gerarca fascista locale, ma si omette di raccontare che convintamente fascista era quasi tutta la famiglia, compresa la povera Norma (naturalmente, non per questo dovevano venire ammazzati). Un racconto onesto e completo avrebbe spiegato i motivi di risentimento di molti contadini istriani nei confronti dei “padroni” italiani-fascisti, che spesso li avevano trattati dall’alto in basso, vietandogli perfino di usare la loro lingua. Non a caso, alcuni storici accreditati (es.: Raoul Pupo) per le violenze dell’autunno 1943 hanno usato anche il termine di “jacquerie” (rivolte popolari-contadine). 

Infatti   da  https://www.ilgazzettino.it/lettere_al_direttore  del  8\2\2019 


Egregio direttore,
si avvicina il Giorno del Ricordo e inevitabilmente si innescano le polemiche e le prese di posizione, in parte rispettose della verità, in parte no. Una cosa credo si possa comunque dire con certezza, non esiste negazionismo sulla tragedia delle foibe. Qualcosa però è cambiato negli ultimi anni sulla valutazione di quanto accaduto sul fronte orientale e in particolare in Istria. La giovane storiografia non parla più di pulizia etnica ma di resa dei conti, sulla base della ricerca storica che ha approfondito e portato alla luce quanto accaduto in Slovenia e in Croazia nel corso della seconda guerra mondiale. Mi riferisco ai crimini commessi dalle truppe italiane che hanno causato la morte di centinaia di migliaia di persone, la distruzione di interi villaggi e la deportazione di vecchi, donne e bambini nei campi di concentramento per slavi dove hanno trovato la morte migliaia di innocenti. E nonostante ciò, il generale Robotti ebbe a scrivere in una famosa circolare inviata agli ufficiali superiori di tutte le divisioni operanti in Slovenia e Croazia: Si ammazza troppo poco. Per concludere è giusto che la Rai proietti il film Rosso Istria sulle foibe ma vale la pena ricordare che la stessa Rai ha acquistato il documentario della BBC Il retaggio del fascismo sui crimini commessi dai soldati italiani in Etiopia, Grecia e Jugoslavia con il solo scopo di non mandarlo in onda. Le giovani generazioni non avrebbero forse il diritto di conoscere anche questo aspetto della realtà?
                                        Costantino Di Paola


Caro lettore,
non sono così convinto che non esista più negazionismo sulle foibe. O meglio: dopo anni di silenzi e dopo l'emergenza di prove inoppugnabili, anche i sostenitori della teoria che le foibe erano un'invenzione o un falso storico inventato da qualcuno che aveva come unico obiettivo quello di screditare i partigiani comunisti, hanno dovuto rassegnarsi ed ammettere le atrocità che sono state compiute nei territori della ex Jugoslavia. Al negazionismo si è però sostituito il riduzionismo. Cioè il tentativo, alimentato da ricerche storiche, di minimizzare il numero delle vittime delle foibe (riducendo quindi l'importanza e il valore del fenomeno) o quello di giustificare le foibe come una reazione, per quanto esecrabile e tragica, alle azioni compiute dai fascisti. In entrambi i casi mi sembra evidente il tentativo di assegnare alle foibe un ruolo minore e marginale in quella che è stata la storia degli anni finali del conflitto mondiale e della guerra di liberazione. Una operazione culturale che conferma l'incapacità di fare i conti fino in fondo con la Storia.

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Tanto per dire dell’animus dei Cossetto, nel settembre del 1944 la sorella di Norma, Licia, volle andare a conoscere personalmente Mussolini anche per raccontargli gli avvenimenti istriani. A proposito di quell’incontro l’ormai anziana Licia Cossetto ha raccontato nel 2006 a “Il Secolo D’Italia”: «non dimenticherò mai quei due occhi di un azzurro profondo e intenso [di Mussolini; ndr] (…) nella mia vita mi capiterà una sola altra volta di vederne di simili: quelli di Giorgio Almirante» (articolo di L. Garibaldi, 12/1/2006). Intervistata da Frediano Sessi, Andreina Bresciani (compagna di Norma Cossetto al liceo, all’università e nella loro camera di Padova) descrive l’amica in questi termini: “Aveva una vera e propria passione per la politica. Ricordo che partecipava con entusiasmo alle manifestazioni per la guerra d’Africa e non faceva mistero del suo nazionalismo spinto. Posso dire che sentiva molto decisamente la sua italianità. E diceva sempre che in Istria erano gli sloveni e i croati a essere fuori posto; perché gli italiani abitavano quella terra con più diritti”.
Noterete che nel film i contadini italiani, che si piegano/convertono al comunismo, soffrono comunque dubbi/contraddizioni; gli unici ad essere feroci senza sfumature sono gli slavi;
In questo senso, al presunto ufficiale titino il regista impone un ruolo talmente malvagio e maniacale da risultare caricaturale. (Curiosamente, Romeo Grebenšek, l’attore sloveno cui hanno voluto far impersonare la perfidia etnica assoluta, è la figura centrale del manifesto del film ma tra gli interpreti viene sempre citato per ultimo).
In conclusione, purtroppo la storia di Norma Cossetto è da decenni oggetto di strumentalizzazioni nazionalistiche intese ad attizzare l’odio tra italiani e “slavi”. E questo film – secondo me – dà un ulteriore contributo in questo senso.
La persecuzione anti-slovena e anti-croata esercitata in Istria da noi italiani, proibendo le scuole, l’uso della lingua etc., nel film viene accennata una volta sola di sfuggita quando un anziano (croato) esorta un bambino a non parlare nella loro lingua.
Colpisce infine che nel film i nazisti vengano visti come liberatori, senza che la sceneggiatura aiuti a storicizzare tale situazione (stato d’animo per altro comprensibile da parte di chi temeva per la propria vita a causa di prevedibili vendette).


Qualcuno potrebbe dirmi che allora non bisognerebbe parlare della barbarie che ha subito o dovuto subire Norma e delle foibe . Io non ho detto questo . Certo che se ne deve parlare, ma come ho già detto e ripetuto più volte con onesta storica ed obbiettiva . Per quanto riguarda Norma Cossetto anche è doveroso . Ma un conto è romanzare la su vicenda , aggiungendovi cose non vere o ingigantite . Parlarne ma riportare " la versione ufficiale " ma corredata da note che dimostrano come tale vicenda sia ingigantita 

 Norma Cossetto viene sempre associata al suo ( presunto secondo alcuni storici ) stupro, al punto da renderlo quasi un elemento più importante della stessa uccisione. Le prove addotte, sono quantomeno traballanti: la testimonianza di una sconosciuta e lo stato della salma, sulla quale peraltro i resoconti si contraddicono. Sembra che la violenza sessuale sia un “a priori” incontestabile per una giovane donna italiana rivenuta in una foiba, di cui si sottolinea ossessivamente il bell’aspetto. Le ricostruzioni s’avvitano più che altro nel cercare di spiegare come questa certezza sia potuta giungere fino a noi, visto che a parte i presunti colpevoli non ci sono testimoni.La certezza di una violenza sessuale particolarmente efferata è legata a doppio filo all’identità dei responsabili, sempre invariabilmente “slavi”, sebbene a tutt’oggi non siano mai stati fatti dei nomi precisi. La prima fonte a insistere sulla «barbarie balcano-comunista» come causa della morte, lo abbiamo visto, fu il necrologio pubblicato il 16 dicembre 1943 sul quotidiano «Il Piccolo», allora alle dipendenze dirette del ministero di Goebbels. Nell’articolo che rendeva conto delle riesumazioni, nello stesso numero, si diceva che nella foiba sarebbero state rinvenute 17 bustine con la stella rossa. Si riferiva inoltre che i partigiani avrebbero trasferito i prigionieri da Parenzo ad Antignana.
È lo zio di Norma, l’ammiraglio Emanuele Cossetto, a riportare per primo il giorno esatto dell’arresto: 26 settembre 1943 (relazione datata 1° marzo 1945), aggiungendo inoltre che la nipote sarebbe stata rilasciata e poi riarrestata tre volte. Dalla sua relazione si viene a conoscenza che i particolari del suo supplizio sarebbero stati estorti a partigiani catturati dai tedeschi. Per molto tempo, fino a quando non spunterà la storia della «dirimpettaia nascosta dietro le imposte», questa rimarrà la giustificazione alla dovizia di dettagli sull’episodio.Quando il 12 luglio del ’45 gli Alleati interrogano Arnaldo Harzarich, capo dei vigili del fuoco reclutati a suo tempo dai tedeschi per il recupero degli infoibati, lui si limita a riferire la vox populi, che sembra cercare di unire i puntini incongrui di questa storia: Norma Cossetto sarebbe stata legata ad un tavolo della caserma dei Carabinieri di Antignana (identificato da Il Piccolo come luogo di detenzione «logico» – data la vicinanza alla foiba di Surani) e qui violentata da ben 17 partigiani “slavi” (i «balcano-comunisti»), ovvero il numero delle bustine rinvenute nella foiba secondo «Il Piccolo», gettate quindi da ogni singolo stupratore per “firmare” sprezzantemente il delitto. Un vero e proprio controsenso: la tumulazione dei corpi in una foiba serviva ad occultarli velocemente per evitare le rappresaglie.Quando nel 1949 l’ex-collaborazionista Luigi Papo pubblica il suo libello Foibe emergono le prime testimonianze conflittuali sulla salma e sui responsabili, nonché l’unico nome mai fatto fino ad oggi: tale Antonio Paizan, capo dei partigiani di Antignana. Papo lo qualifica come un doppiogiochista che «tradì l’Italia, gli slavi, i tedeschi, gli slavi ancora e da questi, alla fine, fu arrestato per furto». Nel testo si allude vagamente a un primo abuso subito da Norma Cossetto proprio da parte di Paizan. Anche qui gli aguzzini sono comunque slavi ma ridotti a 16, poi catturati dai tedeschi su delazione estorta da altri partigiani prigionieri (come riferito da Emanuele Cossetto) dai quali sarebbe venuta «così alla luce la verità». Costoro sarebbero poi stati rinchiusi nella cappella di Castellier di Visinada a vegliare sulla salma semi-decomposta di Norma Cossetto. Tre partigiani sarebbero impazziti per il rimorso prima di venir tutti falciati dai mitra tedeschi.La ricostruzione di Papo – altamente contraddittoria rispetto alle altre – verrà dimenticata e con essa sparirà il nome di Antonio Paizan, ma curiosamente il dettaglio dei prigionieri impazziti nella veglia alla salma sarà mantenuto nei successivi racconti, a testimonianza di come nella narrazione del martirio di Norma Cossetto vengano selezionati i dettagli più suggestivi rispetto a quelli più verosimili.In teoria dunque i responsabili sarebbero stati presi e trucidati anche se rimanevano ignoti.
Il caso Cossetto viene “riaperto” e quindi ulteriormente ingigantito ed usato ancora di più a scopo strumentale dall’articolo di Antonio Pitamitz del 1983 e da quel momento cominciano a moltiplicarsi le varianti della storia. Nella cronistoria degli arresti sparisce la detenzione a Parenzo per essere sostituita da quella più vicina a Visignano. I dettagli delle sevizie sarebbero poi stati confessati dalla stessa Norma a una misteriosa donna accorsa in seguito ai suoi lamenti e non dai partigiani catturati. Nella ricostruzione di Guido Rumici del 2002 i particolari dissonanti anziché contraddirsi si sommano, per cui Norma Cossetto sarebbe andata prima a Visignano (volontariamente assieme a un partigiano che conosceva), poi rilasciata dopo le presunte offerte di collaborazione e quindi riarrestata e condotta a Parenzo, infine tradotta ad Antignana per ordine del Comitato Popolare di Liberazione di Parenzo (italiano). I presunti responsabili catturati e poi giustiziati sarebbero stati però solo 6 sui famigerati 17 (tre dei quali impazziti).Da allora i divulgatori, i parenti più o meno lontani – tutti testimoni – e i cultori vari di Norma Cossetto, come Pierpaolo Silvestri e Mario Varesi, cominciano a moltiplicarsi e con essi si moltiplicano le già molteplici versioni a seconda dell’estro del narratore, non rendendo certo un buon servigio alla memoria di Norma Cossetto, a prescindere dalle opinioni che si possano avere sulla sua figura. A Sessi Licia Cossetto dichiara addirittura che l’omicidio della sorella non avrebbe avuto ragioni politiche ma proprio sessuali e che le presunte profferte dei partigiani rifiutate da Norma sarebbero state «proposte indecenti».Negli ultimi tempi le commemorazioni vengono officiate da una cugina “acquisita”, Erminia Dionis Bernobi, che dichiara di essere scappata dall’Istria per aver pubblicamente dato del vigliacco a un uomo che si stava vantando di aver personalmente ucciso Norma Cossetto, fatto che avrebbe deciso di rivelare solo di recente dopo la sua morte, eppure continuano a mancare i nomi e i cognomi.
Claudia Cernigoi ha addirittura ventilato l’ipotesi che Norma Cossetto possa essere stata uccisa dai tedeschi assieme ai partigiani.In quel marasma tutto era possibile Ciò potrebbe giustificare il dettaglio delle bustine rinvenute nella foiba. L’ipotesi non è del tutto peregrina: la data della sua uccisione corrisponde in effetti con l’arrivo dei tedeschi nella zona e assieme al suo corpo furono ritrovati dei cadaveri non identificati, peraltro non mancarono casi in cui i nazisti abbiano ucciso sia i carcerieri che i loro prigionieri, sospettati di essere passati dall’altra parte, come avvenne con il podestà di Grisignana. Tuttavia sembra più logico che Norma Cossetto sia stata uccisa dagli insorti, assieme agli altri prigionieri, per evitare di venir identificati all’arrivo dei tedeschi, che è poi quello è successo . Infatti su sua denuncia di Licia i soldati tedeschi catturarono sedici partigiani che avevano partecipato alle sevizie e li costrinsero a vegliare tutta una notte la salma di Norma, per poi fucilarli all'alba del giorno successivo: di questi tre partigiani impazzirono nel corso della notte.
Ma Secondo Giacono Scotti i veri responsabili dell'omicidio di Cossetto non furono partigiani jugoslavi, ma «cani sciolti» italiani inquadrati nella Resistenza, e la condanna a morte fu sommaria e fatta senza riguardo per le eventuali responsabilità dei giustiziati.Rimane il fatto che i colpevoli rimangono a tutt’oggi ignoti,infatti e forse anche questo dettaglio non è casuale: non conoscendo l’identità dei responsabili, i loro moventi e i loro eventuali precedenti, non si può escludere nemmeno l’ipotesi dello stupro rimane improbabile, specie se Norma Cossetto – come appare abbastanza chiaro – fosse stata sotto la custodia dei partigiani, in quella fase letteralmente braccati dai tedeschi.Sarebbe pertanto corretto ricorrere perlomeno al condizionale quando se ne parla, cosa che non avviene mai: l’impressione è che sia assolutamente “necessario” dire che Norma fu violentata – e da “slavi”.

8.2.19

Salgado regala una mostra ad un locale di reggio emilia e sarà esposta l’Africa di Sebastião Salgado sarà in mostra dal 9 febbraio al 24 marzo

sono riuscito a trovare quell'articolo o quanto meno una sia versione di cui avevo parlato tempo fa e cher apparso su La Repubblica il 20 gennaio 2019


   DA  http://smargiassi-michele.blogautore.repubblica.it/2019/02/08/

In mezzo al nulla, tre ragazzi, un caffè e Salgado

Bisogna puntare alle cose impossibili. “Sono le uniche che si realizzano” sostiene Claudio, seriamente. Per esempio, questo posto era impossibile: un caffè letterario raffinato al centro del quartiere più degradato, o forse più calunniato di Reggio Emilia. Invece eccolo, ci siamo dentro.
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Sebastião Salgado: During a demonstration in support of the MPLA. Luanda, Angola, 1975. © Sebastião Salgado / Amazonas images, g.c.
Era impossibile anche il sogno nato cinque mesi fa, prima per gioco, poi per sfida: portare qui il più grande fotografo del mondo. Ed ecco, è successo: nel pomeriggio di domani, sabato 9 febbraio, al Binario 49s’inaugura Africa, grande mostra di Sebastião isogna puntare alle cose impossibili. “Sono le uniche che si realizzano” sostiene Claudio, seriamente. Per esempio, questo posto era impossibile: un caffè letterario raffinato al centro del quartiere più degradato, o forse più calunniato di Reggio Emilia. Invece eccolo, ci siamo dentro.
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Sebastião Salgado: During a demonstration in support of the MPLA. Luanda, Angola, 1975. © Sebastião Salgado / Amazonas images, g.c.
Era impossibile anche il sognonato cinque mesi fa, prima per gioco, poi per sfida: portare qui il più grande fotografo del mondo. Ed ecco, è successo: nel pomeriggio di domani, sabato 9 febbraio, al Binario 49s’inaugura Africa, grande mostra di Sebastião Salgado, inedita per l’Italia. Gliel’ha regalata lui. Regalata: costo zero. Quando ha saputo chi sono questi tre ragazzi e i loro amici, e cosa vogliono. Ossia una cosa semplice e difficile: “combattere il brutto col bello”.
Arrivare qui non è complicato. Esci dalla stazione, giri a sinistra e punti verso “il nulla nel mezzo del nulla”, dicono da queste parti. Un quartiere di cinquemila abitanti che non è riuscito neppure a farsi dare un nome: lo chiamano solo “zona stazione”. Ti ci conducono le molliche da Pollicino di un paesaggio urbano da città multi-qualcosa del terzo millennio: moneytransfer, chinamarket, kebabberie, slotmachine, macellerie halal.
Condomini multipiano molto cementosi, negli anni Settanta forse qualche pretesa da new town, poi una classica vicenda di sostituzioni e decadenza comune a tante periferie, ed ora ecco, 80 per cento di immigrati, cinquanta nazionalità diverse, titoli allarmisti sui giornali, “ma le statistiche dei reati non sono poi così diverse dal resto della città”.
Il tipico agglomerato urbano impoverito, lungo i binari, dove abitano “quelli lì”, dove i reggiani non vanno mai, dove la Lega insedia un centro operativo e Forza Nuova allunga gli artigli con cortei “rimpatri subito”.
Binario 49 è una penisola di cemento vetrato in mezzo ai giardinetti. Era un circolo Arci, morto di consunzione come una candela, “non ci andava più nessuno”. Un anno fa il Comune lancia un bando, senza troppe speranze, per “rivitalizzarlo”. Ci sono tre amici di una associazione cultural-sociale, Casa d’altri.
Binario492Dei tre, solo Alessandro Patroncini ha qualche esperienza specifica, lavora nelle cooperative sociali. Khadija Lamami lavora in banca, qualche anno fa si era inventata le docce solidali: un gruppetto di persone che offriva un bagno caldo alle famiglie con il riscaldamento tagliato per morosità. Claudio Melioli è sospeso fra cielo e terra: di giorno ricercatore astrofisico all’università, di sera ceramista.
Binario491Partecipano al bando. Lo vincono. Si trovano fra le mani questo rottame edilizio, in mezzo al quartiere del nulla. Si calano i caschetti da cantiere in testa. Il comune ci ha messo gli impianti. Loro e una dozzina di soci, tutti volontari, mani spalle e sudore.
Ed eccolo, Binario 49. Una cosa che neanche in centro. Libri sugli scaffali, arredo di design minimalista, tavolini artigianali di cocciopesto. Spazio, luce, calore. “Deve essere un posto bello”. Gli dicevano: fate troppi sforzi, siete in zona stazione, lì basta poco. “Ma è proprio così che tanti interventi sociali nascono morti. Il brutto nel brutto”, dice Khadija. Quel multiculturalismo al ribasso, assistenziale, paternalista e senza fantasia, l’idea che integrazione degli immigrati sia una festicciola col couscous.
Loro, il 15 settembre scorso inaugurarono con uno spettacolo teatrale su Pertini. Poi musica live, presentazioni di libri, film, ancora teatro. “Hanno cominciato a venire quelli che in zona stazione non c’erano mai stati”. Dalle salette in fondo arriva il brusio del doposcuola per trentadue di ragazzi del quartiere. C’è un’aula informatica. Un laboratorio di musica e artigianato per homeless. In un ufficetto appartato ricevono gli avvocati di strada: permessi di soggiorno, sfratti eccetera.
Qualcuno sorride, perché siamo in tempi così. Cosa volete fare ancora. Una grande mostra di fotografia, dicono. Reggio è una capitale della fotografia, ogni maggio ospita il festival più importante in Italia. Sfottò: “Bravi, portate Salgado allora!”. Be’, buona idea. “Ho pianto per il suo libro sulla polio”, ricorda Khadija, “anche io ho avuto la polio”.
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Sebastião Salgado:In Kalema camp, west of Tigray, thousands of refugees have just arrived from an all night trek to avoid being machine-gunned by the Migs of the Ethiopian air force. Ethiopia, 1985. © Sebastião Salgado / Amazonas images, g.c.
Claudio ha lavorato dieci anni in Brasile, anche là un po’ ricercatore di stelle, un po’ operatore sociale. “Ho ancora buoni amici a Vitória, nelle zone dove vive Salgado. Ho ripescato l’agenda telefonica. Qualcuno conosce Salgado? Gli può far arrivare un messaggio?”.
E una domenica mattina assonnata, dopo un sabato notte al caffè, gli ronza il cellulare: “Sono Salgado, so che mi state cercando. Cosa posso fare per voi?”. Ci manca poco che Claudio risponda dai, chi sei, non fare il cretino.
Salgado ha ascolta. Capisce. Decide di regalare una mostra, Africa, cento fotografie originali, il riassunto di trent’anni di viaggi nel continente devastato e rapinato, i reportage dalle carestie e dalle guerre che logorarono l’animo del fotografo e dell’uomo. “Un regalo immenso”, dice Alessandro, “consapevole. Ciò che Salgado ha fotografato vent’anni fa in Africa ora bussa alla nostra porta, ora è qui, nelle nostre città”.
C’è un libro, con un testo commovente dello scrittore mozambicano Mia Couto. Ma la mostra, per l’Italia è un’anteprima assoluta. Niente grandi musei, stavolta. Ma un bar nel mezzo del nulla.
Panico: la mostra è troppo grande, al Binario non ci sta. Bene, si fa avanti Lorenzo Immovilli dello Spazio Gerra, il raffinato museo civico d’arte contemporanea di Reggio: “Quel che non ci sta da voi lo prendiamo noi”, è un altro luogo comune che si ribalta, la cultura da “decentrare”: ora è la periferia che fa un regalo al centro.
Proverà a venire di persona, Salgado, se glielo permetterà un’operazione per un tendine rotto durante i suoi sopralluoghi nella foresta amazzonica.
Verrà sicuramente suo figlio Juliano, autore delle sequenze di quello che, assieme a Wim Wenders, è diventato il film Il sale della terra: terrà un workshop per videomaker.
Nel grande seminterrato due ragazzi albanesi montano a tempo di record il cartongesso per la mostra. Al centro del nulla sta nascendo qualcosa che nell’Italia di oggi non sembrava previsto.
"Nessun male dura per sempre"
Intervista a Sebastião Salgado
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Sebastião Salgado: Young worker at the Mata tea plantation. Rwanda, 1991. © Sebastião Salgado / Amazonas images, g.c.
Un regalo “per questi amici che non ho mai incontrato”. Per lui, l’Omero dei migranti, il cercatore della Genesi, è una cosa naturale. La voce di Sebastião Salgado arriva dal suo Brasile, in un momento di pausa tra le spedizioni nella foresta amazzonica, per il suo prossimo e ultimo grande affresco in bianco e nero, un’epica degli indios minacciati dalla civiltà. “Un amico ci ha messo in contatto. Li ho ascoltati. Stanno facendo una cosa molto importante, molto umana. Dovevo aiutarli. Voi dovete aiutarli”.
Noi giornalisti?
“Voi italiani. Quello che sta succedendo ai nostri due paesi è molto simile. Qui la vittoria di Bolsonaro è una minaccia per gli indios, i neri, la povera gente. Da voi cresce la paura e l’ostilità per i migranti. Chi lavora controcorrente deve essere aiutato”.
La sua mostra può farlo?
“Ho scelto la mostra sull’Africa non solo perché in Italia nessuno l’ha ancora vista. Ma perché spero possa far vedere agli italiani cosa c’è alla radice delle migrazioni che li spaventano. Che cos’è stata in questi decenni la sofferenza assoluta di un continente derubato. Perché queste persone sono costrette ad abbandonarlo, prendendosi enormi rischi per farlo, giocandosi la loro stessa vita.”.
Crede che sia possibile recuperare un senso di umanità, attraverso le immagini?
“Credo che sia necessario recuperarlo dentro le persone. Non esiste un ‘essere umano italiano’, esistono gli esseri umani. Noi brasiliani, chi siamo? Italiani, portoghesi, nativi, tedeschi, polacchi, spagnoli, africani. Voi italiani, chi siete? Figli di migranti che arrivarono, figli di migranti che partirono. Come è possibile dimenticare tutto questo?”
Non sembra il momento migliore per ricordarlo alla gente.
“Nulla è statico nel mondo. Siano governati da politici ostili, ma non durerà. Non c’è una legge biologica che ci faccia razzisti. Le cose cambiano, perché al fondo ci sono sentimenti che sopravvivono alla paura del momento. Non opprimere l’altro, non rubare, non odiare. La prova sono questi ragazzi di Reggio. Seri, onesti, nonostante tutto”.
Dopo tutto quello che ha visto, in Africa e nel mondo, lei è ottimista sull’uomo?
“In Brasile c’è un proverbio. Não ha mal que sempre dure nem bem que nunca se acabe. Non c'è male che dura per sempre o bene che non finisce mai. È come un’altalena. Dipende dalla spinta che diamo noi”.
[Versioni di questo articolo e dell'intervists , inedita per l’Italia. Gliel’ha regalata lui. Regalata: costo zero. Quando ha saputo chi sono questi tre ragazzi e i loro amici, e cosa vogliono. Ossia una cosa semplice e difficile: “combattere il brutto col bello”.





premetto  che 
😪😥👎 non potrò  andare   causa   pochi  €  e problemi d salute  a vedere   la  mostra   in questione   ma    posso dire  avendo  visto la sua    mostra  Genis  a  Genova    due  anni  fa     ancora  mi rodo  (  era  un sacrificio che  si poteva  fare   anche   costava  un  esagerazione  )      di non  aver  preso  il   catalogo     che  ne   varrà   sicuramente  la pena    ,  E' come    trovarsi  in quei luoghi    e  con  quella  persone ed  animali    che lui  ha  fotografato   .  Egli  è  riuscito  a  bloccare  il mondo  e  la  sua  diversità   prima   della  sua  distruzione  e  della   scomparsa  

ben venga la denuncia di Giorgietti di Fdi contro l'Anpi cosi almeno sapremo cosa fiurono realmente le foibe e s'evitera' di usarle strumentalmente politicamente ed ideologicamente



Leggo tramite googlenews che  da   questo articolo  de il secolo d'italia  Il vicepresidente del Consiglio regionale del Veneto, Massimo Giorgetti,(   a  sinistra  nella foto   con Giorgia  Meloni    )
 ha deciso «di passare dalle parole ai fatti», come spiegato da lui stesso, preparando un esposto contro il convegno di Parma patrocinato dall’Associazione partigiani e previsto proprio per il 10 febbraio, Giorno del Ricordo.
Ben venga tale denuncia ed eventuale esposto , sarà ( anche se è doloroso che lo per far capire all'opinione pubblica ed ala maggior parte del web e e dei giornali che il 10 febbraio non è altro che una giornata usata per usare strumentalmente ed a senso unico tali complessi e dolorosi avvenimenti del confine orientale ) un processo come quello intentato dal negazionista David Irving contro Deborah Lipstadt  ed  raccontato dal  film  La verità negata (Denial) 2016 diretto da Mick Jackson, con protagonista Rachel Weisz.Cosi almeno , speriamo la si finirà di dare del negazionista a chiunque cerchi di ricordare e le foibe a 360 gradi ed non solo da una parte o di fae il solito piagnisteo dicendo che su d'esse c'è silenzio o censura . 
Con questo è tutto in attesa di vedere il film #redland o meglio #rossodistria film su #normacrossetto e vedere chi ha la ragione se la destra vittimistica che parlava di censura e #boicottaggio nella sale o i compagni della sinistra più estrema come loro https://www.wumingfoundation.com/giaprossoditria /2019/01/fantasy-norma-cossetto-1-red-land/#sovranismo
accusati    d'essere  negazionisti  , cosa  secondo me    da  quel poco  che  ho letto    dei loro interventi     non  vero    al massimo  li   si può  considerare revisionisti    . riporto qui  a beneficio  di    chi  non ha  letto  il  miei post precedenti    su tale argomento .  


Dalla   Wikipediana  , l'enciclopedia libera.  https://it.wikipedia.org/wiki/Revisionismo_storiografico
«Che cosa è la storia se non un gioco su cui tutti si sono messi d'accordo?»
(Napoleone BonaparteMemorie)
Nel settore accademico della storiografia, il revisionismo è il riesame critico di fatti storici sulla base di nuove evidenze o di una diversa interpretazione delle informazioni esistenti, considerando tutte le parti politiche e sociali in causa come testimoni importanti. L'uso negativo del termine revisionismo si riferisce invece alla manipolazione della storia per scopi politici. Inoltre occorre non confondere il revisionismo a tutti gli effetti con la pseudostoria, il revisionismo politico, il negazionismo e le teorie del complotto


  a presto    



se in puglia organizzano un corso per diventare fashion blogger a quando un corso su come leccare culi o essere pezzi di merda ?

Leggendo  l'articolo sotto  riportato   mi  chiedo  perchè  non organizziamo    allora  corsi per  essere  stronzi  o  pezzi  di merda   visto  che  ormai  questo  è  l'andazzo   anzi perchè





 . Ma  poi il mio    grillo parlante  \    armadillo    mi  ha  detto  :  <<  ma  questi  discorsi populisti \  qualunquisti .  che  fine  ha  fatto la  tua  cultura     e  voglia di creare  una  guerriglia  contro  culturale   >>  mi   domando  perchè    mettere    dei corsi di recitazione  per  capire  far  capire   : << Ma che cos'è che ci fa fare del cinema ? >>(  citazione  Guccininiana   )

  da  https://bari.repubblica.it/cronaca/2019/01/31/

Bari, a scuola un corso per diventare fashion blogger: "Tutti vogliono essere Chiara Ferragni"




Bari, a scuola un corso per diventare fashion blogger: "Tutti vogliono essere Chiara Ferragni"
                                          Chiara Ferragni (fotogramma)

Un ente di formazione ha promosso insieme all'Istituto professionale Santarella un corso della durata di 210 ore per diventare influencer sui social: "E' il mestiere del futuro"


"Tutti vogliono essere Chiara Ferragni". Così l'ente di formazione barese Omniapro ha promosso insieme all'Istituto professionale statale per l'industria e l'artigianato Santarella di Bari, un corso per diventare fashion blogger. Il primo modulo insegna i passaggi fondamentali per aprire un blog di successo. Il terzo svela i segreti per farsi invitare alle sfilate, il migliore outfit da adottare, le tecniche per "spopolare sui social". Nel quarto fotografia e videomaking diventano meccanismi da padroneggiare, insieme alle tecniche di scrittura e di storytelling. Perché dietro una fashion blogger strappa click con cifre da capogiro, c'è sempre studio, dedizione, padronanza delle tecnologie e una fitta rete di relazione indovinate e produttive. 
"Sono questi i mestieri del futuro, anzi ormai del presente", spiegano dall'ente di formazione barese Omniapro, che da settembre ha promosso insieme all'Istituto professionale statale per l'industria e l'artigianato Santarella di Bari, un corso per diventare fashion blogger. L'occasione l'ha fornita il bando "Mi formo e lavoro" della Regione Puglia, grazie al quale sono stati messi a disposizione 24 milioni di euro di fondi Por Puglia Fesr - Fse 2014/2020 per interventi a sostegno dei disoccupati. Il tesoretto è importante e ha registrato in poche ore più di 40mila accessi sulla piattaforma regionale dell'avviso pubblico. 
Varia e a tutto tondo l'offerta di corsi promossi dai diversi enti di formazione professionale, pronti a sfornare addetti alle vendite e ai magazzini, segretarie, operatori per l'infanzia, mediatori culturali, fotomodelli, operatori luci, addetti alla manutenzione elettrica, assistente alla poltrona. "Al Santarella abbiamo attivato una ventina di corsi, visto che siamo ente di formazione - conferma la professoressa Roberta Leonetti, indicata come referente di alcuni percorsi sul sito internet della scuola - Già 700 persone hanno avviato la procedura di preiscrizione, che dovrà perfezionarsi dal 25 febbraio prossimo, perché i corsi partono a inizio marzo".

Nell'elenco delle nuove figure da formare, non sfugge all'occhio curioso il profilo del "fashion blogger". Sei moduli, 210 ore: 120 dedicate alla teoria, 90 alla sperimentazione tecnico - pratica, tra esercitazioni in aula, analisi dei casi e progetti da elaborare. Si comincia dalla base.
"Come aprire un blog: passi importanti ed errori da evitare", è l'argomento della prima lezione.

Per gli aspiranti fashion blogger è previsto anche un interessante rimborso: 6 euro all'ora per i disoccupati, poco più di un terzo (2 euro 50 centesimi) per chi percepisce l'indennità mensile Naspi. I requisiti per accedere al corso non sono stringenti, anzi. Basta essere residenti o domiciliati in Puglia, maggiorenni e disoccupati, privi o anche già beneficiari di misure di sostegno al reddito.


che aspettiamo ad uscire dalla tempesta


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Una tempesta ci tormenta, salvo pochi e sporadici spruzzi di sole, d'anni . E le nubi scure  e plumbee che gravita no sulle nostre menti  ci hanno condannato specialmente nell'ultimo quarto  di secolo a quella che pare una notte infinita.
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Fino a quando aspetteremo: rassegnati,inermi ed indifferenti   il ritorno del sole ? Oppure qualche uomo forte che ci illuda ancora ?!

6.2.19

grazie Peppino Englaro e Marco Cappato che si può morire con dignità


anche se fra mille ostacoli  adesso  si può   . la tua morte è servita . lo sciacallaggio e la speculazione politica che dovesti subire non sono stati   inutili   

Grazie  anche   a suo padre  ,  Ricordo ancora    quando  venne  ,  ne  ho parlato    in queste pagine   cercate  nell'archivio   oppure    godetevi  questo  stralcio    da   me  girato

che rottura ... la giornata del ricordo e che quanta ipocrisia ed strumentalizzazioni ed faziosità

Risultati immagini per foibeQualcuno\a  dirà  ma  allora  perchè    ci  ....  scrivi post  ?  per  evitare  che simili obbrobri siano dimenticati    ma  soprattutto     siano mal  ricordati  ed  usati ad  uso  politico \  ideologico   , ed  si pratichi  una memoria  distorta    di fatti  storici   cosi  complessi   (  visto il verificarsi  in quelle  zone     di  tre  dittature e  tre  nazionalismi   diversi  lasciando  in esse   un  carico  di   :  sangue  ,  genocidi,  barbarie  ed   violenza  ,  esodo più  o meno  forzato    di popolazioni  )   come quelli  avvenuti  nel  confine  orientale  . Ed  ancora  lo scontro    \  contrapposizione   ideologica ( che si credeva   scomparsa    con   gli avvenimenti del 1989\92 )     che    già ha  fatto danni enormi   per lo studio     e la memoria  di quei fatti   ed   il ricordo     "  forzoso  ed   obbligato  "   continua    ad essere  impregnato    del più  cieco  nazionalismo  .




 IL  che  porta  a    ricordare  male    ed in maniera   incompleta   tali avvenimenti tristi e  dolorosi  .  Ed    a  definire   negazionista    anche    chi  non lo  è  , solo  perchè  ricorda   tali vicende ( a  volte  è vero  in maniera   faziosa  e  di parte  )   in maniera    completa    e non parziale  come   avviene   nel 90  %     delle celebrazioni  del 10  febbraio .  Travisando lo  stesso  significato di revisionismo    : 
Nel settore accademico della storiografia, il revisionismo è il riesame critico di fatti storici sulla base di nuove evidenze o di una diversa interpretazione delle informazioni esistenti, considerando tutte le parti politiche e sociali in causa come testimoni importanti. L'uso negativo del termine revisionismo si riferisce invece alla manipolazione della storia per scopi politici. Inoltre occorre non confondere il revisionismo a tutti gli effetti con la pseudostoria, il revisionismo politico, il negazionismo e le teorie del complotto
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<<  Al processo che portò alla legge sul Giorno del Ricordo contribuirono anche alcuni storici, al prezzo però di chiudere un occhio sul metodo utilizzato per ricostruire le vicende delle foibe. Era infatti impossibile concedere un margine di “gioco” a discorsi  sviluppati in ambienti revanscisti senza che l’alchimia politica intaccasse il rigore del metodo, soprattutto rispetto alle foibe la cui narrazione è retta anche da fallacie logiche ad ignorantiam – la famosa «teiera di Russell» fluttuante nello spazio fino a impossibile prova contraria – e ragionamenti post hoc ergo propter hoc.L’esempio più classico di fallacia ad ignorantiam: ci sono 1.700 “foibe” (cavità carsiche) in Istria, solo una minima parte fu setacciata dopo l’ottobre del ’43, ergo in tutte le foibe inesplorate si celavano cadaveri ora non più recuperabili.L’esempio più classico di ragionamento post hoc:  dopo le foibe  – quanto dopo non importa –  gran parte degli italiani lasciarono l’Istria, ergo le foibe furono una pulizia etnica per mandare via gli italiani.Proprio nel momento in cui si raffinava il metodo della storia orale, che guadagnava faticosamente riconoscimento scientifico grazie a regole rigorose, sul confine orientale si apriva invece la porta alle leggende metropolitane.>> o    quanto meno  a tesi storico  parziali . Infatti    sempre secondo    quanto  dice   il sito  www.wumingfoundation.com/giap/  <<  Per capire quanto sia facile imbastire storie da pochi dettagli basta dare un’occhiata a questo post pubblico di Pierpaolo Silvestri, proprio lui, l’«interlocutore privilegiato» di Sessi nella ricostruzione della morte di Norma Cossetto:

Silvestri all’opera, tra horror, splatter e madri profanate. «La memoria per parlarci ha bisogno anche di questi passatori.» (Frediano Sessi, parlando di Silvestri)
Partendo da una bislacca interpretazione dell’epitaffio sulla tomba di una giovane sposina istriana morta negli anni della guerra – in un’epoca peraltro in cui l’Istria era sotto il tallone di ferro nazista – viene tirata fuori da chissà dove un’allucinante storia splatter. Nessuno dei nominativi indicati risulta nemmeno nei più “generosi” tra gli elenchi di caduti RSI e martirologi degli infoibati.Il discorso revanscista e nazionalista predilige gli articoli di fede alle evidenze storiche perché è un discorso che mira a persuadere e non ad analizzare, celando dietro il codice del lutto un intento eversivo sul piano storico. Così la ricerca storica viene sottoposta al ricatto morale del pietismo e un debunking sulle leggende non verificate sulle foibe viene respinto come un’offesa al dolore dei congiunti.E se l’articolo di fede sostituisce l’evidenza storica è facile manipolare anche il concetto di negazionismo: da termine usato per qualificare coloro che negano le evidenze storiche dello sterminio nazista diventa interdizione a effettuare verifiche e contestualizzazioni storiche sulle foibe.Un esempio di questo dispositivo lo troviamo nella risposta che a suo tempo una serie di personalità legate all’associazionismo nazionalista «giuliano-dalmata» firmò in reazione alla nostra lettera aperta ad Internazionale, dalla quale scaturì il relativo speciale:
«come sopravvissuti e testimoni della Shoah vengono interpellati in occasione del Giorno della Memoria ed i tentativi revisionisti o negazionisti vengono silenziati, così anche la comunità degli esuli chiede rispetto per i propri lutti, empatia per le proprie sofferenze e assenza di livore e di velleità giustificazioniste nelle ricerche storiche che li riguardano da vicino».
Lo stesso argomento lo troviamo usato dal senatore Maurizio Gasparri in un attacco ad ANPI Brescia, che aveva segnalato la prima puntata di questa miniserie.
A questo ribaltamento semantico contribuirono indirettamente anche quegli studiosi che avevano intrapreso un processo di negoziazione con le realtà politiche che volevano il Giorno del Ricordo. Raoul Pupo e Roberto Spazzali, nel loro volumetto Foibe uscito per Bruno Mondadori nel 2003, elaborarono una curiosa classificazione a mo’ di «gironi danteschi» di storici, ricercatori ed opinionisti che avevano trattato la storia del confine orientale nel secondo dopoguerra (perlopiù triestini e qualche sloveno).Pur non richiamando esplicitamente i negazionisti della Shoah, Pupo e Spazzali annoverarono nella categoria «negazionismo e riduzionismo» sia i comunicati partigiani jugoslavi dell’epoca che tentavano di contrastare la propaganda nazifascista, come la relazione di Anton Vratuša al CLNAI, sia coloro che più di cinquant’anni dopo intrapresero verifiche sugli elenchi dei caduti come Claudia Cernigoi. Accomunati dal tentativo di «giustificare» le foibe.Ma queste classificazioni che si propongono di sistematizzare in maniera definitiva un canone storiografico sono in realtà facilmente rinegoziabili. Basta un niente per ritrovarsi nel gradino più basso dell’’nferno. Nel 2011 uscì il libro Nel nome di Norma (Solfanelli) di Luciano Garibaldi e Rossana Mondoni che, dopo aver messo esplicitamente Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan accanto ai negazionisti della Shoah, infilava gli stessi Pupo e Spazzali in «quella storiografia che li annovera tra i cosiddetti “giustificazionisti”».
Forse è troppo tardi, forse il danno è già irreversibile, ma   si  vuole comunque rivolgere un accorato appello a tutti gli storici : la storia non è negoziabile con chi rifiuta il metodo storico, farlo significa permettere a costoro di distruggere la credibilità delle istituzioni storiche, e fidatevi, non mostreranno alcuna pietà per chi li ha fatti entrare.

In attesa  d vedere  il  film  su norma  crossetto      con questo  è  tutto  

quando il vaff è un arte ed non volgarità . il caso di :Eleonora Boi che asfalta un commento sessista

Passi pure 😒😖  ,  anche  se  un po'  maschilista  da    uomo beta     il termine  bella  figa  \  fica  o  bella  gnocca  . Ma   tale  frase   la  trovo   disgustosa  ,  e che .....   😡💥💨 non  siamo  tra  uomini    e in privato  .  Un minimo  di  autocontrollo del proprio testosterone  .

  da   https://youtg.net/v3/canali/storie/

Culurgiones e commento sessista, Eleonora Boi fulmina il follower




CAGLIARI. Che i social abbiano aperto le gabbie dello zoo è un dato di fatto. Soprattutto quando una bella ragazza, magari nota nell’ambiente televisivo, condivide la sua quotidianità con i fan. Basta una scollatura più profonda per scatenare il circo di commenti beceri, cafoni e rivoltanti. Se ne contano migliaia in una singola foto. Impossibile rispondere a tutti, tanto meno rimuoverli. Certo è che ogni tanto bisogna dare una “lezione” a chi continua a far dilagare il fenomeno (chiamasi, se vogliamo, cyberbullismo).
Forse avrà pensato proprio questo la giornalista sportiva Eleonora Boi, cagliaritana e volto noto di Sport Mediaset, quando ha deciso di rispondere a uno dei suoi follower, autore di un commento a sfondo sessuale sotto la sua ultima foto. Nello scatto, la Boi sorrideva nella cucina della sua casa in Sardegna, mostrando fiera i culurgiones appena cucinati. “Pranzo della domenica, culurgiones al sugo fatti in casa”, ha scritto su Facebook. Fin qui tutto normale. Se non fosse per quella scollatura che ha fatto aprire le gabbie, appunto. E i soliti utenti si sono scatenati con frasi ripugnanti.
La Boi ne ha individuato uno, però: nella foto profilo abbracciava sorridente sua figlia. Così non ci ha pensato un attimo e ha risposto: “Ma con la foto di tua figlia? Ma non ti fai vomitare da solo? Quando le scriveranno a lei ste porcate chissà quanto ti piacerà”. Una presa di posizione della bella giornalista sarda che ha fatto esplodere di orgoglio le donne sul web, soprattutto nell’Isola: “Le sarde si distinguono sempre”, “Colpito e affondato, brava Eleonora”, e ancora “Hai tutta la mia stima”.


CHE ROTTURA DI ... PRIVACY . SE UNA \ UNO SCRIVE UNA BOIATA O VIENE TAGGATO NELLA RISPOSTA NON SI PUÒ' SAPERE CHI è PERCHÉ' I MEDIA MAISTREAM E NON , LO CENSURANO OSCURANDONE NOME E FOTO . COME LO SCEMO E SESSISTA A CUI HA RIPOSTO ASFALTANDOLO LA STESSA VITTIMA DI CYBER BULLISMO .LA STESSA  ELEONORA  .

5.2.19

dalla vita fin qui trascorsa e vissuta posso dire che la lezione della Santanchè era davvero brutta

la  tua libertà - Guccini
la libertà - Gaber


Carri   miei lettori 
permettetemi     di   ritornare  ( ne  ho  già parlato precedentemente  qui  in un post  )  su  quanti detto  dalla  Daniela  Santachè e  d'aggiungere   questo commento   fatto  su ilfattoquotidiano   da
Alex Corlazzoli Maestro e giornalista ovvero  uno  che   più qualificato  di  me   Twitter

Da maestro posso dire che la lezione della Santanchè era davvero brutta
“Il denaro è l’unico vero strumento di libertà. I soldi servono a essere liberi. Chi paga comanda. Lo dico a te che sei una donna: pagare i propri conti vuol dire comandare. E’ un grande strumento di libertà il denaro”. A pronunciare queste parole è stata Daniela Santanchè. Il problema è che non le ha dette davanti alla solita platea dei talk show pomeridiani o della prima serata ma davanti ad una classe di ragazzi di scuola primaria protagonisti della trasmissione televisiva “Alla lavagna” in onda su Rai3 il 2 febbraio scorso.
Sono cresciuto in una famiglia povera, con un padre operaio e una madre casalinga ma a permettermi di essere un uomo libero, di avere un lavoro; di essere un giornalista; di fare politica e quindi di essere un uomo libero di esprimere le proprie opinioni e di scegliere che mestiere fare è stata l’istruzione che la scuola mi ha dato. Se fosse per la mia famiglia, che oltre a non avere soldi non aveva nemmeno una libreria in casa, oggi non avrei la possibilità di viaggiare, di conoscere altre realtà, di poter leggere un libro, di poterne scriverne uno.
Teresa e il parroco del mio paese. La maestra per cinque anni mi aveva parlato del Mozambico e di suo nipote, missionario proprio in quel Paese. In casa non avevo neanche un mappamondo non sapevo nemmeno dove fosse il Mozambico ma una volta cresciuto è rimasta la curiosità e a 18 anni, pur con quattro soldi, mi sono permesso un viaggio proprio in quel Paese per andare ad incontrare i missionari all’indomani della guerra civile. E lì per la prima volta mi son sentito un uomo libero, capace di comprendere le difficoltà di un Paese povero, in grado di vedere realtà lontane dalla mia. Da quella volta non ho mai smesso di viaggiare e ogni volta che parto lo faccio evitando di chiudermi in un resort ma andando a conoscere scuole, baraccopoli, associazioni.
L’altra conquista della libertà l’ho avuta grazie a don Gian Carlo. Fu lui il primo a regalarmi un libro. Di là di quelli che ero stato obbligato a prendere in mano, per la prima volta avevo la possibilità di leggere un testo che mi avrebbe concesso la libertà del sapere, del conoscere. Ora, provate a fare un’operazione semplice, semplice: sostituite quel “denaro” con la parola “istruzione”: “L’istruzione è l’unico vero strumento di libertà. La scuola, i libri servono a essere liberi. Chi si istruisce comanda. Lo dico a te che sei una donna: istruirti vuol dire comandare. E’ un grande strumento di libertà l’istruzione”.
Ecco, davanti alle telecamere della Televisione pubblica vorremmo vedere gente che trasmette fiducia a dei bambini, a tutti i bambini anche a quelli che non sono nati da un imprenditore.






Quindi State attenti a quelli che vogliono continuamente farvi la morale..sono peggio di voi in realtà

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

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