un articolo interessante questo di Monica Serra pubblicato https://www.lastampa.it del 18\5\2020 che cerca di capire gli haters e diu uscire dalla logica che essi sian solo malpancisti leghisti ed sovranisti
Io, hater di Silvia: “Non ho paura delle indagini, va rispedita indietro”Parla uno degli autori dei commenti più violenti contro la cooperante milanese: «Io non odio, esprimo solo opinioni. Quella ragazza è pericolosa»
L’anonimato li protegge, ma trovano forza nel consenso. Perché l’hater, l’odiatore social, è la punta di un iceberg che gode di una base ampia, di un sentimento diffuso. L’hater scrive sul web quel che risuona nelle battute tra amici al bar, tra colleghi sul posto di lavoro. Raccoglie, elabora, amplifica. E, senza l’approvazione di chi gli sta intorno, forse neppure esisterebbe. La vicenda di Silvia Romano, le minacce di morte e le accuse di essere una «fondamentalista», una «neo terrorista», è solo l’ultima pagina di un fenomeno che dietro a una categoria nasconde facce, volti, storie. Spesso si tratta di persone incredibilmente normali, con una vita, una famiglia, un lavoro. L’odiatore della rete non è un alieno, ma un ossessionato. È colui che «trova il coraggio di dire le cose come stanno», quello che «gli altri non scrivono», che «le istituzioni non permettono di dire», che «nessuno osa spiegare». Ha sempre in tasca verità senza alcun fondamento, ma così diffuse nella società da farle credere reali. Legge ma non si fida «perché non si fa prendere in giro da quello che la stampa ufficiale racconta». Detiene una verità assoluta perché condivisa. Si autoalimenta e neanche di fronte alle inchieste della magistratura arretra di un centimetro. A volte è complottista, altre legato a ideologie nazionaliste o suprematiste. Ma più spesso è niente di tutto questo. E, soprattutto, non si sente un hater, non si rende conto di essere un odiatore. È complesso dare fiato agli autori dei post contro Silvia Romano, perché il rischio è quello di fornirgli l’ennesima vetrina dell’odio, un'ulteriore occasione per vomitare bugie, insulti e minacce. Ma è necessario per comprendere il fenomeno, per capire chi e che cosa si nasconda dietro a profili fake, accuse e offese. Uno degli odiatori di Silvia su Facebook si fa chiamare Antonello C., nome di fantasia che però sembra vero. I suoi post sono tra le centinaia di scritti carichi di odio raccolti dai carabinieri del Ros di Milano, che lavorano all’inchiesta per minacce aggravate aperta dal pm Alberto Nobili. Cinquantadue anni, si dice cattolico e «apolitico, ma simpatizzo per Silvio Berlusconi». Originario di una regione del Nordovest, buon tenore di vita e un lavoro nel commercio di auto che spesso lo porta all’estero. Da otto anni è sposato con una donna musulmana, ma «civilizzata - dice - che veste all’occidentale». Non ha figli «per scelta» e non vuole rispondere a voce, solo via chat, per garantirsi l’assoluto anonimato.Perché odia Silvia? «Il mio non è odio: l’odio non fa parte della mia cultura».Però nei suoi post ha usato parole violente. L’ha definita uno «scempio», una «vergogna», addirittura una «satana dell’Isis»... «Quasi certamente una persona nata in Italia è cattolica. Capisco il rapimento, capisco che abbia dovuto far finta di leggere il Corano per farsi amici i rapitori, posso anche capire la conversione. Ma, se ami i Paesi islamici, rimani là e formi una famiglia: ti sposi un musulmano estremista, accetti che lui ti sottometta e ti schiavizzi».Quindi secondo lei Silvia è un’integralista?«Romano dovrebbe vergognarsi di portare in Italia quel tipo di Islam: dietro questa sceneggiata si cela qualcosa di più grave di una semplice conversione religiosa».Ma lei cosa ne sa dell’Islam radicale?«Mia moglie è nata in Africa ed è musulmana, ma civilizzata. Si veste come ragazza europea, non porta il burqa. Se avesse voluto abbracciare quella vita estrema sarebbe andata dove cultura e religione si fondono con l’integralismo».Perché attacca Silvia sui social?«Personalmente non avrei nulla contro di lei, se fosse arrivata in Italia in jeans e maglietta, e avesse successivamente manifestato la sua conversione. Una persona può fare ciò che il proprio cuore le dice, nel rispetto degli usi e costumi del luogo in cui vive». Gli usi e costumi del luogo in cui vive...«Romano prima di essere rapita faceva i video nuda a zonzo per l’Italia perché voleva fare esperimenti sociali. Ora fa l’integralista. È una di quelle persone psicolabili da curare, non da sponsorizzare». Quei video sono bufale: sono stati tirati fuori ad arte solo per screditarla. Risalgono ad anni prima e non hanno nulla a che fare con Silvia. «Video a parte, Romano non mi piace e sono certo che celi qualcosa di molto losco».Come fa a dire queste cose? Lei immagina cosa si provi a vivere diciotto mesi nella mani di una banda di terroristi? «No, su questo concordo con lei. Io per primo non so come ne sarei uscito, ma… Se invece così non fosse?».Se non fosse cosa?; «Se Romano si fosse affiliata a un gruppo sovversivo e avesse architettato tutto questo per estorcere soldi al nostro Paese e ora fosse qui per altri fini? Lei si è posta questa domanda?»Non le sembra fantascienza? «Per i soldi si fa anche di peggio. E lei sa meglio di me quanti soldi oltre al riscatto porterà tutta questa scena nelle tasche della Romano. Non è una poverina rapita e ora devastata dallo choc». Quale scena? Silvia non ha parlato, non si è fatta intervistare. Come fa a dire queste cose? «Le ho già ampiamente risposto».; Quindi le è bastato vederla indossare lo jilbab. Se al posto di Silvia fosse stato liberato un uomo, che dichiarava di essersi convertito all'Islam durante la prigionia, avrebbe detto le stesse cose? «Non c’è differenza fra sesso: siamo tutti esseri umani degni dello stesso rispetto. Ma nei Paesi integralisti le donne sono trattate in modo disumano, perciò mi fa troppa rabbia vedere una donna italiana che sponsorizza l’integralismo, mentre il mondo intero lotta per la libertà delle donne».Allora sta dicendo che con le sue parole lei difenderebbe la libertà delle donne?; «Certo, guardi questa foto. Mia moglie è musulmana: lei è un angelo».(Invia l’immagine di una bellissima donna, in pantaloncini di jeans e canotta, con gambe e décolleté in vista, ndr).È stata aperta un’inchiesta sulle minacce a Silvia. Visto quello che ha scritto, ha paura di finire indagato? «Io dico solo ciò che penso. Se ci saranno inchieste, vorrà dire che mezza Italia o più sarà processata». Ma si considera un hater? «Le ho detto e le ripeto che non odio nessuno». Pensa che, se si trovasse di fronte a Silvia, sarebbe in grado di ripetere tutto quello che ha scritto guardandola negli occhi? «Ora mi sta scocciando. Mi lasci perdere che ho da fare».
tanto per restare in tema: avrei chiesto al tipo \ a ma Gesù, secondo lei, ha sbagliato a non tirare la prima pietra alla peccatrice sorpresa il "flagrante adulterio"? Ha sbagliato a dire ad uno dei crocefissi con lui "oggi sarai con me in Paradiso" ecc. ecc. Magari, provi a rileggersi se dice d'essere cattolico il Vangelo: le potrebbe giovare. Inoltre Questo "signore" non mi piace . Sembra uno di quelli (tanti, per carità) che di fronte ad un indagato pensano "se lo stanno indagando ha fatto sicuramente qualcosa" oppure "sicuramente le cose sono andate come dico io" senza curarsi affatto di conoscere la VERITA' dei fatti poichè loro "LA VERITA'" la conoscono benissimo: è la loro, è solamente quella che vedono loro. Chissà quanti dopo il processo ad Enzo Tortora avranno poi fatto "mea culpa" o se non sono neanche sfiorati dal dubbio, perchè in realtà (la loro realtà/verità) è che i poteri forti, i malavitosi (di stato e non), i sionisti, Soros, Gates ecc. non ce lo vogliono far sapere e, quindi, hanno continuato a pensare che se lo hanno processato, c'entrava sicuramente qualcosa con la camorra. Posso dire che non credo che ha la moglie musulmana?Posso dire che non credo che ha la moglie musulmana?Posso dire che non credo che ha la moglie musulmana?
E' una balla per darsi una credibilità. E' una balla per darsi una credibilità.
Posso dire che non credo che ha la moglie musulmana ?
O è vero ed allora è uno che non ha capito niente della cultura di sua moglie e ci sta insieme ssolo per ..... lasciamo perdere va altrimenti finisco per diventare come lui .Oppure E' una balla per darsi una credibilità. E poi figurati se non tirava fuori il video fake in cui lei girava nuda.L'ho ricevuto anche io , insieme ad un altro che la vede con una persona di colore , sul mio telegram ed ho mandato letteralmente a quel paese il mio "amico" che me lo aveva inoltrato.Hanno detto e ripetuto in tutte le salse che non è lei in quel video, ma niente da fare certa gente che diffonde immagini \ o meme come quello riportato a sinistra è talmente ottusa che nonostante sia una che le somiglia vagamente e non è lei continua a postarlo ed ad inoltrarlo . Queste persone vanno curate o meglio rieducate perchè hanno il cervello che proprio non connette.Ripetono ossessivamente una cosa e la fanno diventare vera.
Proprio come
[....]
Mio fratello vede tutto
e il suo occhio non distingue,
mio fratello vede tutto
ma il ricordo si confonde,
urlano teorie, rincorrono morali,
la propaganda vince
con frasi sempre uguali
Mio fratello ha rinunciato
ad avere un'opinione,
mio fratello ha rinunciato
in cambio di un padrone
che sceglie al suo posto
e che non può sbagliare
perchè ormai nessuno
lo riesce a giudicare [...]
da Oltre la guerra e la paura - Mcr
Poi anche se gli dimostrano in tutto e per tutto che non è vera, lo fanno spallucce e cambiano prospettiva.Sono come dei muri di gomma o meglio i mulini a vento che affronta don donchisciotte di Cervantes
Per il segno che c'è rimastonon ripeterci quanto ti spiacenon ci chiedere più come è andatatanto lo sai che è una storia sbagliata .
Ci sono storie che sono di tutti , che ci appartengono , storie di persone la cui la cui scomparsa resta ( o almeno dovrebbe ) nella nostra memoria . E di cui , in alcuni diventano : << Storia diversa per gente normale \ storia comune per gente speciale >> ma è nel bene ed nel male grazie ai media e alle arti , che conosciamo le loro vite e le loro storie , ci indigniamo e ci commuoviamo ogni volta che sentiamo ( ma anche quando ci ritorna in mente ) su come sono morte , la lotta per avere giustizia ( se l'hanno ottenuta o meno ) e verità ed le sentiamo nostre come se fossero una parte di noi . Ma ci sono , ed è questo il caso del mio post d'oggi , che invece scivolano via e finiscono ( salvo che qualcuno come il sito citato non le tiri fuori o le rispolveri ogni tanto dalla coltre dell'oblio e del tempo ) nel silenzio e nel dimenticatoio . Infatti succede che pochi , almeno fin quando non ci si fa un film o una fiction di successo , ne coltivino il ricordo .
Dopo l'assoluzione di Cutolo, dopo quarant'anni, l'assassinio del coraggioso medico-consigliere comunale resta ancora senza colpevoli FacebookTwitterEmailVKTelegram
Ottaviano (NA), 7 novembre 1980. Ore 6:45. Il trentaduenne Domenico Beneventano, medico chirurgo presso il San Gennaro di Napoli, sta uscendo dalla propria abitazione per recarsi in ospedale come tutte le mattine. Affacciata alla finestra dell’appartamento, la signora Dora osserva il proprio figlio incamminarsi verso l’automobile, una Simca 1000 di colore verde, parcheggiata nelle immediate vicinanze dell’edificio. Il medico non fa in tempo ad entrare nell’abitacolo che viene
immediatamente fermato da una voce. C’è qualcuno che lo sta chiamando: «Dottò…dottò…dottore!». Beneventano si gira verso una Fiat 128 di colore blu, ma l’uomo all’interno della vettura non ha più intenzione di parlare ed estrae una pistola facendo fuoco dal finestrino. Domenico Beneventano viene ammazzato con una rapida successione di pallottole sotto gli occhi lacrimanti della madre. La modalità dell’omicidio fa subito pensare ad un agguato di camorra.
UNA OPPOSIZIONE CHE DÀ MOLTO FASTIDIO
Ma perché uccidere un medico che con gli intrighi della malavita non ha mai avuto nulla a che fare? Il motivo è proprio questo. In quei loschi affari, quel giovane dottore, non ci è mai voluto entrare. Domenico Beneventano non era soltanto un medico, era anche consigliere comunale, proprio ad Ottaviano, storica roccaforte della camorra cutoliana e città natale di «don Raffaele ‘o professore». Candidato nella lista del PCI, quel dottore di origine lucana era divenuto per la prima volta consigliere nel 1975 e poi di nuovo nel 1980, in un periodo «di piombo» in cui la camorra spadroneggia con ogni mezzo ed è sempre alla continua ricerca di nuovi spiragli per potersi infiltrare negli affari della vita politica.
Beneventano è all’opposizione, un’opposizione che dà molto fastidio, specialmente agli affari della speculazione edilizia alle pendici del Vesuvio. Il business del cemento e degli appalti, nuova frontiera della malavita organizzata, a Ottaviano incontra un ostacolo tanto deciso quanto inaspettato. Beneventano denuncia il giro di affari che gravita attorno all’edilizia, a discapito dell’ambiente e dei cittadini, preludio di un processo che dopo il terremoto del 23 novembre 1980 diventerà inarrestabile.
LE RICORRENTI MINACCE E LA MORTE
La vita politica di Beneventano viene presto intimidita con ricorrenti minacce. Ma le antipatie della camorra il medico se le era guadagnate anche nel corso della sue attività negli ospedali, come quella volta in cui si rifiutò di fornire un alibi a un malavitoso che pretendeva un falso certificato di ricovero. Ne scaturirono inquietanti avvertimenti e il dottore fu trasferito in un’altra struttura. Consapevole dei rischi ai quali sta andando nuovamente incontro, Beneventano si procura un regolare porto d’armi e acquista una pistola per la legittima difesa. Ma quell’arma non la userà mai.
Nel 1987, il boss della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo, viene condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio, sentenza che verrà poi ribaltata in appello con l’assoluzione. Oggi, dopo quarant’anni, l’assassinio del coraggioso Domenico «Mimmo» Beneventano resta ancora senza colpevoli
ed proprio mentre finivo di fare copia e incolla dalla fonte partono le note finali dela canzone di sottofondo una storia sbagliata di De Andrè
lo so che sarete stufi , come me , di sentir parlare di #silviaromano ( ora #Aisha ) e delle polemiche della vicenda . Ma si è passati dal vomitarli sui social e su watsapp a gettare contro il suo palazzo delle bottiglie
(ansa)
Silvia Romano, cocci di bottiglia lanciati contro il palazzo in cui abita: scientifica sul posto. Si indaga sulle minacce social
Al vaglio decine di messaggi scritti su vari social
So anche che che riportando tale 💩🙈
poi rimosso ( come l'altro che trovate nel post ) dall'account facebook della persona , se cosi si può definire , in questione do visibilità a tali idioti ( per essere eleganti ) ma il mio essere libertario è odio verso la censura è più forte. Concordo con il mio contatto twitter
LaMoy @emme_sette quando dice :
Si sono raggiunti livelli di 💩🤬💥💨🗣😡😥🤮
inimmaginabili
Infatti come potete vedere sotto DA non leggere per 1) stomaci deboli e i deboli di cuore 2) gente che reagisce allo stesso modo insultando e minacciando anziché considerarle merde 3) i censori , vedere foto a destra che mi chiedono di : << Nasconderloo rimuoverlo il post non fategli pubblicità >>
Infatti #SilviaRomanoAisha sta portando a galla, senza volerlo, il marcio che riempie la testa di tante, troppe persone.Al di là d'essere o meno leghiste #sovraniste.
Piena solidarieta al compagno d strada Saverio Tommasi per gli insulti ricevuti
C'è
Ora chi di noi non è ( o non è stato) provocatorio. ?! Ad esempio io, e chi mi legge o semplicemente commenta quello che condivido o scrivo lo sa, talvolta in maniera forse un po' ambigua e idiota come potete notare da alcuni miei post ( I e II) Ma non a tali livelli. E quando me lo fanno notare o rimuovo il post o mi scuso ed qualche volta è vero mi giustifico mettendo una toppa peggiore del buco. Ma non sono mai arrivato simili livelli di giustificazione ed piagnisteo
ed la maggior parte delle volte sono riuscito ad #restareumano ed non abbassarmi a loro livello nelle risposte. Ora Va bene essere provocatorio ma c'è modo e modo. Esserlo è un arte di cui non tutti, me compreso, sono capaci. C'è chi ci riesce come esempio Roberto Recchioni chi no. E poi esserlo non vuol dire che debba esprimerti in quel modo da maschio alfa ( morto di figa, ecc ) dando sfogo ai tuoi istinti più bassi e beceri
Inizialmente avevo pensato di riportare questo post , usando la funzione programma data post di blogger , per l'8 marzo dell'anno prossimo . Ma poi , visto che ho fatto , vedere i miei tag , la scelta di ricordare le donne non solo l' 8 marzo ma sempre ho deciso di riportarla oggi .
Il 13 maggio 1960 la Consulta diede ragione a Rosanna Oliva che voleva diventare prefetto Fu una sentenza rivoluzionaria, che cambiò la vita delle donne e dell’intera collettività. Per la prima volta venne spazzata via la discriminazione che impediva alle donne di accedere nell’amministrazione pubblica alle carriere ritenute maschili, da quella prefettizia alla magistratura. Dietro il pronunciamento della Corte costituzionale, il 13 maggio di sessanta anni fa, c’era il gesto ribelle di una ragazza di 24 anni, Rosa Oliva, mossa non tanto dall’ambizione personale ma dalla volontà di difendere l’eguaglianza sancita dalla Costituzione.
Oggi Rosanna ha 85 anni, vive nel quartiere romano di Vigna Clara, e da allora non ha mai smesso di combattere per i diritti delle donne, artefice nel 2010 di una vivace Rete per la Parità che vigila in vari settori. L’anniversario è un’occasione di bilancio su conquiste, fallimenti, traguardi da raggiungere, in un paese che l’ultimo Global Gender Gap Report relega negli ultimi posti delle classifiche europee. Con Rosanna Oliva dialoga Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat e inventrice di un filone di studi statistici incentrati sulle questioni di genere.
ingrandimento del giornale
Rosanna Oliva: Sul finire degli anni Cinquanta le donne erano escluse da molte professioni. Io avevo studiato la Costituzione alla Sapienza con un insigne maestro come Costantino Mortati e non mi arrendevo all’incoerenza tra quello che era scritto nella Carta e la realtà delle cose. Così nel 1958 feci domanda per la carriera prefettizia, sapendo che tra i requisiti c’era l’appartenenza al sesso maschile. Il mio obiettivo non era intraprendere quella carriera, ma spazzare via un’inaccettabile discriminazione. E non mi sorpresi quando mi fu comunicato che la mia domanda era stata respinta. A quel punto mi rivolsi a Mortati che mi accolse complice: «Viene da me come avvocato o professore?». «Come avvocato!».
Linda Laura Sabbadini: Costantino Mortati mostrò grande abilità nella difesa tecnica, ma fu la Corte a fare uno scatto in avanti con una sentenza innovativa.
R. O.: Mortati preferì richiamarsi a una legge del 1919 piuttosto che evocare gli articoli della Costituzione: sapeva bene che, nel corso dell’Assemblea costituente, i diritti delle donne avevano provocato animate resistenze. E fu la Corte costituzionale a spiazzare tutti riconoscendo esplicitamente la violazione degli articoli 3 (sull’eguaglianza senza distinzione di sesso) e 51 (sull’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza). Di conseguenza fui ammessa al concorso, ma non andai avanti: non era quello il mio traguardo. Nel frattempo avevo vinto un concorso per l’Intendenza di finanza.
L. L. S.: La storia di questa sentenza è straordinaria perché mette in evidenza la tua forza e quella della Costituzione. Tu, Rosanna, giovanissima non ti adatti al conformismo maschile e sfidi nel ’58 lo Stato usando un eccezionale grimaldello: la Costituzione. E vinci! Sei una sorta di simbolo della forza delle donne. D’altro canto si evidenzia anche la potenza di fuoco incarnata dalla nostra Costituzione. Senza quei principi, una semplice giovane non avrebbe potuto abbattere il muro dell’accesso delle donne alle carriere pubbliche.
R. O.: Sì, fu la Costituzione a darmi la forza. Il problema è che, a distanza di sessant’anni, quella parità sancita dalla Carta non è ancora pienamente rispettata. Guardando le carriere pubbliche, non ci sono limiti formali per le donne, ma sono ancora troppo poche quelle nei ruoli apicali. Nell’ambito prefettizio le cose vanno meglio, ma nella magistratura persistono forti squilibri. Anche l’ultimo rapporto mondiale sul gender gap mostra l’arretratezza del nostro paese, tra gli ultimi in Europa.
L. L. S.: Sono stati sessant’anni di percorsi a ostacoli. Erano solo ventuno le donne nella Costituente, poche ma preziose. Da allora è cambiato il mondo. Negli anni Cinquanta le donne laureate erano pochissime, oggi sono la maggioranza. Sono entrate in tutti i lavori. E investono più degli uomini in cultura. Ma se il personale sanitario nei due terzi è femminile, le primarie non arrivano al 20 per cento. E così succede all’università: tra gli ordinari, solo una donna su cinque. Monopolio maschile, difficile da scalfire, se non con norme come la legge Golfo-Mosca e con una determinazione come la tua. Noi donne abbiamo bisogno di timone dritto, competenza, passione.
R. O.: Il monopolio maschile di cui tu parli riguarda anche il Parlamento. Ancora oggi la Corte costituzionale mostra di essere molto più avanti del legislatore: nel 2016 una sentenza ha riconosciuto il diritto di una coppia di trasmettere ai figli anche il cognome della madre. In tre anni il Parlamento italiano non ha deliberato niente.
L. L. S.: Non c’è dubbio che la società italiana sia ancora modellata su un modello patriarcale. Solo le donne potranno scardinarlo.
R. O.: Questo modello emerge anche dagli stereotipi che continuano a colpire le donne. Quando vinsi il ricorso, nel 1960, a far notizia erano la mia pettinatura o il modo di vestire: “Il prefetto con lo chignon”, titolò un quotidiano. Il culmine lo raggiunse un regista televisivo che mi propose di fare le riprese mentre spolveravo la libreria, ma io rifiutai. Accettai invece la foto davanti alla macchinetta del caffè. Qualche anno dopo avrei scoperto che la moka era l’oggetto rituale accostato alle donne che emergevano nei vari campi.
L. L. S.: Stereotipi di genere ci affliggono quotidianamente. Si esprimono in misoginia esplicita, quando le donne assumono ruoli decisionali: succede a molte, al di là degli schieramenti. Si evidenziano nella pressione sociale e famigliare che spinge molte donne a rinunciare ai loro desideri di lavoro, a incarichi, alla carriera. Arrivano a esprimersi anche nella violenza contro le donne, nel desiderio di possesso e di dominio dell’uomo sulla donna. Questi stereotipi rappresentano una gabbia da cui dobbiamo liberarci. È una delle battaglie più dure. Dipenderà molto da noi donne, ma anche dallo sforzo degli uomini.
R. O.: Quando cominciai a lavorare nell’ufficio dell’Intendenza di finanza, mi diede il benvenuto un ispettore del ministero: «Beh, certo lei a vice intendente arriva», come a dire: ambiziosa come sei, farai pure carriera, ma non immaginare di diventare intendente. Gabriella Luccioli, una delle prime donne magistrato, ha raccontato come venne accolta al lavoro: un anziano magistrato lesse alcuni atti dell’Assemblea costituente sull’inaffidabile emotività femminile di contro al freddo raziocinio maschile. Finita la lettura, Gabriella si sarebbe aspettata una presa di distanza. E invece l’austero magistrato abbandonò la stanza senza dire una parola.
L. L. S.: All’inizio, all’Istat, mi sentivo messa alla prova continuamente. Dovevo dimostrare di meritare più degli uomini. Ma poi mi è scattato qualcosa che ha a che fare con la mia passione per il sociale: per me era fondamentale che l’Istat riuscisse a essere meno economicocentrico e a mettere al centro la qualità della vita anche in un’ottica di genere. Insieme a tanti colleghi e colleghe — non solo donne — ci siamo riusciti. La chiave sta nell’imparare a credere in noi stesse e a sfidare il mondo.
Rosa oliva in una foto recente
R. O.: Le donne sono provviste di una qualità bellissima e faticosa: siamo più autocritiche, inclini a chiederci ogni volta: saremo in grado? A un uomo succede di rado. A un certo punto è capitato anche a me di autoescludermi: non perché troppo critica con me stessa ma perché con il secondo figlio non ce l’ho più fatta, e ho dovuto lasciare il lavoro. Fu un periodo difficile, ma fui aiutata dalla mia storia. Sono stata paragonata a Rosa Parks, la prima donna nera che si rifiutò su un autobus di cedere il posto a un bianco. No, la Rosa Parks italiana non si sarebbe potuta spegnere in una malinconica casalinghitudine. E da allora la mia vita è stata dedicata ai diritti delle donne.
L. L. S.: Devo ammettere che io sono stata privilegiata. Ho un marito d’oro con cui ho condiviso tutto. Purtroppo i dati dicono che in Italia il 67 per cento del lavoro famigliare ricade ancora sulle spalle della moglie. E un quinto delle donne lascia il lavoro alla nascita del primo figlio. Se gli uomini si assumessero una parte di questo lavoro di cura, quanta energia femminile si sprigionerebbe? E che cosa succederebbe se le politiche aggredissero veramente questo nodo? Dobbiamo combattere perché avvenga, perché l’energia vitale di noi donne si trasformi in motore per il Paese. È una questione di diritti e libertà femminile.
Essa fu l'inizio delle conquiste delle donne in italia . ed a testimoniarlo è anche questo commento di Marta Cartabia presidente della corte costituzionale sempre da repubblica del 13\5\2020 riportato a destra
Gian
Mario Fenu, 59 anni di Ploaghe, fa il barista e il pizzaiolo sin da
piccolo. Proprio da bambino era solito arrampicarsi dappertutto. Da
allora per tutti i ploaghesi è diventato "Ciondolo" e nessuno quindi
l'ha più chiamato col suo nome vero.
Popolarissimo,
commerciante nato e appassionato di paracadutismo, gestisce con
successo il Fanatic Pub Pizzeria da 29 anni. Sino all'arrivo del
coronavirus. Con la pandemia per Ciondolo ci sono stati solo costi e
nessun ricavo. Il commerciante ha così deciso di vendicarsi e scaricare
la sua rabbia con uno strano sistema: a colpi di mazza ha distrutto il
locale e ha anche pubblicato il video su Facebook.
"Grazie
Covid", è stato il suo grido di battaglia. Se in molti hanno pensato
che l'insolita impresa fosse un gesto contro le istituzioni devono
ricredersi. "Non ce l'ho con nessuno e non voglio lanciare alcun segnale
politico - spiega Ciondolo Fenu - A causa del Covid non ce la facevo a
sostenere i costi e allora ho deciso di abbattere la struttura. Molto
semplice. Anzi, mi stupisce l'interesse che ha suscitato il mio video".
Ora
Fenu potrà dedicarsi maggiormente all'altro locale che gestisce a
Ploaghe, il Caffè San Pietro. "Tranquilli - afferma - quello non ho
intenzione di distruggerlo e magari mi potrò preparare al meglio ai
campionati mondiali dei pizzaioli ai quali ho partecipato gli anni
scorsi, ottenendo lusinghieri piazzamenti".
Riporto le parole stupende di Maryan Ismail e invito tutti a leggerle. Ma proprio tutti
LETTERA A SILVIA ROMANO.
Ho scelto il silenzio per 24 ore prima di scrivere questo post.Quando si parla del jihadismo islamista somalo mi si riaprono ferite profonde che da sempre cerco di rendere una cicatrice positiva. L'aver perso mio fratello in un attentato e sapere quanto è stata crudele e disumana la sua agonia durata ore in mano agli Al Shabab mi rende ancora furiosa, ma allo stesso tempo calma e decisa.Perché? Perché noi somali ne conosciamo il modus operandi spietato e soprattutto la parte del cosidetto volto "perbene" . Gente capace di trattare, investire, fare lobbing, presentarsi e vincere qualsiasi tipo di elezione nei loro territori e ovunque nel mondo.Insomma sappiamo di essere di fronte a avversari pericolosissimi e con mandanti ancor più pericolosi.Ora la giovane cooperante Silvia Romano, che è bene ricordare NON ha mai scelto di lavorare in Somalia, ma si è trovata suo malgrado in una situazione terribile, è tornata a casa.Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro.Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura , l'impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare?Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche , yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda.Comprendo tutto di Silvia.Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere.E in un nano secondo.Attraversare la savana dal Kenya e fin quasi alle porte di Mogadiscio in quelle condizioni non è un safari da Club Mediterranee... Nossignore è un incubo infernale, che lascia disturbi post traumatici non indifferenti.Non mi piacciono per nulla le discussioni sul suo abito ( che per cortesia non ha nulla di SOMALO, bensì è una divisa islamista che ci hanno fatto ingoiare a forza), né la felicità per la sua conversione da parte di fazioni islamiche italiane o ideologizzati di varia natura.La sua non è una scelta di LIBERTA', non può esserlo stata in quella situazione.Scegliere una fede è un percorso così intimo e bello, con una sua sacralità intangibile.E poi quale Islam ha conosciuto Silvia ?Quello pseudo religioso che viene utilizzato per tagliarci la testa? Quello dell'attentato di Mogadiscio che ha provocato 600 morti innocenti? Quello che violenta le nostre donne e bambine? Che obbliga i giovani ad arruolarsi con i jihadisti? Quello che ha provocato a Garissa 148 morti di giovani studenti kenioti solo perché cristiani? Quello che provoca da anni esodi di un'intera generazione che preferisce morire nel deserto, nelle carceri libiche o nel Mediterraneo pur di sfuggire a quell'orrore? Quello che ha decimato politici, intellettuali, dirigenti, diplomatici e giornalisti?
No non è Islam questa cosa.
E' NAZI FASCISMO, adorazione del MALE.
E' puro abominio.
E' bestemmia verso Allah e tutte le vittime.
I simboli, sopratutto quelle sul corpo delle donne hanno un grande valore. E quella tenda verde NON ci rappresenta.Quando e se sarà possibile , se la giovane Silvia vorrà , mi piacerebbe raccontarle la cultura della mia Somalia. La nostra preziosa cultura matriarcale, fatta di colori, profumi, suoni, canti, cibo, fogge, monili e abiti.Le nostre vesti e gioielli si chiamano guntino, dirac, shash, garbasar, gareys, Kuul, faranti, dheego,macawis, kooffi.I nostri profumi si chiamano cuud, catar e persino barfuum (che deriva dall'italiano).Ho l'armadio pieno delle stoffe, collane e profumi della mia mamma. Alcuni di essi sono il mio corredo nuziale che lei volle portarsi dietro durante la nostra fuga dalla Somalia.Adoriamo i colori della terra e del cielo.Abbiamo una lingua madre pieni di suoni dolci , di poesie, di ninne nanne, di amore verso i bimbi, le madri, i nostri uomini e i nonni.Abbiamo anche parti terribili come l'infibulazione (che non è mai religiosa, ma tradizionale) , ma le racconterei come siamo state capaci di fermare un rito disumano.Come e perché abbiamo deciso di non toccare le nostre figlie, senza aiuti, fondi e campagne di sostegno.Ma soprattutto le racconterei di come siamo stati, prima della devastazione che abbiamo subito, mussulmani sufi e pacifici, mostrandole il Corano di mio padre scritto in arabo e tradotto in somalo..Di quanti Imam e Donne Sapienti ci hanno guidato.Della fierezza e gentilezza del popolo somalo.E infine ho trovato immorale e devastante l'esibizione dell'arrivo di Silvia data in pasto all'opinione pubblica senza alcun pudore o filtro.In Italia nessun politico al tempo del terrorismo avrebbe agito in tal modo nei confronti degli ostaggi liberati dalle Br o da altre sigle del terrore.Ti abbraccio fortissimo cara Silvia, il mio cuore e la mia cultura sono a tua disposizione.
Silvia “Aisha”Romano e la “banda degli ignoranti”. Ignoranti nel senso latino del termine, e non come sinonimo di maleducazione, volgarità...E’ un brutto vezzo italiano quello di sentirsi tutto esperti del fatto del giorno. In questo caso, esperti di terrorismo, di trattative segrete, di Africa, di Islam.
La “banda degli ignoranti è folta, variegata, saccente, composta in gran parte da persone che in Africa non hanno messo mai piede, tanto meno in zone di guerra. Dispensatori seriali di etichette, che non hanno mai visto i nostri cooperanti all’opera, non si sono mai preso la briga, tra una esibizione televisiva e l’altra, di conoscere le loro storie, i progetti a cui stanno lavorando, i risultati ottenuti. [...]
Ora Tutto questo per la “banda degli ignoranti” è tempo sprecato. Ma la cosa ancor più grave, è che le loro panzane , insieme a quella della stampa maistream e non passano senza un minimo di verifica da parte di chi le pubblica o le manda in onda. E così l’ignoranza si accompagna con le fake news: un mix che produce ed alimenta una narrazione mefitica che calpesta la realtà, piegandola ai propri pregiudizi e alle finalità, qualche voto, copia, o like in più, che si intende perseguire. Un esempio sintomatico di questo “virus” dell’ignoranza, è riscontrabile nei racconti del rientro in Italia di Silvia Romano.
[...] Lasciamo da parte, per carità di patria e di intelligenza, i titoli sul tradimento, sull’ingratitudine di una giovane donna che, secondo questi improvvidi censori, sarebbe colpevole di essersi convertita all’Islam.Lasciamoli perdere, e concentriamoci sulla descrizione del look.
Quando la ventiquattrenne è scesa dall'aereo che l'ha riportata in Italia, l'abito indossato - chiamato jilbab - ha richiamato l'attenzione sul connotato religioso. Per la “banda degli ignoranti” in servizio permanente effettivo, non c’è distinzione alcuna tra il jilbab, il burqa, lo chador: sono tutti simboli religiosi, naturalmente imposti con la forza dai tagliagole islamici. Si dà il caso che di religioso il jilbab non abbia proprio nulla. Lo hanno spiegato alcuni giornalisti africani: "Non è un abito religioso ma chiaramente è indossato da donne islamiche" e "È un abito più da passeggio. Lo usano molto le tribù al confine tra Kenya e Somalia come gli Orma e i Bravani". "Probabilmente si è vestita come ha potuto", ha ipotizzato Hamza Piccardo, un esponente di spicco della comunità islamica italiana.
La “banda degli ignoranti” ha un seguito sui social. Ed è il seguito di odiatori da tastiera che all’ignoranza aggiungono demagogia d’accatto, misoginia sfrenata, volgarità senza freni “Vogliamo sapere quanto ci è costato. Vogliamo la verità!” scrive una donna. Seguono epiteti di ogni genere e non mancano le frasi sessiste con espliciti e irripetibili riferimenti sessuali. “Per me potevamo risparmiare questi soldi per il Coronavirus“, tuona un uomo, mentre qualcun altro scrive: “se avesse pensato ai poveri di casa sua non le sarebbe successo nulla. chi è causa del suo male...”.
Non basta? Ecco un altro esempio della narrazione fuori dalla realtà della “banda degli ignoranti”. Hanno detto e scritto: Silvia si era avventurata in una zona del Kenya pericolosa. Ora, a parte il fatto che per questi tuttologi da salotto mediatico, l’Africa è come l’Islam: un monolite senza sfaccettature interne, un indistinto culturale, geografico, religioso, politico. Ma torniamo al fatto: la zona in cui operava la volontaria italiana. Basta aver letto qualcosa di qualcuno che il Kenya lo conosce bene, per scoprire che l’area dove è stata rapita Silvia Romano, come annota Alberto Negri, tra i pochi che parla di ciò che sa e che ha visto di persona, “è popolata dai Girama ritenuta una delle tribù più miti e ospitali del Kenya come ho avuto modo di verificare visitando i villaggi. Il capo banda dei rapitori – prosegue Negri – era un somalo estraneo alla zona, catturato, poi rilasciato su cauzione e immediatamente sparito. Malindi è a cento chilometri e nessun italiano che sta da quelle parti è considerato uno scriteriato. Si prega di non scrivere stupidaggini”.Una preghiera rimasta inascoltata.
Impegnata nello sparare panzane e invettive, la “banda degli ignoranti” perde di vista una questione, quella sì, dai risvolti e, soprattutto, dalle conseguenze inquietanti: il riconosciuto contributo dato dagli 007 turchi alla liberazione di Silvia. Ora, come documentato da Globalist, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan tutto è tranne che un filantropo. Di certo, passerà all’incasso per l’aiuto offerto. A rimarcarlo, in una conversazione con euronews, è un altro dei pochi giornalisti che di Africa e di guerra ne sa e molto: Massimo Alberizzi, già inviato del Corriere della Sera, scampato anni fa a un sequestro in Somalia, grande conoscitore della realtà africana.
Alberizzi pone subito una questione: "Io mi domando perché non si va direttamente a chiedere aiuto all'intelligence somala e si bussa invece alla porta dei servizi turchi, che ci chiederanno delle contropartite politiche, ad esempio in relazione alla guerra in Libia".
Contropartita in Libia, dunque, dove l’Italia appoggia Fayez al-Sarraj, Presidente del Consiglio Presidenziale e Primo ministro del Governo di Accordo Nazionale della Libia formati in seguito all'accordo di pace del 17 dicembre 2015, sostenuto anche dalla Turchia ma su piani di interesse differenti. Ad esempio, nel gennaio scorso il “Sultano di Ankara”, aveva reso noto che la Turchia intende avviare delle attività di esplorazione e perforazione nel Mediterraneo alla ricerca dei giacimenti di gas. Erdogan faceva riferimento al memorandum d’intesa, siglato a novembre a Istanbul dal premier turco con il premier del Governo di accordo nazionale (Gna) di Tripoli, Fayez al-Sarraj.
Passerà all’incasso, Erdogan. E lo farà perché lui usa l’unica “diplomazia” che sembra funzionare a Sud del Mediterraneo: la “diplomazia della forza”. La Turchia è presente militarmente non solo in Siria, dove, nel silenzio complice della comunità internazionale prosegue la pulizia etnica da parte delle armate turche contro la popolazione curdo-siriana del Rojava, ma anche in Libia e in Somalia. Ed è presente non solo con truppe regolari del suo poderoso esercito (il secondo in dimensioni e armamenti della Nato, dopo gli Stati Uniti), ma anche con mercenari e miliziani jihadisti reclutati in Siria da Erdogan anche tra le fila dell’Isis e di al-Qaeda. A loro è toccato il lavoro sporco nel Nord della Siria, fosse comuni, stupri di massa, saccheggi, e molti di questi tagliagole riciclati dal presidente turco, ora sono stati spostati sul fronte libico, a sostegno del Governo di accordo nazionale di Fayez al-Sarraj.
“Il fatto che il governo di Tripoli abbia riconquistato le coste davanti all’Italia è una pessima notizia per noi – rimarca il direttore di AnalisiDifesa, Gianandrea Gaiani, in una intervista a Tempi - . È un fatto che Haftar non le abbia mai utilizzate per spedirci migliaia di immigrati clandestini. Salvo rare eccezioni, non ha mai sfruttato il traffico di esseri umani. La stessa cosa non si può dire della Turchia, che ha sempre ricattato l’Europa con i migranti. L’ha fatto recentemente con la Grecia e d’ora in avanti potrebbe ricattare anche noi, visto il peso diplomatico e militare che si è guadagnato nel governo di Tripoli”.
Di questo varrebbe la pena parlare, discutere, andare in profondità, incalzare chi ha responsabilità di governo. Ma è chiedere troppo alla “banda degli ignoranti”.
conoscete benissimo la mia posizione su il primo caso , non la ripeto ora perchè non mi sembra il caso ma sopratutto voglio evitare di fare paragoni inappropriati a caldo fra i due casi come hanno ed stanno facendo molti in questi momenti . Infatti concordo con l'articolo sotto riportato .
Giornalettismo
11 maggio 2020 13:29
Se pensate di denigrare Silvia Romano paragonandola a Fabrizio Quattrocchi, state insultando la memoria di un italiano morto
Sui social è scattato il confronto tra i due casi Si esalta la figura di Fabrizio Quattrocchi per denigrare Silvia Romano Un insulto alla memoria di un italiano morto
«Adesso vi faccio vedere come muore un italiano». Era il 14 aprile del 2004, quando Fabrizio Quattrocchi – come riportato dall’allora Ministro degli Esteri Franco Frattini e da un video che venne diffuso qualche tempo dopo – pronunciò quella frase prima di essere barbaramente ucciso dai miliziani dell’autoproclamato gruppo delle ‘Falangi verdi di Maometto’ in Iraq. Tre colpi alla schiena e la sua morte che divenne il simbolo delle crudeltà dei terroristi che avevano rapito lui e altri tre suoi colleghi: Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio. Una vicenda che, ancora oggi, provoca grande ribrezzo per quel che è accaduto. È folle, però, paragonare questa storia a quanto accaduto a Silvia Romano. Eppure i social si sono scatenati negli ultimi giorni contro la giovane milanese liberata sabato pomeriggio in Somalia, dopo il suo rapimento in un villaggio – nei pressi di Malindi, in Kenya – avvenuto il 18 novembre del 2018. Oltre alle bufale e le fake news [ almeno per ora corsivo mio ] sul suo contro – dall’essere incinta, fino all’esser complice dei terroristi (perché basta fare una rapida lettura su Twitter per scorgere la pura follia di alcuni utenti ) – c’è anche quel paragone con la sorte che toccò a Fabrizio Quattrocchi nel 2004.
Fabrizio Quattrocchi e Silvia Romani, gli assurdi paragoni social
Ricordare la memoria di quel 35enne italiano rapito e poi ucciso in Iraq nel 2004 è sacrosanto . Ha perso la sua vita mentre si trovava nel Paese arabo – nel mezzo del conflitto con gli Usa. Era una guardia giurata e lavorava per una compagnia di sicurezza. Anche su di lui – come si sta facendo ora per Silvia Romano – è stata scritta un’ampia letteratura, accusandolo di essere un ‘mercenario’. Ma sono passati oltre 16 anni e quel che resta è solo la sua morte in un teatro di guerra.
Il confronto che non ha senso
Ora, però, molte persone stanno utilizzando il suo nome per fare da contraltare a Silvia Romano. La giovane viene continuamente accusata – fortunatamente da una minoranza, ma molto rumorosa – di esser andata in Kenya per aiutare gli altri. Ebbene, pensate un po’, la 24enne stava seguendo alla lettera i proclami dei partiti populisto-sovranisti che chiedevano di ‘aiutarli a casa loro’. Un bel cortocircuito per chi difficilmente riesce a collegare la causa dall’effetto. Insulti liberi contro la giovane e rievocazione di Fabrizio Quattrocchi come figura di paragone. Ma mettere in contrapposizione le due storie serve più a fare un torto a quel 35enne che nel 2004 perse la vita in Iraq. Impariamo a lasciare in pace i morti e onoriamo la loro memoria sempre, non solo quando c’è da denigrare qualcun altro.
si può anche essere contrari , ma perchè si deve discriminare che vive in maniera diversa ? costringere alla clandestinità un amore . Oppure peggio fare come prima del divorzio , quando eri costretto a stare insieme per mantenere l'apparenza e poi in segreto avere un altra famiglia ?
Ecco perchè do ragione alle famiglie arcobaleno di cui si parla , e come queste ci ne sono diverse , in questo articolo di Maria Novella De Luca su repubblica d'oggi 11.5.2020
«Il nostro secondo figlio nascerà tra due settimane ma anche per lui, come per Niccolò, sarò una mamma invisibile, una mamma clandestina per lo Stato italiano. Eppure Aretha e io questi bambini li abbiamo "concepiti" insieme, sono frutto del nostro amore, anche se le gravidanze le ha portate avanti lei. Il nostro comune, in Toscana, ha rifiutato di mettere il mio nome sull’atto di nascita, ci ha respinte. Ora siamo in causa per farci riconoscere entrambe come madri. Per le nostre famiglie spesso non resta che la via giudiziaria ».
Sono amare le parole di Valentina Zoi, mamma insieme ad Aretha di Niccolò, sei anni e di un altro bimbo in arrivo. Racconta, a quattro anni dall’approvazione della legge sulle unioni civili nel maggio 2016, un panorama, oggi, di conquiste interrotte, di passi indietro, come se un grande freddo fosse sceso sui diritti Lgbt. «In questi giorni di lockdown chiunque avesse una famiglia "non regolare" ha sentito sulla propria pelle la discriminazione. Niente congedi, il rischio di essere fermata con Niccolò e non poter dimostrare di avere un legame con lui». Una burocrazia antistorica, il contrario della vita vissuta. «Noi abbiamo scelto la trasparenza — spiega Valentina — raccontare sempre com’ è nato nostro figlio. Vuol dire fare quasi un coming out quotidiano, ma grazie a questa verità Niccolò è perfettamente integrato». Ma la restaurazione è in atto. Famiglie dove uno dei genitori è "clandestino" per lo Stato, sentenze della Cassazione che hanno bocciato a ripetizione certificati di nascita omogenitoriali, certificati dove è necessario dichiararsi "padre e madre", a cominciare dalla carta d’identità elettronica, decreto voluto da Salvini. (E soltanto pochi giorni fa le famiglie arcobaleno sono riuscite ad accedere ai congedi previsti per il Covid19. IL sistema informatico dell’Inps non riconosceva, come "famiglia", due codici fiscali dello stesso sesso).Gianfranco Goretti, papà di Lia e Andrea insieme a Tommaso Giartosio, è il presidente di Famiglie Arcobaleno.
«Le unioni civili sono state un traguardo enorme per l’Italia, ma la legge ha lasciato fuori i bambini, bocciando la stepchild adoption. Oggi le nostre vite e quelle dei nostri figli e figlie sono appese alle decisioni dei tribunali, di un sindaco o di un ufficiale di stato civile. C’è bisogno di una legge che riconosca le nostre famiglie una volta per tutte».
Larissa Zoni, mamma insieme a Monica Pistoia di Susanna, sei anni, racconta l’incredibile prassi di dover dichiarare il falso quando nasce un bambino con fecondazione assistita. «Il giorno del parto ho dovuto firmare un modulo in cui affermavo che Susanna era nata dall’unione naturale con un
uomo…». «Viviamo a Pisa, in un comune leghista, sappiamo che la nostra richiesta non sarebbe mai stata accolta. La cosa assurda è che se fosse nata a Livorno, a pochi chilometri di distanza, il nome di Monica sarebbe stato aggiunto al certificato di nascita di Susanna».
Succede infatti che alcuni tribunali, Roma ad esempio, emettano sentenze favorevoli alla "stepchild" adoption. E altri tribunali, Milano, ad esempio, invece no. Comuni codove i bimbi con genitori dello stesso sesso vengono riconosciuti alla come figli di entrambi e altri no. Dice Larissa: «La società ha le porte spalancate,, lo Stato ci ostacola. Monica si occupa di Susanna per molte più ore al giorno di me, eppure non può avere un congedo, non può firmare i moduli scolastici, non potrebbe assistere nostra figlia in ospedale. E se a me accadesse qualcosa Monica potrebbe, per assurdo, essere esclusa dalla vita di Susanna. Credo che per noi, a questo punto, l’unica strada sia quella dell’adozione. Una strada lunga, difficile ma purtroppo l’unica possibile». E questa è stata infatti la scelta di Stefania Leggio che ha già fatto tutto l’iter a Roma per poter adottare Nora, 5 anni, partorita da sua moglie Simona Nicosia. «E’ un compromesso, è abbastanza assurdo dover adottare una figlia che è già mia figlia. Ma è ci è sembrata l’unica scelta certa, oggi l’aria è cambiata. E almeno Nora sarà tutelata».
Ci sono, però, per fortuna, anche storie che raccontano un’altra Italia. Giuseppe Cutino, Ivano Iaia e la loro meravigliosa figlia Bianca, nata un anno fa negli Stati Uniti con gestazione di supporto. Giuseppe e Ivano hanno alle spalle uno storia d’amore lunga 18 anni, e una unione civile festeggiata nel 2018. Racconta con emozione Giuseppe: «Forse oggi Palermo è una zona franca di libertà. Il sindaco Orlando da anni trascrive gli atti di nascita con due padri e due madri di bambini nati all’estero, o riconosce comunque i piccoli nati in Italia da coppie dello stesso sesso. Non abbiamo avuto nessun problema, anzi è una festa che dura ancora. Sembrava che tutti aspettassero Bianca. Su tutti i suoi documenti ci sono i nostri due cognomi, lo abbiamo voluto anche come atto politico ». Un tassello, «che può contribuire a cambiare il mondo». «Saremo sempre grati alla portatrice americana che ci ha fatto il dono di Bianca. I nostri figli sono parte della società italiana, possibile che lo Stato si ostini a discriminarli?».
In attesa di adozione. Stefania Leggio, Simona Nicosia e la piccola Nora. "Adotterò mia figlia, è un compromesso ma ci dà sicurezza"