13.5.20

. LA SFIDA DI ROSA OLIVA APRÌ I CONCORSI ALLE DONNE

Inizialmente avevo pensato di riportare questo post , usando la funzione programma data post di blogger , per l'8 marzo dell'anno prossimo . Ma poi , visto che ho fatto , vedere i miei tag , la scelta di ricordare le donne non solo l' 8 marzo ma sempre ho deciso di riportarla oggi .






Il 13 maggio 1960 la Consulta diede ragione a Rosanna Oliva che voleva diventare prefetto
Fu una sentenza rivoluzionaria, che cambiò la vita delle donne e dell’intera collettività. Per la prima volta venne spazzata via la discriminazione che impediva alle donne di accedere nell’amministrazione pubblica alle carriere ritenute maschili, da quella prefettizia alla magistratura. Dietro il pronunciamento della Corte costituzionale, il 13 maggio di sessanta anni fa, c’era il gesto ribelle di una ragazza di 24 anni, Rosa Oliva, mossa non tanto dall’ambizione personale ma dalla volontà di difendere l’eguaglianza sancita dalla Costituzione. 
Oggi Rosanna ha 85 anni, vive nel quartiere romano di Vigna Clara, e da allora non ha mai smesso di combattere per i diritti delle donne, artefice nel 2010 di una vivace Rete per la Parità che vigila in vari settori. L’anniversario è un’occasione di bilancio su conquiste, fallimenti, traguardi da raggiungere, in un paese che l’ultimo Global Gender Gap Report relega negli ultimi posti delle classifiche europee. Con Rosanna Oliva dialoga Linda Laura Sabbadini, direttrice dell’Istat e inventrice di un filone di studi statistici incentrati sulle questioni di genere.
 
ingrandimento del  giornale  



Rosanna Oliva: Sul finire degli anni Cinquanta le donne erano escluse da molte professioni. Io avevo studiato la Costituzione alla Sapienza con un insigne maestro come Costantino Mortati e non mi arrendevo all’incoerenza tra quello che era scritto nella Carta e la realtà delle cose. Così nel 1958 feci domanda per la carriera prefettizia, sapendo che tra i requisiti c’era l’appartenenza al sesso maschile. Il mio obiettivo non era intraprendere quella carriera, ma spazzare via un’inaccettabile discriminazione. E non mi sorpresi quando mi fu comunicato che la mia domanda era stata respinta. A quel punto mi rivolsi a Mortati che mi accolse complice: «Viene da me come avvocato o professore?». «Come avvocato!».
Linda Laura Sabbadini: Costantino Mortati mostrò grande abilità nella difesa tecnica, ma fu la Corte a fare uno scatto in avanti con una sentenza innovativa.
R. O.: Mortati preferì richiamarsi a una legge del 1919 piuttosto che evocare gli articoli della Costituzione: sapeva bene che, nel corso dell’Assemblea costituente, i diritti delle donne avevano provocato animate resistenze. E fu la Corte costituzionale a spiazzare tutti riconoscendo esplicitamente la violazione degli articoli 3 (sull’eguaglianza senza distinzione di sesso) e 51 (sull’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza). Di conseguenza fui ammessa al concorso, ma non andai avanti: non era quello il mio traguardo. Nel frattempo avevo vinto un concorso per l’Intendenza di finanza.
L. L. S.: La storia di questa sentenza è straordinaria perché mette in evidenza la tua forza e quella della Costituzione. Tu, Rosanna, giovanissima non ti adatti al conformismo maschile e sfidi nel ’58 lo Stato usando un eccezionale grimaldello: la Costituzione. E vinci! Sei una sorta di simbolo della forza delle donne. D’altro canto si evidenzia anche la potenza di fuoco incarnata dalla nostra Costituzione. Senza quei principi, una semplice giovane non avrebbe potuto abbattere il muro dell’accesso delle donne alle carriere pubbliche.
R. O.: Sì, fu la Costituzione a darmi la forza. Il problema è che, a distanza di sessant’anni, quella parità sancita dalla Carta non è ancora pienamente rispettata. Guardando le carriere pubbliche, non ci sono limiti formali per le donne, ma sono ancora troppo poche quelle nei ruoli apicali. Nell’ambito prefettizio le cose vanno meglio, ma nella magistratura persistono forti squilibri. Anche l’ultimo rapporto mondiale sul gender gap mostra l’arretratezza del nostro paese, tra gli ultimi in Europa.
L. L. S.: Sono stati sessant’anni di percorsi a ostacoli. Erano solo ventuno le donne nella Costituente, poche ma preziose. Da allora è cambiato il mondo. Negli anni Cinquanta le donne laureate erano pochissime, oggi sono la maggioranza. Sono entrate in tutti i lavori. E investono più degli uomini in cultura. Ma se il personale sanitario nei due terzi è femminile, le primarie non arrivano al 20 per cento. E così succede all’università: tra gli ordinari, solo una donna su cinque. Monopolio maschile, difficile da scalfire, se non con norme come la legge Golfo-Mosca e con una determinazione come la tua. Noi donne abbiamo bisogno di timone dritto, competenza, passione.
R. O.: Il monopolio maschile di cui tu parli riguarda anche il Parlamento. Ancora oggi la Corte costituzionale mostra di essere molto più avanti del legislatore: nel 2016 una sentenza ha riconosciuto il diritto di una coppia di trasmettere ai figli anche il cognome della madre. In tre anni il Parlamento italiano non ha deliberato niente.
L. L. S.: Non c’è dubbio che la società italiana sia ancora modellata su un modello patriarcale. Solo le donne potranno scardinarlo.
R. O.: Questo modello emerge anche dagli stereotipi che continuano a colpire le donne. Quando vinsi il ricorso, nel 1960, a far notizia erano la mia pettinatura o il modo di vestire: “Il prefetto con lo chignon”, titolò un quotidiano. Il culmine lo raggiunse un regista televisivo che mi propose di fare le riprese mentre spolveravo la libreria, ma io rifiutai. Accettai invece la foto davanti alla macchinetta del caffè. Qualche anno dopo avrei scoperto che la moka era l’oggetto rituale accostato alle donne che emergevano nei vari campi.
L. L. S.: Stereotipi di genere ci affliggono quotidianamente. Si esprimono in misoginia esplicita, quando le donne assumono ruoli decisionali: succede a molte, al di là degli schieramenti. Si evidenziano nella pressione sociale e famigliare che spinge molte donne a rinunciare ai loro desideri di lavoro, a incarichi, alla carriera. Arrivano a esprimersi anche nella violenza contro le donne, nel desiderio di possesso e di dominio dell’uomo sulla donna. Questi stereotipi rappresentano una gabbia da cui dobbiamo liberarci. È una delle battaglie più dure. Dipenderà molto da noi donne, ma anche dallo sforzo degli uomini.
R. O.: Quando cominciai a lavorare nell’ufficio dell’Intendenza di finanza, mi diede il benvenuto un ispettore del ministero: «Beh, certo lei a vice intendente arriva», come a dire: ambiziosa come sei, farai pure carriera, ma non immaginare di diventare intendente. Gabriella Luccioli, una delle prime donne magistrato, ha raccontato come venne accolta al lavoro: un anziano magistrato lesse alcuni atti dell’Assemblea costituente sull’inaffidabile emotività femminile di contro al freddo raziocinio maschile. Finita la lettura, Gabriella si sarebbe aspettata una presa di distanza. E invece l’austero magistrato abbandonò la stanza senza dire una parola.
L. L. S.: All’inizio, all’Istat, mi sentivo messa alla prova continuamente. Dovevo dimostrare di meritare più degli uomini. Ma poi mi è scattato qualcosa che ha a che fare con la mia passione per il sociale: per me era fondamentale che l’Istat riuscisse a essere meno economicocentrico e a mettere al centro la qualità della vita anche in un’ottica di genere. Insieme a tanti colleghi e colleghe — non solo donne — ci siamo riusciti. La chiave sta nell’imparare a credere in noi stesse e a sfidare il mondo.
Rosa  oliva  in una  foto recente  
R. O.: Le donne sono provviste di una qualità bellissima e faticosa: siamo più autocritiche, inclini a chiederci ogni volta: saremo in grado? A un uomo succede di rado. A un certo punto è capitato anche a me di autoescludermi: non perché troppo critica con me stessa ma perché con il secondo figlio non ce l’ho più fatta, e ho dovuto lasciare il lavoro. Fu un periodo difficile, ma fui aiutata dalla mia storia. Sono stata paragonata a Rosa Parks, la prima donna nera che si rifiutò su un autobus di cedere il posto a un bianco. No, la Rosa Parks italiana non si sarebbe potuta spegnere in una malinconica casalinghitudine. E da allora la mia vita è stata dedicata ai diritti delle donne.

L. L. S.: Devo ammettere che io sono stata privilegiata. Ho un marito d’oro con cui ho condiviso tutto. Purtroppo i dati dicono che in Italia il 67 per cento del lavoro famigliare ricade ancora sulle spalle della moglie. E un quinto delle donne lascia il lavoro alla nascita del primo figlio. Se gli uomini si assumessero una parte di questo lavoro di cura, quanta energia femminile si sprigionerebbe? E che cosa succederebbe se le politiche aggredissero veramente questo nodo?
Dobbiamo combattere perché 
avvenga, perché l’energia vitale di noi donne si trasformi in motore per il Paese. È una questione di diritti e libertà femminile.

Essa  fu  l'inizio  delle conquiste  delle  donne  in italia  .   ed  a testimoniarlo  è anche    questo commento di  Marta Cartabia presidente della corte costituzionale    sempre  da  repubblica    del  13\5\2020    riportato a destra  





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