ha perfettamente ragione questo editoriale del mensile grazia magio 2020
Disegno di Carlo Guarino |
È questo l’obiettivo del gruppo di lavoro che ho
istituito: 12 donne provenienti da realtà diverse che possono contribuire a progettare un Paese più paritario. I risultati scientifici più importanti di questa emergenza sono stati ottenuti proprio da ricercatrici. Io sono una scienziata e non mi sono stupita. Il mio obiettivo è valorizzare le donne nel mondo delle Stem: scienze, tecnologia, ingegneria e matematica. Anche il futuro nell’ambito dell’Intelligenza artificiale avrà bisogno di noi». In concreto, per l’emergenza sono in arrivo un nuovo assegno mensile universale per i figli, altri congedi parentali e i bonus per le baby sitter. «La custodia dei figli non è un fatto privato delle famiglie, all’interno delle quali sono sempre le donne a farsene carico», dice sempre la ministra. «Per questo ho voluto che il congedo fosse anche per gli uomini. Ora proseguiamo in questa direzione: che diventi premiante per le aziende concedere congedi ai padri». Queste misure basteranno? E non rischiano di riguardare solo le madri, imprigionandole in casa? Gli uomini ricorreranno mai ai congedi? «Alziamo la voce. Non è solo una questione delle donne, ma sociale», dice Giulia Blasi, scrittrice femminista, autrice del Manuale per ragazze rivoluzionarie (Rizzoli). «Come scienziate, o economiste, siamo invisibili. Tutti gli esperti scelti dal Governo su Covid-19 sono maschi (vedi a pagina 24, ndr). Si dà per scontato che durante le crisi le donne si rimettano a fare gli angeli del focolare». Eppure quelle in prima linea, dalle operatrici sanitarie alle commesse, sono in gran parte donne. Ma una vera divisione del carico di lavoro tra genitori è lontana. «Noi politici dobbiamo fare uno sforzo in più, com’è stato fatto per la legge Golfo-Mosca sulle quote rosa», dice Debora Serracchiani, vicepresidente del Partito democratico e membro della Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati. «Dovremo spingere i cittadini ad altri comportamenti anche all’interno della famiglia. Che sia obbligatoria un’alternanza di smart working o altro. Altrimenti sarà sempre la donna a stare a casa, per condizionamento culturale o perché guadagna meno». Dice Chiara Appendino, sindaca di Torino: «Il mio auspicio è che la politica possa favorire, attraverso i suoi strumenti, un cambiamento normativo e culturale che crei il prima possibile le condizioni per l’equiparazione dei ruoli». E tra le proposte c’è quella del primo cittadino di Milano: «Dobbiamo pensare a una Fase 2 che sostenga le madri», dice Giuseppe Sala. «I congedi parentali aiutano, ma non sono la soluzione. È necessario dare alle donne la possibilità di organizzare la giornata liberando tempo. I centri estivi per i bambini, su cui stiamo lavorando, saranno fondamentali». Ma saranno sicuri? Garantire la salute dei piccoli e tranquillizzare le famiglie non sarà facile. Per superare le discriminazioni di genere, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, propone screening della popolazione con test sierologici. «L’obiettivo è arrivare a stabilire il prima possibile chi ha sviluppato gli anticorpi contro il virus in modo che gli immuni possano tornare al lavoro», dice. «Questo porterebbe a una maggiore turnazione familiare». La crisi sanitaria, e il carico di lavoro per le donne, non aiutano certo il tasso di natalità, già ai minimi storici. «Noi puntiamo ad asili nido gratis, congedo parentale retribuito al 100 per cento nei primi sei mesi del neonato e all’80 per cento fino a 6 anni d’età», dice Meloni. La realizzazione personale delle donne al di fuori della famiglia è minacciata. «Sono sempre loro quelle più a rischio professionale», dice Paola Profeta, docente di Economia di genere all’università Bocconi di Milano. «Anche i congedi sono un’arma a doppio taglio: per le donne, un distacco prolungato è l’anticamera della perdita del lavoro. I congedi previsti solo per i padri sono l’unico modo per coinvolgerli. Non ci possiamo permettere che le donne escano dal mondo del lavoro: sono una risorsa fondamentale per l’economia». E questo è il momento giusto per capirlo.
Il bello è che nonostante le donne ( personale sanitario , infermieristico , medico ecc )siano in prima linea Nessuna ricercatrice è stata inserita nel comitato del Governo per l’emergenza
Covid-19. Eppure immunologhe, virologhe ed epidemiologhe stanno guidando
la battaglia contro la pandemia. Infatti Gli ultimi dati dicono che in Italia si laureano ogni anno in materie scientifiche e tecnologiche circa 28 mila ragazze,
contro circa 44 mila ragazzi. Però i posti di vertice all’università, e nelle grandi organizzazioni del settore, sono assegnati per
l’80 per cento a maschi. Quest’anno ha fatto scalpore la scoperta che su 71 professori ordinari di Fisica teorica ci siano
solo tre donne. E su 247 ruoli universitari, le docenti o ricercatrici sono appena 27. Anche per questo l’Organizzazione delle
Nazioni Unite ha istituito nella data dell’11 febbraio la Giornata internazionale delle Donne e ragazze nella Scienza.
Tre di loro, tutte ai vertici, spiegano in questo articolo di a Grazia perché guarire dal maschilismo sarà un vantaggio per tutti
MARIA TERESA COMETTO da NEW YORK
Questa è l’epidemia delle donne», dice
Silvia Stringhini. «Ma l’Italia non è un
Paese per donne», osserva Antonella
Viola. E Ilaria Capua avverte: «Il talento femminile in Italia è tantissimo
e rischiamo di perderlo».
Stringhini, Viola e Capua non sono tre donne qualunque: sono tre scienziate al top della ricerca mondiale
nelle discipline - rispettivamente - dell’Epidemiologia, dell’Immunologia e della Virologia, tre esperte
insomma con un bagaglio di conoscenze fondamentali
per combattere il coronavirus. Eppure nessuna di
loro è stata interpellata per far parte del comitato
tecnico-scientifico nominato dal governo italiano
per superare l’emergenza Covid-19. Un comitato
di 20 nomi tutti al maschile.
«NON CAPISCO COME NEL COMITATO NON
CI SIA NEMMENO UNA DONNA, quando proprio
le donne sono in prima linea in questa guerra: dalle
infermiere alle dottoresse alle tantissime ricercatrici», continua Stringhini e cita, come esempio,
la dottoressa Annalisa Malara, la prima in Italia a
diagnosticare un caso di Covid-19, il 20 febbraio
all’ospedale di Codogno (Lodi). E poi ci sono le tre
ricercatrici dell’Istituto Lazzaro Spallanzani a Roma,
fra le prime al mondo a isolare la sequenza genomica
del coronavirus.
Senza dimenticare che la stessa virologa Capua è stata
fra i primissimi a lanciare l’allarme, il 18 gennaio,
sulla presenza del Covid-19 in Italia.
Laureata in Economia internazionale all’Università di Pavia, con un Master in Salute globale al Trinity
College di Dublino e un dottorato in Epidemiologia
all’Université Paris-Sud e all’University College di
Londra, dal 2011 Stringhini lavora negli Ospedali
universitari di Ginevra. Ora è responsabile della squadra di Epidemiologia che sta conducendo uno dei più
grandi studi al mondo di sierologia su un campione
di cittadini svizzeri per capire in che percentuale ha
sviluppato anticorpi.
Anche Viola sta guidando uno studio importante
sul coronavirus. Professoressa di Patologia generale all’università di Padova, dove dirige l’Istituto di
Ricerca pediatrica Città della Speranza, ha avviato
l’analisi del sangue di un campione di pazienti per
capire come ogni cellula risponde al virus e ottenere
il quadro definito dell’interazione fra virus e sistema immunitario. «Ovviamente ci sono scienziate
italiane brave e capaci di dare un contributo anche
come membri del comitato governativo, solo che
non vengono considerate perché nel nostro Paese
“l’esperto” è un uomo», sottolinea Viola. «Le donne
rappresentano una grandissima fetta della ricerca
italiana, anche in campo biomedico. A livello iniziale,
le giovani ricercatrici sono decisamente più numerose
degli uomini. Ma appena si passa alle posizioni più
importanti, per esempio di professori o di primari,
ecco che gli uomini scalzano magicamente tutte le
colleghe. È accaduto anche nel caso del coronavirus:
le donne si sono distinte da subito per la loro abilità
e competenza sul campo, ma sono state messe in un
angolo non appena si è arrivati agli incarichi in ruoli
strategici», racconta.
ESSERE DONNA E SCIENZIATA È DIFFICILE
DOVUNQUE, ANCHE IN SVIZZERA», puntualizza
Stringhini. «Ma almeno altri Paesi cercano di non
sembrare troppo maschilisti e promuovono qualche
donna ai vertici, invece in Italia non fanno nemmeno
lo sforzo di fare bella figura».
Eppure ci sono stati tentativi di cambiare la situazione. «Qualche anno fa in Italia è nata anche l’iniziativa
100 donne contro gli stereotipi ( www.100esperte.it,
ndr) con lo scopo proprio di facilitare l’individuazione di donne competenti in vari ambiti del sapere,
ma anche questo non è bastato», ricorda Viola. Che
invita le colleghe a continuare comunque a far sentire
la propria voce: «Le donne che, nonostante il clima
non favorevole, sono riuscite ad arrivare in posizioni
apicali rappresentano per le più giovani uno stimolo
a crederci e a lottare. Ma hanno anche la grande
responsabilità di esserci, di metterci la faccia a costo
di essere criticate e attaccate, come sempre accade,
perché, nel nostro Paese, alle donne non si perdona
di essere protagoniste. Ma è necessario resistere e
continuare a mostrarsi, a raccontare, a indignarsi. E
fare squadra con le altre donne, favorirne la crescita».
«Dobbiamo anche essere più sicure di noi stesse»,
aggiunge Stringhini. «Abbiamo sempre bisogno di
sentirci dire che siamo brave, ma poi ci accontentiamo di quello: abbiamo paura di essere considerate
arriviste, carrieriste, se chiediamo che la nostra competenza sia riconosciuta con posizioni di potere».
«QUESTA PANDEMIA CI HA REGALATO CONSAPEVOLEZZE NUOVE», RAGIONA CAPUA, dal
2016 responsabile del One Health Center of Excellence della Università della Florida a Gainesville.
«Una è che le donne biologicamente, e anche per
opportunità, sono state le prime a reagire a questa
emergenza, portando il loro soccorso e il loro talento organizzativo a risolvere le prime fasi della
crisi. Ora, per fare una volta un piacere al Paese
e non trasformare in un investimento morto tutti
quei soldi spesi per formare le nostre ragazze, non
perdiamolo, il talento femminile: è importante e
valorizzarlo è un atto di grande civiltà. Se le donne
sono più gratificate e più indipendenti, si è tutti più
liberi e più contenti».
Per quanto riguarda il terzo settore
potete , scusate se non riporto qui articoli ma è difficilissimo diciamo meglio impossibile da riassumere le difficoltà e le carenze del governo verso tale settore di vitale importanza come quello del volontariato , leggerle online qui in questo numero ( vedere a sinistra copertina ) di www.vita.it.
Qualora , leggiate tardi questo post o esso no fosse più disponibile lo trovate in pdf nella nostra ulteriore appendice social dove trovate anche degli extra rispetto al blog ovvero il canale telegram https://t.me/compagnidistrada
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