Riporto un testo così come l’ ho letto, senza modifiche o aggiunte , perché pur essendo una storia che girà nel web , dice tutto .Racconta di come Al tempo del Coronavirus, le file al supermercato non sono state solo teatro di litigi e baruffe.
“In fila alla cassa, il display segna 26,80€, la faccia stranita:
"Ah scusi ho dimenticato il bancomat, ho solo 25€ tolgo qualcosa".
Nel piccolo carrello non ci sono patatine o cibi inutili, vedo pane, pasta, latte, pomodori, carta igienica. L'imbarazzo per chi è distante appena un metro è palpabile, il volto di una mamma poco più che 50enne è corrucciato, deve scegliere cosa sottrarre ai propri figli. È così che assisto al più bel film italiano, reale più che neorealista, poco dietro un altro signore in fila: "Scusi, le è caduto qualcosa" La signora è sorpresa, a terra c'è una banconota da 10 euro, sa bene che non le appartiene Lo sguardo amorevole dell'uomo la convince, é troppo per lei dire che è sua. Non ha vestiti firmati ma non indossa stracci, non ha il trucco ma la sua faccia trasuda sacrifici. Il signore si piega, raccoglie la banconota e le dice: "Probabilmente è successo quando ha aperto il borsello". Ora sembra una bambina, é felice, soprattutto della sua onestà. Paga e uscendo sorride all'uomo che è davanti a me. Lo guarda per l'ultima volta e dice: "Grazie". Assisto e sono felice anch'io, ho capito la lezione. Quell'uomo avrebbe potuto dire: "Non si preoccupi faccio io". Invece ha scelto di preservare la dignità, sua e della signora.
Ora Chi ha fatto un beneficio taccia, lo ricordi chi lo ha ricevuto.” Ricordiamoci il bene si fa in silenzio ,il resto è palcoscenico . Mentre leggevo questa news trovata sulla home di Facebook mi è venuto in mente che le buone notizie sono… a più piani. Primo piano: ho lasciato per intero la descrizione dell’ accaduto perché ce la potessimo gustare: la buona notizia come un sasso buttato nell’ acqua che buca la superficie e si allarga a cerchi concentrici. Secondo piano: uno sconosciuto in fila alla cassa nota che la signora che lo precede non ha tutti gli euro per pagare la spesa; la buona
notizia parte dal vedere, cioè dal non essere spettatori inerti. Terzo piano: i dieci euro che “colui che vede” getta a terra, come se fossero caduti dal borsello della signora, ci dice che la buona notizia è silenziosa, umile, senza bisogno di fanfare. Quarto piano: la signora capisce il “gioco” e regala il suo stupore, la sua gratitudine. Quinto piano: mentre esce, la signora esprime un grazie pieno di dignità e di franchezza; sa che un dono non è mai “meritato”. E grazie lo dicono coloro che vengono a conoscenza di questa “buona notizia”, non solo coloro che sono stati testimoni (in fila al supermercato) ma anche noi che ne veniamo a conoscenza grazie alla testimonianza.
Il racconto narra le gesta della famiglia Buendia, ambientate nell'isolatissima città di Macondo, in Columbia.
Si raccontano le vicissitudini di sette generazioni di imprenditori, colonelli, pasticceri, vegenti, costruttori di strumenti musicali al cui capostipite José Arcadio si deve la fondazione della città. L'unico collegamento tra Macondo ed il "progresso", é dato dallo zingaro senza età Melquiades, che ad ogni arrivo a Macondo, porta con sé gli oggetti più disparati ed immaginabili, le invenzioni meravigliose che vanno da un cannocchiale ad un dagherrotipo ad un pitale di oro massiccio. Il momento più emozionante, a mio parere, é quello in cui José Arcadio porta i suoi figli in un baraccone degli zingari per far vedere loro il ghiaccio. Da vecchio, suo figlio Aureliano, comprenderà che il segreto di una buona vecchiaia non é altro che un patto onesto con la solitudine.
non sempre il silenzio è possibile soprattutto davanti a situazioni che non rispettano l'amore di due persone .Mi chiedo e chiedo alle rispettive famiglie se invece di seppellirli li cremassero e unissero le loro ceneri per spargerle nel vento . si risolverebbe la cosa e si rispetterebbe il loro amore
da repubblica online del 27\5\2021
Per Serena Cosentino e il suo compagno, Mohammadreza Hesam Shahaisavandi cattolica lei, musulmano lui, per loro "servirebbe un cimitero civile che a Diamante non c'è", dice il parroco. E il legale della famiglia aggiunge: "Problemi anche burocratici e diplomatici" Funivia Mottarone, Serena e Mohammadreza non potranno essere seppelliti insieme
di Alessia Candito
Sono morti insieme ma non potranno riposare insieme Serena Cosentino, la giovane borsista del Cnr originaria di Diamante, e il suo compagno, Mohammadreza Hesam Shahaisavandi, uccisi entrambi dal crollo della funivia del Mottarone. Cattolica lei, musulmano lui, alla cosa non hanno mai badato. Ma da vittime di quella strage che si scopre provocata da una consapevole manomissione dei freni, quello a cui mai hanno dato peso diventa barriera. "La famiglia di Serena avrebbe voluto che anche il compagno fosse sepolto con lei ma non sarà possibile, servirebbe un cimitero civile" dice don Eugenio Hounglonou, il parroco che domani officerà le esequie della ragazza di Diamante e in questi giorni è stato a stretto contatto con la famiglia.
Trincerati nella loro casa al centro del paese, lontani dai media, dai curiosi, anche dall'eco di quella notizia che non vogliono accettare, i genitori - elettricista lui, casalinga lei, notissimi e benvoluti in paese - rimangono in silenzio. "Sono distrutti dal dolore, soprattutto la mamma. Il padre cerca di resistere come può" dice il sacerdote, spiegando anche che durante i funerali sarà predisposta un'area all'interno della chiesa perché nessuno li disturbi. A Diamante, sarà lutto cittadino. Così ha deciso il sindaco e senatore di Idv Ernesto Magorno, che spiega: "Vuol essere un segno di estrema vicinanza alla famiglia e a tutti i suoi affetti. Nello stesso tempo, vigiliamo sugli sviluppi giudiziari e sul lavoro che in queste ore gli inquirenti piemontesi stanno portando avanti per fare luce su cosa sia realmente accaduto". E se ci sarà un processo, annuncia, "il Comune di Diamante è pronto a costituirsi parte civile nella doverosa affermazione della verità". Sugli ultimi sviluppi giudiziari la famiglia non dice nulla. L'avvocato Amerigo Cetraro, cui si sono affidati, fa da muro e filtro. "Dopo il funerale si vedrà" dice. Al legale hanno delegato tutte le incombenze che la burocrazia in questi casi impone non solo per la ragazza, ma anche per il compagno che avrebbero desiderato far riposare con lei. Ma è complicato, spiega il legale. Non si tratta solo di problemi logistici e religiosi, ma anche burocratici e diplomatici. È stato fatto tutto il più in fretta possibile, grazie anche alla collaborazione del Comune di Verbania, degli amici di Hesam che hanno contattato l'ambasciata e il consolato iraniano e della Farnesina. Ma la procedura è lunga. Dall'Iran, dove ancora vivono la madre e la sorella del ragazzo, raggiunte dagli amici del ragazzo, sono già partite le procure che permettono a qualcuno che non sia familiare di occuparsi della salma. Ma ci vorrà tempo perché arrivino e vangano protocollate e dovranno essere tradotte ufficialmente, quindi trasmesse. Burocrazia che allunga a dismisura tempi e strazio. Solo dopo la salma potrà lasciare Verbania e iniziare il viaggio verso l'Iran. "I familiari di Hesam non lo hanno chiesto espressamente e personalmente io ho condiviso il desiderio espresso dalla famiglia di Serena, ma il diritto della sepoltura spetta ai familiari". Quando le carte faranno il loro corso, Hesam tornerà a casa. Anche se per lui casa era da tempo l'Italia, dove progettava di vivere con Serena. Lo dicono chiaramente i messaggi di cordoglio e saluto dei suoi amici e colleghi della Sapienza a Roma, dei professori che lo ricordano come uno studente brillante e persino della rettrice Antonella Polimeni, che scrive "resterà il ricordo indelebile di due giovani che si impegnavano con entusiasmo e serietà nella vita universitaria".
come dice l'autore del post riportato sotto Questa è una storia che non andrebbe raccontata ma urlata. Perché grida giustizia. Una giustizia non riconosciuta dallo stato e dalla cosiddetta antimafia dei professionisti .
Tutto ha inizio a Palermo, nel 1990, quando Pietro Lo Sicco, costruttore in odor di mafia, si mise in testa di costruire un palazzo di sette piani in via del Bersagliere. Ma, per farlo, aveva bisogno di buttare giù le casette di fronte. Con mezzi leciti o illeciti riuscì a ottenerle e ad abbatterle tutte. Tutte meno una, quella di Rosa e Savina Pilliu, due sorelle sarde trapiantate in Sicilia che decisero di non cedere a quell’atto di sopraffazione, nonostante fusti di calce recapitati in negozio, corone di fiori sotto casa e altre intimidazioni esplicite.
Di fronte alla tenacia delle sorelle Pilliu, Lo Sicco si inventò che quel terreno era già suo, grazie anche a una mazzetta fatta scivolare a un assessore, e cominciò a demolire tutte le casette per costruire il palazzo, che nel frattempo era già passato da sette a nove piani.Ma anche in questo caso Lo Sicco dovette fermarsi di fronte all’orgoglio incrollabile delle due sorelle, che avviarono allora una battaglia legale per fermare le ruspe. Una battaglia che durerà per 30 anni, durante i quali le sorelle hanno lottato e vinto in tutti i tribunali, ottenendo l’arretramento del palazzo ma anche, grazie al loro decisivo contributo, la condanna di Lo Sicco a 7 anni per associazione mafiosa e un risarcimento civile di 750mila euro.E qui arriva la beffa atroce perché non solo non hanno mai visto neanche un euro, né da Lo Sicco (nel frattempo espropriato di tutto) né dal fondo vittime di mafia, che sbatté loro le porte in faccia nonostante prove di ogni genere, ma - tenetevi forte - si sono viste anche recapitare dallo Stato una cartella esattoriale da quasi 23mila euro, pari al 3% di tasse su un risarcimento che non hanno mai ricevuto né, forse, riceveranno mai. Ecco cosa resta a queste due sorelle dalla schiena dritta per aver combattuto, nei fatti e nei tribunali, mafia e corruzione per 30 anni: una tassa da 23.000 euro. Loro che hanno vinto la loro battaglia decennale contro la mafia, ma hanno dovuto piegarsi a uno Stato ottuso e iniquo. Ed è qui che entra in gioco l’uomo nella foto
noto a tutti come Pif, anche lui palermitano. Che, insieme a Marco Lillo, ha scritto un libro dedicato a questa battaglia di coraggio e di civiltà, ma, come spesso gli capita, è andato oltre, provando a cambiare il finale di questa storia: l’intero ricavato del libro, “Io posso: due donne sole contro la mafia” sarà, infatti, interamente devoluto alle sorelle Pilliu. Non solo. L’ambizione è quella di ricostruire quelle palazzine distrutte e affidare gli appartamenti di Lo Sicco ad associazioni antimafia. Un atto di riparazione culturale. Un modo per celebrare due italiane di cui essere orgogliose. Un degno finale per una storia indegna.
“Non c’è un modo migliore per ricordare Davide se non quello di dedicare un’intera giornata alla sicurezza stradale perché la scuola continua, seppure con pochi mezzi a disposizione, a dare il massimo e a sostituirsi alla politica”. Queste sono le parole di Maria Grazia Carta, mamma di Davide Marasco ucciso da un pirata della strada all’alba del 27 maggio del 2019: è lei la promotrice dell’evento “Una scuola sulla buona strada”, fissato in calendario nel giorno in cui ricorre l’anniversario della morte di suo figlio.
Maria Grazia Carta e Davide Marasco
Sono trascorsi due anni da quando Naim Xhumari, cittadino di origini albanesi, ubriaco al volante, ha investito e ucciso Davide Marasco, di 31 anni, dopo aver imboccato contromano la via Casilina, all’altezza del quartiere Torre Maura. Da quel giorno, mamma Maria Grazia ha avviato una lunga battaglia, non solo legale ma anche sociale: già perché per la donna, insegnante presso la scuola di via Acquaroni a Tor Bella Monaca, della morte di Davide sono tanti i responsabili, in primis le istituzioni: è necessario fare prevenzione e sottrarre i territori al degrado affinché simili tragedie non si ripetano più.Raccogliendo la disponibilità della dirigenza e dei colleghi, Maria Grazia ha organizzato un’intera giornata dedicata a giochi, workshop, testimonianze e incontri nell’ambito della ‘settimana dell’educazione stradale’. “Saranno coinvolti tutti i bambini e i ragazzi dell’istituto comprensivo, in base all’età verranno riservate specifiche iniziative – ha concluso – L’impegno è massimo affinché queste morti non avvengano mai più”.
CRIMINALI ecco cosa sono che marciscano in carcere o siano condannati a 30 anni senza condizionale e altri benefici \premi . Ecco di solito per una delle poche cose che ho deciso di tenere del mio processo di battere e levaredelle sovrastrutture esterne come l'educazione familiare e le altre nozioni apprese dal sistema ( scuola , chiesa , politicamente corretto , ecc ) sarei garantista . Infatti lo so che dovrei : essere coerente con quanto ho scritto nel post precedente ., evitare commenti come quelli espressioni dal titolo del post ed aspettare l'ultimo grado giudiziario per potermi esprimere merito in quanto ogni persona è innocente fino alle fine e ..... bla.... bla .... . Ma non sempre uno riesce a trattenersi . soprattutto quando si viene arrestati per fatto del genere . ... Non riesco a commentare ulteriormente tale notizia
ITALIA L'inchiesta della procura di Verbania Tre fermi per la strage del Mottarone. Tra loro il gestore Tra i fermati figura anche Luigi Nerini, proprietario della ferrovie del Mottarone. Per la procura sapevano che il freno di emergenza era disattivato. La strage ha provocato 14 morti. Ancora in corso gli accertamenti tecnici sulla rottura del cavo da : http://www.rainews.it/ del 26 maggio 2021
e vi lascio condividendo questo post trovato su una bacheca social
e sulle note di queste due canzoni che costituiscono la colonna sonora del post
senza parole - vasco rossi ho perso le parole - Luciano Ligabue
Il nome in se non mi diceva niente , essendo cresciuto negli anni 80\90 , proprio quando Tarcisio Burnignich era già andato in pensione . É dai miei genitori , oltre che dalla tv che parla della sua morte . E fra gli articoli coccodrillo che ne parlano ho trovato questo d repubblica del 26\5\2021 qui l'articolo completo . Articolo che conferma il mio commento , che è anche il titolo del post d'oggi
[...]
Ma anche gli immobili, venerabili e quasi eterni nella loro postura, una volta nella vita si concedono la vertigine del viaggio, come la prima e unica gita in aereo dei nonni. Dunque - e non in una partita qualsiasi ma nella mitica Italia - Germania = 4- 3 Messico '70 - Tarcisio Burgnich scappò di casa. Accadde nel primo tempo supplementare e sul risultato di 2-1 per i tedeschi, quando Muller aveva appena segnato e gli azzurri sembravano già depressi. Era un pericolosissimo momento di stanca, quando puoi perdere il filo e non ritrovarlo mai più E allora, chissà perché, Burgnich fuggì dal suo domicilio e si spinse in avanti, dall'altra parte del prato e del destino. Ci fu un calcio di punizione, e Rivera sapeva che Tarcisio di testa le prendeva tutte: quando lo vide dentro l'area, incongruo, come uno che avesse sbagliato indirizzo o si fosse perduto, Gianni calciò il pallone verso la capoccia del numero 2 ma fallì la misura e mirò troppo avanti. La palla, irraggiungibile per Tarcisio, carambolò tra l'azzurro e il tedesco Held che la respinse goffamente lasciandola, in pratica, quasi ferma. A quel punto, dopo un rimbalzostrambo, Burgnich colpì col sinistro, una specie di puntonata, e segnò. Poi corse a casa, cioè nella propria area, senza esultare. Aveva avuto la sua mattana ed era tempo di tornare in catena di montaggio.Come poi andò a finire lo sanno anche i sassi del ruscello, anche se non tutti ricordano i miracolosi salvataggi di Burgnich, uno addirittura in rovesciata sulla testa di Seeler. Questo portò gli azzurri in finale, e collocò Tarcisio nella sua seconda figurina estrema: lui che prova a saltare insieme a Pelè, angelo in decollo, irraggiungibile. Il re del calcio segnò di testa, anche questo lo sanno tutti, ma non tutti ricordano che Valcareggi aveva appena cambiato le marcature spostando Bertini su Rivelino e Burgnich su Pelè, che contro Bertini stava facendo un po' quello che voleva. L'azione del memorabile gol brasiliano si sviluppò proprio nel corso dell'infausto cambio di consegne, e Tarcisio arrivò in ritardo. Forse, sarebbe accaduto comunque.
"Dicevo a me stesso: Tarcisio, anche Pelé è un uomo di carne e ossa come tutti. Mi sbagliavo". Questo Burgnich lo ripeterà sempre, non potendo tuttavia scendere da quella fotografia, come da una scala troppo alta. Adesso, però, il tempo che tutto consuma ha concesso a Tarcisio di tornare quaggiù, dove né Pelé né la corruzione degli anni e della memoria potrà più disturbarlo. Sei stato un grande, Tarcisio. Hai finito bene il tuo lavoro.
Sentendo e leggendo della tragedia della funivia di Stresa-Alpino-Mottarone, è come se fossi bloccato da non riuscire a scrivere niente ., Infatti 1 ) sono ancora stravolto come tutte le volte che sento o vedo la morte o eventi catastrofici sia dovuti a noi uomini sia dovuti alla natura imprevedibilità del caso \ destino 2) non so cosa dire senza scadere in banalità e ovvietà 3 ) c'è chi lo fa ( bene o male ) per mestiere o perché riesce a trovare le parole adatte rispetto a me davanti a tali eventi .Ecco quindi scusatemi l'abuso retorico ma meglio un grande silenzio che mille parole inutili che portano molto spesso alla morbosità . Mi auguro che
[...] Mai come oggi, insomma, è indispensabile arrivare quanto prima a capire bene cosa è successo. E quali sono eventuali colpe e colpevoli. Non ci possiamo permettere in un momento così, in cui questa tragedia pugnala un Paese che tenta di ripartire e riacquistare fiducia, che un’altra inchiesta evapori in nuvolaglie di perizie, controperizie, ricorsi, controricorsi ... Quelle famiglie tradite da una fune che non si doveva rompere hanno diritto ad avere giustizia. E troppe volte altre famiglie non l’hanno avuta.
Gian Enrico Stella corriere della sera 24\5\2021
Concludo con un altra citazione musicale, stavolta diretta ed esplicita, che per una coincidenza è in onda radiofonica la canzone da cui ho preso il ritornello famoso pezzo De Andreiano in questo momento in cui sto scrivendo le ultime parole di questo post
L'altra volta ( qui su queste pagine ) avevo dedicato un post all'altro lato di Marina ciontoli . Ed ho ricevuto privatamente ( CHE PUSILAMINI NEPPURE HANNO IL CORAGGIO DI ESPORSI PUBBLICAMENTE , MA SOLO IN PRIVATO ) molti messaggi alcuni , anche pesanti ma ho il imparato a no curarmene . Ora o caso di Marco vannini è una vicenda che mi devasta. E mi fanno orrore quei “giornalisti” che minimizzano le colpe dei Ciontoli. Soprattutto Martina, che era e resta sommamente e oscenamente imperdonabile. Ma alo stesso tempo mi da fastidio quando lo si fa basandosi solo esclusicvamente vedendo le cose da una parte sola senza vedere anche l'altro lato per poi tirare le somme , e confermare o smentire il tuo pensiero . Ora Per chiarire ogni equivoco riporto dalla bacheca del discusso Andrea Scanzi l'intervento di Celestino Gnazi. il difensore storico dei coniugi Vannini. Gnazi hai scritto parole che trovo molto importanti. Ne riporto anche qui alcuni passaggi.
Ecco: facciamo tesoro di queste parole e teniamo alta la memoria su questa vicenda. Quella notte del 2015, a Ladispoli, Marco fu inghiottito dal Male più totale. Un Male che non potrà mai - mai - essere perdonato o se lo sarà sarà solo in punto di morte .Spero di essere stato chiaro su quale sia il mio pensiero su tale vicenda e che non sempre raccontare una fatto o la vicenda di una persona da un diverso punto di vista significhi necessariamente elogiarla o assolverla
In Europa da 50 anni, il piatto arabo secondo la leggenda è nato tra i soldati persiani. In Grecia si chiama Gyros e si consuma dall'VIII secolo avanti Cristo. Nella città sabauda ha trovato casa mescolandosi a bagna cauda e salse locali
di Federica Giuliani
Un piatto di kebab da Demir
Sembra facile dire Kebab, ma dietro una semplice parola araba si nasconde un mondo di tradizione e cultura spesso ignorato.
Il kebab è arrivato in Europa circa cinquant’anni fa e, nonostante le tante campagne denigratorie e fake news, resta un piatto apprezzato da tanti. Questo gustoso piatto ha conquistato anche Torino dove è possibile mangiarlo anche intrecciato alle specialità enogastronomiche locali, con risultati di interessante qualità: carne di fassone, bagna cauda, peperoni e altre prelibatezze piemontesi si mescolano così ai sapori mediorientali.
Ma qual è la sua storia?
La leggenda racconta che i soldati persiani, nel medioevo, cuocessero piccoli pezzi di carne infilzati sulle spade. Da questa abitudine nacque lo Shish Kebab: spiedini spesso serviti con riso o pane. Tuttavia non si trattava di un piatto riservato ai guerrieri, ma adatto a chiunque facesse una vita nomade e avesse modo di cucinare su grandi fuochi piccole porzioni di carne.
Il termine kebab (kebap in turco) indica i piatti che, in un modo o nell’altro, contengono carne. Le preparazioni, sempre accompagnate da verdura cruda o cotta, differiscono molto tra loro, anche se in Italia si trova quasi esclusivamente il classico Döner: lo spiedo verticale.
In Turchia, ad esempio, esiste il Tandir kebab (carne di agnello cotta nel forno di terracotta) o il Arap kebab? (carne non macinata ma tritata al coltello stufata con cipolle e pomodori), ma anche l'Adana (carne macinata e speziata avvolta intorno a spiedi a forma di spada) e l'Iskender kebab (carne arrosto del Döner kebab servita su un letto di pane soffice simile alla nostra focaccia, salsa di pomodoro e abbondante yogurt).
In generale, un buon kebab deve risultare saporito e sostanzioso ma senza essere di difficile digestione e la scelta delle carni da utilizzare è fondamentale. Il kebab, però, non è una prerogativa turca. In Grecia, dove si chiama più comunementeGyros, si consuma dall'VIII secolo a.C. e se ne parlava già negli scritti di Omero e nelle opere di Aristofane, Senofonte e Aristotele. La ricetta egiziana è più speziata - profuma di cannella e noce moscata - ma in India le spezie possono arrivare fino a 160, tra cui garam masala, zenzero, cardamomo, chiodi di garofano e menta.
Ecco sette posti dove degustarlo a Torino.
Kirkuk Kaffè
Situato in Via Carlo Alberto, 16b/18, porta il nome della città irachena multietnica a 100 km da Erbil dalla storia complicata e attualmente abitata da Kurdi, Arabi, Turcomanni e Armeni. Questa zona, così come tutto il Kurdistan, ha una cucina che affonda le radici nel nomadismo dei pastori, quindi buona parte delle pietanze prevede la presenza di carne, solitamente di pecora o montone, ma non mancano le verdure e il riso. Da assaggiare qui è l'Iskender Kebab: piatto inventato nel 1867 nella città di Bursa, in Turchia, che deve il nome al suo inventore Mehmetog?lu I?skender Efendi; da allora l'Iskender, traduzione letterale di Alessandro, è famoso non solo in Turchia, ma in tutto il mondo.
Sindbad Kebab
In Via Milano 10 si trova questo locale semplice ma spesso affollato dove mangiare, oltre a tante altre specialità arabe, un buon Döner Kebab servito con pane preparato giornalmente in loco. Naturalmente non manca la versione nel piatto accompagnata da riso e verdure.
Da Demir
Un classico del kebap è in Via Frejus 4a, a pochi metri dallo storico chiosco di Piazza Adriano. Demir, turco, offre un ottimo prodotto realizzato quotidianamente con carne di Fassone piemontese . Il prodotto è leggero e gustoso, servito nel classico panino o nel piatto. Oltre al Döner, da assaggiare l'Iskender anche se l'abbondanza di burro non lo rende un piatto digeribile nell'immediato.
Kebaguette
Un mix di cucina francese e marocchina per questo locale che propone un fusion “Kebab Baguette”, servito nel tipico pane di forma allungata ma con i classici ingredienti che rendono questo tipo di panino riconoscibile. Inoltre, è anche possibile acquistare pane, panini e baguette fresche di giornate. Interessante anche lo Ftor domenicale, il brunch in versione marocchina. Si trova in Corso Belgio 43d e convincerà anche il più scettico.
Greek Food Lab
Il locale di via Berthollet, 6 è perfetto per chi voglia sentirsi un po' in vacanza. L'arredamento tipico greco e i profumi della cucina tradizionale lo rendono perfetto per una pausa in una giornata di sole. Qui il Kebab è servito in versione Shish, spiedino. Profumato di origano e limone è una garanzia di gusto.
Da Fausi il tunisino
Fausi, tunisino, oltre a produrre da sé lo spiedo verticale con tacchino e vitello, inframezzati da grasso di agnello per rendere il tutto particolarmente morbido, ha pensato a un modo creativo di servirlo grazie all'aggiunta di salse dai sapori noti ai piemontesi: pesto, peperoni e bagna cauda, ma anche harissa piccante home made. Inoltre, il negozio non ha un orario di chiusura fisso: si abbassa la saracinesca quando lo spiedo è terminato, in modo da prepararlo fresco ogni giorno. Si trova in Corso Emilia 9.
Horas Kebab
Un’istituzione (Via Berthollet, 24 e Corso Vittorio Emanuele II, 29) che compare anche nella canzone "San Salvario" dei The Zen Circus. Nel ricco menù si possono scegliere diversi piatti della tradizione araba ma il Kebab è il piatto forte. La carne è saporita e ben cotta, le porzioni sono abbondanti, il pane soffice e fragrante. Il personale è cordiale e disponibile.