22.7.14

- le cose belle della vita le storie di Edinma tokodi e Ciro Sabatino

ecco due  storie  di (r)esistenza  culturale  \  guerriglia contro culturale  .La prima  viene  ( non  sono riuscito a trovarlo , salvo le  foto  prese  con il mio cellulare  dalla versione cartacea  ,  evidentemente  non lo mettono sul sito  , l'intervista  fatta  sempre  da taddia  , per  il settimanale  topolino   )  da la stampa   del 13\4\2014  a  cura  di F. Taddia 

Non la mia personale “guerriglia” voglio usare il verde urbano per ribaltare il rapporto tra uomo e natura: se tutti avessimo un giardino personale da coltivare avremmo un rapporto molto più equilibrio con ciò che ci circonda”. Ispirazione artistica e vocazione ecologica: è dal virtuoso incontro di queste due istanze vitali che Edina Tokodi, in arte Mosstika, ungherese di nascita e newyorchese di adozione, ha abbracciato e fatto sua la forma espressiva dei “Moss graffiti”, ovvero la “street art” realizzata con il muschio. “L’idea iniziale era quella di creare dei veri e propri   
giardini prefabbricati da apprendere alle pareti, per arredare artisticamente gli spazi pubblici. Ora invece i miei “disegni” di muschio hanno l’ambizione di richiamare l’attenzione sulla carenza nella nostra quotidianità di momenti di riflessione sul rapporto con l’ambiente: sono punti esclamativi diffusi in tutta la città”.  Ed ecco allora spuntare sulle pareti di case, palazzi ed edifici abbandonati, divertenti animali e giocose sagome umane, dai verdi più variegati, soffici e invitanti da accarezzare. La tecnica assomiglia a quella dello stencil, con le figure che vengono ritagliate in laboratorio e poi applicate sulle varie superfici verticali, creando stupore e rivitalizzando strade e quartieri che necessitano di boccate d’ossigeno.




“Voglio portare al passante il senso della terra, l’emozione dell’arte, la gioia dell’inatteso. E diventa quindi per me fondamentale la reazione dei pedoni: vedere se si fermano a guardare, a giocare, a toccare. Verificare incuriosita se lasciano i miei lavori intatti, se scelgono di prendersene cura o, al contrario, di deturparli. A volte i graffiti rimangono

per settimane, altre volte per poche ore: ma non importa, quel che conta è contribuire, in modo ecologico e sorprendente, alla metamorfosi visiva delle nostre metropoli”.


La  seconda è una come la prima una sorta di reazione \ guerriglia contro culturale alla crisi economico e sociale

 DA  http://www.huffingtonpost.it/titti-marrone/  del 18\7\2014

"Iocisto", prima libreria d'Italia ad azionariato popolare. Metodo SuperSantos come antidoto agli sfracelli e alle "lacrime napulitane "

  


Scrivere un blog su Napoli e da Napoli può essere cosa che sgomenta, perché ci si sente Cassandre costrette a raccontare solo di cornicioni che uccidono, alberi e lampioni che si schiantano sulle persone, affreschi e tesori antichi sbriciolati, manti stradali spalancati in voragini, pentiti che svelano decenni di sversamenti di veleni. È questa la fine che ha fatto la famosa, usuratissima porosità indicata da Benjamin come tratto distintivo della città, suo segno di vitalità, di non omologazione. Come non bastasse la tragedia di Salvatore Giordano, il ragazzino schiacciato dal crollo del fregio alla Galleria Umberto, a Napoli collassano - per incuria, indifferenza politica, forzata rimozione - anche iniziative culturali, idee originali, comparti produttivi, mentre i bouquiniste di Port'Alba sono allontanati da un blitz da contrasto al crimine. E mentre anche oggi s'inanella la consueta sfilza di notizie nefaste, i politici sono indaffarati a litigarsi i posti nelle liste di elezioni regionali cui sempre meno i cittadini avranno voglia di partecipare, mentre l'amministrazione pubblica sembra vivere su Marte, lontana com'è dai problemi reali.
Allora, vista l'inefficacia di tante denunce, la sordità e l'inettitudine delle istituzioni, la ripetitività di una cronaca quotidiana che sembra inchiodarti sempre allo stesso spartito, due sono le alternative: o annichilirsi e tacere, oppure cercare altrove. Scardinare la gerarchia delle notizie abituali e tentare di raccontare le buone pratiche, i fatti positivi, i segnali di riscossa.
Eccone uno, piccolo ma importante. Quartiere Vomero, 120 mila abitanti, il più densamente popolato della città, la zona residenziale egemonizzata dal commercio. Tra tanti negozi di abbigliamento, ristoranti, pizzerie, snack bar, nemmeno una libreria: l'ultima, Loffredo, ha chiuso poche settimane fa. La penultima era Fnac, dove già i libri erano oscurati dai mega-schermi al plasma e dai cellulari in tutte le salse: sparita anche quella, al suo posto solo tv e telefonini. Succede che un poliedrico operatore culturale, Ciro Sabatino, posti un suo sfogo su Facebook: Le librerie chiudono? Vabbe', allora la libreria ce la facciamo noi. 
Il post di Ciro Sabatino che ha dato inizio alla vicenda 
E in pochi giorni, circa seimila persone dicono "io ci sto", si attivano, danno corpo e gambe a un progetto che sembrava impossibile. Ci si divide in tre gruppi: chi cerca la sede, chi prepara un piano finanziario, chi raccoglie suggerimenti per riempire di contenuti l'idea iniziale. Ci si autotassa, si decide di lanciare una campagna di raccolta di fondi. Senza tanti clamori sulla cosiddetta "società civile", categoria usurata e spesso equivoca, senza aspettarsi interventi dall'alto, stanziamenti di fondi pubblici, tavoli istituzionali, partendo semplicemente da un bisogno reale, individuando una priorità cui dare spazio, alcune persone che non si conoscevano tra loro hanno pensato di provare a non dare per persa la città ma di partire in proprio, con una piccola idea da trasformare in realtà.
E' nata così la prima libreria ad azionariato popolare d'Italia. Per ora c'è un'associazione, una pagina su Facebook - "Iocisto" - c'è la sede, un bellissimo spazio in via Cimarosa, angolo dell'oasi pedonale facilmente raggiungibile perché accanto alla funicolare centrale. Il primo passo dell'inaugurazione è per il prossimo lunedì, 21 luglio, quando si lancerà il crowdfunding, cioè la sottoscrizione, ma ai soci piace di più parlare di "metodo Supersantos": come quando, da ragazzi, prima della partitella di calcio si faceva la colletta tra gli interessati per comprare il pallone. Però qui non si gioca: il 21 a Napoli sono attesi i maggiori esperti di crowdfunding, in una serata in cui si terrà un'asta di oggetti insoliti, libri autografati o rari, servizi offerti dai soci. Si potranno comprare giornate in libreria, "pezzi" dello spazio e raccogliere fondi, puntando a un certo tetto per allargare l'associazione e garantire il lancio delle attività vere e proprie. Poi partirà la "fase due" con la trasformazione dell'associazione in spa, il via all'azionariato popolare ma senza la possibilità di fare scalate: a nessuno sarà permesso di superare la quota massima consentita, di cinque azioni.
La libreria, che per ottobre sarà fornita di libri, arredi e tutto quanto è utile a dare sostanza ai bellissimi spazi per ora vuoti, sarà aperta fino a tarda sera. Avrà una sezione speciale dedicata ai piccoli editori ma allo stesso tempo ospiterà tutti i titoli più richiesti, assicurerà servizi a domicilio, un'area multimediale, uno spazio ragazzi, uno musicale, un settore dedicato alla degustazione di prodotti tipici.
Certo, nessuno s'illude che il "nuovo inizio" di Napoli possa venire da una libreria. 

il logo della libreria da http://napoli.repubblica.it/cronaca/2014/07/16/foto/

Né si è così ingenui dal pensare che tutto sia facile com'è sembrato fin qui, che non sorgano contrasti, divergenze, interessi contrapposti. Però, una volta tanto, può servire fermarsi a riflettere sul metodo che quest'iniziativa adombra. Nessuno ha voglia di cedere alla retorica delle cose nate "dal basso", all'idea di svolgere funzioni supplenti rispetto a quelle da pretendere come doveroso appannaggio della dimensione pubblica. Ma se si vuole cercare un antidoto allo sfracello, è ora di uscire dalla logica delle "lacrime napulitane", di sperimentare anche qui pratiche di cittadinanza diretta diffusissime in altre città europee e statunitensi. "Iocisto" è per ora solo una goccia nell'oceano dell'incuria e dei disastri partenopei, ma chissà che non dilaghi. Già crescono, sulla pagina Facebook, le richieste di adesione da varie parti d'Italia, e non solo. Per iscriversi, basta versare la quota di 50 euro all'Associazione Iocisto, Iban IT08E0326803403052816901630.



IL Vomero è una zona di Napoli con scuole, cinema, qual­che tea­tro e libre­rie. Cinema e libre­rie però stanno spa­rendo. Nel giro di poche mesi, hanno abbas­sato la sara­ci­ne­sca nel quar­tiere ben due editori-librai par­te­no­pei e la Fnac è diven­tata Trony. I libri ci sono ancora, ma sono cir­con­dati da tele­vi­sori dalle dimen­sioni sem­pre mag­giori. Non se la pas­sano benis­simo nep­pure i punti ven­dita che fanno capo a edi­tori famosi, sparsi tra il cen­tro sto­rico e Chiaia. A Port’Alba, sto­rica zona della città dove si tro­vano per­sino i testi fuori com­mer­cio, i vigili hanno fatto sgom­brare le ban­ca­relle. Al posto dei volumi e dei negozi di stru­menti musi­cali spun­tano le riven­dite di pata­tine fritte. Per rea­gire allo scon­forto, il gior­na­li­sta Ciro Saba­tino ha aperto il gruppo face­book «Io ci sto», dando il via alla prima libre­ria ad azio­na­riato popo­lare.


In pochi mesi tre­cento soci con un inve­sti­mento minimo di cin­quanta euro hanno per­messo di rac­co­gliere circa tren­ta­mila euro. «Con­ti­nue­remo con la ricerca di nuovi sot­to­scrit­tori – ha spie­gato — abbiamo orga­niz­zato uno spet­ta­colo e messo all’asta cimeli per rac­co­gliere altri fondi. A set­tem­bre avvie­remo il cro­w­d­foun­ding in inter­net. Dob­biamo rag­giun­gere i set­tan­ta­sei­mila euro per par­tire in autunno». Per ora c’è la sede, in via Cima­rosa 20, e l’associazione: ad acco­gliere i futuri let­tori, L’amico ritro­vato di Fred Uhl­man su un espo­si­tore al cen­tro del cor­ri­doio, sem­bra quasi il primo cent di Pape­ron de’ Pape­roni.
«I circa tre­cento metri qua­drati della libre­ria — ha con­ti­nuato Saba­tino — sono vuoti per­ché vogliamo che tutti i soci e coloro che (dalle 10 alle 22 ogni giorno) ver­ranno qui a cono­scerci o asso­ciarsi pos­sano vedere cre­scere la libre­ria volume dopo volume, scaf­fale dopo scaf­fale. Con­di­vi­de­remo le scelte e anche le deci­sioni sugli eventi da ospi­tare. Per ora abbiamo coin­volto let­tori tra i trenta e i cinquant’anni. Ci aspet­tiamo anche i ven­tenni e gli scrit­tori».
A orga­niz­zare il lavoro pensa Alberto Della Sala, ex libraio di volumi anti­chi: «Non ci siamo chie­sti per­ché le libre­rie chiu­dano, lo sap­piamo già, ma piut­to­sto per­ché alcune sono aperte. Per que­sto offri­remo ai clienti ser­vizi a valore aggiunto, il rela­tivo gua­da­gno ci per­met­terà il lusso di ven­dere libri. Qui non avremo libri sco­la­stici, ma chiun­que potrà por­tarci la sua lista e glieli con­se­gne­remo a casa il giorno dopo: non ci gua­da­gne­remo niente ma fide­liz­ze­remo i clienti, facendo la dif­fe­renza con i siti online».
Tra i ser­vizi in pro­gramma, la ricerca di libri fuori cata­logo e la ven­dita di volumi usati. «Guar­de­remo
da http://www.vesuviolive.it   e da http://www.insorgenza.it/
anche ai tanti migranti che ven­gono al Vomero per lavo­rare e che non tro­vano niente da leg­gere a Napoli. Avremo una parte di libre­ria mul­tiet­nica con testi in diverse lin­gue ma anche scrit­tori napo­le­tani tra­dotti, sia clas­sici che con­tem­po­ra­nei». Fino a otto­bre sarà uno spa­zio aperto per discu­tere di let­te­ra­tura o suo­nare. L’azionariato dif­fuso ser­virà anche a met­tere in cir­colo idee. «Magari un giorno potrebbe esserci una libre­ria Io ci sto anche a Scam­pia — ha con­cluso Della Sala -, a Fuo­ri­grotta e in ogni città in cui le per­sone vogliano fare la pro­pria libreria».



Parità scolastica, il paradosso italiano La nostra Repubblica continua a riconoscere e finanziare istituti di istruzione che fanno della discriminazione sessuale un valore fondante. Il caso di Trento.

La cosiddetta "parità scolastica", con lo stato che foraggia scuole confessionali che hanno un indirizzo ideologico discriminatorio e non garantiscono piene tutele ai lavoratori potendo esercitare una larga discrezionalità, mostra tutte le sue contraddizioni con l'ultimo caso di Trento. I clericali --  sempre  secondo l'account  facebook  di  UAAR Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti --rivendicano la "libertà" del proprio indirizzo formativo, pretendendo che gli insegnanti si adeguino ai principi professati. 
Infatti  Lo scandalo non è di certo questo, quanto il fatto che lo stato continui a spendere centinaia di milioni di euro l'anno (http://www.icostidellachiesa.it/),  violando  l'articolo 33  della  costituzione 


L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.
E` prescritto un esame di Stato per l'ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l'abilitazione all'esercizio professionale.
in particolare la frase  : 

Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.

Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. legittimando di fatto discriminazioni e parzialità e sottraendo risorse alla scuola pubblica ( pseudo laica corsivo mio ) laica

Infatti 






Cecilia M. Calamani
lunedì 21 luglio 2014 16:29

Parità scolastica, il paradosso italiano

La nostra Repubblica continua a riconoscere e finanziare istituti di istruzione che fanno della discriminazione sessuale un valore fondante. Il caso di Trento.


















La vicenda dell'insegnante trentina alla quale una scuola cattolica non ha rinnovato l'incarico perché lesbica apre scenari che vanno al di là del semplice principio di non discriminazione sancito dalla nostra Costituzione.
Il fatto: a contratto in scadenza, la docente viene convocata dalla madre superiora e direttrice dell'istituto parificato, il Sacro Cuore di Trento. Nel colloquio, le viene chiesto di smentire la sua vociferata omosessualità pena il mancato rinnovo. «Chiaramente - commenta l'insegnante al Fatto quotidiano - mi sono rifiutata di rispondere: mi sono sentita offesa, per quella domanda che entra a gamba tesa dentro la vita privata di una persona. Lei però non ha desistito: sembrava che le bastasse una mia smentita in quella sede, ma alla fine ha detto che se non rispondevo era perché evidentemente le voci erano vere e se non dimostravo il desiderio di risolvere quel problema non c'erano possibilità d'intesa». E quindi contratto addio.
Nel putiferio di reazioni che l'episodio ha scatenato, il fronte cattolico difende la legittimità dell'operato della direttrice sostenendo che gli insegnanti di un istituto privato devono rispettare i valori professati dall'istituto stesso. Una persona omosessuale, in sintesi, non può insegnare in una scuola cattolica perché i suoi comportamenti privati ledono i principi del cattolicesimo sulla famiglia. Questa, almeno, la versione ufficiale, a cui però sarebbe bene aggiungere, almeno per onestà intellettuale, che il cattolicesimo continua a considerare l'omoaffettività un «disordine morale» e a condannarla in tutti i documenti dottrinali, Catechismo compreso.
Ora, non basta appellarsi alla nostra carta costituzionale, che sancisce la piena uguaglianza sociale di tutti i cittadini «davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Questo è solo l'aspetto più evidente della faccenda e potrà essere impugnato, se la docente lo riterrà opportuno, in sede giudiziaria. La riflessione che il mero fatto di cronaca dovrebbe aprire ha un respiro un po' più ampio. Le scuole cattoliche, se paritarie come quella di Trento, sono equiparate a tutti gli effetti a quelle pubbliche pur rispondendo a principi completamente diversi. E infatti educano gli studenti a una visione religiosa del mondo con tutto ciò che questa comporta, dall'insegnamento del creazionismo - per i più evoluti "disegno intelligente" - al "peccato" derivante dall'esercizio, in ambito sessuale, riproduttivo e affettivo della libertà personale. In più lo Stato italiano finanzia questi istituti per un totale annuo di circa 325 milioni, ai quali si aggiungono gli almeno 500 milioni di contributi che a vario titolo Comuni, Province e Regioni erogano in modo autonomo (inchiesta Uaar "I costi della Chiesa"). Tutti fondi sottratti all'istruzione pubblica, quella aperta a tutti e che non ammette discriminazioni ideologiche sia verso gli studenti sia verso i docenti perché, per principio costituzionale, laica.
In quest'ottica, la vicenda di Trento mette il dito in una piaga dolente comunque vada a finire. La discriminazione operata dalle scuole cattoliche non avviene solo ex post, come in questo caso, ma ancheex ante senza che ciò costituisca una violazione ai principi di uguaglianza fondanti del nostro ordinamento giuridico e scolastico. E, ciò che è ancor più grave, con il beneplacito e il sostegno economico dello Stato.
Il quadro è a dir poco schizofrenico: un Paese che si proclama laico e condanna per bocca dei suoi rappresentanti la violenza di stampo omofobico, non lesina nel riconoscere e per giunta finanziare chi semina discriminazione - ossia il germe di quella stessa violenza - nei cittadini di domani. Su queste basi, ogni istanza di progresso civile sui temi legati all'autodeterminazione della persona ha il sapore amaro dell'ipocrisia.

                                                  Cecilia M. Calamani 

21.7.14

Marcelo Burlon: un successo da studiare



In due anni, è passato da zero a 16 milioni di euro. Grazie a una linea di T-shirt, ad accordi intelligenti e a una capacità mediatica esemplare. Storia di County of Milan, una nuova linea di abbigliamento che ha conquistato il mondo. E che va studiata con attenzione e senza snobismo


DI SIMONE MARCHETTI


                                        Un ritratto di Marcelo Burlon



Da zero a 16 milioni di euro. In due anni, lavorando coi propri amici e facendo a pezzi le regole di un intero sistema. È la storia di Marcelo Burlon, creativo originario dell'Argentina con base in Italia, uno degli ultimi casi a far discutere animatamente il mondo della moda. In poche stagioni, con una linea di T-shirt ha raggiunto 420 punti vendita nel mondo, stringendo alleanze con i negozi più importanti di New York, Tokyo, Londra e Parigi. Non veste blogger, non fa pubblicità e si è affidato soltanto alle proprie conoscenze. Da solo, ha più successo di tutta la generazione di nuovi talenti italiani che si stanno affacciando sul mercato internazionale. Qualcuno gli rimprovera di essere troppo simile all'estetica dark e contemporanea di Riccardo Tisci per Givenchy. Lui non commenta, si appella ai simboli e ai colori della sua amata Patagonia e continua il suo percorso inarrestabile. D.it lo incontra a pochi minuti dalla sfilata che Pitti Immagine Uomo gli ha dedicato: è la prima collezione di total look, non più solo T-shirt, quindi, ma un intero guardaroba firmato Marcelo Burlon County of Milano.


"Sono emozionato e felice. Soprattutto, sono contento di avere portato qui tutte le persone che hanno creduto in me", racconta Burlon. "Da sempre guardo a loro come fonte d'ispirazione. Per la sfilata di Pitti Immagine ho voluto persone normali, non solo modelli: le persone comuni, quelle che appartengono al mio mondo sono il dna del marchio. Come deejay e come organizzatore di eventi, mi sono accorto viaggiando della necessità di identificazione e di riconoscimento attraverso simboli condivisibili e rappresentativi. Le mie T-shirt e il loro immaginario estetico sono stati come un collante che è cresciuto, poco alla volta, aggregando e insieme vestendo personalità lontane e diverse, dalla realtà ai social network". Il capolavoro mediatico di County of Milan, infatti, deve molto a Instagram e Facebook, ma anche al momento storico: con la recessione economica, le nuove generazioni chiedono alla moda prodotti più facile e meno cari in grado di vestire e di creare un look con pochi dettagli, proprio come fa un T-shirt di County of Milan.
"Ora è arrivato il momento di fare un salto in avanti. Oltre al total look, abbiamo lanciato una linea per bambino, presto sigleremo un accordo di licenza con Marcolin per gli occhiali da sole. I progetti sono tanti e in continua evoluzione. La mia parabola, però, non deve restare un unicum, io credo molto nella nuova generazione di talenti della moda. C'è solo una cosa che raccomando a chi vuole intraprendere una strada seria in questo settore: trovate i partner giusti, è impossibile fare tutto da soli. Tanti, troppi stilisti indipendenti non hanno supporto morale e non riescono a trovare fondi per autofinanziarsi. È un vero peccato: oggi occorre essere creativi ma anche e soprattutto imprenditori e comunicatori mediatici".
È infatti questo il tasto che ha permesso a Marcelo e al suo business di decollare con un'accelerazione davvero potente: la capacità di essere un imprenditore e un esperto di comunicazione e non solo un creativo con buone idee. "Lo ripeto sempre: la creatività da sola non basta mai", commenta Roberto d'Incau, managing partner di Lang&Partners, società internazionale di consulenza nelle risorse umane operante anche nel mondo della moda. "Il caso Burlon va analizzato e deve diventare un esempio da seguire. Ai nuovi designer ripeto sempre le stesse regole: innanzitutto la creatività, le idee sono alla base ma non sono tutto. Oggi si deve puntare al prodotto e alle esigenze pratiche dei consumatori più che alla creazione pura. Poi occorre quella che io chiamo mediaticità, ovvero la capacità di intercettare le figure chiave di chi oggi fa informazione, dai canali classici a quelli nuovi. Quindi, ci vogliono qualità manageriali, un supporto finanziario e l'appoggio di un'azienda di confezione per la produzione delle collezioni. Soprattutto, però, raccomando un consiglio che penso Burlon abbia seguito alla lettera: nuovi stilisti e giovani creativi, uscite dalle vostre torri d'avorio, lasciate i vostri atelier e immergetevi nelle strade, nei locali e nei ritrovi delle nuove generazioni. Lì si annidano le migliori intuizioni e lì la vostra creatività può trovare il trampolino capace di farla volare".


I libri di © Daniela Tuscano LA LETTERA BLU Cristiani d’Iraq, ecumenismo, pace: che fare?

Si sono estinti. Come i dinosauri, no, come i moa, o i dodo. Perché i primi avevano terminato il loro ciclo su questa terra. Gli altri, invece, sono periti per mano di qualcun altro. Dell'uomo, come sempre. 
E però non sono animali, ma uomini anch'essi. E donne e bambini. Estirpati da una millenaria perennità di roccia. 
Sono i cristiani iracheni. Le loro case, le stesse di duemila anni fa, le hanno sfregiate col marchio della vergogna i jihadisti dell'Isis, nuovi padroni del paese.
Non v'è sangue sugli stipiti, non ancora. Non il segno del pesce, consegnato ai libri di storia europei (nemmeno tutti, temiamo). Vi compare una "N", una enorme "N" blu, iniziale di "nassar" (nazareni). Così li chiamano, da quelle parti. Con disprezzo e odio. I "nazareni" sono gl’"infedeli" che non vogliono convertirsi all'Islam fondamentalista, alla legge della Sharia. Sono cristiani e intendono restar tali.
Per loro, nel nuovo Iraq, non c'è più posto. Da quelle case, adesso, soffia un silenzio di vuoto. Chi le abitava è protagonista d'un nuovo Esodo, d'una moderna deportazione. Gli sguardi, inghiottiti dal deserto, si rivolgono costantemente alle rade suppellettili, ai mobili, ai segni lasciati laggiù, in quei dintorni dai nomi remoti e per noi - smarrito il vocabolario del sacro - fiabeschi: Ninive, Assiria... e che non esistono più: gli hanno bruciato l'episcopio, il monastero. I segni sono la prima cosa da abbattere quando si vuol annientare un popolo, la sua cultura, la sua religione. Mosul e Ninive sono diventate città decristianizzate, esattamente come le spiagge "ripulite" dagli ebrei al tempo del nazismo. Antico e nuovo s'intrecciano in un'agghiacciante concretezza. Nessuna concessione all’esegesi, da quelle parti. Non si tratta d’interpretare, ma di vedere. È una persecuzione vera, biblica, letterale.
                            da "Sono irachena e sono cristiana", © Famiglia Cristiana 2014

In quel piccolo, smarrito gregge tra le dune, si perde il ramo d’oro della nostra storia. Ma nessun Gilgamesh vi spende una lacrima. I jihadisti non sono invincibili, ma a nessuno importa fermarli. Molti, al contrario, li armano. I paesi fondamentalisti del Golfo, naturalmente, ma pure – come denuncia il patriarca siro-cattolico Joseph III Younan – quei “politici occidentali che hanno bisogno del loro petrolio”.
Di qui l’afasia, anzi, la vera e propria mutria d’Europa e Stati Uniti di fronte a ciò che il patriarca definisce, correttamente, “disastro umanitario” e “tragedia storica”. Le analisi storiche, economiche e sociali non servono. Il dramma, direbbe David Maria Turoldo, è Dio. Smarrito, poi occultato, poi negato, alla fine semplicemente ignorato dalla vicenda umana, Dio è stato sostituito da una pletora di pallidi surrogati, tutti destinati al fallimento.
In Occidente, questo è chiaro: l’ateismo militante, che dalla Rivoluzione francese si era spinto fino alla creazione di regimi comunisti e alla diffusione dell’ideologia marxista, è stato scalzato dalla miscredenza post-capitalista. Mentre il comunismo pretendeva d’instaurare in terra un paradiso d’eguaglianza fondato sui principi della solidarietà umana, la seconda non è fondata su nulla; né lo vuole; e la “filosofia” che lo sottende – il consumismo – è pigra; strutturalmente, ontologicamente, mentalmente pigra. Ne deriva un esasperato individualismo, che trasforma ogni singola pretesa in diritto, col risultato che la democrazia, invece di progredire, arretra, poiché, malgrado i massicci tentativi d’omologazione, il cuore umano resta un percorso d’esperienze diverse e irripetibili, di piccole e molteplici lampade che nessun moggio potrà mai oscurare del tutto.
I politici occidentali che stringono affari col nazismo jihadista sono gli stessi che in pubblico tuonano contro l’”invasione islamica” e s’accorano pei crocifissi di legno, ma non esitano a lasciar crocifiggere dai “nemici” uomini, donne e bambini in carne ed ossa, dei quali pur asseriscono di condividerne il credo. Mentre il vero oggetto del desiderio è un’altra divinità sostitutiva, il Petrolio, e in nome di quell’idolo nero, che pascerà un immanente, materialissimo benessere, tutto può e dev’esser sacrificato. Là dov’è il loro tesoro, è anche il loro cuore.
Ma – si obietterà – l’Occidente è pur sempre la culla dei diritti umani, della libertà religiosa e di coscienza. Del rispetto delle donne. Ciò nondimeno, nemmeno da questi attori s’è ancor levata una voce sdegnata, forte, unanime e chiara contro il genocidio iracheno. Come mai?
Il motivo risiede, ancora una volta, nell’eclissi di Dio e, quindi, nello smarrimento della percezione del bene e del male. I perseguitati dell’Iraq sono cristiani. E i professionisti dei diritti umani hanno nella lotta alla religione, in particolare a quella cristiana, uno dei loro capisaldi. A difendere dei cristiani, oggi, ci sì vergogna. Si teme di passare per clericali, dopo aver ripetuto per decenni che la Chiesa va abbattuta come relitto del Medioevo e insieme di precetti moralistici e patriarcali. L’obiettivo di costoro è instaurare un mondo nuovo, liberale e libertario, dove tutti avranno ogni diritto e nessun dovere. I fatti d’Iraq li lasciano indifferenti perché ancora non ne intuiscono la portata. Non è infatti previsto, nel loro habitus mentale, che la fede in Dio - e, ripetiamo, nel Dio cristiano - non coincida con arretratezza, miseria e oppressione, ma sia anzi sinonimo di speranza, resistenza, valorizzazione piena della dignità umana. Dio non riduce l’uomo, ma al contrario lo potenzia. E potenzia anche la donna: la vicenda di Meriam ha rappresentato infatti un altro fattore destabilizzante per l’industria dei diritti umani. L’odissea (il calvario, cioè) della giovane sposa sudanese ha dimostrato l’infondatezza della tesi secondo cui la religione umilia la femminilità. Per Meriam è vero il contrario e, se qualcosa si è mosso per scongiurarne la macabra sorte, il merito va ascritto solo ad alcune testate cattoliche, non certo ai gruppi femministi, che della questione, fin quando non è assurta alla ribalta mondiale, si sono semplicemente disinteressati; allo stesso modo persiste l’assordante, vergognoso silenzio su Asia Bibi. Ma se Meriam, Asia e altre donne sconosciute avessero rinnegato la loro fede, magari “postando” su qualche social network una foto a seno nudo, la propaganda Femen-ista le avrebbe subito additate a fulgidi esempi da seguire e imitare.
Il balbettio occidentale nei confronti della strage dei cristiani iracheni ha un’altra motivazione ancora: il “politically correct”, figlio degenere del senso di colpa il quale, a sua volta, rappresenta una stortura del senso di peccato. Aver coscienza del peccato, cioè della mancanza, significa riconoscere il proprio limite e confessarlo davanti a Qualcuno in grado di rimetterlo e di dar la forza di proseguire, non malgrado, ma anche con esso. Il senso di colpa è invece un giudice implacabile perché prende come unico metro di giudizio l’Io derelitto e autoreferenziale che si addossa, illimitatamente, tutte le colpe del mondo; un’altra forma di narcisismo.
Il “politically correct”, che da esso deriva, ragiona dunque così: se protesto, rischio di offendere i musulmani e la loro cultura, mentre io, che sono buono, civile e aperto, devo accettare le culture diverse (il discorso però, se ci si fa caso, non vale mai per gli ebrei – tutti indistintamente, non i governanti israeliani – , verso i quali questi fautori del retto pensiero sono spesso astiosi, truci, talvolta, come nel caso di filosofi nostalgici dei Grand Tour, apertamente e volgarmente antisemiti). Quando, poi, quest’ipocrisia diventa oggettivamente insostenibile – non si può sperar di venire a patti con lo pseudo-califfo di Bagdad – il “politically correct” si tramuta non di rado nel suo contrario e i suoi (im)pavidi sostenitori in tante isteriche Fallaci.
Opposto al “politically correct” è il rispetto; il dialogo; religiosamente, l’ecumenismo. Tutti e tre si fondano sulla cultura e la conoscenza, di sé e dell’altro. L’ecumenismo, in particolare, non elimina le differenze, è cosciente delle sue pecche, ma la sua visione dell’uomo rimane fortemente realistica. L’altro non è “buono” solo perché diverso; è uno come me, con pregi e difetti. L’Occidente deve liberarsi dai cascami dell’orientalismo per impostare, finalmente, un dialogo maturo e paritario con una controparte che oggi gli sfugge. Consapevole delle comuni radici ma anche delle rispettive differenze, non temerà più di offendere, ma saprà distinguere tra fondamentalismo e autentica fede, e in virtù di questo sceglierà i giusti interlocutori e avanzerà legittime richieste, anche con fermezza se del caso.
Ma il problema è solo l’Occidente con tanto Io e senza più Dio? No, il problema è anche l'Oriente, il Sud. Perché il fondamentalismo, in religione, è l’altro volto dell’individualismo sfrenato. Anch’esso si fonda su una lettura deviata del testo sacro e si affida a esaltati e criminali che antepongono il loro Io al vero Dio. Già diversi anni fa lo studioso algerino Khaled Fouad Allam denunciava la sclerotizzazione dell’esegesi coranica, ferma praticamente al XIII secolo, e caldeggiava la ripresa degli studi in tal senso, la storicizzazione della Scrittura, ecc. Insomma auspicava un Vaticano II anche per la religione di Mohammed. Il problema, a nostro modesto avviso, è che l'Islam, a differenza del cristianesimo cattolico e ortodosso, non ha un'autorità centrale che pronunci una parola autorevole e definitiva, di approvazione o condanna, su determinate questioni. Tutto quanto, assieme ad altri complessi motivi impossibili da sviscerare nella presente trattazione, può costituire una delle cause della diffusione del fondamentalismo jihadista in talune regioni. Si può però ipotizzare un concilio di personalità illustri, p. es. l'Università di Al Azhar in Egitto, e ad altri tavoli con rappresentanti autorevoli - e rispettati - della religione islamica, da cui non dovrebbero mancare le donne. Ma, più di tutto, conta il sentire della popolazione comune, dei tanti musulmani pacifici e anche di quelli che non lo sono; cosa non ha funzionato? Dove il dialogo ha trovato un incaglio? Si vuole davvero confrontarsi e convivere pacificamente, oppure no? La responsabilità, oggi, è più che mai nelle nostre mani. Nemmeno il Papa può farcela da solo e del resto, come abbiamo visto, se si rende necessario il pronunciamento di musulmani autorevoli, non è possibile limitarsi a questo. Solo riprendendo la grammatica del sacro ci si potrà liberare dalle pastoie della violenza e dell’incomprensione.

                                                    © Daniela Tuscano

19.7.14

La Via Francigena percorsa in 20 anni con 250 acquerelli.


FEDERICO TADDIA
Ogni luogo è fonte di gioia e di sofferenza: per indole metto immediatamente le radici ovunque, e quando il mio cavalletto mi porta altrove sono costretta a doverle strappare». Ha l’eleganza dell’artista e la pazienza di chi sa attendere la sfumatura giusta Jannina Veit Teuten, 75 anni, pittrice inglese che ha scelto di vivere in Toscana dal 1970, e da due decenni vaga con i suoi acquerelli sulle orme di Sigerico, l’arcivescovo di Canterbury che con il viaggio a piedi verso Roma attorno all’anno 900 disegnò la Via Francigena.   
«Quando nel 1993 ho dato il via al progetto pochissime persone avevano le idee chiare su quale fosse l’itinerario
dalla bacheca  dell'autore  https://www.facebook.com/pages/Federico-Taddia/40510898249
dell’Arcivescovo: è stato faticoso trovare le informazioni corrette. Ora non saprei più contare le volte in cui sono andata avanti e indietro in treno, bus, aereo, a piedi, in bicicletta e in camper: io, i miei pennelli e i miei colori». Nato in occasione del Giubileo del 2000 il «Via Francigena project» prevedeva di raccontare per immagini chiese, borghi, case, vedute, squarci catturati dallo sguardo di Jannina. Con la realizzazione di 144 acquerelli esposti in 23 mostre organizzate lungo l’itinerario dei pellegrini. Ma l’ispirazione della ritrattista inglese che ha fatto dell’Italia la sua
sempre  dalla stessa  fonte  
prima casa, di chilometro in chilometro si è alimentata, nel desiderio continuo di mostrare, con leggerezza e sapore antico, questo cammino storico e spirituale, tanto da aggiungere altre 100 opere alla collezione. «In tanti si fermano quando mi vedono mentre ritraggo il paesaggio. Altri mi vengono a dire che i genitori, o loro stessi, sono nati dentro una certa porta o una finestra che ho dipinto. In un’epoca dove tutti con gli smartphone scattano centinaia di foto, colpisce che un acquerello, nel suo essere lento, imperfetto e bisognoso di fatica e concentrazione, sappia ancora suscitare immedesimazione. E io felice di essere la viandante di queste emozioni». 

Luigi, che cerca e raccoglie la poesia nei sassi di fiume

ecco perchè  raccolgo e mi faccio portare  sassi  e pietre 

la stampa 27/08/2013 L’ULTIMA STORIA
ZEVIO (VERONA)
«Ecco, questa è la mia Ricerca». Ha gli occhi illuminati dalla gioia e dall'emozione Luigi mentre entra nel suo vecchio fienile come se stesse varcando la soglia di un antico e solenne tempio. Un fienile diroccato, incastonato tra moderne case, dove nel tempo ha raccolto, catalogato e classificato decine di migliaia di sassi. Scelti, uno a uno, nel fiume Adige. Un antro magico e suggestivo, che ti toglie il fiato, dove tutto sembra pericolante e lasciato al caso.   
E invece segue una logica. O meglio, come ti illustra, segue una poesia. Da cogliere senza pregiudizi o la presunzione di trovare significati. Luigi Lineri oggi ha 76 anni, vive a Zevio in provincia di Verona, e ricorda come se fosse ieri quel primo maggio del 1963 in cui, accompagnando un amico a cercare delle selci nel fiume, raccolse un sasso con un buco in mezzo. «Poteva essere un’arma primitiva o un vecchio ciondolo – ricorda – ma mi spinse a guardarmi intorno e ad accorgermi come d’incanto che c’erano forme che si ripetevano ritmicamente: sassi che andavano letti ed interpretati, che comunicavano messaggi».  


Per Luigi tradurre quel linguaggio diventa una sorta di missione a cui dedicare il resto dell’esistenza. Abbandona il lavoro di commerciante e sceglie quello part time da inserviente ospedaliero per avere più tempo libero, e appena i contributi versati glielo permettono opta per il prepensionamento. Il fiume diventa la sua seconda casa, mentre la sua prima casa si trasforma nel deposito di quei sassi in cui lui  
  sempre  dalla  galleria  fotografica  della stampa   
intravede teste di pecora, teste di pesce, bovini, profili di donna, falli maschili e becchi d’uccello.  
«In tanti mi davano, e mi danno ancora, del matto: ma sono io a sorprendermi ogni volta in cui una persona non riesce a scorgere queste figure levigate nella pietra, che sono sicuramente il frutto di mani antiche e sapienti. Simboli ancestrali, segnali di passaggio o forme rituali che hanno preceduto l’avvento dell’alfabeto: nel fiume è nascosto il mistero della natura e della vita».   
L’incredibile fienile di Luigi è meta di curiosi e appassionati, che non credono ai loro occhi nello scorgere la quantità di sassi accatastati, rigorosamente suddivisi per somiglianza, senza lasciare un centimetro libero nelle pareti e con la sensazione costante che tutto possa crollare da un momento all’altro. «C’è finalmente un interesse nuovo verso la mia Ricerca, ed è per questo che mi sto concentrando nell’impaginazione: è ora di fare pulizia e sintesi. Questo è un grande poema, ogni pietra è una lettera: ora vanno costruire le parole e le frasi. Poi chi vorrà potrà leggere e capire».   
L’attenzione al lavoro del pescatore di sassi è testimoniato anche da alcune mostre organizzate in passato, da una tesi di laurea a lui dedicata e ora da un prestigioso riconoscimento. Il radicamento al territorio, insieme alla dedizione, allo scrupolo e la perseveranza nel realizzare il proprio personale museo sono infatti le motivazioni alla base del Premio europeo alle passioni «La seconda luna», che Luigi riceverà sabato prossimo a Laives, in provincia di Bolzano.   
Un traguardo importante, che ripaga anni di sacrifici, silenzio e ostinazione, accompagnati dagli ironici commenti dei vicini e dalla pazienza infinita della moglie. «È stata una vita difficile e totalmente influenzata dal richiamo del fiume e di questi manufatti del passato – racconta sorridente la moglie Tosca, 70 anni –. Sono una donna con i piedi per terra: mi ero innamorata di un commerciante che mi garantiva uno stipendio e invece mi sono trovata a dividere il tetto con un visionario collezionista di sassi. Nel 1988, come regalo di compleanno, gli avevo fatto firmare un foglio, che ancora conservo, in cui mi prometteva solennemente di non perdere più tempo nell’Adige: ma il giorno dopo era già con i piedi a bagno. Anche ora, dopo cinquant’anni di vita insieme, mi racconta bugie per andare al fiume, e io per non arrabbiarmi preferisco uscire di casa quando lui torna con i ciottoli nascosti nella borsa della spesa. Ma che dire: meglio un uomo così di uno che va a buttare via il suo tempo al bar».   
Per Luigi il lavoro va avanti. Insieme alla classificazione, puntuale e maniacale, di quanto stipato nel fienile, ora la ricerca è concentrata sui pezzi più piccoli, che racchiudono una perfezione e una manualità più evoluta. Tentando di rendere comprensibile, anche ai più scettici, il suo operato. «Non essere capito è il suo vero cruccio – commenta la moglie – ma forse non è ancora arrivato il tempo».   
Ma lui non sta più ascoltando, perché l’attenzione è già stata calamitata da una pietra. Una normale pietra apparentemente identica ad altre mille, ma guai a farglielo notare: «Come fai a non vedere l’amore che è nascosto qui dentro?», mi sussurra con sguardo avvolgente. E poi mi spiega: «Questa è una donna che abbraccia un uomo: l’emblema dell’amore e della procreazione. Questo è l’inizio di tutto».  


“Era un collaboratore nazista” E il museo dell’olocausto di Washington sfratta Giovanni palatucci lo “Schindler italiano”

ESTERI
  La  stampa  20/06/2013 IL CASO


Rivisto il ruolo giocato dall’“ultimo questore” di Fiume, Giovanni Palatucci. Sfrattato dall’esposizione sul ventennale dell’istituzione
ANSA
Un immagine di archivio di Giovanni Palatucci, ucciso a Dachauche perché riuscì a mettere in salvo oltre 5000 ebrei. È stato dichiarato martire da Giovanni Paolo II

Era noto come lo “Schindler italiano”, per aver salvato 5.000 ebrei dallo sterminio nazista, tanto da essere riconosciuto come un Giusto da Israele e da essere stato dichiarato martire da Papa Giovanni Paolo II. In realtà, lo studio condotto su circa 700 documenti ha fatto emergere che Giovanni Palatucci era invece un collaboratore nazista, tanto da partecipare alla deportazione degli ebrei nel campo di Auschwitz. Per questo motivo, scrive oggi il New York Times, il Museo dell’Olocausto di Washington ha deciso la scorsa settimana di rimuovere il suo nome da una mostra, mentre lo Yad Vashem di Gerusalemme e il Vaticano hanno iniziato a esaminare i documenti.  

La verità sullo Schindler italiano è emersa dopo che i ricercatori del Centro Primo Levi hanno avuto accesso a documenti italiani e tedeschi, nell’ambito di una ricerca sul ruolo di Fiume come terreno fertile per il fascismo, città dove Palatucci lavorò come funzionario di polizia dal 1940 al 1944. Stando alla versione accreditata finora, quando i nazisti occuparono la città, nel 1943, Palatucci distrusse i documenti per scongiurare che i tedeschi spedissero gli ebrei di Fiume nei campi di concentramento. La sua stessa morte nel campo di Dachau, a 35 anni, avvalorò poi la tesi.  

Ma Natalia Indrimi, direttore del Centro Primo Levi, ha invece dichiarato che gli storici sono stati in grado di consultare questi stessi documenti, da cui è emerso che nel 1943 Fiume contava solo 500 ebrei, la maggior parte dei quali, 412, pari all’80%, finì proprio ad Auschwitz. La ricerca ha poi fatto emergere che piuttosto che ricoprire la carica di capo di polizia, Palatucci era vice commissario aggiunto responsabile dell’applicazione delle leggi razziali fasciste. Nella lettera inviata questo mese al Museo di Washington, Indrini ha quindi scritto che l’uomo era “un pieno esecutore delle leggi razziali e, dopo aver prestato giuramento alla Repubblica sociale di Mussolini, collaborò con i nazisti”.  

La sua stessa deportazione a Dachau, nel 1944, non fu determinata dalle sue gesta per salvare gli ebrei, piuttosto dalle accuse tedesche di appropriazione indebita e tradimento, per aver passato ai britannici i piani per l’indipendenza di Fiume nel dopoguerra.  

Indrimi ha precisato che “il mito” di Palatucci iniziò nel 1952, quando lo zio vescovo Giuseppe Maria Palatucci raccontò questa storia per garantire una pensione ai parenti dell’uomo. “Giovanni Palatucci non rappresenta altro che l’omertà, l’arroganza e la condiscendenza di molti giovani funzionari italiani che seguirono con entusiasmo Mussolini nei suoi ultimi disastrosi passi”, ha concluso Indrimi nella lettera inviata al Museo di Washington.  

anche gli alberi fanno musica

                
da  la stampa del 13/07/2014

     A come Anello

FEDERICO TADDIA


«Solitamente amo suonare “fette” di frassino: il frassino infatti ha in sé l’intensità minimal di un abete, ma allo stesso tempo ha la pienezza di un noce». Ha l’orecchio del liutaio, il fiuto del boscaiolo e le visioni dell’artista BartholomäusTraubeck, musicista tedesco nato a Monaco 37 anni fa, che è andato a scovare inesplorate melodie nel silenzio di una pianta che cresce. 
Trasformando un giradischi in uno strumento in grado di leggere, come se fossero tracce di un vinile, gli anelli dei tronchi degli alberi. «Ricordo un esperimento che consisteva nel “microfonare” i rami per ascoltare i rumori che questi facevano durante l’assunzione dell’acqua all’interno delle loro cellule: logicamente questo processo non è udibile, ma credo che questo sia il suono reale di un albero. Quello che io tento di fare è interpretare e liberare la musica “intrappolata” dentro alla corteccia». Ispirato da una copertina di un album dei «Jurassic 5», nella quale una puntina da giradischi era appoggiata sopra ad un ceppo, Bartholomäus ha fatto ricorso alla tecnologia per concretizzare quell’immagine: nel suo grammofono 2.0 al posto della puntina c’è quindi una microcamera, che trasmette l’immagine degli anelli ad un software in grado di analizzarli. La profondità, la lunghezza, lo spessore e le sporcature dei solchi vengono trasformati in dati, a loro volta convertiti in note tramite un campionatore. «Più le venature sono disuguali, più differenti sono i suoni in uscita: ci sono delle variazioni notevoli anche prendendo alberi della stessa specie ma ovviamente le varietà si accentuano se prendiamo specie diverse». 

Abete Rosso, frassino, quercia, acero, ontano, noce e faggio sono i legni più utilizzati sui suoi piatti dal dj tedesco, che in suggestive performance live traduce il Dna dei tronchi in electrosound. «Spesso il pubblico ha bisogno di capire cosa sta per vedere, per sentirsi davvero coinvolto e comprendere il senso del mio giradischi. Le reazioni più belle, però, sono proprio quelle di chi prima ascolta e poi scopre com’è stata composta la musica. Quasi nessuno crede che una macchina possa generare quelle atmosfere partendo da input scritti dalla più geniale delle compositrici: la Natura».

prova faccine

:-)

Orfani 10 - "Cuori sull'abisso". i nodi vengono al pettine ? occhio SPOILLER

 ti potrebbero interessare    i miei precedenti articoli su  orfani  ( ho messo l'url   search  , perchè non avevo voglio di stare a copiare i  vari   indirizzi degli articoli  ) 


Si   è   ormai  arrivati  a - 2  numeri dalla  prima serie  di Orfani   un fumetto  in cui  :   Rimpianto. Solitudine. Rabbia. Morte. Sono i demoni con i quali i protagonisti  devono convivere e combattere. Una lotta interiore che non possono vincere, che li spinge al limite, al punto di non ritorno. Inquietudini che si riflettono nelle dinamiche interne di un gruppo in procinto di sgretolarsi. I rancori del passato e gli ideali del presente convergono in uno scontro fratricida che ottenebra il confine tra eroe ed antieroe. Era  da i tempi , almeno mi sembra  di  ricordare ,  di Mister No e  di Ken parker  che  non notavo   cose  simili
In pratica  confermo   quanto dico direttamente  ed  indirettamente    nei miei precedenti post  (  vedere url   sopra  )  su tale serie  
Di tale  serie  :  << Si è detto tutto e il contrario di tutto a proposito di Orfani, la serie di fantascienza Roberto Recchioni, ideata graficamente da Emiliano Mammucari e giunta a due numeri dal termine della prima stagione. Prodotta con il più alto budget mai stanziato per una serie a fumetti e realizzata interamente a colori, caso unico nella storia della casa editrice, la testata è pensata come prodotto non convenzionale per i canoni bonelliani ed ha come target di riferimento i teenagers ricorrendo ad una narrazione asciutta ed essenziale, resa ancor più sintetica dalla suddivisione di ogni albo in due linee temporali, passato e presente, costellate da masicce dosi di action ed efficaci colpi di scena.
della Bonelli scritta da   Recchioni, prolifico sceneggiatore romano, attualmente in forza alla Bonelli anche come direttore editoriale di Dylan Dog, ha sempre prediletto la forma al contenuto. Meglio ancora, affinando col tempo le sue qualità di metanarratore, ha fatto sì che la forma diventasse il contenuto stesso delle sue storie. I personaggi risultano quindi concettuali, con una caratterizzazione ridotta all'osso ma sempre ficcante e ragionata.
Mescolando suggestioni estetiche da svariate opere di fantascienza care allo sceneggiatore, siano esse letterarie, fumettistiche, cinematografiche o videoludiche, la concezione grafica di Mammucari, che ha fatto da guida a tutti i disegnatori della serie, è fortemente stilizzata mentre il colore funge da mezzo espressivo fornendo maggior profondità e coinvolgimento emotivo per il lettore.
Inizialmente la serie si è tirata addosso parecchie critiche per la raffigurazione stereotipata dei protagonisti e per una trama che sembrava fin troppo banale: soldati del futuro diretti su un pianeta alieno per sconfiggere gli ostili indigeni che hanno attaccato e distrutto quasi del tutto la Terra. Gli autori avevano però messo in guardia i lettori: niente è come sembra. Con le terribili verità rivelate nel giro di pochi numeri, infatti, è emersa la vera natura del racconto. Un’opera cinica, nichilista e anti epica che non lascia spazio alla speranza. >> (...... continua    qui  su  mangaforever.net     ) Ora  di  solito  , come  si  evidenzia  anche  dall'incipit iniziale   , in particolare  di questo numero  ,

IL  rimpianto 
La  solitudine
la rabbia 
la morte 
ogni giorno  guardiamo
in faccia i nostri demoni
e li combattiamo
Guerrieri in lotta  , 
sul ciglio dell'abisso
E'  quello che siamo

( incipit  Orfani N°10  ) 

se uno usa l'intuito \ sesto senso    a   pochi numeri dalla  fine si può  fare  un bilancio ed immaginarsi, salvo colpi  di scena   per  i motivi detti precedentemente, come andrà a  finire   . 
Ma anch'io  come Daniele Barbiero  in un commento  sulla  pagina facebook  ufficiale  di Orfani  << Aggiungo una cosa che c'entra relativamente: mi gingillo con l'idea che potreste fare QUATTRO stagioni, una per ogni archetipo narrativo / sezione del Viaggio dell'Eroe - Orfani, Vagabondi, Guerrieri e Martiri.
Ma in un certo senso, già la prima stagione copre tutto lo sviluppo dei personaggi attraverso i quattro archetipi, quindi non so come si potrebbe - con gli stessi personaggi - portare l'arco narrativo di ognuno ancora più in là.Ovviamente, non è detto che ritroviamo gli stessi personaggi nelle prossime stagioni   >>
 sempre  da www.fumettologica.it/galleria
Infatti   ha  ragione Il blog di Barbara Baraldi Scritture Barbariche    quando  dice  : <<   la sensazione di qualcosa che doveva arrivare ma che ancora si faceva attendere. Come una lunga serie di antipasti, come dei preliminari prolungati. Ma dovevo sapere che Recchioni conosce l’arte dei samurai e si muove come tale. Silenziosamente, con circospezione e seminando trappole sotto forma di indizi, ci ha portati al numero 7 di Orfani dove arrivi a fine volume ed ecco che compare in tutta la sua magnificenza, il castello di carte.
Un castello di carte affascinante e terribile, con tanto di ponte levatoio, e ora vuoi solo entrarci e scoprire cosa nasconde.(...)   Dentro ci trovi tutto quello che stavi cercando: il dilemma interiore dei protagonisti si trasforma in una scelta ineluttabile, c’è forte il tema dell’onore, e la differenza tra essere un soldato e un guerriero.E poi, qual è la cosa giusta da fare? Me lo sono chiesta insieme a Boyscout. L’eterno conflitto tra il bene e il male assume connotazioni nichiliste, perché il bene non esiste più; il bene era già stato annientato dal cataclisma che ha distrutto la terra. Qui la lotta è tra il male e un male peggiore, tra coscienza e volontà. Il tema del tradimento è insinuante e arrivata all’ultima pagina mi sono ritrovata nello stato d’animo di chi vorrebbe sapere, febbrilmente, cosa succederà dopo  >> http://scritturebarbariche.wordpress.com/2014/05/07/orfani-8-i-mastini-della-guerra/                                    
La copertina di questo numero, come le altre , ha creato in molti disorientamento ( ma s'intuiva , almeno per me , fin dalla prima copertina e forse anche dalla presentazione della serie che sarebbero successe cose del genere ) :


Infatti  le  cortine   di tale serie   oltre ad essere dei veri e propri capolavori   ed  una  sintesi  della storia in se  , lasciano  spazio :  alla fantasia , all'intuizione , insomma  alla libertà  di viaggiare     connla mente   e  fare  dei voli pindarici  .
 Mi spiace quasi che ci sia una seconda stagione (che probabilmente piglierò lo stesso almeno il primo numero per vedere com'è visto che il silenzio di Recchioni alle mie domande \ intervista mandatagli tempo fa non ha risposto , sopratutto la  3  domanda    ( vedere  sotto )     su   come convincerebbe   i lettori a comprarsi anche la 2 serie >>

Giuseppe Scano08/06/2014 9.10Giuseppe Scano
mi farebbe piacere intervistarti per il mio blog [ http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com  ] in virtù della 2 serie di orfani . se ti va eccoti le domande  : 

1) soddisfati del successo clamoroso di orfani avvenuto senza dover ricorre ai trucchetti ( polemiche create ad hoc , comparsate in fiction tv , ecc ) di lady mafia ?       2) cosa distinguerà le altre 2 serie ( 3 se la 4 dovesse trovare conferma ) dalla prima serie ?                                                                                                                                     3 ) Se dovessi convincere qualcuno\a che decide dopo il primo numero della seconda serie a continuare fino alla fine del " progetto " della serie orfani ? 4) Per evitare che l'ottimo potenziale : disegni , sceneggiature , soggetti , ecc espresso da orfani  vada disperso o quanto meno rimanga inutilizzato dopo la fine della saga , che ne pensate di proporre ai vertici della Bonelli , immetterlo in Natan Never ?
perché una storia così si meriterebbe un finale potente ( come credo che  avverrà   visto il continui susseguirsi  ed  alternarsi colpi di scena   difficilmente  \ raramente  prevedibili  da  non esperti del genere  di fantascienza   )  e definitivo. Ma mi par di capire, dalle anticipazioni fin qui circolate e dello
svolgersi , il cosiddetto piano .B della dottoressa Juric ,che ci sarà qualche sorpresa che creerà un continuo fra la 1 e le altre due serie . erano anni che non leggevo cose cosi avvincenti . se il buon giorno si vede dal mattino . non vedo l'ora che arrivi il controllo completo di recchioni a Dylan Dog
Concludendo  un  numero  stupendo   sotto  tutti  gli aspetti ( copertina , disegni , storia , ecc  )   , anche  se  con qualche rammarico   dei fans    di  Sam  \   per  ......  meglio non spoiliare  troppo  Smiley  visto  che il n  10    è appena  uscito   nelle edicole ,  come  testimonia   questo post   sulla pagina Fb   della serie    .Nella spasmodica e  ansiosa   degli ultimi 2  episodi della  I  serie  ( trovate  a destra  una  foto   del retro copertina   fatta  con il mio  cellulare    del prossimo numero in uscita   ) e  il  primo  della   seconda e  poi  deciderò il da  farsi  visti i tempi in c'è scarsità  di  €  . Non so  più  altro di dire  se  non buona lettura

P.s ci  rivedremo alla  fine della  prima serie 

per evitare chiamate indesiderate o messaggi molesti su whatsapp usate due schede una pubblica ed una privata

  questo post     di  Aranzulla     conferma    il consiglio      che  davo    in un post   (  cercatevelo  nell'archiviuo  dell'ann...