5.6.13

il sughero esempio d'industrializazione che non rovina e non snaturilizza ( o quasi ) gli antiche mestieri



in sotto fondo l'ecco  finale  della canzone  le radici e le  ali dei the  gang  e  a seguire la  canzone    Le radici ca tieni dei Sud sound system

stavo  scegliendo per fare  una  slideshow  sul mio  youtube  con  alcune  foto  della mostra  \ presentazione tenuta dall'amico  roberto  graffi  il  16\5\2013  alle  cantine surrau  ( arzachena  ) . Qui le  foto  di giancarlo deligios videoproduzioni autore  del filmato che trovate  sotto  




http://www.vignesurrau.it/  e  qui  la loro pagina  facebook   dove  è stata presentato il suo   lavoro  fotografico sul sughero  .  E mi è ritornato in mente  : 1)  che non  ho svelato l'oggetto   di tale  tempo fa   su queste pagine  ., 2)   che  la mia  video  intervista  su  una delle  sue precedenti mostre tenute  a   tempio pausania   dello  stesso lavoro  , ma  ambientazione diversa  ,quiz    che  feci nel lontano 2009  e   di cui parlai qui era per  sbaglio stata  cancellata  dal mio canale  di youtube  .

per  approfondire



  cosa  è il sughero  , lavorazione  , caratteri  botanici  ,  usi, ecc  


http://it.wikipedia.org/wiki/Quercus_suber  

http://www.centralsughero.it/pro-di-la.php    
http://www.allsardinia.it/sughero.htm
http://www.allsardinia.it/sughera.htm
http://www.allsardinia.it/varieta.htm  
http://www.softwareparadiso.it/studio/materiali-sughero.htm 
http://www.allsardinia.it/utilizzi.htm      
 http://www.sughero.org
 pannelli sughero
 sughero isolante 
pavimento sughero
http://www.haisentito.it/articolo/estate-insegna-sughero/1563/

  


Nel post  d'oggi oltre al reportage  della mostra  del 16\5\2013     trovate  una  nuova intervista  con le stesse  domande ed  altre  allo stesso roberto ( scusandomi per  la pessima  ripresa  , ma  avevo  una digitale  nuova  , una  G12  ( foto  a destra presa da  google  ) 



Iniziamo  però  con la  soluzione  , scusandomi per  il ritardo    del  quiz  che  proposi  qui L'oggetto  rappresentato   ( ripropongo qui  al centro  le due  foto   del post  in  questione    vedere  url   riga precedente  ) 



  esso  è la  classica   nappedda, costituita da un solo pezzo di sughero grezzo, è il recipiente più semplice usato nei tempi più antichi , Serviva   per attingere acqua di sorgente  fonte   (  da  http://www.allsardinia.it/sughero.htm  ).  Era  uno  dei tanti usi  del sughero   quando  l'economia  della sardegna  in particolare  in gallura  era  un economia di auto sussistenza  (  ne  riparleremo  nei  prossimi post  )   . Ed  era  uno  dei tanti  elementi   che  si    ricavavano dal sughero     gli esempi  più noti   sono  (  tratto da   http://forum.sardegnaland.it/topic-sardegna-IL-sughero-di-Sardegna
- lu bugnu, è un grosso cilindro di sughero grezzo munito di base, utilizzato già nell’antichità a seconda delle dimensioni come arnia per le api o come contenitore di derrate alimentari

- la jona, costituita da un mezzo cilindro di sughero grezzo munito di due semicerchi (cameddi) chiodati all’estremità con chiodi di ginepro, è un oggetto di origini antichissime usato nelle vendemmie per il trasporto dell’uva. Per la raccolta se ne utilizzava uno più piccolo chiamato junedda
- l’uppu, piegato con acqua bollente fino ad assumere una forma cilindrica e munito di base e di un manico di ginepro, veniva usato nell’antichità per attingere acqua
, piegato con acqua bollente fino ad assumere una forma cilindrica e munito di base e di un manico di ginepro, veniva usato nell’antichità per attingere acqua
- lu barili, costituito di sughero grezzo munito di basi chiodate con chiodi di ginepro, è un ottimo contenitore termico per acqua, vino e altre bevande
- lu banchittu, è un piccolo sgabello costituito da bande di sughero femmina chiodate fra loro ad incastro con due lastre piane dello stesso sughero chiodate alle basi
- la bancaredda, simile allu banchittu ma di dimensioni molto più grandi in modo da consentirne l’uso come tavolo, la base inferiore può anche mancare
- il sedile rustico, con la stessa struttura dellu banchittu ma con l’aggiunta di uno schienale e due poggia gomiti
- il porta lenza, costituito di sughero femmina, ha forma rettangolare dello spessore di qualche centimetro e un profilo "a vita" in modo da consentire l’avvolgimento del filo.
per  gli altri vedere url  sopra 

Roberto Grtaffi  è riuscito   con L'arte della lavorazione del sughero in Sardegna-The art of cork manufacturing in Sardinia. Con DVD è riuscito a bloccare un mondo quasi scomparso quello del sughero e della sua lavorazione che unisce artigianato e industria . concentrandosi sui tappi del sughero che è forse l'aspetto maggiormente conosciuto dei derivati del sughero.  << Un'avventura emozionante all'interno  >> http://www.inmondadori.it  << di un universo poco conosciuto: il sughero e la sua lavorazione. >> . Attraverso il filmato ( che ho ripreso con Download Hwelper opzione di mozzilla firefox  dalla  pagina di facebook del regista      )


e le  foto    che  trovate qui sul sito di roberto  Esso ( insieme al video  di Giancarlo.Deligios che vedete sopra )     risponde a  delle  domande    :  Chi sono gli uomini che confezionano manufatti con questo particolare materiale ?   Quali sono i metodi di lavoro  ?  Quale fatica si cela dietro ogni singolo pezzo, dal semplice tappo agli oggetti dell'artigianato  ?   Una galleria fotografica,ed un dvd  contenente  un excursus completo che rivela un mondo costellato di curiosità, industriosità e laboriosità. << L'autore  con le sue immagini, >>  sempre  secondo  inmondadori.it <<  si concentra sui volti, sulle gestualità, sui

3.6.13

TATUAGGI PERICOLOSI PER LA SALUTE? LO STUDIO DI UN RICERCATORE SARDO

È partito da un ricercatore di Jerzu lo studio sulla pericolosità dei tatuaggi. Si chiama Giorgio Usai, il preparatore atletico che ha lanciato l allarme sulla incompatibilità tra i tatoo e le prestazioni sportive degli atleti.





Il trenino verde e il sogno arrugginito



da lanuovasardegna online del 3\6\2013  di Giovanni Bua  

           Il trenino verde e il sogno arrugginito



Sembra figlio di nessuno il trenino verde. 

Come sottolineato in un’inchiesta delle scorse settimane del nostro giornale, firmata da Sandro Macciotta: «L’Arst lo gestisce tra enormi difficoltà ma non lo promuove. L’assessorato al Turismo, che di questo “attrattore” di viaggiatori e curiosi dovrebbe essere il massimo valorizzatore, si piega invece alle resistenze di un sistema Regione a compartimenti con scarsa capacità di interagire tra assessorati, enti e comunità locali. E così il Trenino verde langue. Mancano vagoni, locomotive e automotrici. E anche le linee hanno bisogno di controlli e urgenti lavori». Un dato su tutti: l’anno scorso sulla Mandas-Arbatax ci sono stati tre deragliamenti senza conseguenze per le persone, ma il problema sicurezza inizia a essere una priorità. E così il parco storico di locomotive a vapore e carrozze Bauchiero (tutte legni e ottone) dei primi del Novecento arrugginisce fermo in gran parte nei depositi, insieme al gran sogno che questo trenino sembrava rappresentare. Non sono passati nemmeno 20 anni infatti da quella domenica di aprile del 1994, quando la vecchia Reggiana 400 aveva ripreso, dopo 100 anni, a sbuffare nelle salite tra il Sarcidano e la Barbagia. Nella “strana ferrovia” che D.H Lawrence aveva descritto nel suo Mare e Sardegna: «Si sfreccia con noncuranza – scrisse l’autore dell’amante di lady Chatterly – su per colline e giù per valli attorno a curve improvvise». La stessa che “la tigre d’Ogliastra” Samuele Stocchino assalì con la sua banda, in perfetto stile indiani e cow boy, almeno tre volte nel 1917, con il nostrano Jasse James che attendeva nei pressi di Arbatax l’arrivo dello scalcinato convoglio, ampiamente annunciato da alti e nerissimi sbuffi.
Un percorso tutto cuore e memoria, fuliggine e speranza. In cui l’Esit, guidato allora da un giovane e rampante Luigi Crisponi, attuale assessore regionale al Turismo, investì tantissimo, per dare nuova vita al turismo delle fiere e superbe bellezze del nostro interno. Un grande progetto, che oggi arrugginisce, insieme a Elsa e Wally, alla Goito (locomotore del 1893) e ai vagoni Breda e Bauchiero. Vittime di un sistema che non riesce a valorizzare quello che già c’è. E men che mai a sognare.
Infatti   ciò viene confermnato dalla    toccante   testimonianza \ commento  Gianni Dessì  rilasciata   20 maggio 2013 alle 18:18
  1. ho trascorso i miglioti anni della mia carriera di macchinista a sassari alla condotta di Elsa e Wally dal giorno della riesumazione dal vecchio deposito di Sorso all’ultimo viaggio rientrando da una gita da Palau.
    Allora ero fiero di essere un ferroviere, fiero di rientrare nero e sporco di carbole perchè ti gratificavano i complimenti dei viaggiatori che felici all’arrivo in stazione scendevano dalle carrozze e si avvicinavano alla locomotiva per salutarci con un caloroso arrivederci hanno distrutto un sogno !
    Abbiamo fatto gite di ogni genere, SPOT pubblicitari ,ma sopratutto diverse edizioni del TELETHON, e la migliore in assoluto è stata quella con il supporto di Andrea PARODI Cecilia CONCAS e Giuseppe MASIA che da Palau a SS adogni fermata si esibivano mentre gli abitanti del posto versavano al funzionario della BNL un contributo per la ricerca sulla distrofia.
    Son cose che mi rimarranno sempre nel cuore, nello stesso cuore che oggi si ratrista nel vederle tutti i giorni in questo piazzale sporche arrugginite e cannibalizzate.

2.6.13

come farei senza le nuvole ?

leggendo    questo  post (  che  poi  era una  domanda \  riflessione  che mi viene  ogni  volta  che  piove  o  vedo  nuvole  )  : <<    Che cosa sarei, che cosa farei senza le nuvole ?Trascorro la maggior parte del tempo a guardarle passare. Cioran  >>  dalla bacheca    facebook  della mia  amica  Chicca Signorina Fantasia
ho ricordato  questa  canzone   che poi   non è altro  che la risposta  ed  un estensione dello stesso tema  



amore ai tempi della crisi cosa si è costretti ad amare ai tempi della crisi

d'altronde  o salti   questa  finestra  o magia  questa minestra  ed  è quello che fa   questa  coraggiosa  ragazza  di cui leggete  sotto   , che soffre   , sbaglia  spera  e  si mette in discussione

dal suo blog  http://www.lerika.net



Amore ai tempi della crisi.

Wed
29 May 2013
A qualche mese dal mio arrivo a Casetta è il momento di interrompere la luna di miele, come in tutte le storie d’amore, è il momento della lista delle cose che urtano il sistema nervoso della vostra affezionatissima.
In punti, così scazzo di meno:
La linea adsl. Dopo varie ed eventuali tra cui merdafone/ non merdafone, 50 euro -di tasca mia- di “recesso anticipato” perché effettivamente l’allacciamento non si poteva fare (questo per dire: se al telefono vi dicono che siete coperti -mentre il mese prima Telecom diceva di no- uccideteli anche da parte mia) ora è più di un mese che attendo la riparazione dell’antenna che sta sul monte per avere almeno una linea *virtuale* con un operatore regionale. Come nei paesini sperduti in montagna. Solo che io abito in pieno centro di Genova. Ma va beh. Attendo e viaggio -con non poche restrizioni- con la chiavetta wind che almeno costa poco.
Il frigo continua ad emettere odori di morte e disperazione, nonostante i numerosi lavaggi a base di aceto. Me ne vergogno un sacco.
Il pavimento del bagno ha delle piastrelle fetenti e nonostante i ripetuti passaggi di scopa e straccio è un delirio tenerlo pulito. Me ne vergogno un sacco -parte II-
La lavatrice: dopo l’allagamento di qualche settimana fa (di entrambi i loculi: mio e del vicino), pare funzionare, ma non fidandomi, quando è in funzione, le faccio la guardia e svariono tantissimo durante la centrifuga.
Ho riparato da sola la calderina mentre il vicino (con cui è in comune nel piccolo ingresso) era in acido e sclerava come un tossico in astinenza (chi è il sesso debole, chi??). Dopo avergli allagato casa (vedi punto sopra) mi pareva comunque il minimo.
Lo stendipanni in mezzo alla camera da letto è inguardabile. Ma ormai fa parte dell’arredamento. E me ne vergogno sempre meno. Tranne se viene gente a trovarmi e c’è steso il set completo di culotte di Snoopy di H&M che uso nei periodi in cui mi sento brutta (cioè 3 settimane al mese circa).
Continuo a dare craniate sul tetto nonostante siano passati quasi 5 mesi da quando sono qui.
Ho l’armadio di polly pocket ed il tempo è ballerino: scatoloni e sacchetti con vestiti dentro per cambi stagione improvvisati sono parte del quotidiano.
La scalinata dalla microcucina alla stanza è ottima come portascarpe (assieme ad uno scatolone imboscato in bagno, ovvio). Me ne vergogno, sì, ma meno.
Ogni mattina rischio di cadere dalle scale sopracitate mentre mi trascino verso il cibo.
Vi ho già detto che la amo, questa casa?
Non vedo l’ora che arrivi l’aumento di stipendio.

Femminicidio, capirsi per combatterlo insieme


   leggendo  il manifesto   di questa  comunity  di facebook www.facebook.com/UccidiAncheMe


Informazioni
"Uccidi anche me" è un progetto fotografico di Fiorella Sanna e Francesca Madrigali.
Una serie di ritratti e interviste in cui volti e parole si mescoleranno tra loro per dare ancora più forza e più voce alla lotta contro il femminicidio.
Descrizione
Lo scopo del progetto "Uccidi anche me" è quello di sensibilizzare le persone sul tema del femminicidio, coinvolgendo donne e uomini che "donano" il proprio volto e le proprie opinioni e pensieri sul gravissimo fenomeno che sta assumendo il carattere di emergenza in Italia. Fotografiamo e intervistiamo le persone che stanno partecipando- già tantissime, fra le quali le nostre amiche e amici, sorelle, madri, artisti, esponenti della società civile e della politica.
Il nostro approccio non vuole essere “luttuoso” o peggio quello di accentuare gli aspetti della cronaca nera, ma al contrario vogliamo dare risalto alla forza di reazione delle donne e alla loro consapevolezza dei meccanismi che possono generare la violenza. Anche gli uomini sono parte attiva del progetto, in quanto la violenza sulle donne è un problema sociale oltre che di genere. Soltanto portando l'argomento ad un livello più esteso, "pubblico", di cittadinanza possiamo sperare di combatterlo efficacemente.  




ho trovato due articoli un po' dati certo , ma poco importa vista la loro attualità presi da ilfattoquotidiano
il primo  è  di  | 15 maggio 2013
Rileggiamo quel capolavoro di Simone Weil intitolato “L’’Iliade poema della forza”. Separare la forza dalla violenza sembra non sia cosa facile. Che cosa vuole una donna? Vuole un uomo forte, non un uomo violento. Come possiamo farci capire? Forse dovremmo esercitarci di più davanti allo specchio per imparare a pesare le parole, a influenzare l’anima dell’interlocutore e non solo per sedurre, ma soprattutto per salvarci la pelle.
Chi è un uomo forte? Probabilmente è quello che riesce a mantenere la calma nei momenti difficili, che conosce il suo valore anche quando gli altri non lo riconoscono, che è capace di sorridere, di resistere, di consolare, di proteggere. L’uomo forte è colui che conosce la sua stessa forza e che sa usarla a tempo e a luogo. L’uomo forte non è l’uomo violento.Noi invece, care, dolci e belle amiche siamo piene di qualità ma spesso inciampiamo nei nostri graziosi piedi, andiamo fuori tema, usiamo le parole con scarsa attenzione, il nostro coraggio è spesso imprudente, la nostra paura è spesso inutile.Dicevo dunque andiamo fuori tema, come è successo l’altra sera a ‘Servizio Pubblico e dispiace dirlo visto che parliamo di un grande e generoso lavoro svolto da molte donne che hanno collaborato per aiutare le più sfortunate tra noi. Parlo di Ferite a Morte e sono qui per dire che l’ultima cosa da fare è criticarci a vicenda. Non è quindi una critica la mia ma solo un’osservazione marginale, dove è proprio sui margini che si gioca la vita o la morte, come tante storie ci raccontano.Paola Cortellesi con la sua faccia spiritosa e il suo sorriso irresistibile mi è sembra piaciuta come donna e come attrice, ma nel suo intervento ha ripetuto più di una volta una frase pericolosa: “Meglio morta che con te…”. Questa è la distrazione di cui parlavo prima, l’ingenuità che si paga anche in termini di comunicazione.Il tema è tale che non ammette margini di errore oltre quelli già accaduti, che hanno provocato la morte. “Meglio morta che con te” è la frase sbagliata, quella giusta, secondo me, è “meglio viva che con te”, e questo perché con quell’uomo, che ha confuso fatalmente la forza con la violenza, non si può essere che morte.Mi piacerebbe che ci accorgessimo tutte che nell’esercizio di raccontare l’orrore, nei dettagli, nella coazione a ripetere e persino nel tentativo di satira dell’orrore stesso, esiste il pericolo di partecipare inconsapevolmente al grande spettacolo mediatico della violenza in genere e in particolare della più gettonata, quella sulle donne.Lo facciamo spesso, ci sbagliamo e a volte colgo un lampo di ironico compatimento nell'atteggiamento di chi, uomo di potere illuminato, ci concede visibilità ed è dalla nostra parte. Spesso non siamo all’altezza delle poche occasioni che ci vengono offerte, prendiamo grandi e piccoli abbagli senza riuscire a sfruttare l’attimo fuggente. Se non ora quando? Una frase magnifica, un’altra straordinaria performance che alcune donne hanno inventato, moltissime hanno praticato per poi alla fine essere semplicemente rimandate a casa. Come può succedere che preziosi minuti concessi in prime time a “Servizio Pubblico” vengano adoperati con generosità ma senza la dovuta attenzione?Dicono che l’attenzione sopravviverà al deserto, ma temo che prima si debba attraversarlo

il  secondo   sempre  dalla  stessa  fonte   un altro articolo interessante   di   Rita Guma | 6 luglio 2012

Ho letto in questi mesi centinaia di commenti di lettori agli articoli sul femminicidio e vi ho ritrovato clichè che ho spesso contrastato, dato che da oltre dieci anni mi occupo di diritti umani (di donne e uomini, etero, trans e gay indistintamente). Vorrei quindi fare chiarezza sui pregiudizi che a mio avviso animano molte persone in tema di violenza sulle donne, perché le violazioni dei diritti umani sono spesso questione di disinformazione e incomprensione.
Il termine femminicidio (o femmicidio) è ricorrente da anni a livello internazionale per descrivere fenomeni di violenza che interessano molti paesi latini – emblematici i casi del Messico (Ciudad Juarez), della Colombia, della Spagna – e anche altri paesi occidentali, sebbene siamo soliti attribuire ai soli paesi arabi e africani ed a ragioni tribali e religiose il triste primato.
Si parla di femminicidio quando la donna viene uccisa in quanto donna. Non sono casi di femminicidio l’operaia morta sul lavoro, la donna morta in un incidente d’auto o la soldatessa uccisa in guerra, a condizione che l’operaia non sia buttata dall’impalcatura dai colleghi maschi infastiditi ad esempio dalle sue assenze per cure parentali, il frontale non sia causato dall’ex della donna per vendetta e la soldatessa sia vittima di un proiettile in battaglia o di una bomba lanciata nel mucchio e non sia prima stuprata come arma di guerra.
Affermazione ricorrente è “se l’è cercata”, indicando in un comportamento ritenuto “libero” della donna la licenza per il maschio di fare quello che vuole: stuprarla – magari in branco – o ammazzarla di botte. Questo è un atteggiamento maschilista e portatore di cultura della violenza. Purtroppo è un atteggiamento duro a morire, anche perché apparso persino in qualche sentenza.
Affermazione differente, e che va meglio analizzata, è che alcune donne cercano l’uomo violentoovvero vedono benissimo che lo è e ci si mettono insieme lo stesso. Dietro tale convinzione ritengo si annidi una delusione: molti degli autori di tali considerazioni sono infatti uomini miti e colmi di attenzione verso le donne, ma nella loro vita sono stati spesso accantonati dalle ragazze che essi corteggiavano e che hanno preferito un tipo più aggressivo (che non vuol dire necessariamente violento).
Tuttavia faccio notare che la vera brutalità quasi mai si esterna nel periodo dei primi appuntamenti o del fidanzamento (in cui non emergono nemmeno altri difetti, come l’essere pantofolaio o anteporre il lavoro alla famiglia) perché le difficoltà quotidiane sono minime, lei sogna e lui cerca di dare il meglio di sé, mentre qualche accenno possessivo viene vissuto come un segno di passione. I difetti più o meno gravi emergono col tempo, quando finiscono la poesia e l’ansia della conquista, arrivano le responsabilità dei figli e le bollette da pagare, o si perde il lavoro. Allora ciascuno perde i freni inibitori ed esaspera o rivela la propria parte migliore o peggiore, come spesso avviene anche per i malati gravi. Perciò non è accettabile addossare alla donna la responsabilità di una scelta d’amore da pagare fino alle estreme conseguenze.
Va considerato anche che oggigiorno ci sono tanti uomini esasperati perché magari estromessi dalla vita dei figli con una separazione o un divorzio anche se colpevoli solo nei confronti della moglie, per adulterio o trascuratezza per via del lavoro o addirittura incolpevoli. Anche se molte violenze fisiche o psicologiche sono reali, non è insolito che, dopo la rottura, un uomo venga accusato infondatamente di violenze di ogni tipo (così come non mancano le false accuse di stalking) per evitare che gli siano affidati i figli o che il magistrato disponga l’affido condiviso.
Un adultero o un uomo che dopo anni non sopporta più la moglie non deve pagare perdendo i figli, specularmente a quanto avviene per una donna (e i figli non devono pagare l’astio fra i propri genitori perdendo di fatto uno di essi). Difficile che un uomo con una esperienza devastante come la perdita di un figlio per una ripicca sia comprensivo nei confronti delle donne, che vedrà come delle privilegiate dallo Stato quando gratificate con l’affidamento della prole e dalla società quando considerate sempre sicuramente vittime.
Questo non giustifica assolutamente la violenza contro le donne, ma può spiegare l’atteggiamento critico e persino duro di alcuni uomini di fronte agli articoli di commento sul femminicidio e la difficoltà di costituire un fronte unito contro la violenza alle donne.




Le scelte per avviare un'impresa nella crisi


Le scelte per avviare un'impresa nella crisi
di Marco Liera (*) - 26/05/2013
La grave crisi occupazionale spinge non pochi italiani a valutare l’alternativa imprenditoriale. In contemporanea all’ondata dei fallimenti (oltre 6mila da inizio anno)  quotidianamente aggiornati dal Sole-24 Ore, nel primo trimestre 2013 il saldo tra iscrizioni e chiusure di società di capitali è stato positivo e pari a 8.793 unità (fonte: Unioncamere). Insolvenze e cessazioni colpiscono soprattutto le ditte individuali e le società di persone. Il totale delle società di capitali attive a fine marzo è aumentato a quota 1,417 milioni.  Dal punto di vista macro, sembra di assistere a una schumpeteriana distruzione creativa, i cui eventuali effetti positivi tuttavia sono ancora da vedere. E a livello micro?La mancanza di opportunità più o meno interessanti di lavoro dipendente o quasi-dipendente non è di per sé una premessa sbagliata per l’avvio di una impresa. Le difficoltà possono far sprigionare energie innovative che in una situazione di maggior benessere forse resterebbero compresse in un angolo di qualche grandecorporation. La bassa disponibilità di credito bancario o altre fonti di finanziamento è certamente un potente freno oggettivo al “grande passo”.  Ma non sottovaluterei neppure i rischi della mancanza di una formazione organica destinata ai nuovi imprenditori. Quanta attenzione viene riservata dalle facoltà di economia all’imprenditorialità? Si possono avere grandi idee e possedere la capacità di fornire ottimi servizi e prodotti (capitalizzando magari il know-how lavorativo pregresso), ma senza adeguate conoscenze finanziarie e gestionali le probabilità di successo o di semplice sopravvivenza – già non molto invitanti - si riducono sensibilmente. Rielaborando i dati di un rapporto del Cerved Group del febbraio 2011 sulla mortalità delle imprese italiane, a cinque anni dall’apertura il 34% delle start-up è già in default. A questo dato vanno poi aggiunte le liquidazioni. Negli Stati Uniti la probabilità di sopravvivenza di una nuova impresa è storicamente inferiore al 50% al quinto anno.La destinazione di parte dei risparmi familiari (laddove disponibili) alla start-up (sotto forma di equity o di finanziamento soci) è una strada pressochè obbligata per chi non riesce ad accedere ad altre risorse. Questa strategia è solo apparentemente meno rischiosa per il socio fondatore di una Spa o di una Srl, perché riduce la “riserva di sicurezza” per il mantenimento della famiglia. Una riserva che andrà investita tassativamente in attività finanziarie a minor rischio atteso (depositi bancari, risparmio postale, titoli di Stato a breve termine). Gli impegni finanziari legati alla famiglia condizionano seriamente la possibilità di avviare una nuova impresa.Uno studio Bankitalia appena pubblicato (“Le microimprese in Italia: una prima analisi delle condizioni economiche e finanziarie”) alza il velo sulla gestione delle 420mila società di capitali con meno di 10 addetti, che generano il 33% del valore aggiunto della nostra economia, circa 14 punti percentuali in più della media europea. Si tratta di aziende che hanno registrato tra il 2002 e il 2010 un tasso medio di crescita del fatturato annuo (11,7%) di oltre 7 punti superiore a tutte le altre. Le microimprese con meno di quattro anni di vita in particolare sono mediamente cresciute del 46,3%annuo, ovviamente con una dispersione elevatissima e con una forte variabilità dei volumi di affari nel corso del tempo. La redditività operativa è superiore a quella delle altre imprese, pare per “ una minore incidenza dei costi piuttosto che a un maggiore livello di ricavi”. Una delle chiavi del successo di una startup è proprio quello di tenere bassi i costi. E non indebitarsi troppo. Solo una microimpresa su cinque non ha debiti verso le banche, e vanta una crescita del fatturato superiore a quella delle imprese indebitate.
(*) Pubblicato sul Sole-24 Ore del 26 maggio 2013

i miei sogni ed i miei dubbi

quello che  non so   dire  o scrivere lo esprimo in musica  o  con parole d'altri  




Infatti  : <> ( Kahlil Gibran )  questa frase  può essere rapressentata  da  due canzoni  la prima  
 

la seconda  



lo  che molti mi diranno  che sono  un sognatore  \  un uomo pieno di  dubbi . Ma  chi lo dice  che  i dubbi  non sono costruttivi e  ti permettono d'andare  avanti  ?  a  volte  servono  e  t'aiutano  .
Infatti << Ogni volta che hai dei dubbi, o quando il tuo io ti sovrasta, fai questa prova.Richiama alla memoria la faccia dell'essere umano più debole che hai visto, e domandati se il passo che hai in mente di fare sia di qualche utilità per lui.Ne otterrai qualcosa? Gli restituirà il controllo sulla sua vita e sul suo destino?In altre parole, condurrà alla libertà milioni di persone affamate nel corpo e nello spirito?
Allora tu vedrai i tuoi dubbi e il tuo io dissolversi. >> ( testamento di Gandhi ) .





La compagna



Hanno già scritto e detto tanto su di lei, ma io Franca Rame voglio ricordarla innanzi tutto con questa fotografia: giovane, sexyssima, d'una sensualità schietta e aperta. Bionda e solare. Giustamente esibita, perché non era una colpa, men che meno un peccato, come pure qualche miserabile le ha rinfacciato in questi giorni. Era una donna a tutto tondo, nelle sue infinite declinazioni. Ma era, soprattutto, una compagna. Cum-panis, cioè colei che divideva volentieri il pane con chiunque le sembrasse averne bisogno. A partire dal compagno per eccellenza, quel Dario Fo che lei stessa corteggiò per prima, dopo le prove in teatro. Lui si vergognava ad accettare l'invito: "Non ho un soldo". Ma lei: "Mi fa piacere, adoro nutrire randagi, gatti abbandonati e disoccupati affamati".
Non era un vezzo aristocratico, il suo. Lo sappiamo bene. Franca Rame ha fatto della sua arte una battaglia, una coralità. A fianco di mille lotte, in mezzo ai disoccupati, ai cassintegrati, agli operai, a favore della pace e del disarmo (si dimise da senatrice dell'Idv nel 2008 in polemica contro il rifinanziamento delle missioni militari). E delle donne, naturalmente. Sempre, e pagando in prima persona.
E va bene. Lo stupro. Basterebbe questo monologo a rendere immortale Franca. Lo scempio, dell'anima prima che del corpo, da lei subito nel 1973 per mano di fascisti con la complicità di carabinieri collusi, ha racchiuso in sé tutta la mostruosità di un odio inveterato, primordiale, per il genere femminile da parte del maschio selvaggio e ferito. Ferito nel suo frainteso senso dell'onore e del potere. Era più che ucciderla, lo stupro. Era una relegazione al silenzio, all'accartocciamento su sé stessa. Non avrebbe dovuto più parlare. Tornare mera forma, senza sostanza. Rendersi invisibile con la sua presenza disarmata e dolente. E invece no. Franca ne uscì con la parola vomitata, urlata e susurrata. Ne uscì da compagna, cioè davanti al suo pubblico. Con un titolo che non lasciava alcuno spazio all'immaginazione. Lo stupro era solo quello. Nient'altro. La sua psicoanalisi fu la platea, la coralità. Ancora una volta. Insieme. Cum-panis. In questo caso il pane del dolore, l'offerta del dolore. Sacrificio, sì, se per sacrificio s'intende non un'immolazione volontaria in nome di qualche divinità crudele, ma racconto del proprio travaglio. Il sacrificio di Franca è stato testimoniare la sopravvivenza, la strada da proseguire "oltre" e "dopo", non lo scatto finale di una vita. Franca ha saputo superarsi. Ha attraversato l'annullamento e ha vinto, ancor più bella e forte di prima.
Compagna politicamente, senza dubbio. Una storia a sinistra, si direbbe, volendo essere un po' volgari. Una scelta orgogliosamente di parte, la sua, e anche, talora, orgogliosamente sbagliata - frequentazioni, personaggi -. Ma, del resto, anche una scelta inclusiva e universale, volendo Franca comprendere tutti quegli emarginati, abbandonati ecc. cui alludeva durante il suo primo incontro con Dario.
Ma ecco, appunto, di là da tutti i meriti artistici, da quell'impasto d'arte e vita di cui lei fu probabilmente l'ultima interprete, è proprio il suo essere moglie che, forse, è stato poco sottolineato. Comprensibile, da un verso, per tutte le ambiguità che comporta. La donna come eterna seconda, la donna che trova significato solo nel e col marito. Ma noi affronteremo questo rischio, perché Franca la vedevamo originaria: compagna, anche in questo. La compagna dell'uomo nel giardino dell'Eden, non seconda, ma "a fianco" (letteralmente: "quella che sta di fronte"). Del tutto logico pertanto che Franca "la laica" concludesse il suo viaggio terreno scrivendo un altro monologo, su Dio, anzi su Eva, anzi su Eva-Dio: "Siamo nel paradiso terrestre. Dio è alle prese con la creazione del primo essere umano. Che non è uomo ma donna. La modella con argilla fine e delicata. Adamo verrà dopo, per tenerle compagnia. Ed Eva, che subito lo adocchia, si esibisce per lui in una danza selvatica...". E ancora: "Dio sicuramente c'è ed è comunista. Ma non è solo comunista, è anche femmina".
Qui il "cum-panis" è diventato l'uomo, in una Creazione rovesciata. Ma solo all'apparenza. Perché nella compagnia, nell'essere di fronte, non esiste gerarchia. Non esiste un primo e un gregario. Tutti siamo pari nella diversità.
Ma la prima compagnia di Franca è stata Dario, e viceversa. E' stata feconda e si è moltiplicata, quella coppia divisa e unita, turbolenta sempre (molti gli abbandoni, tra cui uno ancora una volta dichiarato in pubblico, e i ricongiungimenti). Non è stato un narcisismo a due. La vita di Franca (e di Dario) sarebbe stata una grande vita anche da sola, ma così, a fianco, anzi di fronte a lui, ha generato milioni di figli, una prole immensa, di arte, di esperienza, di battaglie.
Al termine, Franca ha ricordato che Dio è innanzi tutto Altro. Quell'Altro cercato fin dall'inizio, nel povero, nel diverso, nella donna, in una visione dell'umanità senza pregiudizio, razzismo, violenza (in questo senso "Dio è femmina e comunista", cioè a dire comunità). Quell'Altro ritrovato al funerale: rito senza chiesa perché chiesa originaria: che non era tempio ma assemblea, dove si spezzava il pane (cum panis) assieme. La chiesa dei primordi era costituita solo da individui, non da edifici, non da preti, non da simboli. Empirismo eretico? Forse. Franca era senza dubbio un'eretica (eresia=scelta). E, come tutte le eretiche ed eretici veri, interpella, disturba, scuote la nostra ortodossia.
Il Dio di Franca è stato laico, cioè del popolo. E' stato presente quanto meno lo si è invocato, o nominato in quel modo strano, balbettante e fuori sede. E' stato un Dio compagno che la compagna ha cercato con buona, indefessa volontà. Questa ricerca solitaria e all'unisono, questa continua tensione verso qualcosa che resti, è già traguardo.

1.6.13

Riaprire le indagini per Palmina, bruciata viva a 14 anni




da  http://www.sudcritica.it/


Palmina Martinelli era una ragazzina di quattordici anni. Abitava in una cittadina pugliese chiamata Fasano. Il 1981 fu l'anno in cui venne barbaramente uccisa, bruciata viva da chi aveva già deciso di destinarla al mercato della prostituzione. I due criminali responsabili della sua morte erano di casa della famiglia Martinelli e quel giorno in cui Palmina, minuta, viso dolce, si rifiutò per l'ennesima volta di far parte della sordida realtà di soprusi e violenze, che attanagliava la sua famiglia, i due entrarono in casa sua, decisi a darle una dura lezione. Uno, il compagno della sorella, ragazza madre costretta a prostituirsi, l'altro, socio in affari in un giro di prostituzione e droga.
targaUno scenario di degrado, che all'improvviso una cittadina come tante altre, con i suoi notabili e gente perbene, si trovò a dover fronteggiare. E qui che la storia di Palmina colpisce nella crudeltà proprio di quella società che tanto spesso distoglie gli occhi da realtà di violenze e miserie occultate nelle abitazioni, nel quartiere, persino nei piccoli paesi. Palmina, piccola, ultima tra gli ultimi, segnata da un destino infame, desiderava solo una vita normale. Per questo aveva per quel giorno progettato di scappare via con una sua amica che viveva in istituto, scappare forse in Germania dal papà di quell'amica.
Dopo la sua morte, che arrivò per lei a quasi un mese dal giorno in cui fu bruciata viva, la società civile con le sue istituzioni si dispose a definire quel fattaccio nei ripetuti processi. In primo grado e in appello i due imputati presunti assassini furono assolti per insufficienza di prove, in Cassazione poi dichiarati innocenti per insussistenza dei fatti. E nel processo di primo grado le parole di Palmina, testimonianza drammatica resa al medico di rianimazione del Policlinico di Bari Tommaso Fiorecon un fil di voce proveniente da un corpo dove non era distinguibile più nulla e raccolte dal pubblico ministero Nicola Magrone, finirono con l'essere tacciate come infamanti i suoi assassini. In sede processuale fu questa la tesi che i giudici accolsero: Palmina si sarebbe suicidata, addirittura dandosi fuoco da sola, ma in punto di morte avrebbe voluto calunniare quei ragazzi. In definitiva, dopo essere risalita tra dolori atroci dal suo stato di coma farmacologico, Palmina, aveva voluto infangare quegli individui. Con quella sentenza la società civile mostrò il suo volto più violento, sprezzante della morte, fino al disconoscimento della pietà verso coloro che nulla contano, che scarso peso hanno nella scala sociale dei riconoscimenti delle vite umane.gruppetto
Una ragazzina, vittima inerme di una violenza inaudita, fu giudicata in un processo in cui gli imputati erano i suoi carnefici. Da vittima, Palmina divenne colpevole. “Una condanna non detta, non scritta”, come ha detto il magistrato Nicola Magrone. Palmina giudicata e condannata, “Palmina arsa viva come una strega”. E sono sempre le parole di quel pm che in piena solitudine lottò per sottrarre Palmina all'efferato giudizio del consorzio sociale e del suo perbenismo.
Il 23 aprile 2012 a Fasano, il paese da cui Palmina non riuscì più a fuggire, l'intitolazione di una piazzetta a “Palmina Martinelli (1967-1981) giovane vittima di crudele violenza”, alla presenza del magistrato Magrone, del sindaco del paese e di una sorella di Palmina, Mina, è venuta di fatto a negare quella sentenza. Piccolo, tardivo atto di giustizia, che iscrive Palmina in quell'interminabile elenco di vittime, per la gran parte appartenente al genere femminile, della violenza che alligna nelle stesse famiglie, in cui invece la vita dei deboli dovrebbe essere tutelata e difesa. Vite di donne così tante volte lasciate sole, come sola era Palmina a lottare per se stessa, soppresse da una mano maschile con quella violenza che la nostra civile società non riesce ad espellere da sé, che non riesce a riconoscere appieno.Palmina doppiamente relegata tra i perdenti. Due volte oggetto di discriminazione in quanto piccola donna che aveva osato dire di no, coraggioso atto di rifiuto nei confronti di quegli individui  determinati a sfruttare il suo corpo e la sua vita. E per questo vittima più volte: dei suoi carnefici e del mondo in cui viveva e poi della società, che ha voluto rimuovere ed espellere da sé quella realtà miserabile in cui lei aveva avuto la sfortuna di nascere. Vittima di violenza di genere, ragazzina non degna di rispetto e considerazione nemmeno in punto di morte, nemmeno in un processo con i suoi assassini alla sbarra. All'unica testimonianza valida, quella di Palmina, non fu dato credito, non alla sua voce registrata in rianimazione al Policlinico e ascoltata in tribunale solo dietro insistenza del pm, non ai suoi racconti al pronto soccorso ai medici (tra i quali, proprio l’attuale Sindaco di Fasano Lello Di Bari), agli infermieri, ai carabinieri. Neppure la testimonianza del fratello che la trovò in casa avvolta tra le fiamme servì a restituire la verità e fare giustizia. Quell'assoggettamento al potere maschile, che si rivestiva di brutalità nell'angusto mondo di Palmina, trovò altra faccia in un potere istituzionale, che dettò una sentenza semplicemente ingiusta, atto colpevole ammantato di giustizia sociale. Fatto sociale e culturale, dove le istituzioni segnarono il passo di una retrograda e incivile cultura maschilista.Adesso, una targa alla memoria, tentativo di riparazione di un vergognoso torto verso quella ragazzina che fu Palmina, è riconoscimento collettivo, rispetto restituito alla persona e a coloro, gli ultimi, per i quali, soprattutto per loro, il diritto alla giustizia dovrebbe tradursi in realtà.

Nelle foto covella/Sudcritica: Nicola Magrone, Mina Martinelli e Lello Di Bari scoprono la targa; Nicola Magrone tra i ragazzi di Libera, associazione contro tutte le mafie.