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dall'unione sarda del 23\6\2013
Parola di premier (Enrico Letta): basta coi ritardi nei pagamenti alle imprese. D'ora in poi la pubblica amministrazione sarà puntuale. Parola di ex premier (Mario Monti): basta coi ritardi nei pagamenti alle imprese. D'ora in poi la pubblica amministrazione sarà puntuale.Marco Ferrario,
che è un manager ottimista e perfino di sinistra, continua a crederci. E aspetta: anche da un anno aspetta. Nel frattempo la sua azienda si assottiglia, nel senso che ha un'emorragia di posti di lavoro. La pubblica amministrazione, che paga con ritardi stratosferici, l'ha messa in ginocchio. Lui, che non vuol buttarla sul pesante, dice d'essere «per il libero mercato e per un'etica sociale: peccato che ci sia un impoverimento di tutto questo». Sassarese, cinquantasei anni, due figli, Ferrario è amministratore di una srl (Elettronica professionale) che nelle stagioni migliori ha avuto 85 dipendenti. Ora è a quota 33 con qualche problema, visto che non è riuscito a garantire l'ultima busta paga.Per Confindustria, la vicenda di Elettronica professionale è il simbolo dello Stato cattivo pagatore, che annuncia la ripresa, garantisce occupazione a venire ma poi non rimette i debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Nata nel 1976, l'azienda è agli inizi della Statale che da Sassari porta verso l'aeroporto di Fertilia. Si occupa di manutenzione e assistenza tecnologica, lavora soprattutto con gli enti pubblici (fino a ieri, adesso sta tentando una brusca inversione di rotta). Che non pagano o lo fanno con un intollerabile ritardo.Elettronica professionale è nata sull'onda dell'entusiasmo, all'alba delle nuove tecnologie. È una srl (società a responsabilità limitata) che pareva avere il vento in poppa fin da subito. «Agli inizi eravamo tre amici che facevano tutto, massima flessibilità per far partire un'azienda che pareva vivere nel segno della fortuna». Senza farsi venire mal di pancia si è adeguata perfettamente al palcoscenico industriale accettandone tutte le regole: comprese quelle delle assunzioni su segnalazione del padrino di turno. «Quattro o cinque volte abbiamo detto sì e non ce ne siamo pentiti. Zavorre, mai. Anche perché con le dimensioni della nostra attività non potevamo permetterci pesi morti».Cresciuto all'interno di uno stabilimento industriale a Milano (il padre era un dirigente della Sir), Ferrario - che pare un clone giovanile di Luciano Benetton - non ha nessuna voglia di alzare bandiera bianca ma la sua è la storia di un'Italia che affonda.
Quanto vi deve la pubblica amministrazione?
«Due milioni di euro».
Da quanto tempo?
«La media del ritardo nei pagamenti varia fra gli otto e i dodici mesi. Considerate che sto parlando di ritardi a lavoro concluso. Tutto comincia con la nostra proposta (o la richiesta di un servizio da parte del cliente), poi c'è l'apertura di una pratica che deve essere approvata dall'ente con tanto di delibera. L'iter preventivo si conclude con l'affidamento ufficiale dell'incarico».
Facciamo un esempio.
«A gennaio parte la proposta, a marzo riceviamo l'affidamento dell'incarico. Al termine, emettiamo fattura con pagamento a novanta giorni. Che vengono abbondantemente e serenamente ignorati. Diciamo che dall'inizio del lavoro al saldo, mentre noi continuiamo a pagare i dipendenti, passano altri cinque-sei mesi».
I ritardi prevedono il versamento di interessi?
«In teoria, sì, In pratica, mai. Questo avviene regolarmente nonostante noi paghiamo mediamente alle banche 150mila euro l'anno di interessi per le anticipazioni che riceviamo in attesa che le fatture vengano onorate. Morale: non sono le banche a supportare le imprese ma esattamente il contrario».
Definirebbe il sistema bancario un'associazione a delinquere legalizzata?
«Mi viene da ridere e penso a quante querele mi cadrebbero addosso se dicessi che condivido questo concetto. Dunque facciamo che preferisco non rispondere. Comunque, la legge dice che dobbiamo conteggiare gli interessi agli enti che pagano in ritardo».
Non lo fate?
«Certo che lo facciamo. Ma si deve arrivare a transazioni, minacce di azioni legali oppure citazioni in Tribunale. In genere coi piccoli clienti riusciamo a chiudere la trattativa con uno sconto sul totale da pagare. Con i grandi enti, penso alle Asl, il discorso diventa invece più complicato».
Facciamo un esempio?
«Con un'azienda che ci deve cinquecentomila euro siamo dovuti andare in causa. E adesso aspettiamo i tempi della Giustizia».
A chi chiede aiuto quando non vi pagano?
«A chiunque possa darci una mano. Da ottobre dell'anno scorso, cioè da quando sono stato nominato amministratore di Elettronica professionale, ho chiesto appuntamenti ai direttori degli enti con cui vantiamo crediti. Finora non sono riuscito a vederne uno».
Mai andato a parlare faccia a faccia col manager di una Asl?
«Lo farei volentieri se mi ricevesse. Ma fino a questo momento le mie richieste di incontro non hanno avuto risposta».
In otto mesi non è riuscito a farsi ricevere?
«Esatto. E siccome non si può pietire qualcosa che ci è dovuto, abbiamo deciso di abbandonare la strada della mediazione e girare la pratica ad uno studio legale. Ma questo non ci rende contenti».
Perché?
«Perché preferiremmo chiarire le cose, trovare un'intesa anziché ricorrere alla magistratura. Così non si va da nessuna parte».
Entro quanto tempo dovete pagare i fornitori?
«Di solito fra i 30 e i 90 giorni. Però finiamo giocoforza per stressarli. Debbo dire a questo proposito che i nostri si sono mostrati tra l'altro pazienti. Capiscono la situazione, capiscono che i ritardi non sono dovuti a cattiva volontà».
Nel frattempo dovete pagare anche gli stipendi ai dipendenti.
«Naturalmente. Per via di quel buco da due milioni, siamo in ritardo di un mese».
Record di velocità?
«Non esistono, salvo rarissime eccezioni. L'università di Sassari, a cui abbiamo erogato un servizio a dicembre 2012, ci ha pagato a marzo 2013. Praticamente dopo i novanta giorni istituzionali».
Sostegno da parte dei lavoratori?
«C'è, sono assolutamente consapevoli della situazione. Operiamo nella massima trasparenza e quindi sono partecipi, sanno in che mare stiamo navigando. Ma questo, per ovvie ragioni, non impedisce che ci sia tensione, nervosismo. Chi ha potuto è scappato in cerca di un altro lavoro. E io, francamente, non me la sento di criticarlo. Anche se le fughe danneggiano la nostra filosofia di squadra».
I sindacati?
«Abbiamo Cgil e Cisl. Sono con noi, dalla nostra parte. Hanno capito che stiamo giocando la stessa partita. Hanno un atteggiamento preciso: a fianco dei lavoratori ma anche a fianco degli imprenditori. Se penso agli anni '70 mi viene da sorridere».
Scontri di un passato remoto.
«Tanto per cominciare gli imprenditori, allora, si chiamavano padroni. Oggi sappiamo che se vogliamo andare avanti dobbiamo operare insieme».
Chi l'avrebbe detto: padroni e operai uniti nella lotta.
«Siamo arrivati a questo».
Ce la farete a reggere?
«Ce la stiamo mettendo tutta. Nel frattempo abbiamo intensificato il rapporto con la clientela privata e migliorato la qualità delle nostre tecnologie. Ma la situazione finanziaria resta tutt'altro che felice».
Però ora potete tranquillizzarvi: il premier ha detto d'avere sbloccato i pagamenti.
«Sì, l'ha detto qualche settimana fa. Anche Mario Monti, predecessore di Enrico Letta, aveva annunciato la stessa cosa. Per il momento, però, non è accaduto nulla. Un cliente di buona volontà ci ha comunicato che sta tentando di capire le nuove disposizioni di legge sui pagamenti».
Il governo ha un'attenuante: vi considera evasori fiscali e quindi qualche risparmio segreto l'avete.
«Elettronica professionale lavora soprattutto con gli enti pubblici. La nostra clientela privata è fatta di aziende come E.on, Saras, Moretti (quelli della birra). Nessuno di loro ti regala un centesimo senza emissione di fattura. Dunque non saprei davvero come ottenere un introito al di fuori dei binari imposti dalla legge. Forse ho un limite di fantasia».
Siete sul serio in angolo?
«Per essere pagate, ditte come la nostra devono dimostrare - certificati alla mano - di versare regolarmente le tasse. Non solo: a suo tempo bisognava anche aggiungere di non avere guai con Equitalia».
Una sorta di certificato antimafia.
«L'unica differenza è che noi dobbiamo dimostrare di essere in regola con contributi e imposte».
La politica ha invaso tutto?
«Noi ci salviamo, tanto è vero che quando chiediamo un appuntamento nemmeno ci rispondono. La politica è presente in quelli che si chiamano clienti finali. E mi spiego: secondo me, certe scelte delle Asl non rispondono a criteri, come dire?, imprenditoriali».
Quanto conta la politica per vincere un appalto?
«Molto. Ce ne siamo resi conto nei tempi precedenti la crisi: i clienti finali hanno cominciato a bandire appalti sempre più consistenti e questo ha attirato l'interesse di grossi gruppi che operano nella penisola».
Risultato?
«Dobbiamo competere con aziende che hanno fatturati infinitamente maggiori del nostro. Dietro di loro c'è la politica? Anche a questa domanda preferisco non rispondere».
Vi hanno chiesto tangenti per accelerare i pagamenti?
«Parecchio tempo fa un mio collega ha ascoltato uno strano discorso. Ma ha finto di non capire. Credo che su questo terreno la Sardegna sia un'isola felice».
Scontri interni fra soci?
«Inevitabile per via della crisi: diciamo che la nostra è un'azienda vivace. Ma diciamo anche che queste discussioni sono sempre rimaste sul binario della civiltà e, alla fin fine, si sono rivelate proficue».
Quali sono i limiti della Sardegna per una crescita imprenditoriale?
«I trasporti, innanzitutto. Siamo riusciti ad avere un aiuto da Ryanair e abbiamo rischiato di perdere tutto perché qualcuno voleva avviare la procedura di infrazione: Alitalia non l'aveva digerita».
Ma come, gli imprenditori non sono per il libero mercato?
«Certo. A patto che il libero mercato non dia fastidio a personaggi molto potenti».
In Sardegna quanti imprenditori e quanti solo prenditori?
«Non sono in grado di fare una valutazione. Il nodo è la crisi della produzione. Abbiamo tentato di far venire imprenditori lombardi: c'era disponibilità da parte loro ma quando si sono accorti che tutt'attorno non avrebbero trovato le figure professionali di cui avevano bisogno, ci hanno detto no grazie, arrivederci».
Torniamo ai saccheggiatori di fondi pubblici.
«Di sicuro diversi finanziamenti pubblici non rispondono a criteri imprenditoriali ma a interessi di politica clientelare. Il resto lo potete immaginare».
Cosa vi serve per riproporre occupazione?, basterebbero pagamenti puntuali?
«Se si allunga la pensione a 67 anni, l'azienda è costretta a mantenere lavoratori stanchi, che pesano economicamente, e non può assumere giovani. Per far ripartire il sistema, occorrerebbero regole certe e procedure snelle».
Nel frattempo la vostra strategia è galleggiare, sopravvivere?
«Al contrario, stiamo reagendo: guardiamo per la prima volta al mercato estero e intanto ci affiniamo tecnologicamente».