29.6.13

maturità speciali: a Cagliari 23enne Rom A Olbia 19enne affetto da sindrome down

leggo sull'unione  sarda  dei giorni  scorsi ( mi pare del  28  giugno  ) 

EDOARDO CAPUANO DAVANTI ALLA COMMISSIONE

  di  Due maturità speciali , concordo con il giornale  , perché  , almeno  da quel che  ho modo div vedere  e sentire  qui in sardegna  ed   da esperienza  diretta  (  la figlia  di una  parente  di mia madre  è down  e mia madre  ha  avuto  dei ragazzi  con problemi   in classe )  di down che  hanno fatto le superiori  ne  ho  , magari ci sono  negli ultimi anni  ,  almeno  finchè ho studiato a scuola  e pi all'università  , mai  visto.
 dall'unione  : << A Olbia è toccato a Edoardo, 19 anni, (  foto sopra  ) affetto da sindrome di down. Ieri ha sostenuto la prova orale al liceo scientifico Mossa. A Cagliari a breve toccherà a una ragazza-madre di etnia rom. >>  Sempre  per  esperienza personale  conoscenti  fra i rom  ,e  dati statistici  generalmente il livello d'istruzione fra  i rom  non arriva  alla scuola dell'obbligo  .
Sono due storie speciali quelle con cui si sono misurati i commissari degli esami di maturità. Hanno in comune grinta, determinazione ed entusiasmo. Il protagonista della prima è Edoardo Capuano, 19 anni. E' nato con un cromosoma di più. Ieri ha raggiunto un obiettivo che non è comune tra i ragazzi come lui. Ha sostenuto la prova orale dell'esame di maturità al liceo scientifico "Mossa" a Olbia. E' già promosso, dice la somma tra le prove già sostenute.
Deve ancora sostenere il colloquio orale, invece, a Cagliari, Elisabetta Sulejmanovic, 23 anni. E' una ragazza-madre. E' la prima giovane Rom a conseguire la maturità in città. "Dovrebbe essere addirittura la prima in Sardegna", dice Gianni Loy, presidente della Fondazione Anna Ruggiu. 
Iniziamo  dalla  prima storia  

OLBIA. La prova ieri allo Scientifico Mossa, ora l'obiettivo è iscriversi all'Università

L'esame speciale di Edoardo

Liceo a pieni voti: oltre il muro della sindrome di down

Ieri mattina ha affrontato la commissione per primo, forte di ottimi voti agli scritti e dei crediti: la sindrome di down non ha fermato Edoardo.

Un cromosoma in più, neppure una chance in meno. Non una scuola tanto per tenere impegnato il tempo, non uno sport fatto per finta, non una notte in discoteca negata. Sandra Varrucciu, mamma di tre figli, ha dettato la linea da subito, da quando il suo primogenito - nato con una sindrome di down - aveva pochi mesi. E ieri Edoardo Capuano, 19 anni, ha raggiunto un traguardo raro per quelli come lui: ha sostenuto l'esame orale della maturità scientifica al liceo Mossa di Olbia. Una maturità e un programma speciale per un ragazzo con esigenze speciali: Edoardo, in base ai crediti e agli scritti è già promosso e ci sono le basi perché il suo sia uno dei voti più brillanti di quest'anno.
LA STORIA Dietro questa storia c'è una famiglia speciale. Sandra, suo marito Clemente Capuano, Edoardo, l'inseparabile fratello Riccardo, un anno più piccolo, giovane promessa dell'Olbia calcio e Simone, il piccolo di casa. Tutti al liceo, ieri mattina, a sostenere Edo . «Non ho mai avuto problemi con il bambino, - racconta la mamma - solo con le strutture, con la gente. Con quelli che pensano che sei esagerata ad avere certi obiettivi. Io non ho mai visto Edoardo come un diversamente abile, non l'ho mai trattato come tale. Ho preteso che fin dalla scuola materna facesse le stesse cose degli altri. Certo, con i suoi tempi. Non ci si può alzare? Anche lui deve stare seduto, senza trattamenti privilegiati. C'è un lavoretto di manualità e si devono usare le forbici? Anche lui deve farlo. Arriva un po' più tardi degli altri, ma arriva. Una volta, erano alle elementari, hanno chiesto a Riccardo ma tuo fratello è malato? e lui no, non ha la febbre . Per noi è malato chi ha la febbre».
L'ESAME Edoardo era il primo della sua classe, la V C, ieri mattina, ad affrontare la commissione. È arrivato presto, prima delle otto, per stare con i suoi compagni. Poi è entrato, accompagnato dall'insegnante di sostegno Alessandra Bonelli, e dall'incoraggiamento di un'intera scuola. Sullo schermo scorrono le immagini del cortometraggio sui 150 anni dell'Unità, un progetto che ha visto Edoardo tra i protagonisti. È il lancio per parlare di Garibaldi e del Risorgimento. Per la fisica, il tema è l'elettricità, si usa un gioco didattico. «Edoardo ha un piano personalizzato, ciò significa che ha i suoi obiettivi», spiega Alessandra Bonelli: «Ha frequentato la scuola regolarmente, tutti i giorni, dalla prima all'ultima ora, ha studiato gli stessi argomenti dei suoi compagni, ma con un linguaggio semplificato».
VITA QUOTIDIANA «Non ho mai detto ad Edoardo, no, questo tu non lo puoi fare . - racconta Sandra Varrucciu - Ho sempre detto, in tutte le cose, proviamo perchè ce la possiamo fare . Ad iniziare dalla scuola. Lui, fin da bambino aveva scelto il liceo scientifico ed eccoci qua, malgrado le tante perplessità della gente che magari pensa che quelli come lui a scuola debbano stare parcheggiati». Edoardo sa cos'è la sindrome di down. «Il professor Albertini, che lo segue a Roma, raccomanda sempre di spiegare ai bambini questa loro caratteristica perché prima o poi lo leggono negli occhi della gente e subentrano i problemi. Edo è molto agevolato dall'avere un fratello quasi coetaneo, nella stessa scuola. Esce, va in pizzeria, in discoteca, vanno dappertutto insieme. Ora vorrebbe fare l'Università ma non ce la sentiamo di mandarlo da solo in un'altra città. I ragazzi come lui sono troppo fiduciosi e possono correre qualche rischio. Quindi si prenderà un anno sabbatico, continuerà a fare teatro e poi vedrà se iscriversi insieme al fratello. Per lui sogno una vita serena, magari con una compagna».
LA SCUOLA Ottocento ragazzi e mai un gesto sbagliato. La mamma racconta così l'accoglienza del liceo Mossa. «Quando è arrivato Edoardo ero dirigente da appena un anno - racconta Luigi Antolini - e lui era il primo ragazzo con sindrome di down ad affrontare un percorso liceale qui ad Olbia. È stata una bella sfida ma abbiano fortemente creduto che anche un liceo possa e debba essere una scuola di inclusione mantenendo i suoi obiettivi di formazione. È stato possibile grazie a un lavoro di squadra e alla collaborazione con la famiglia. Edoardo ci ha insegnato tanto».
IL FUTURO «Ho voluto raccontare la storia di Edoardo per incoraggiare altre mamme», conclude Sandra Varrucciu: «Ne incontro tante, spaventate, con i bambini piccoli, non sanno che futuro li aspetta. Io dico che non è difficile se pensi di avere a che fare con un bimbo qualsiasi». Perchè in fondo, ogni figlio è una sfida diversa.
Caterina De Roberto

CAGLIARI. Consegnata una borsa di studio a sei brillanti studenti della stessa etnia

Elisabetta, la ragazza Rom si diploma

Elisabetta Sulejmanovic, 23 anni, è una ragazza-madre di etnia Rom che sta per coronare il suo sogno più grande: conseguire il diploma. Il traguardo è vicino, manca solo l'orale, dopodiché sarà la prima diplomata Rom cagliaritana. Una bella soddisfazione. Dal 19 giugno è impegnata nell'esame di stato insieme ad altri seimila studenti del capoluogo. «Dovrebbe essere addirittura la prima in Sardegna», riferisce Gianni Loy, presidente della Fondazione Anna Ruggiu, dal 2001 in prima linea per difendere i Rom dalle discriminazioni e sostenerli nel percorso di studio. Elisabetta ha scelto l'istituto professionale Pertini di via Vesalio, indirizzo Servizi sociali. «Ha frequentato da noi il triennio», riferisce la vicepreside, Lucia Usai, «poi è stata costretta a mollare per motivi personali. Ora sta concludendo da privatista. Le tre prove scritte dovrebbero essere andate bene, credo che sarà promossa». La comunità Rom incrocia le dita. Al Pertini tifano per lei e il 3 luglio, giorno dell'orale, la giovane sarà festeggiata dai compagni. Elisabetta rappresenta l'eccellenza ma non è l'unica Rom che si è distinta negli studi.
ECCELLENZE ROM Ieri l'aula consiliare del Municipio di via Roma ha ospitato la cerimonia di premiazione di altri 6 ragazzi che hanno brillato. Iniziativa della Fondazione Ruggiu culminata, per l'undicesimo anno consecutivo, nel conferimento di borse di studio da mille euro ai più meritevoli. Gli onori di casa sono stati fatti dal presidente del Consiglio comunale, Ninni Depau, affiancato dall'assessore alle Politiche sociali, Susanna Orrù, e dal presidente della fondazione, Gianni Loy.
Significativa la presenza del Garante provinciale per l'infanzia Gian Luigi Ferrero (ex giudice del Tribunale per i minori) e della presidente del Comitato Unicef di Cagliari, Rosella Onnis. In un clima di festa sono stati premiati cinque dei sei alunni (mancava Susanna Halilovic, dell'alberghiero Gramsci di Monserrato). Ecco i nomi: Cristian Milanovic di Porto Torres (iscritto al Nautico, promosso a pieni voti al secondo anno), Sanela Majanovic di Pabillonis (della scuola per ragionieri Michelangelo di Guspini), Merfina Selimovic e Teresa Sulejmanovic (studentesse del Gramsci di Monserrato) e Milena Dragutinovic, le cui lodi sono state tessute dalla docente Rosalba Cocco, vicepreside del Liceo delle scienze umane “Tommaseo” di Cagliari.
IL DIPLOMA E LA MARINA Grande emozione in aula quando la docente del Nautico di Porto Torres, Maria Antonietta Cesaracci, ha raccontato la storia del suo alunno Cristian. «Vive in un appartamento perché la sua famiglia ha scelto di non stare nel campo Rom. Ma tutti i suoi familiari e amici vivono ancora lì. Per lui è un periodo drammatico perché il padre ha un tumore e gli hanno dato pochi mesi di vita». Ma Cristian è coraggioso e tiene duro. Ha due grandi obiettivi nella vita: diplomarsi e compiere diciotto anni per acquisire la cittadinanza italiana. Cosa farà dopo? Si arruolerà in Marina per difendere la bandiera del suo paese, l'Italia. Se non è integrazione questa.
Paolo Loche

28.6.13

Una neurologa sarda in piazza Taksim "Vi racconto la guerra civile di Istanbul"




Luigi Almiento


Una neurologa sarda in piazza Taksim
"Vi racconto la guerra civile di Istanbul"




Una neurologa sarda, a Istanbul per un congresso internazionale sulla sclerosi multipla, è rimasta coinvolta negli scontri di piazza Taksim. Sull'Unione Sarda  del 26\6\2013 la sua testimonianza.




Grabriella Spinici, 56 anni, medico del Centro sclerosi multipla del Binaghi di Cagliari, originaria di Aggius, patisce le conseguenze degli scontri di Istanbul. E' stata raggiunta da un lacrimogeno mentre si trovava per strada, vicino al suo albergo, a pochi passi da piazza Taksim, epicentro della protesta.
"Io qui mi posso curare - dice, ormai a Cagliari - non credo invece che a quei giovani turchi il governo riconosca gli stessi diritti: chi chiede assistenza in un pronto soccorso è subito identificato dai poliziotti che presidiano gli ospedali, e poi passa guai".

 Gabriella Spinici partecipava a un congresso medico internazionale  «Con i telefonini filmavamo la repressione e i militari ci hanno lanciato un lacrimogeno». Lunghe terapie per lesione a una cornea e bronchite.

«Ho visto giovani tranquilli e con le facce pulite che manifestavano in piazza Taksim sorridendo ai turisti, invitandoli ad applaudire con loro per chiedere che Gezi Park, il grande parco di Istanbul, non fosse raso al suolo. Poi ho visto quelle stesse facce contorcersi per la sofferenza, ho visto quei ragazzi vomitare, con gli occhi rossi e il respiro affannoso, dopo che i militari diciottenni, immagino di leva, li avevano bersagliati con i lacrimogeni: giovani contro giovani. Con i telefonini stavamo filmando i soldati, che hanno ricambiato con un lacrimogeno tutto per noi».
Dopo molti giorni la dottoressa Gabriella Spinici, 56 anni, di Aggius, medico del Centro sclerosi multipla all'ospedale “Binaghi” di Cagliari, ha concluso le terapie di antibiotici, fluidificanti, antidolorifici e colliri. La lesione a una cornea, accompagnata da congiuntivite, sembra essere guarita e l'irritazione bronchiale da intossicazione è assai migliorata, però questa intervista richiederebbe uno spazio ben maggiore, se riportasse anche i continui colpi di tosse che l'hanno accompagnata. «Ma io qui mi posso curare, infatti sto molto meglio e presto sarò del tutto guarita. Non credo, invece, che a quei giovani il governo turco riconosca gli stessi diritti: chi chiede assistenza in un pronto soccorso è subito identificato dai poliziotti che presidiano gli ospedali, e poi passa guai».
Ci racconti com'è andata.
«Ero con altri colleghi a Istanbul per un congresso internazionale per neurologi che curano la sclerosi multipla. Avevamo l'albergo vicino a piazza Taksim, il centro degli scontri. Quella dei contestatori era una protesta quasi festosa: applausi, cortei in auto accompagnati dal suono dei clacson. Poi, all'improvviso, sembrava di essere in guerra».
È iniziato il lancio dei lacrimogeni.
«Non solo, perché hanno azionato gli idranti montati sui mezzi blindati. Leggo su siti Internet di tutto il mondo che l'acqua, secondo alcuni, sarebbe stata mista a sostanze urticanti».
Si legge anche che i lacrimogeni non fossero, per così dire, “normali”.
«Posso solo sospettarlo, ma non affermarlo. Quel che posso dire con certezza, invece, è che i lacrimogeni sono sempre e comunque armi chimiche: provocano stati di malattia, per quanto transitori, anche piuttosto gravi. È paradossale: le convenzioni internazionali non consentono l'uso di armi chimiche in guerra, ma è ammesso il loro utilizzo nelle operazioni di ordine pubblico. Il lacrimogeno, in quanto arma chimica, dovrebbe essere vietato, invece lo utilizzano gli Stati. Se vinco la mia ritrosia a parlare pubblicamente della mia esperienza, marginale rispetto a quelle dei manifestanti, è proprio per denunciare questo, oltre che il regime repressivo di Erdogan, che fa ciò che vuole mentre il mondo resta a guardare. Per questo noi neurologi, mentre raggiungevamo a piedi l'hotel in cui si teneva il congresso, abbiamo iniziato a filmare i militari».
È stato allora che un lacrimogeno è stato lanciato contro di voi.
«Esatto: è bastato qualche respiro per subire effetti terribili. Abbiamo cominciato a lacrimare, a tossire. Ricordo che c'era una coppia di anziani turisti degli Stati Uniti: chissà che ne è stato di loro. Quando si è avanti con l'età, la ripresa da uno stato di malattia è più lenta e difficile. L'effetto di quei lacrimogeni lanciati da ragazzini in uniforme, e forse anche quello degli idranti, era micidiale».
Quando i militari entravano in azione, si scatenava il caos.
«La repressione era violenza pura, i manifestanti erano sofferenti e terrorizzati. Ricordo che chi abitava nella zona li accoglieva in casa per dar loro un rifugio. L'ha fatto anche il responsabile dell'albergo in cui alloggiavamo: il risultato è stato un lacrimogeno lanciato nella hall, per pura ritorsione, con tanti saluti a uomini d'affari e turisti. Tutto questo, perché Erdogan ha deciso di islamizzare il Paese e non tollera la minima voce critica. Leggo su Internet di ritorsioni contro chi ha accolto i manifestanti in fuga, e contro i medici che li curano. L'Europa e gli Usa, però, non vanno oltre qualche dichiarazione inutile».
È vero che arrivavano i lacrimogeni anche dagli elicotteri?
«Non ho mai assistito a un lancio dall'alto, però la mia stanza era al nono piano ed ero costretta a tenere chiusa la finestra, altrimenti il gas invadeva il locale. Lo sospetto, questo sì. Dalla Turchia sono tornata piena di rabbia verso il regime, e di sentimento di vicinanza nei confronti dei turchi. Non meritano tutto questo».

27.6.13

anonima sequestri tra passato e presente Pancirolli riabbraccia il taxista che l’aiutò dopo il rilascio L’ex-rapito torna 34 anni dopo sui luoghi del suo sequestro


L'ascolto della canzone  , in particolare le prime note   ( Non bisognerebbe mai ritornare: /perchè calcare i tuoi vecchi passi, /calciare gli stessi sassi, /su strade che ti han visto già a occhi bassi? / Non troverai quell' ombra che eri tu /e non avrai quell' ora in più /che hai dissipato e che ora cerchi; /si scioglierà impossibile il pensiero /a rimestare il falso e il vero /in improbabili universi. [ ...   qui il resto del testo ] della canzone   Non bisognerebbe mai ritornare di Guccini




Mi ha  fatto venire  in mente    questa  storia    dell'anonima sequestri sarda  

Roberto Pancirolli, imprenditore di Monza, è tornato dopo 34 anni a Galtellì, dove fu liberato dall’Anonima sequestri. E qui ha riabbracciato Francesco Solinas, il tassista che lo accompagnò a San Teodoro. Pancirolli fu rapito insieme alla moglie Ornella Fontana nel 1979. La moglie tornò libera qualche giorno dopo. 


di Daniela Scano 

SASSARI Il ritorno non è solo un viaggio nei luoghi del passato. A volte ritornare vuol dire fare un volo a ritroso con l’anima. Il ritorno, quando è una scelta esistenziale, può essere riconciliazione con il ricordo. Roberto Pancirolli racconta il suo ritorno con il tono di voce lieve di un uomo che ha fatto, da tempo, i suoi conti con il passato. Venerdì scorso Roberto Pancirolli, 68 anni, titolare di una società a Monza, è entrato in un bar di Galtellì e si è guardato intorno con curiosità.
Roberto Pancirolli, a destra, Francesco Solinas; a sinistraIn una notte d’estate di 34 anni fa, in quello stesso locale, sentì il profumo inebriante della libertà ritrovata. Poche ore prima, nelle campagne del paese, i sequestratori che il 7 luglio 1979 l’avevano rapito a Cala Girgolu insieme con la moglie Ornella Fontana, lo avevano rivestito alla meglio con abiti puliti e l’avevano rilasciato. La moglie era rimasta nelle mani dei banditi, l’Anonima gallurese, in attesa che il padre di lei, il “re del bullone”, mettesse insieme il miliardo e mezzo di lire concordati per il riscatto. In quel bar di un paesino sconosciuto, oltre alla libertà, Pancirolli aveva trovato un telefono pubblico dal quale aveva contattato i familiari. Il bar Molti spettatori dell’arrivo di quello strano turista non ci sono più. La settimana scorsa altri sguardi curiosi hanno accolto l’uomo arrivato dalla penisola. Mangiando un panino e sorseggiando una birra, Roberto Pancirolli ha scoperto che il ritorno può essere un sentimento condiviso. «Conoscete per caso Francesco Solinas?» ha chiesto agli avventori, con il tono di chi non vorrebbe essere messo a conoscenza di un epilogo. Pochi istanti dopo un uomo anziano è entrato nel bar del paese. Quando il suo sguardo ha incontrato quello dello strano turista, anche lui ha fatto un tuffo nel passato remoto.
 Roberto Pancirolli e la moglie Ornella Fontana
E il ricordo si è sciolto in un abbraccio senza parole. Il noleggiatore Francesco Solinas è il noleggiatore d’auto che la notte del rilascio, facendo finta di non sapere chi fosse il suo cliente, accettò di accompagnare Roberto Pancirolli a San Teodoro, dove lo attendevano i familiari suoi e della moglie. Per quel viaggio il tassista venne chiamato a dare risposte dal “giudice sceriffo” Luigi Lombardini, per niente convinto del fatto che un tassista non sottoponga a interrogatorio il suo passeggero. E quando il giudice Luigi Lombardini metteva la prua contro qualcuno, questa è storia, c’era da stare sicuri che questa persona non avrebbe dormito sonni tranquilli.

E il ricordo si è sciolto in un abbraccio senza parole. Il noleggiatore Francesco Solinas è il noleggiatore d’auto che la notte del rilascio, facendo finta di non sapere chi fosse il suo cliente, accettò di accompagnare Roberto Pancirolli a San Teodoro, dove lo attendevano i familiari suoi e della moglie. Per quel viaggio il tassista venne chiamato a dare risposte dal “giudice sceriffo” Luigi Lombardini, per niente convinto del fatto che un tassista non sottoponga a interrogatorio il suo passeggero. E quando il giudice Luigi Lombardini metteva la prua contro qualcuno, questa è storia, c’era da stare sicuri che questa persona non avrebbe dormito sonni tranquilli. Ma Francesco Solinas era ed è una persona sicura del fatto suo. E soprattutto non aveva niente da nascondere. La ricorrenza Alla vigilia dell’anniversario dei 34 anni dal sequestro, Roberto Pancirolli è tornato per la prima volta in Sardegna. L’industriale, vedovo da 13 anni, è voluto andare con la sua compagna dove il ricordo del rilascio è rimasto: un grumo di sentimenti e di profumi impigliato nei boschi del Montalbo. In quella strada, vista solo di notte e poi nei sopralluoghi con le forze dell’ordine, l’ex sequestrato ha respirato a pieni polmoni. L’aria aveva lo stesso profumo di allora, ma questa volta il cuore era finalmente in pace. È stato forse in quel momento che Pancirolli ha sentito forte il desiderio di parlare con Francesco Solinas. Era come un debito di verità da saldare, visto che in quel viaggio notturno di 34 anni fa i due uomini si erano detti bugie. «Eh già – racconta Pancirolli –, raccontai al mio autista che avevo fatto un guasto con la macchina. E quando lui mi propose di andare a controllare, gli dissi che preferivo essere accompagnato a San Teodoro. Lui accettò senza fare domande, ma credo che avesse capito chi ero». Sì che l’aveva capito, il signor Francesco, anche se rispettò l’anonimato del suo cliente.Forse negli anni, ripensando a quei momenti, Roberto Pancirolli ha anche capito che quel viaggio fu anche un gesto di coraggio di un sardo in una società che pur non essendo complice della criminalità non voleva essere coinvolta. «Abbiamo parlato tanto –racconta oggi l’ex sequestrato –, mi ha invitato a casa sua e ho conosciuto la sua famiglia. Incontrarci dopo tanto tempo ha fatto piacere a entrambi». Nel senso che ha fatto bene a tutti e due. La memoria Francesco Solinas si ricordava perfettamente l’incontro con Roberto Pancirolli e lo scambio dei ricordi è stato utile all’industriale per ricomporre un puzzle rimasto incompleto. Perché quella notte, nell’auto che correva verso San Teodoro, i sentimenti di Pancirolli erano confusi tra il sollievo per il rilascio e la preoccupazione per l’incolumità della moglie. Solinas gli ha ricordato le cose che disse e lo ha riportato indietro nel tempo. Le tappe La sosta a Galtellì è stata una tappa determinante nel viaggio del ritorno cominciato a Chia, dove Roberto Pancirolli e la sua compagna hanno trascorso una breve vacanza. L’unico luogo dove l’uomo non è mai tornato è la villa dei suoceri, a Cala Girgolu, dove venne prelevato insieme alla moglie nella terribile estate del 1979. Una stagione, quella, durante la quale l’Anonima gallurese imperversò e fece soldi a palate. «No, ammetto che non riesco a tornare in quella casa – spiega –. Non riesco a stare tranquillo». C’è da capirlo.«Sono venuto in Sardegna per trovare un caro amico che abita a Cagliari e ne ho approfittato per fare un viaggio – spiega –. I rapporti con la vostra isola sono sempre saldi. Con l’isola ho un legame particolare, anche se fino ad oggi non ero ancora tornato». Racconta, Pancirolli, che durante il sequestro i banditi gli davano da leggere la Nuova Sardegna. «Scoprii così la storia di un malato che attraversava l’isola per sottoporsi a dialisi e altre storie – spiega –. Una volta libero contattai queste persone e me ne occupai. Con qualcuno sono rimasto sempre in contatto, come per esempio con il mio amico di Cagliari». La fiducia Ma il legame con la Sardegna è fatto anche di fiducia se, come racconta, l’industriale ha affidato a un sardo la sua villa in Toscana.La serenità raggiunta gli consente il lusso di non esprimere giudizi sugli uomini che privarono lui e la moglie della libertà. «Fummo fortunati, devo ammetterlo – dice anzi –. I sequestratori ci trattarono bene. Mia moglie soffriva di claustrofobia e loro rispettarono questa paura, prima tenendoci all’aperto e poi in una grotta. Nessuno ci fece del male. Ricordo che avevo centomila lire e, quando mi fecero rivestire, nascosi le banconote dentro una scarpa. Avevo paura che qualcuno mi derubasse e di non poter pagare il taxi fino a San Teodoro». Con una parte di quei soldi si chiuse la transazione tra l’ex sequestrato e il conducente dell’auto a noleggio di Galtellì. Francesco Solinas prese i soldi senza fare domande e venerdì, prima di salutarlo, ha detto a Roberto che sì, quella notte aveva capito chi era. Lo avrebbe riportato a casa gratis, ma per rispetto della sua paura non gli disse niente. 
LA PRIGIONIA  Fu un sequestro lampo: 25 giorni A gestire il riscatto pensò il padre della moglie che giocò al rialzo 
Raffaele Dessolis
 Alla fine del maggio del Duemila, Ornella Pancirolli Fontana, figlia di Walter Fontana, l'industriale monzese noto anche come “il re del bullone”, morì a Milano. Il suo e quello del marito fu uno dei sequestri più veloci dell’Anonima: 25 giorni. E anche uno dei più reddittizi per i delinquenti. Era il 1979, anno horribilis della storia criminale dell'isola: in dodici mesi vennero messi a segno dieci rapimenti, di cui quattro duplici e uno triplice. Due ostaggi non fecero mai ritorno a casa, quattro vittime predestinate riuscirono a sfuggire ai banditi. La maggior parte di questi colpi venne messa a segno d'estate, soprattutto nelle località turistiche della costa orientale. A firmarli era sempre l’Anonima Gallurese. La signora Fontana, che allora aveva 32 anni, venne rapita insieme con
il marito il 7 luglio, mentre rientrava nella villa del padre,a Cala Girgolu. I banditi li portarono in una zona che si presume si trovasse alle falde del Montalbo, non lontano dalla superstrada Nuoro-Siniscola. Walter Fontana non si fece impressionare e non imboccò i canali e le metodologie classiche: forte della sua posizione economica e della esperienza fatta in fabbrica prima di diventare "Il re del bullone", scelse il contatto diretto. Non solo, giocò al rialzo anzichè al ribasso. I sequestratori chiedevano un miliardo di lire, gliene diede uno e mezzo. Per il sequestro furono condannati in via definitiva Raffaele Dessolis  (  foto a destra  )   e Gavino Beccu.


26.6.13

MA BASTA CON IL CASO RUBY \ BUNGA BUNGA LO SAPPIAMO CHE BERLUSCONI E UN PORNODIPENDENTE

la battuta di Elekappa : << mamma chi sono i maniaci sessuali .... >> si èpuò estendere anche ai media tv in particolare a santoro che sta parlando del caso ruby . e che tira  di più  un pelom  di   o  di  ....  che  le proteste  in turchia  o altre  news  importanti  .

Libri abbandonati per strada Il cumulo in via Macomer a Cagliari


La foto è stata pubblicata su Facebook  e ripresa  dall'unione sarda  online  del 26\6\2013 Mostra centinaia di libri accatastati al margine di via Macomer. Una ferita al cuore per i bibliofili. 

24.6.13

quando la vera news è lontano dai media la vittoria dell.l'outsider a sindaco di messina renato accorinti



nessuna novità da Milano . unione sarda lunedì 24 giugno 2013 
Rubygate, i giudici condannano Berlusconi
Sette anni di carcere e interdizione perpetua Il Tribunale di Milano accoglie le tesi della Procura e condanna Silvio Berlusconi a sette anni di carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per concussione e prostituzione minorile.Era ovvio e  scontato  talmente  erano probanti  e palesi le prove  proprio  come il processo che  3 mila  anni fa  Cicerone condusse  contro  Gaio Licinio Verre : (c. 120 a.C. – 43 a.C.) .


La  vera News  è  la vittoria  al Ballottaggio    contro il  candidato  del Pd  anche se  di poco  visto il forte astensionismo  di Renato Accorinti  (    qui chi  è  ) leader  della  locale società civile  e sotto  perchè ne sentiremo ancora parlare

 


cagliari zoo a passeggio

Cagliari  
Sabato notte i clienti dei locali di piazza Yenne e dintorni si sono ritrovati di fronte una ragazza con un pitone albino sulle spalle. Seduto nei tavolini invece c'era un uomo con un furetto al guinzaglio.


Si può prendere un drink con un pitone sulle spalle, nei locali della movida? Il nuovo regolamento per la "tutela e la gestione degli animali" del Comune lo proibisce. E stabilisce pure una multa - dai 25 ai 500 euro - per chi non rispetta il divieto. Eppure questo, sabato notte, non ha impedito a una ragazza di portare in piazza Yenne un pitone albino: un animale più o meno innocuo, ma che il regolamento classifica nel genere “esotico”. E l’articolo 10 della delibera varata lo scorso marzo dalla Giunta Zedda prevede che sia «vietato condurre gli animali esotici potenzialmente pericolosi in luoghi pubblici o aperti al pubblico". Questo tipo di serpente non è velenoso, anche se può mordere e solitamente "uccide le sue prede per costrizione ovvero avvolgendole nelle sue spire e soffocandole per poi ingoiarle per intero a partire dalla testa".
Solitamente mangiano topi. La giovane, nonostante qualcuno si sia lamentato della presenza del pitone - non tutti amano i rettili, anzi: le fobie di questo tipo sono abbastanza diffuse - all’interno dei pub e dei bar, non ha battuto ciglio e ha continuato il giro nei locali della zona, con il pitone (che può costare dai duecento ai mille euro) sulle spalle. Nella stessa piazza, sabato notte c'era anche un furetto al guinzaglio.

23.6.13

Valentina racconta le emozioni del cielo "Dopo l'inferno ho imparato a volare" Valentina P racconta le emozioni del cielo "Dopo l'inferno ho imparato a volare"

ne  avevo  già parlato  in alcuni post  ( li  trovate  tramite la tag  valentina  pitzalis  ) è leggo sull'unione sarda  del 23\6\2013   che  si  sta  rincominciando a vivere





                  VALENTINA PITZALIS DURANTE IL LANCIO COL PARACADUTE


Valentina Pitzalis, di Carbonia, è il volto simbolo della violenza sulle donne, ma anche del riscatto e della speranza. Suo marito ha tentato di ucciderla. Ora lei ha imparato a volare.

di STEFANIA PIREDDA

Il 17 aprile 2011 suo marito, a cui aveva comunicato la volontà ferma della separazione, le si è presentato davanti. L'ha cosparsa di liquido infiammabile, dopo essersene a sua volta riempito. E poi ha acceso il fuoco. Lui è morto tra le fiamme. Valentina è sopravvissuta. Sfigurata nel volto e nel corpo. Ferita nell'anima. Ma dopo l'inferno è rinata. E' diventata simbolo nazionale della lotta contro la violenza sulle donne e alcuni giorni fa ha spiccato il suo primo volo. Accompagnata dal suo istruttore si è lanciata col paracadute. "Volevo volare anche se con un'ala spezzata - racconta - volare e allontanare ancora di più quell'inferno che da due anni e due mesi ha sconvolto la mia vita e quella della mia famiglia".Ho chiuso gli occhi per mezzo instante e mi sono buttata. Ho sentito l'aria fredda sulle guance, ho avvertito il vuoto ma non ho avuto paura. Una volta sono caduta in un abisso senza fondo ed ero terrorizzata ma non sapevo, allora, che avrei trovato tante mani pronte a sorreggermi. Ora le sento, sono migliaia, e niente mi fa più paura. Sono rinata, volo e mi riprendo la mia vita.Quando le hanno proposto di lanciarsi con il paracadute Valentina Pitzalis non ha esitato un solo momento. I suoi occhi si sono illuminati, ha incrociato per un istante quelli dei genitori cercandone l'approvazione e, un minuto dopo, era al telefono con i medici, che da due anni sono la sua ombra, per chiedere di essere aiutata a realizzare questo nuovo incredibile traguardo: «Volevo volare anche se ho un'ala spezzata - racconta con gli occhi capaci di regalare voglia di vivere a chiunque l'ascolti - volare e allontanare ancora di più quell'inferno che da due anni e due mesi ha sconvolto la mia vita e quella della mia famiglia».Vorrebbe non parlare più di quella terribile notte in cui un amore malato ha devastato la sua giovinezza. Di quei terribili momenti in cui il marito, incapace di accettare la separazione decisa da lei dopo che la vita a due si era fatta impossibile, l'aveva attirata con una scusa banale nella sua casa e le aveva gettato addosso del cherosene per poi darle fuoco. Lui a sua volta si era cosparso dello stesso liquido deciso a morire accanto alla “sua” donna. Era il 17 aprile del 2011 quando i soccorritori accorsi per quel terribile rogo in una palazzina popolare di Bacu Abis, frazione di Carbonia, trovarono Valentina in fin di vita in una stanza e il marito Manuel Piredda morto nel corridoio. Avevano entrambi ventisette anni e in quel momento finiva in tragedia la loro vita insieme; finiva quel grande amore che la giovinezza, l'inesperienza e l'incapacità di chiedere aiuto, quando i problemi si erano fatti troppo grandi da gestire, avevano trasformato in qualcosa di malato, ingestibile, mortale.Ricordare oggi quei momenti e il calvario che ne é seguito, quelle terribili ustioni che le hanno fatto perdere una mano e compromesso la funzionalità dell'altra, devastato il viso e buona parte del corpo, fa ancora tanto male. Parlare fa ritornare l'angoscia e quel senso di impotenza che toglie il respiro, ma Valentina sa che il suo dolore può aiutare tante donne a ribellarsi alla violenza fisica e psicologica ed è per questo che accetta di raccontarsi, di farsi accompagnare a convegni, incontri, dibattiti «anche se a volte il viaggio in macchina mi distrugge e mi muovo per tutto il percorso da una parte all'altra del sedile: prendere per sbaglio anche un solo raggio di sole sulla pelle ustionata mi fa un male incredibile. Anche se la mia mente vuole andare avanti, il mio corpo ha bisogno di tanto, tantissimo tempo per ripartire come vorrei».Non ha ancora compiuto trent'anni Valentina e mai, in quella che chiama la sua “vita passata”, avrebbe pensato di poter diventare un simbolo e un punto di riferimento per tante donne: «Ho smesso di ascoltare i tg perché ogni volta che sento una storia che mi ricorda la mia, come quella della ragazzina siciliana recentemente uccisa dal fidanzatino, mi ribolle il sangue. Non riesco ad accettare che la nostra società non riesca a mettere un freno a questo tipo di violenza, non posso concepire che tante denunce o segnalazioni restino inascoltate. Ogni volta è la stessa storia, ogni volta c'è una donna che finisce male e soltanto dopo si dice che aveva tentato di chiedere aiuto. Eppure le persone che le stavano accanto dicono di aver percepito chiari segnali di pericolo. Ma allora perché non intervenire prima? Può sembrare una domanda banale ma non lo è affatto. Esiste una violenza psicologica che arriva molto prima di quella fisica. È fatta di piccole cose, di frasi reputate di poco valore, di gelosie incomprensibili, di offese e piccoli maltrattamenti quotidiani. Io lo ripeto sempre quando parlo di mio marito: nonostante quello che mi ha fatto, ed è un gesto mostruoso dal quale non si torna indietro, non era un mostro. Era un ragazzo fragile, che aveva bisogno d'aiuto e probabilmente anche io visto che non sono riuscita a percepire il pericolo. Ma, e ne sono certa, da questa situazione si può uscire. Servono leggi giuste, servono istituzioni capaci di offrire supporto, serve la certezza della pena: troppe donne non denunciano per paura di provocare maggiormente il proprio aguzzino che poi tornerà subito in circolazione. Troppe donne si ritrovano faccia a faccia con un uomo incattivito e vendicativo e allora, tante volte, non c'è più nulla da fare».Queste parole Valentina le ripete ogni volta che ha qualcuno davanti disposto ad ascoltare e fare tesoro della sua testimonianza. L'ultima volta lo ha fatto a Villanova Monteleone davanti ai ragazzi della Consulta giovanile, qualche settimana prima davanti agli studenti dell'istituto superiore Alessandro Volta di Guspini che, per tutto l'anno scolastico, si sono impegnati a raccogliere fondi per aiutarla: «Sono giovanissimi e il loro entusiasmo mi ha contagiato - racconta - credo sia fondamentale trasmettere il mio messaggio alle giovani generazioni, sono convinta che sentire le mie parole e guardare il mio corpo sia un sistema per fare arrivare forte e chiaro il messaggio».Che stia arrivando lo dimostrano i quasi centomila iscritti alla sua pagina di Facebook Un sorriso per Vale aperta due anni fa non appena Valentina ha riaperto gli occhi in una camera del Centro grandi ustionati di Sassari e ha deciso di voler riprendere in mano la sua vita anche a costo di chiedere aiuto all'Italia intera: «Non tutte le cure di cui ho bisogno sono pagate dal Sistema sanitario nazionale e in ogni caso la mia famiglia, che non dispone di mezzi economici, ha difficoltà anche ad anticipare quanto poi potrà essere rimborsato - sottolinea e la sua voce si intenerisce quando nomina i genitori, la sorella e quanti non hanno smesso un solo istante di starle accanto e darle forza - la ricerca per chi come me ha bisogno di un arto nuovo fa passi da gigante e il mio più grande desiderio è di poterne usufruire. Durante quest'ultimo anno anche l'associazione Doppia difesa , guidata da Michelle Hunziker e Giulia Bongiorno ha preso a cuore la sua causa e sta raccogliendo fondi che serviranno per la protesi al braccio e per la ricostruzione delle orecchie: «Mi commuove tanta generosità che spesso arriva da chi, soprattutto nel Sulcis, vive una crisi terribile». Valentina li ripaga con quel sorriso che ha accompagnato anche la sua ultima avventura resa possibile, a Reggio Emilia, dai paracadutisti della Protezione civile Lombardia: «Mi sono lanciata da 4.500 metri d'altezza - conclude - è stato incredibile, in quel momento ho realizzato che la mia vita sta davvero ripartendo».

Guerra agli enti che non pagano, padroni e operai uniti nella lotta



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dall'unione sarda del 23\6\2013



di GIORGIO PISANO  ( pisano@unionesarda.it  )
Parola di premier (Enrico Letta): basta coi ritardi nei pagamenti alle imprese. D'ora in poi la pubblica amministrazione sarà puntuale. Parola di ex premier (Mario Monti): basta coi ritardi nei pagamenti alle imprese. D'ora in poi la pubblica amministrazione sarà puntuale.Marco Ferrario,
da http://www.pianetaebook.com/2011/07/
che è un manager ottimista e perfino di sinistra, continua a crederci. E aspetta: anche da un anno aspetta. Nel frattempo la sua azienda si assottiglia, nel senso che ha un'emorragia di posti di lavoro. La pubblica amministrazione, che paga con ritardi stratosferici, l'ha messa in ginocchio. Lui, che non vuol buttarla sul pesante, dice d'essere «per il libero mercato e per un'etica sociale: peccato che ci sia un impoverimento di tutto questo». Sassarese, cinquantasei anni, due figli, Ferrario è amministratore di una srl (Elettronica professionale) che nelle stagioni migliori ha avuto 85 dipendenti. Ora è a quota 33 con qualche problema, visto che non è riuscito a garantire l'ultima busta paga.Per Confindustria, la vicenda di Elettronica professionale è il simbolo dello Stato cattivo pagatore, che annuncia la ripresa, garantisce occupazione a venire ma poi non rimette i debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Nata nel 1976, l'azienda è agli inizi della Statale che da Sassari porta verso l'aeroporto di Fertilia. Si occupa di manutenzione e assistenza tecnologica, lavora soprattutto con gli enti pubblici (fino a ieri, adesso sta tentando una brusca inversione di rotta). Che non pagano o lo fanno con un intollerabile ritardo.Elettronica professionale è nata sull'onda dell'entusiasmo, all'alba delle nuove tecnologie. È una srl (società a responsabilità limitata) che pareva avere il vento in poppa fin da subito. «Agli inizi eravamo tre amici che facevano tutto, massima flessibilità per far partire un'azienda che pareva vivere nel segno della fortuna». Senza farsi venire mal di pancia si è adeguata perfettamente al palcoscenico industriale accettandone tutte le regole: comprese quelle delle assunzioni su segnalazione del padrino di turno. «Quattro o cinque volte abbiamo detto sì e non ce ne siamo pentiti. Zavorre, mai. Anche perché con le dimensioni della nostra attività non potevamo permetterci pesi morti».Cresciuto all'interno di uno stabilimento industriale a Milano (il padre era un dirigente della Sir), Ferrario - che pare un clone giovanile di Luciano Benetton - non ha nessuna voglia di alzare bandiera bianca ma la sua è la storia di un'Italia che affonda.
Quanto vi deve la pubblica amministrazione?
«Due milioni di euro».
Da quanto tempo?
«La media del ritardo nei pagamenti varia fra gli otto e i dodici mesi. Considerate che sto parlando di ritardi a lavoro concluso. Tutto comincia con la nostra proposta (o la richiesta di un servizio da parte del cliente), poi c'è l'apertura di una pratica che deve essere approvata dall'ente con tanto di delibera. L'iter preventivo si conclude con l'affidamento ufficiale dell'incarico».
Facciamo un esempio.
«A gennaio parte la proposta, a marzo riceviamo l'affidamento dell'incarico. Al termine, emettiamo fattura con pagamento a novanta giorni. Che vengono abbondantemente e serenamente ignorati. Diciamo che dall'inizio del lavoro al saldo, mentre noi continuiamo a pagare i dipendenti, passano altri cinque-sei mesi».
I ritardi prevedono il versamento di interessi?
«In teoria, sì, In pratica, mai. Questo avviene regolarmente nonostante noi paghiamo mediamente alle banche 150mila euro l'anno di interessi per le anticipazioni che riceviamo in attesa che le fatture vengano onorate. Morale: non sono le banche a supportare le imprese ma esattamente il contrario».
Definirebbe il sistema bancario un'associazione a delinquere legalizzata?
«Mi viene da ridere e penso a quante querele mi cadrebbero addosso se dicessi che condivido questo concetto. Dunque facciamo che preferisco non rispondere. Comunque, la legge dice che dobbiamo conteggiare gli interessi agli enti che pagano in ritardo».
Non lo fate?
«Certo che lo facciamo. Ma si deve arrivare a transazioni, minacce di azioni legali oppure citazioni in Tribunale. In genere coi piccoli clienti riusciamo a chiudere la trattativa con uno sconto sul totale da pagare. Con i grandi enti, penso alle Asl, il discorso diventa invece più complicato».
Facciamo un esempio?
«Con un'azienda che ci deve cinquecentomila euro siamo dovuti andare in causa. E adesso aspettiamo i tempi della Giustizia».
A chi chiede aiuto quando non vi pagano?
«A chiunque possa darci una mano. Da ottobre dell'anno scorso, cioè da quando sono stato nominato amministratore di Elettronica professionale, ho chiesto appuntamenti ai direttori degli enti con cui vantiamo crediti. Finora non sono riuscito a vederne uno».
Mai andato a parlare faccia a faccia col manager di una Asl?
«Lo farei volentieri se mi ricevesse. Ma fino a questo momento le mie richieste di incontro non hanno avuto risposta».
In otto mesi non è riuscito a farsi ricevere?
«Esatto. E siccome non si può pietire qualcosa che ci è dovuto, abbiamo deciso di abbandonare la strada della mediazione e girare la pratica ad uno studio legale. Ma questo non ci rende contenti».
Perché?
«Perché preferiremmo chiarire le cose, trovare un'intesa anziché ricorrere alla magistratura. Così non si va da nessuna parte».
Entro quanto tempo dovete pagare i fornitori?
«Di solito fra i 30 e i 90 giorni. Però finiamo giocoforza per stressarli. Debbo dire a questo proposito che i nostri si sono mostrati tra l'altro pazienti. Capiscono la situazione, capiscono che i ritardi non sono dovuti a cattiva volontà».
Nel frattempo dovete pagare anche gli stipendi ai dipendenti.
«Naturalmente. Per via di quel buco da due milioni, siamo in ritardo di un mese».
Record di velocità?
«Non esistono, salvo rarissime eccezioni. L'università di Sassari, a cui abbiamo erogato un servizio a dicembre 2012, ci ha pagato a marzo 2013. Praticamente dopo i novanta giorni istituzionali».
Sostegno da parte dei lavoratori?
«C'è, sono assolutamente consapevoli della situazione. Operiamo nella massima trasparenza e quindi sono partecipi, sanno in che mare stiamo navigando. Ma questo, per ovvie ragioni, non impedisce che ci sia tensione, nervosismo. Chi ha potuto è scappato in cerca di un altro lavoro. E io, francamente, non me la sento di criticarlo. Anche se le fughe danneggiano la nostra filosofia di squadra».
I sindacati?
«Abbiamo Cgil e Cisl. Sono con noi, dalla nostra parte. Hanno capito che stiamo giocando la stessa partita. Hanno un atteggiamento preciso: a fianco dei lavoratori ma anche a fianco degli imprenditori. Se penso agli anni '70 mi viene da sorridere».
Scontri di un passato remoto.
«Tanto per cominciare gli imprenditori, allora, si chiamavano padroni. Oggi sappiamo che se vogliamo andare avanti dobbiamo operare insieme».
Chi l'avrebbe detto: padroni e operai uniti nella lotta.
«Siamo arrivati a questo».
Ce la farete a reggere?
«Ce la stiamo mettendo tutta. Nel frattempo abbiamo intensificato il rapporto con la clientela privata e migliorato la qualità delle nostre tecnologie. Ma la situazione finanziaria resta tutt'altro che felice».
Però ora potete tranquillizzarvi: il premier ha detto d'avere sbloccato i pagamenti.
«Sì, l'ha detto qualche settimana fa. Anche Mario Monti, predecessore di Enrico Letta, aveva annunciato la stessa cosa. Per il momento, però, non è accaduto nulla. Un cliente di buona volontà ci ha comunicato che sta tentando di capire le nuove disposizioni di legge sui pagamenti».
Il governo ha un'attenuante: vi considera evasori fiscali e quindi qualche risparmio segreto l'avete.
«Elettronica professionale lavora soprattutto con gli enti pubblici. La nostra clientela privata è fatta di aziende come E.on, Saras, Moretti (quelli della birra). Nessuno di loro ti regala un centesimo senza emissione di fattura. Dunque non saprei davvero come ottenere un introito al di fuori dei binari imposti dalla legge. Forse ho un limite di fantasia».
Siete sul serio in angolo?
«Per essere pagate, ditte come la nostra devono dimostrare - certificati alla mano - di versare regolarmente le tasse. Non solo: a suo tempo bisognava anche aggiungere di non avere guai con Equitalia».
Una sorta di certificato antimafia.
«L'unica differenza è che noi dobbiamo dimostrare di essere in regola con contributi e imposte».
La politica ha invaso tutto?
«Noi ci salviamo, tanto è vero che quando chiediamo un appuntamento nemmeno ci rispondono. La politica è presente in quelli che si chiamano clienti finali. E mi spiego: secondo me, certe scelte delle Asl non rispondono a criteri, come dire?, imprenditoriali».
Quanto conta la politica per vincere un appalto?
«Molto. Ce ne siamo resi conto nei tempi precedenti la crisi: i clienti finali hanno cominciato a bandire appalti sempre più consistenti e questo ha attirato l'interesse di grossi gruppi che operano nella penisola».
Risultato?
«Dobbiamo competere con aziende che hanno fatturati infinitamente maggiori del nostro. Dietro di loro c'è la politica? Anche a questa domanda preferisco non rispondere».
Vi hanno chiesto tangenti per accelerare i pagamenti?
«Parecchio tempo fa un mio collega ha ascoltato uno strano discorso. Ma ha finto di non capire. Credo che su questo terreno la Sardegna sia un'isola felice».
Scontri interni fra soci?
«Inevitabile per via della crisi: diciamo che la nostra è un'azienda vivace. Ma diciamo anche che queste discussioni sono sempre rimaste sul binario della civiltà e, alla fin fine, si sono rivelate proficue».
Quali sono i limiti della Sardegna per una crescita imprenditoriale?
«I trasporti, innanzitutto. Siamo riusciti ad avere un aiuto da Ryanair e abbiamo rischiato di perdere tutto perché qualcuno voleva avviare la procedura di infrazione: Alitalia non l'aveva digerita».
Ma come, gli imprenditori non sono per il libero mercato?
«Certo. A patto che il libero mercato non dia fastidio a personaggi molto potenti».
In Sardegna quanti imprenditori e quanti solo prenditori?
«Non sono in grado di fare una valutazione. Il nodo è la crisi della produzione. Abbiamo tentato di far venire imprenditori lombardi: c'era disponibilità da parte loro ma quando si sono accorti che tutt'attorno non avrebbero trovato le figure professionali di cui avevano bisogno, ci hanno detto no grazie, arrivederci».
Torniamo ai saccheggiatori di fondi pubblici.
«Di sicuro diversi finanziamenti pubblici non rispondono a criteri imprenditoriali ma a interessi di politica clientelare. Il resto lo potete immaginare».
Cosa vi serve per riproporre occupazione?, basterebbero pagamenti puntuali?
«Se si allunga la pensione a 67 anni, l'azienda è costretta a mantenere lavoratori stanchi, che pesano economicamente, e non può assumere giovani. Per far ripartire il sistema, occorrerebbero regole certe e procedure snelle».
Nel frattempo la vostra strategia è galleggiare, sopravvivere?
«Al contrario, stiamo reagendo: guardiamo per la prima volta al mercato estero e intanto ci affiniamo tecnologicamente».

Il parigino che divenne Gristolu di Gavoi

conoscevo già in parte questa storia in quanto  la persona  in questione insegna   francese  ala facoltà di lingue  di Sassari   e ne  avevo sentito parlare in una  trasmissione rai  ( non ricordo se meditteraneo  o pass partout  )




dall'unione sarda  del 23\6\2013
Cambiare nome a qualcuno non è una cosa piccola: significa riconoscere un'essenza della sua personalità che non era compresa nel battesimo originario. Per questo mettere a qualcuno un nomignolo affettuoso o un malevolo soprannome è una confidenza che si possono permettere solo gli amici e i nemici, facce contrapposte della stessa intimità. Questo rapporto con i nomi è un retaggio di antiche civiltà convinte che nei nomi risiedesse l'essenza dell'anima delle persone e che il nome vero dovesse essere svelato agli amici e nascosto agli avversari. Avere due nomi, uno segreto e uno pubblico, era una cosa comune.Oggi di questa sacralità rimane poco, ma Christophe Thibaudeau quel poco sa cos'è. Il suo è un nome difficile da pronunciare per chi francese non è, infatti a Gavoi e a Siniscola, dove vive da trentacinque anni, nessuno lo chiama così: nel cuore dell'isola questo parigino dalla risata sismica è conosciuto semplicemente come Gristolu. La sua vicenda infrange il falso storico della costante resistenziale, quella dell'impenetrabilità culturale barbaricina, e ci racconta che siamo una nazione dall'identità aperta, dove un uomo di Parigi può ricevere il dono nobile di un nuovo battesimo e diventare persino assessore alla Cultura.

fncl a chi non vuole i cani in spiaggia . Al Poetto c'è il cane bagnino Maya aiuta la Guardia Costiera MAYA ACCUCCIATA SOTTO L'OMBRELLONE Previsioni meteo Sardegna comune per comune Guarda l'Agenda Tutto su trasporti e appuntamenti Guida Spiagge La guida alle spiagge della Sardegna La Guardia Costiera quest'anno ha un aiuto in più: il cane bagnino Maya. Il pelo bianco-grigio ne favorisce la mimetizzazione. Se scatta l'emergenza Maya, cane bagnino in forza alla Guardia Costiera, è pronta a tuffarsi in acqua. Acquattata sotto l'ombrellone, quasi un tutt'uno con la sabbia del Poetto, è equipaggiata con un giubbetto capace di favorire le operazioni di soccorso. Il proprietario ha adottato Maya da un canile di Olbia e dopo l'addestramento ha fatto riconoscere le sue abilità con un apposito brevetto.

unione sarda
Al Poetto c'è il cane bagnino Maya aiuta la Guardia CostieraMAYA ACCUCCIATA SOTTO L'OMBRELLONE

La Guardia Costiera quest'anno ha un aiuto in più: il cane bagnino Maya.Il pelo bianco-grigio ne favorisce la mimetizzazione. Se scatta l'emergenza Maya, cane bagnino in forza alla Guardia Costiera, è pronta a tuffarsi in acqua. Acquattata sotto l'ombrellone, quasi un tutt'uno con la sabbia del Poetto, è equipaggiata con un giubbetto capace di favorire le operazioni di soccorso. Il proprietario ha adottato Maya da un canile di Olbia e dopo l'addestramento ha fatto riconoscere le sue abilità con un apposito brevetto.