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10.2.15

Marmilla: insulti contro Bocca di Rosa "Svergognata, lascia stare chi è sposato" Il commento di Celestino Tabasso

ogni tanto tra un'infinità di notizie infauste, di corrotti e corruttori, di evasori fiscali,di truffatori,di ladri,rapinatori,incendiari, vandali,  gossip  vario  ,etc.etc., una divertente,simpatica notizia non guasta.Evidentemente le signore di quel paese hanno più timore di perdere l'osso che della crisi economica,giusto per stare in tema. 
Il twma  non è  una novita  visto  che De Andre' davanti a storie  come questa  che   mi accingo  a riportare   diceva 

....si sa che la gente da buoni consigli sentendosi come gesu' nel tempio
si sa' che la gente da buoni consigli se non puo' piu' dare il cattivo esempio ....
e quelle andarono dal commissario e dissero senza parafrasare quella schifosa ha gia' troppi clienti piu' di un consorzio alimentare.....
Ma     dimostra  come , nonostante i cmbiamenti  epocali  rispetto   a  60  fa  , desta  scandalo  quando  si scopromo gli altarini .


Il corvo veste panni femminili in un paese della Marmilla. Destinataria di una lettera al veleno una donna del paese accusata di sedurre gli uomini sposati del paese. Una riedizione, in salsa sarda, della celebre storia di Bocca di Rosa raccontata da Fabrizio De André nell'omonima canzone.
Una lettera anonima, concentrato di insulti finiti nelle cassette della posta di un paio di centri della Marmilla. Nel mirino una giovane donna, che avrebbe attentato alle virtù degli uomini della zona. Nomi e cognomi, veleno sparso in una comunità che rivive la storia di Bocca di Rosa, la mitica canzone di De André.
Purtroppo   Per conoscere la storia in maniera integrale e i contenuti della lettera  bisogna leggere   l'articolo completo di Giulio Zasso sull'Unione Sarda in edicola.  Medno amle  che  il commento   di  Ceslestino tabasso    è disponibile nella versione free


Ecco i suggerimenti di Celestino Tabasso per disarmare la mano del Corvo del paese della Marmilla.


La storia di una famiglia uccisa con l'arsenico non piacerebbe a nessuno. La storia di un uomo decapitato con uno spadone medievale non ci divertirebbe.
Perché per quanto siano tecniche di omicidio antiche e antiquate, tutti resteremmo impressionati soprattutto dal risultato finale. Cioè la morte.
E allora non è davvero il caso di sprecare nemmeno un sorrisetto per quanto è vintage, per quanto è roba da modernariato questo delitto contro la personalità consumato attraverso una lettera anonima e non, come i tempi suggerirebbero, tramite un social network o attraverso un sito internet. Certo, l'idea di distruggere a mano una reputazione, facendo all'imbrunire il giro delle cassette postali, ha un certo sapore anni Cinquanta. Ma il punto non è questo.
Questo aspetto sarà casomai più utile alle indagini, che difficilmente si indirizzeranno su un nativo digitale, un giovanotto o una giovanotta sotto i 35 anni, di quelli che per decidere come vestirsi controllano un sito di previsioni meteo anziché dare un'occhiata alla finestra e controllare se il cielo promette bene.
Ma da un punto sostanziale tutto questo conta poco, tutto questo è solo dettaglio narrativo. Quindi non scomodiamo De André, non rispolveriamo i cantori della eterna provincia italiana come Piero Chiara o l'ingiustamente dimenticato Gino Pugnetti.
Su questo genere di storie ha già detto tutto - e lo ha fatto una volta per tutte - Agatha Christie, quando delitto dopo delitto ha spiegato che il Male può annidarsi in tutta la sua potenza anche nel più piccolo dei villaggi.
Quella lettera insultante, diffamatoria nel senso più pieno e offensivo, è l'innesco di un rogo, sul quale adesso arde una persona messa lì a bruciare per vendetta, per astio, forse per noia o frustrazione. Ma perché qualcosa o qualcuno bruci non basta il combustibile, serve il comburente. Esattamente come per scaldare un camino non basta la legna, ma occorre anche l'ossigeno che alimenta la fiamma. E il comburente in questo caso è la comunità, il paese, la cittadinanza.
Senza la cassa di risonanza delle chiacchiere da bar, delle telefonate, delle allusioni e degli ammiccamenti la fiamma non divampa e sul rogo nessuno può bruciare. Per questo oggi tutti i compaesani del Corvo sono chiamati a scegliere da che parte stare, sono chiamati - più o meno consapevolmente - a decidere se far scoppiettare e divampare quel rogo o buttarci sopra una secchiata di civile, gelida indifferenza. È difficile resistere alla tentazione del chiacchiericcio, è difficile sottrarsi al gusto pettegolo del "tutta la città ne parla". Eppure questa strada impervia è l'unica che porta lontano dal linciaggio, dal sacrificio umano.
In molti centri della nostra provincia ci sono storie infamanti e stuzzicanti, irresistibili racconti da dopocena che circolano di casa in casa, di generazione in generazione. C'è tanta gente che ne ha ridacchiato e c'è qualcuno che ci ha sofferto molto, ritrovandosi dal giorno alla notte sotto un cono di luce cruda e ingiusta.
Rifiutare questo piacere volgare, ignorare la maldicenza e imporsi di non farle cassa di risonanza è l'unico modo per essere comunità e non provincia.
Chi non ci riuscirà, chi non saprà privarsi di questa voluttà da gossip tribale farà da comburente, sarà ossigeno per il rogo acceso una notte d'inverno da una mano vigliacca. E allora De André potrà tornare utile. Non quello di Bocca di Rosa, che con questa storia non c'entra poi tanto, ma quello della Canzone del Maggio: "Per quanto voi vi crediate assolti / siete per sempre coinvolti".



Quindi Care mogli,compagne  , fidanzate l prendetevela con i vostri mariti ( oltre  che  con voi  stesse  )  se vi cornificano..se non rifiutano le avance  e  vanno a  cercare  altrove quell che non riescono  a trovare nel letto familiare . IL  il problema   , non   solo  questa donna che non fate altro che giudicare in maniera impropria !!!

Home-Restaurant mania: cosa sono, come aprirne uno in casa, dove trovarne

da http://www.eticamente.net

home-restaurant

Gli Home-Restaurant, ristoranti da aprire in casa propria

Aprire un ristorante in casa si può? A quanto pare sì.
In tempi di crisi come questi, dove si da’ spazio alla fantasia per arrotondare i propri guadagni e arrivare a fine mese, ecco che sta prendendo sempre più piede un tipo di attività che conta di diventare un vero e proprio business.
Si chiamano Home-Restaurant e sono dei veri e propri ristoranti che ognuno può aprire in casa propria.
Qualcosa di diverso dai Guerrilla Restaurant, dei “ristoranti-evento” clandestini che generalmente trovano ospitalità in strutture di ripiego e con una durata limitata.
In questo caso, invece, gli Home-Restaurant sono dei ristoranti gestiti in casa dai proprietari e aperti ad amici ed estranei.
Un’occasione unica e imperdibile per tutti quei turisti desiderosi di scoprire dal vivo gusti e abitudini delle città che li ospitano: con gli Home-Restaurant, infatti, la cucina non è semplicemente casareccia, ma “casalinga”.
Ovviamente gli ospiti contribuiscono alla spesa, ma con una soluzione del genere il cliente non solo risparmia in denaro, rispetto ad una comune trattoria, ma ha anche la possibilità di godere di un ottimo clima familiare.

Come aprire un Home-Restaurant, quali regole seguire ed eventuali spese

home-restaurantDa un punto di vista burocratico, se tutto si svolge all’interno delle quattro mura domestiche, non si richiedono grandi spese. E’ infatti possibile svolgere attività lavorativa occasionale, senza partita Iva, fino ad un massimo lordo di 5.000 euro annui, soglia di esenzione dall’obbligo contributivo. E non c’è la necessità di fare una dichiarazione (articolo 1 comma 100 della Legge Finanziaria 2008 n.244, che regola il lavoro domestico).
Sul reddito generato, non superiore ai 30.000 euro annui, è previsto il regime agevolato dei minimi.
Non serve autorizzazione sanitaria, anche se è preferibile munirsi di un attestato sulla sicurezza alimentare.
Insomma, non si tratta di una vera e propria attività commerciale in senso stretto, ma può servire a racimolare dei guadagni che arrotondano i propri stipendi.
Servono dunque un po’ di spazio in casa e la passione per la cucina, la vera protagonista.
Non solo: tra gli “ingredienti” è richiesta anche una buona dose di ospitalità, per far sentire l’ospite a proprio agio e fargli respirare un clima familiare, e per fargli conoscere le curiosità del luogo visitato e, perchè no, dei piatti appena serviti a tavola.
Si tratta di un fenomeno ormai in espansione, ma in Italia e nel resto d’Europa è già affermato da tempo.
Sul web esistono molte piattaforme dedicate all’Home-Restaurant: attraverso social network o siti pre-costituiti si effettua la prenotazione e si contribuisce alla spesa. E il gioco è fatto.

Qualche esempio italiano di Home-Restaurant

home-restaurant-michele-e-danielaROMA. Michele è un giornalista. Daniela è una imprenditrice nel settore turistico. Entrambi sono nati, vissuti e cresciuti a Roma. In comune, oltre a due figli , hanno una grande passione per la cucina. Lui si esalta quando si trova davanti ad un barbeque rovente. Daniela invece è bravissima quando si tratta di preparare i piatti della tradizione italiana e romana.
Amano organizzare cene e pranzi per amici e conoscenti e siccome il loro appartamento ha un ampio terrazzo, una bellissima veranda e un salone molto accogliente hanno deciso di aprire le porte di casa loro a tutti con il sogno di condivere momenti di spensieratezza uniti alla buona cucina. di fatto, organizzato un “HomeRestaurant” ovvero un ristorate dentro casa. L’atmosfera, la cucina, i prezzi e i ritmi sono familiari, lontani anni luce da un ristorante tradizionale.
I turisti apprezzano l’HomeRestaurant di Michele e Daniela perchè si immergono nei ritmi, nelle usanze e nella cultura romana, i romani tornano a trovarli perchè trovano un ambiente familiare, dove tutto è slow e preparato con amore. Tutti trovano due ingredienti di difficile reperibilità: l’amore per le proprie tradizioni e la passione che mettono ai fornelli.
L’Home-Restaurant di Michele e Daniela si trova in Via Messina 31, una traversa di via Nomentana, a 50 metri da Porta Pia. Potete chiamarli al numero 3388526556, inviare un sms al numero 3289551503 o contattarli su Facebook. Disponibile, inoltre, anche un sito web con tutte le informazioni utili.
elle-cuisineCOMO. I padroni di casa, in questo caso, sono Luca ed Elle, due appassionati di cucina. Tra le loro specialità: cucina Thai, dai ravioli ripieni di gamberi al riso fritto, pollo avvolto in foglie di pandan, fish soup, insalata di papaya, melone intagliato e quant’altro.
Tutte le informazioni utili potete trovarle sulla loro pagina Facebook e consultando il loro sito web con le principali pietanze.
MILANO. Melissa e Lele aprono le porte nel proprio Ma’ Hidden Kitcken Supper Club (max 10 persone).
Spesso ai fornelli c’è lo chef Andrea Sposini che organizza per gli ospiti anche market tour e lezioni di cucina.
Il menù cambia di sera in sera e in base a quello anche il contributo richiesto per la spesa in forma di donazione.
Il piatto forte di Melissa (che adora fare la pasta in casa) sono le tagliatelle al cacao con crema di blue cheese e pinoli tostati oppure i ravioli all’ “anormal” con ripieno di melanzane.
Fra i piatti in menù, però, ci sono anche filetto di maiale bardato al vino rosso, spinaci e peperoni al forno, miniburger di trota con asparagi e pomodoro fritto, mousse di fondente al tabacco toscano Kentucky, e quant’altro.
Tutte le informazioni utili potete trovarle sulla loro pagina Facebook e consultando il loro sito web.

Community e piattaforme social legate al mondo degli Home-Restaurant

Esistono poi delle piattaforme volte a promuovere cene, eventi e ristoranti locali. Ve ne segnaliamo qualcuna:
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• Ceneromane: www.ceneromane.com. Per prenotare una serata alternativa fra le mura domestiche della capitale romana.
• Gnammo: gnammo.com. Per scoprire gli Home-Restaurant d’Italia, ma anche ristoranti, eventi, cene, menu a buffet e quant’altr0.
• Home Food: www.homefood.it. Le “Cesarine” d’Italia vi aprono la loro casa, per offrirvi piatti tipici, ingredienti genuini, ospitalità autentica. Potete scegliere tra i percorsi gastronomici in calendario o richiedere la disponibilità in una data a vostra scelta, per gustare il vero cibo tradizionale italiano.
• SoulFood: www.thesoulfood.it. Un progetto multidisciplinare, nato da un’idea di Don Pasta e realizzato insieme a Terreni Fertili, attorno alle dimensioni ambientali, sociali e culturali del cibo.
• New Gusto: newgusto.com. Una piattaforma che si rivolge soprattutto ai turisti per favorire scambi culturali attraverso il cibo.             

Daniela Bella                                                                                      


ecco perchè sul 10 febbraio ci sono polemiche e non c'è ricordo a 360 gradi leggi memoria condivisa


 http://www.leganazionale.it/links.htm
http://digilander.libero.it/lefoibe/indexx.htm


Oggi 10 febbraio , dopo aver parlato nei post precedenti ( a cui rinvio la lettura ) degli eventi storici e dele mie sensazioni    ed emozioni che costituiscono tale giornarta , provo ad affrontare il perchè su tali eventi ci sono ancora polemiche e ferite aperte . Un esempio di come dicevo dal titolo del perchè su tali eventi , come quelli del ' 900 italiano , non c'è memoria condivisa \ ricordo a 360 gradi è questo articolo   (  qui l'articolo completo  )  di Ferruccio Sansa

 [----]
ricordare è difficile quando si è carnefici (come è per l’Olocausto), ma è impegnativo anche se sei dalla parte delle vittime. Forse perché una memoria sincera pretende impegno e responsabilità. Richiede lucidità per capire cosa è successo e quale è stato il
proprio ruolo. E vuole compassione per chi ha sofferto. A lungo istriani e dalmati sono stati dimenticati. Respinti (spesso crudelmente ignorati) da quella sinistra italiana che preferiva sposare la causa di Tito (tacendone i crimini). Spinti nelle braccia di una destra che pur essendo responsabile (con Mussolini) della loro tragedia ha poi tentato di conquistarne il consenso. Insomma, istriani e dalmati sono stati traditi dallo Stato italiano che avevano cercato perdendo la propria terra e talvolta la vita.
Speriamo che quest’anno il ricordo non si risolva in distratte commemorazioni, in polemiche politiche. Che non ci induca a rivendicazioni, ma a un’onesta ricostruzione storica che sottolinei l’orrendo genocidio e la pulizia etnica compiuti dai titini, ma non trascuri i crimini fascisti nei confronti degli slavi.
Ma se si riducesse a questo la giornata di oggi rischierebbe di soffiare sui risentimenti: anch’essi stanno nel cuore, si intrecciano alla memoria. Proviamo, per una volta, a ricordare. Le vittime delle Foibe. Ma anche tutti gli italiani, quelli che persero la loro terra e chi rimase in Istria. E speriamo che il ricordo ci aiuti ad affrontare il futuro. L’Italia che – giustamente – ha avuto cura nel proteggere le minoranze altrui che vivono nel proprio territorio, ricordi finalmente le proprie minoranze all’estero.
Abbiamo lasciato un grande patrimonio in quella terra: di cultura, civiltà, bellezza. Di vita. Chi scrive proviene da una famiglia che nei giorni dell’Esodo arrivò in Italia letteralmente su un barcone. Ed è impossibile descrivere il giorno in cui si è ritrovato in un paese, Dignano (in croato Vodnjan), davanti a una tomba con il proprio nome.
Davanti a un portone che i suoi nonni varcavano ogni mattina. L’ha aperto, e d’un tratto ha scoperto che dal profondo gli risalivano le parole di un dialetto che nemmeno sapeva di aver conservato. Ma soprattutto ha sentito – proprio con il cuore – che la sua vita veniva di lì. Nel senso più profondo, la carne. Il sangue.
E all’improvviso ha ricorda
                                   Il Fatto Quotidiano del Lunedì, 10 Febbraio 2014




Quindi secondo me questa legge non ha , almeno fin ora , aiutato a sanare una ferita ancora aperta : l’eccidio degli italiani nelle foibe e l’esodo di quasi trecentomila persone dall’Istria e dalla Dalmazia .anzi ne ha incrementato le polemiche e le divisioni mai sopite a causa della congiura del silenzio caduta su d'essa a cvausa della guerra fredda Ma non per questo smetterò di ricordare e di scriverci post perchè   <<  anche se  voi  vi credete assolti  siete  per  sempre  coinvolti  >>( mia  parafrasi   di una famosa canzone de  andreiana  )

9.2.15

Fertilia, il rifugio per gli esuli delle foibe In Sardegna per scappare da Tito e dalla tragedia dell'Istria

 per  approffondire

stavolta  ho qualcosa da raccontare   rispetto a quanto dicevo  in : << fine alle ideologie sui morti ( foibe e olocausto ) e ricordiamo come sugerisce il sindaco Riccardo Borgonovo di Concorezzo ( Monza ) >> . Anche  se la   storia    che racconto  è  intrinseca   del solito vittismo  nazionalistico  \  anticomunista  ,  ma   chi se  ne  importa ,  non è  di  quelli estremi     come  spesso avviene  in molte manifestazioni   celebrative  di  tale  giornatae poi   come    non essrlo  davanti    a un nazionalismo   che maltratta  le minoranze etniche  che  abitavano da generazioni quelle terre    che oggi sono il confine  orientale  ?
 E  grazie  a  loro se la trasformazione del territorio paludoso  e  potuto continuare  . Trasformnazione iniziata <<  (....) già verso la fine dell'Ottocento con la bonifica della laguna costiera del Calich grazie all'opera dei detenuti del vicino carcere di Alghero e della colonia penale di Cuguttu. L'opera prosegue nel 1927 con la costruzione del Villaggio Calik su progetto di Pier Luigi Carloni.
Il borgo di Fertilia nasce ufficialmente l'8 marzo 1936 con la posa della prima pietra della chiesa parrocchiale, ad opera dell'Ente Ferrarese di Colonizzazione, istituito dal presidente del Consiglio Benito Mussolini il 7 ottobre 1933 per dare una risposta alla popolazione in eccesso della Provincia di Ferrara e diminuire le tensioni sociali. Dopo i primi arrivi di emigrati ferraresi, lo scoppio della Seconda guerra mondiale paralizzò di fatto l'opera di colonizzazione, tanto che la maggior parte degli edifici rimasero di fatto inutilizzati.>>   (  da  http://it.wikipedia.org/wiki/Fertilia )
<> --- sempre  secondo  Wikipedia --  << saranno gli esuli di Istria e Dalmazia a popolare la borgata, diventando un microcosmo vicino a quello catalano di Alghero.Ereditando la tradizione veneta dei nuovi arrivati, la borgata è stata dedicata a San Marco e ivi campeggia un leone alato suo simbolo, proprio al centro del belvedere. Particolarità della borgata è che tutte le vie e le piazze richiamano luoghi o avvenimenti storici del Veneto e della Venezia Giulia.>>

Ma  basta  parlare io  lascia  che ha  parlarci di loro  sia l'articolo   sotto    riportato

di | 09 Febbraio 2013
da Fertilia
Esuli giuliani all'arrivo in Sardegna.
           Esuli giuliani all'arrivo in Sardegna

                          .
In via Pola, lo storico bar di Edda Sbisà e figlie nel 2013 compie 60 anni. È stato aperto nel 1953 quando, a Fertilia, sei chilometri da Alghero, c’era poco altro. Soprattutto terra, infestata dalla palma nana, una chiesa da finire, la caserma e l’asilo delle suore.
«Delle attività avviate dagli esuli è l’unica ancora aperta», dice a Lettera43.it la figlia, Lorena Calabotta, 52 anni, istriana di Sardegna, nata in un melting pot.
Tra la fine degli Anni 40 e degli Anni 50 arrivarono da Orsera, Rovigno, Fiume e Zara, nomi che si leggono identici nelle targhe di vie e piazzali. Poche valigie con il cognome scritto a tinte scure: Orlich, Bataia, Velcich, Sponza. Con addosso il terrore delle foibe e dei titini, la certezza di aver lasciato per sempre tutto: casa, lavoro, conoscenti, a volte i genitori.
DIFFICILE CONVIVENZA A FERTILIA. In quegli anni nella cittadina di fondazione fascista, ma incompiuta, cercarono un avvenire qualsiasi e la magra consolazione del mare. Prima di loro si erano installate delle famiglie ferraresi cui erano stati affidati poderi per la bonifica, a due passi dagli algheresi, di origine catalana e i sardi. Insieme con altri italiani dalla Corsica, libici dal 1970 in poi e turchi, greci.
Hanno vissuto insieme in una borgata di stile razionalista in cui il lavoro era scarso, o meglio inesistente, per tutti. Una convivenza non scontata e nemmeno sempre facile.
FINANZIAMENTI PER PICCOLE IMPRESE. Ci pensò l’ex Egas, Ente giuliano autonomo di Sardegna (soppresso nel 1978) a gestire i finanziamenti pubblici e destinarli, tra le altre cose, all’avvio di piccole imprese.
La pesca fallì molto presto: l’Adriatico chiuso cui erano abituati era ben diverso dal mare sardo. Attecchirono meglio agricoltura e commercio: dal negozio di alimentari al forno, fino alla locanda della Sbisà.
La signora Edda ora ha quasi 83 anni. Alle pareti le foto ricordo, nell’aria parole di dialetto. «Mia mamma è arrivata in barca, dopo settimane di viaggio. Aveva circa 20 anni. Erano già arrivati nel 1948 e cercavano di andare da una parte all’altra. E poi la seconda, definitiva, nel 1952».
Suo nonno, racconta, era comandante della X Mas, dopo la fuga aveva trovato impiego all’arsenale di Venezia. Ma poi le cose non andarono bene e quindi si ripartì in direzione di Fertilia.
Il sacerdote-pioniere, don Francesco Pervisan, perlustrò per primo la costa sarda e poi girò tutta la penisola, da un campo all’altro, per convincere gli istriani al trasferimento. Alcuni sono approdati dopo aver subito le angherie dei connazionali nei porti.



Istriani disposti a tutto pur di rimanere italiani

La costruzione di Fertilia nel Dopoguerra.
La costruzione di Fertilia nel Dopoguerra.
Con il passare degli anni i racconti sono stati affidati alle seconde generazioni, e spesso c’è ancora quel retrogusto di sdegno e amarezza.
«La vita è qui, le radici lontane. Mia mamma ci ha tramandato tutto: le feste, i dolci. È tornata più volte a Orsera, ma ha pianto e basta. Aveva ancora delle amiche lì, ma si va avanti così: anche con rabbia repressa. Ora forse è difficile da capire, non so quanti oggi farebbero quel che hanno fatto gli istriani. Perdere tutto pur di restare italiani». Un’integrazione diventata tale solo con il passare dei decenni a Fertilia, che ora conta appena 1.700 abitanti.
All’inizio i matrimoni erano soprattutto tra conterranei. Com’è successo anche a Sbisà che ha conosciuto qui il marito, arrivato da Zara: «Il legame per noi è stato sempre forte: rispettiamo tutto ciò che ci hanno insegnato. Persino mio nipote che ha 20 anni e fa il militare, parla in dialetto».
ACCOGLIENZA E DIFFIDENZA. Le frizioni ci sono state, non solo per motivi politici ma anche, semplicemente, per quelli economici. Per via delle agevolazioni su casa e imprese. Nonostante le tante testimonianze di integrazione e la scritta che campeggia sotto la colonna sul lungomare, proprio sotto un leone di San Marco: «Qui nel 1947 la Sardegna accolse fraterna gli esuli dell’Istria di Fiume e delle Dalmazia»».
«L’astio sotterraneo che può capitare di percepire è solo frutto di ignoranza», spiega Calabotta, «ci hanno accusato di aver avuto tutto gratis, di aver riscattato con pochi euro. In realtà mia mamma, per esempio, dopo 60 anni paga ancora l’affitto per il bar». Mentre gli immobili pubblici passati dallo Stato alla Regione nel 2008 ora sono in decadenza, o meglio, del tutto abbandonati.

Il 10 febbraio si celebra il Giorno del ricordo

Come appariva Fertilia nel 1954.

Come appariva Fertilia nel 1954.
Il decano di Fertilia è Dario Manni, che ha più di 90 anni e ricorda tutto nonostante gli acciacchi. Nelle giornate di sole esce in piazza.
Prima di arrivare in Sardegna a 27 anni è stato nei campi profughi in Friuli, Sicilia, Ascoli Piceno e a Latina. Ora è vicepresidente dell’Egis, associazione che punta tutto sulla memoria.
Il presidente è un ragazzo di 30 anni, Daniele Sardu. Nessuna discendenza istriana o giuliana, ma solo sarda, rimarcata dal cognome. Insieme organizzano il Giorno del ricordo, il 10 febbraio, una data storica: nel 1947 fu firmato il trattato di Parigi che assegnò Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia.
«Purtroppo spesso si scivola nella retorica nazionalista e invece noi vogliamo rimarcare la storia delle persone, perché non accada mai più», dice Sardu, «non necessariamente gli esuli erano fascisti, ma solo italiani che volevano restare tali». Eppure la ricorrenza è stata riconosciuta solo dal 2004.
NUOVA VITA DOPO L'ADDIO AI CARI. Tra i nipoti che hanno fatto proprie le storie di 60 anni fa c’è Michele Rosa, 38 anni, architetto: «Io sono ancora il nipote di Pina del forno», racconta, «anche se lei purtroppo non c’è più».
Una vita in giro per l’Europa e la penisola, si definisce «cittadino del mondo, ma anche istriano, sardo, soprattutto italiano». Famiglia metà ferrarese, metà istriana, nato in Sardegna. La nonna, Giuseppina Vladich, è arrivata a Fertilia nel 1952, a 29 anni, con marito e figlia.
«Appena scesa dalla corriera è scoppiata a piangere, attorno c’era il deserto scosso da un fortissimo maestrale cui non era abituata», racconta Rosa, «aveva lasciato i genitori a Pola e i fratelli e le sorelle, 10 in tutto, erano partiti ovunque. Anche in Australia e America».
NASCITA DELLA NUOVA COMUNITÀ. Dopo lo choc iniziale la nonna si ambientò: «Aprirono una panetteria. Sfornavano e vendevano, ma soprattutto regalavano. In quegli anni si divideva quel che c’era. Aveva lasciato una città vera, anche ricca: con cinema, teatri, ristoranti. In quest’angolo di Sardegna c’era solo la possibilità di essere ancora italiani e una comunità che si stava formando».
Una vita all’insegna dei divieti prima della fuga: a un tratto non si poteva più parlare italiano, dire 'ciao' per strada. «Mia mamma», dice il 38enne, «è stata battezzata di nascosto nel 1950 a Pola. Ma non con il suo nome, Maria, bensì Nirvana».
VIA DALL'INCUBO DELLE FOIBE. Di certo una cosa Pina del forno è riuscita a tramandare: il terrore delle foibe, e il riserbo, durato decenni, nel parlare della persecuzione e della pulizia etnica.
«Dire foiba era sconveniente anche negli Anni 90», spiega Rosa, «per scetticismo o semplicemente per non esser compatiti. Una memoria negata per 50 anni soprattutto per convenienza politica. E i numeri veri restano un’incognita». Si stima che negli eccidi delle foibe, inghiottitoi, siano morti almeno in 10 mila e che gli esuli giuliano dalmati siano oltre 250 mila.

8.2.15

«Ministro orango», Cucca: non abbiamo assolto Calderoli Il senatore sardo spiega il no all’autorizzazione a procedere: «Per l'accusa formulata, istigazione all’odio razziale, mancano i presupposti giuridici»

Un bel tentativo d'arrampicarsi sugli spechi  . Va bene   parlare  ala gente  , uscire  dalla torre  d'avorio  , ma parlare   alla pancia  e poi inventarsi  la scusa  non ci sono prove  questo   non è  degno   di un paese   civile . E  testimonia    quanto  dicevo nel post precedente  . Non mi soffermo oltre  , per  evitare di beccarmi  una denuncia per  villipendio  dele istituzioni  e poi io  non ho  come  Caderoli e   compagni di merde   il  culo ..... ehm ......   le spalle  coperte     da  amici  politicanti 

da  la  nuova sardegna online del  8\2\2015




NUORO. «Sia chiaro: nessuno ha assolto Calderoli. La frase è evidentemente offensiva, ma non ci sono gli estremi dell’istigazione all’odio razziale, questo no!». « Una valutazione puramente tecnica, certamente non politica». Il senatore nuorese del Pd Giuseppe Luigi Cucca, avvocato di professione, difende il suo voto dato nella Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari che mercoledì scorso ha dichiarato insindacabile il leghista Roberto Calderoli, vice presidente del Senato. Sotto accusa per la frase shock che pronunciò nel luglio del 2013 nel corso di una festa della Lega a Treviglio: «Amo gli animali, orsi e lupi com’è noto, ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di un orango».
La bufera politica fu immediata, nonostante il bestiario parlamentare sia da sempre infarcito di parole scurrili e oscene. Tanto che la definizione di “Balena bianca” data alla mastodontica Dc è il più pulito dei nomignoli di palazzo. Ne sa qualcosa Giuliano Amato, ribattezzato a più riprese “Il topo”. “Topo Gigio”, del resto, è l’appellativo che il presidente della Regione Sardegna uscente Ugo Cappellacci affibbiò miseramente al suo rivale e successore Francesco Pigliaru. E Renato Brunetta, per tornare in Parlamento, detto “Il nano”, non è forse una vittima dell’infelice vocabolario della politica italiana
La Santanché si autodefinì “Pitonessa” quando tanto si parlava di “Falchi” e “Colombe” e Berlusconi il “Caimano” (detto anche il “Giaguaro”) era sempre vigile e in agguato.
Ma non ci sono soltanto animali nel linguaggio indecente di Roma capitale: c’è anche “Faccia di mortadella” e Romano Prodi sa bene che ad apostrofarlo così era stato “Nano pelato” alias Silvio Berlusconi. Ma il verde Calderoli, evidentemente, è andato oltre ogni limite. Non gli bastavano le uscite omofobe e la maglietta con l’effigie del profeta Maometto, no, quella volta di due anni fa Calderoli era uscito dai binari con gli insulti al ministro per l’Integrazione del Governo Letta, Cécile Kyenge. Tant’è che la Procura della Repubblica di Bergamo ha ravvisato nelle parole di Calderoli l’ipotesi di reato di istigazione all’odio razziale. Per il parlamentare leghista si prospettava, dunque, il giudizio immediato. Salvo essere “salvato” dai suoi colleghi di palazzo Madama, come poi è successo dato che la Giunta delle immunità ha negato l’autorizzazione a procedere.
«La Giunta è un organo paragiurisdizionale e la sua attività è esclusivamente di tipo tecnico, le valutazioni politiche spettano all’aula, che è sovrana» continua Giuseppe Luigi Cucca, classe 1957, nato a Bosa, uno dei ventitré componenti della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari. «È chiaro che se la Kyenge avesse presentato querela indubbiamente avremmo dovuto dare l’autorizzazione» spiega l’avvocato-onorevole sardo. L’ex ministro di origini congolesi, infatti, non solo non aveva presentato querela, ma non si è neanche costituita parte civile. Anzi. La Kyenge aveva persino accettato le scuse subito presentate da Calderoli, che già nell’immediatezza della festa di Treviglio aveva riconosciuto di aver sbagliato, di aver esagerato. Un mazzo di fiori alla Kyenge e «capitolo chiuso», aveva detto l’allora ministra.
Niente affatto: il capitolo è ancora aperto. E la bufera politica è ancora in corso, soprattutto all’interno del Pd. Anche se «non ci sono i presupposti giuridici dell’istigazione all’odio razziale», assicura il senatore nuorese Cucca.

Turismo sessuale, italiani al primo posto: padri di famiglia a caccia di bambini



a chi nega la realtà dicendomi che esagero quando dico che noi italiani siamo maschi allupati visto che ci piace il sesso e la pornografia chiedo come spiegate questo allora ?



 da il messaggero    giovedì 6 giugno 2013 10:49

Turismo sessuale, italiani al primo posto: padri di famiglia a caccia di bambini
di Marida Lombardo Pijola





ROMA - Sono così piccole da non raggiungere in altezza l’anca dei predatori che se le vanno a comprare nei bordelli, e poi le stuprano, e prima trattano il prezzo parlando quasi sempre lingue occidentali, e 80.000 volte all’anno in media la lingua è l’italiano.
Sono così leggere che a prenderle in braccio pesano poco più di un bebè. Sono così truccate che sembrano bimbe a Carnevale. Sono così sottili che, se non fossero coperte di stracci succinti e colorati, indosserebbero le taglie più piccole degli abitini per bimbi occidentali. Le stuprano, tra gli altri, certi italiani che a casa sembrano gente qualunque, gente a posto. Che mai e poi mai potreste riconoscerli dal modo di fare, dalla morfologia.
Figli, mariti, padri, lavoratori. E poi un aereo. E poi in vacanza al Sud del mondo. E poi diventano il demonio. Italiani, tra quelli che ”consumano” di più a Santo Domingo, in Colombia, in Brasile. Italiani, i primi pedofili del Kenya. Attivissimi, nell’olocausto che travolge 15.000 creature, il 30 per cento di tutte le bambine che vivono tra Malindi, Bombasa, Kalifi e Diani. Piccole schiave del sesso per turisti. In vendita a orario continuato, per mano, talvolta, dai loro genitori. In genere hanno tra i 14 e i 12 anni. Ma possono averne anche 9, anche 7, anche 5. Minuscoli bottini per turisti. Burattini di carne da manipolare a piacimento. Foto e filmati da portare a casa come souvenir. Costa quanto una buona cena o un’escursione. Puoi fare anche un pacchetto all inclusive: alloggio, vitto, viaggio, drink, preservativi e ragazze per un tot. Puoi cercare nei forum in Rete le occasioni, ci sono i siti apposta. Puoi scegliere tra ”20 mixt age prostitutes”, dalla prima infanzia in su. Puoi avere anche le vergini, mille euro in più. E poi torni da mamma, dai figli, dalla moglie, in ufficio. E poi bentornato, e quello che è successo chi lo sa?
L’allarme è dell’Ecpat, l’organizzazione che in 70 Paesi del mondo lotta da sempre contro lo sfruttamento sessuale dei bambini: sono sempre di più, i vacanzieri che vanno a caccia di cuccioli umani nei Paesi dove, per non morire di fame, si accetta ogni tortura. Sono un terzo dei tre milioni di turisti sessuali in tutto il mondo. Sempre più giovani, tra i 20 e i 40 anni. Sempre più depravati per scelta, e non per malattia. Solo il 5 per cento di loro, infatti, è un caso patologico. Gli altri, informa l’Ecpat, lo fanno per provare un’emozione nuova, in modo occasionale (60%), oppure abituale (35%).
I MONDIALI DI CALCIO
E il demonio si sta mobilitando in Brasile, per rifornire il mercato, sebbene i bimbi sfruttati siano già 50.000. L’impennata arriverà coi Mondiali di calcio del 2014. «La settimana prossima ci incontreremo a Varsavia -racconta Marco Scarpati, direttore di Ecpat Italia- per pianificare, assieme alle Polizie di tutto il mondo, qualcosa che impedisca una replica, in Brasile, di quanto avvenne in Ucraina nel 2010 e in Sudafrica nel 2012: il racket trasportò bambini da tutti i territori circostanti, per accontentare la richiesta. Purtroppo tutto questo accade sempre, in occasione di eventi sportivi. E i controlli sono spesso labili, insufficienti, inefficaci». Ecco perché domenica, al grido Un altro viaggio è possibile, una marcia ciclistica lungo le strade di 29 città, organizzata dall’Ecpat e dalla Fiab, porterà in giro l’indignazione contro lo sfruttamento sessuale dei bambini. Pedalando, si segnalerà che questa è un’emergenza. Che un milione e duecentomila bimbi sono sfruttati nel sesso, nell’accattonaggio, nei lavori forzati. Stime ufficiali, queste. Quelle ufficiose propongono ben altri conti: solo i piccoli schiavi del sesso sarebbero almeno due milioni. Ognuno di loro frutterebbe 67.200 dollari all’anno. Per il racket, il budget complessivo supererebbe i trenta milioni di dollari all’anno.
E a chi non ha i soldi per il viaggio, basta girare l’angolo: tra i 10 e i 12.000 di quei bambini si trovano in Italia. Migranti. Nomadi. Minori non accompagnati. In vendita a casa nostra, per le nostre strade, o anche su ordinazione. Solo a voler guardare. Solo a voler sapere.

7.2.15

polemiche fra prof che mette 3 come e la frase vergognati e alunno\a che scrive sono tutti morti su un tema sulla prima guerra mondiale

 POTREBBE  INTERESSARE
http://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2015/02/ecco-perche-il-film-torneranno-i-prati.html

Lo so che molti   diranno  <<  che  palle  ma  citi  sempre  facebook  ? >>  .Ma   se    cito sempre  o quasi  facebook  e   i social ,  un motivo  ci sarà ?   Infatti   se   si va  a cercare  facebook ,  in mezzo  a stati    deficenti   \  da bimbiminkia  , ecc  ci sono   anche   delle discussioni interesanti  alla faccia di chi ci vede  solo  fesserie .
Infatti  , la  storia  che vado  a  raccontare  è  un  di queste perle \  casi   di cui  ho  accennato nele righe  precedenti 

dalla pagina  facebook  
  più precisamente qui


Ora   Sia   che l'alunno\a   non avesse studiato l'argomento  o neppure  letto  giornali    \  visto  programmi    tv    su tale argomento  .,  o   che     avesse  voluto fare  lo stupido   oppure  semplicemente    una provocazione  usando  <<  la risposta adeguata alla traccia stupida >> (  Daniel Mapex   )  o mal posta in quanto un evento  cosi  ricco di particolari ed  influenze   sull'intero   novecento  ( vedi   link in cima al post  ) non   si può descrivere brevemente. . Quindi  se  si tratta  di provocazione \  contestazione  dello stuidente   concordo  con quanto dice il secondo commento    , sempre  dallo stesso post    da  cui  ho preo la   foto 

  • Andrea Porfido A pensare che ci sono state persone che hanno sacrificato la propria vita per dare un futuro a questa gentaglia...
  • Sara Sfarzetta perche dire gentalia....il bambino forse non gli interessa quello del passato si proietta sul futuro o è uno sintetico ai suoi occhi fu una tragedia da scrivere sono tutti morti.....bisogna accettare il pensiero che ha espresso e la maestra si deve solo farsi lei un esame di coscienza ...forse se lo merita lei quella valutazione che i ragazzi forse è la sua conseguenza di insegnante ---forse è pesante
Ora   qualunque  sia  l'ipotesi    tale   giudizio   è  immerito   infatti   concordo  , anche  se non completamente   perchè il licenziamento  lo  userei  se nel caso l'insegnante    fosse recidica  e non nuova  a simili  iniziative  , con quanto dice
  • Esteban Eversivo Laquidara Perchè dirgli di vergognarsi non è una risposta da educatrice ma da giudice semmai.
    Hai come educatore la possibilità di spaziare comunicando con l'.alunno. a mio avviso ha dato prova di creatività e coraggio.
    Per me nelle scuole italiane si è troppo imbrigliati a giudicare invece che insegnare

     
L'insegnante Dovrebbe tenere conto , di questo.  Cosi  come   chi 
  • Gianluca Giancarli · Tra gli amici di Rosalba Caria
    ke stronza,si è dimenticata la prof. di regime (comunista) di rilevare che sono stati tutti quanti dei macellai,non solo Hitler!!! brutte zecche schifose
  • Giuseppe Scano
    Gianluca Giancarli se intendi coloro , cioè i politici ( capi di stato e sovrani dell'epoca ) che non fecero niente per evitarla e i comandanti asssini ( vedi le fucilazioni e le decimazioni selvagge come ad esempio quella per non essersi tolto il cappello al loro passaggio o solo per aver proposto un piano alternativo ad azioni inutili ) allora siamo d'accordo . Se intendi quelliche partirono volontari per un ideale ( scelta di cui molti si pentirono con il senno di poi ) o perchè costretti non concordo , qui si offende chi ando' , specie molti che furono mandati al macello .

la vita da e toglie ed è per questo che è un enigma ed è affascinante

due storie di vita e di mesieri che scompaiono.

La prima 
Notizia presa   presa   tramite  Png  che   sfrutta  "  il bug  "   dell'edizione     , ovviamente   a  pagamento  (  da  grtuita  che era  anche se  dopo   prima  le  15  e poi  le  19  di sera  )  giornaliera  dell'unione sarda   del 7\2\2015 ( l'articolo  è quello  al centro  )
Ulteriori dettagli    vengono  , oltre  che da  link   riportati  anche da   questo  articolo   preso  da  http://www.linkoristano.it/ Venerdì, 6 febbraio 2015

Mareggiata a Su Pallosu porta via parte di spiaggia e ultima casa dei pescatori

La casa abbattuta dal mare stanotte a Su Pallosu

La casa abbattuta dal mare stanotte a Su Pallosu – Foto dalla pagina Facebook Su Pallosu
Una forte mareggiata si è abbattuta stanotte a Su Pallosu, facendo crollare l’ultima casa dei pescatori, danneggiando il molo delle imbarcazioni e rubando un altro pezzo di spiaggia.
La furia del mare ha fatto crollare il muro, più esposto e, conseguentemente, il tetto del soggiorno dell’abitazione di Barore Carta. Le stanze più interne, invece, sono rimaste in piedi.
Su pallosu
A sinistra la costa di Su Pallosu nel 1977, a destra la stessa costa nel 2006 – Foto   sempre  dalla pagina Facebook “Su Pallosu”

“Nessun danno a lui”, si legge nella pagina Facebook di Su Pallosu. L’uomo, infatti, sempre secondo quanto riporta la pagina Facebook dedicata alla località marina, avendo sentito qualche scricchiolio al tetto e viste le crepe sui muri, avrebbe preferito dormire altrove.
Dal crollo del tetto della casa sono usciti incolumi anche i quattro gatti del pescatore che la vicina Associazione Culturale Amici di Su Pallosu, aveva provveduto a far sterilizzare nelle scorse settimane.
Dopo la demolizione del villaggio di capanne di Su Pallosu, avvenuto tra gli anni ’80 e ’90, Barore Carta, pescatore professionista era stato unico autorizzato a rimanere nell’edificio, che si era trasformato nella sua abitazione.
Nella marina di San Vero Milis il mare, negli ultimi cinquant’anni, ha inghiottito trenta metri di spiaggia, in un area di 80 metri, tra la zona umida di Sa Marigosa e il centro abitato di Su Pallosu, quasi dimezzando l’arenile. 


La seconda     dalla  pagina fb dell'unione sarda  

Lo so che    pur    sembrare  banale  , ma  in tempi  come  questi  in cui  i ricchi diventano sempre òpiùricchi e i poveri sempre  più poveri ed  i servizi  per   non   toccare  i gruppi  di pressione  (  parassitari    per  lo  più )   , ecco una storia  i cui  « E' più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli   (Mt 19,24) »


Muore con un patrimonio di 10 milioni
Nel testamento lascia tutto in beneficenza


Il generoso gesto di Sergio Borea, imprenditore ligure deceduto alla fine dell'anno scorso.
Ha dato in beneficenza tutto il suo patrimonio. Un'eredità di 10 milioni di euro destinata a enti e persone esterne alla famiglia meritevoli di aiuto. 
E' stato questo l'ultimo gesto di Sergio Borea, imprenditore ligure 84enne morto alla fine
dell'anno scorso. Una generosità che ha fatto subito scalpore, finendo sulle pagine di numerosi giornali. Secondo quanto si è appreso, nel testamento di Borea, che ha preso la sua decisione in accordo con la moglie Elisa Albites (cognata dell'attore Paolo Villaggio), sono previsti lasciti a ragazze che devono finire gli studi, coppie che devono terminare di pagare il mutuo, anziani bisognosi di cure. Ancora, tra i quaranta diversi beneficiari dell'eredità sono inseriti il figlio della sua segretaria, il giardiniere, amici, collaboratori e associazioni di volontariato. E anche il club di volo di cui Borea faceva parte da anni, essendo stato in gioventù campione di aeronautica da turismo.

Unn esempio  più unico che raro. Se ragionassero tutti così...... Bravo .QUESTE ....
.....NOTIZIE "MI ALIRGANT" SU CORU.......:-)).  dovrebbero essere molti che ragionano in questo modo.Uno che ha capito il senso della vita, ecc   questi sono i  commenti   alla notizia 

Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...