3.4.21

la nuova dittatura quella del politicamente corretto

     canzone   in sottofondo     Another Brick In The Wall - Pink Floyd 


 Per     questo mio post      e  risposte   date  ai  commenti     



dopo il precedente una vignetta del libro Rossofuoco di Ardea Editore,nel settembre scorso per una vignetta del libro Rossofuoco di Ardea Editore, destinato alle prime tre classi di scuola primaria. Tra le pagine del testo appariva un bambino che si avvicina a una bambina dalla pelle scura e le chiede: «Sei sporca o sei tutta nera?». Adesso c'è il caso dell'edizione giunti . Ciò pone degli interrogativi . 1) sono leghisti e destra radicale \ extra parlamentare ., 2) si stanno abituando al nuovo corso cioè all'Ur-Fascismo £ sono addormentati e quindi non conoscono la multietnicità delle classi scolastiche 4) lo fanno apposta per farsi pubblicità ( cioè uso la tecnica del marketing \ promozione indiretta cioè basta che se ne parli per poi scusarsi \ fare mea culpa ) e promuovere le loro opere editoriali
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sono stato accusato oltre  che di buonismo   anche di   praticare la  dittatura    del politicamente  corretto  .   Cosa  lontana  da me   perchè   se  è vero che   : <<  le  parole sono importanti >>( cit  cinematografica)  la  cosa non è vera  . In quanto   anche   se  non sempre  ci  riesco   <<  Io al "Buon viso a cattivo gioco" preferisco la faccia di merda che gioca a carte scoperte.>>  ( Francesca  Alleva )
Infatti  

<< Quella del politicamente corretto è una maniera per spingere chiunque ad aver timore di esprimere un giudizio, una opinione diversa, oppure più semplicemente a confermare molto di quello che pure è stabilito dalla natura; basterebbe pensare alla famiglia naturale tra un uomo e una donna. Oltretutto, proprio sul concetto di famiglia nella sinistra  [ e  non solo  aggiunta mia    ]  si evince la più eclatante delle ipocrisie, perché se da una parte si è martellato il cervello della gente sulla discriminazione femminile, sulle quote rosa, sulla giusta e fondamentale importanza della donna, sulla famiglia per la sinistra non è così. Non è così perché se ci si azzarda a dire che la famiglia naturale si basi sulla indispensabilità di un uomo e di una donna in modo ovviamente paritetico, in questo caso la donna passa in secondo piano, perché non si ritiene che sia centrale; insomma, nella famiglia si può anche fare a meno della donna perché non è detto che serva. Ma quello che è insopportabile non è certo il fatto che il libero intelletto possa “pensare” appunto di considerare come famiglia unica e naturale quella tra un uomo e una donna, ma che non si possa dire, guai insomma, perché al solo annuncio da sinistra scatta l’inquisizione per manifesta discriminazione. [...  segue  qui ]>> 
                                       da   http://opinione.it/politica/  del 10\11\2020


 Sono d'accordo   , eccetto  l'ultima riga  ,  perchè  tali   fenomeni si trovano anche  nelle  parole    sia  dirette   che  quelle  edulcorate  \ politicamente  corrette    com  Umberto Brindani  su   Oggi 1 Apr 2021    ( lo cito   interamente    perchè  è difficile  oltre  che     da sintetizzare   \ riassumere  )    

IL POLITICALLYCORRECT? «NON RIUSCIREMO PIÙ A PARLARE SENZACHIEDERE SCUSA A QUALCUNO»

Ve lo ricordate il piccolo Arnold, l’attore della celebre serie tv degli Anni 80? Il suo vero nome era Gary Coleman ed è morto nel 2010 in seguito a un incidente domestico. Non era un bambino: recitava quella parte ma era un adulto affetto da nanismo. Qualcuno, sbrigativamente, avrebbe potuto definirlo un «nano di colore». Be’, oggi non potrebbe più. Secondo le ultime indicazioni della Direzione generale del Parlamento europeo, avrebbe dovuto dire: «Persona con acondroplasia proveniente da un contesto migratorio». Per i burocrati di Bruxelles non va bene neanche la parola «sordo»: si deve dire «persona con disabilità sensoriale» (ma, chissà perché, «sordi» al plurale è lecito). L’espressione «cambio di sesso»? Orrore! La terminologia corretta è «chirurgia affermativa di genere». Non si può più dire «lesbiche» o «gay», ma bensì «persone lesbiche» e «persone gay» (scopri la differenza). Vietato parlare di «adozione gay»: è accettabile solo «adozione successiva». E se per caso a uno viene in mente di definire un individuo «sano, normale, normodotato»? Non si può più: vale soltanto «persona senza disabilità ». L’altro giorno mi ha scritto una lettrice: «Sto leggendo un bel saggio di Richard Ovenden che si intitola Bruciare libri. All’inizio, dove parla dei Sumeri o dei papiri egiziani, l’autore usa continuamente l’espressione “a.e.v.”. Per esempio: “Nel 400 a.e.v.”. Non sono scema, ho capito che si riferisce al 400 avanti Cristo. Mami domando: perché?». Confesso che mi ha colto impreparato, così sono andato su Wikipedia a controllare. E in effetti pare che adesso si debba utilizzare la dizione «a.e.v.» («avanti era volgare») «onde evitare riferimenti a una particolare religione». È ammessa anche l’espressione «a.e.c.», cioè «avanti era comune». Dal che si evince che da oltre 2 mila anni viviamo in un’era volgare o comune (e prima cos’era? Raffinata e singolare?). Poco importa che il riferimento sia sempre la nascita di Gesù: l’ipocrisia del politicamente corretto (anzi, in questo caso del religiosamente corretto) impone che non potendo far scomparire Cristo perlomeno si eviti di citarlo. Intanto Capitan America, la massima espressione del machismo americano, diventa un supereroe gay. La multinazionale Unilever toglie dal commercio lo shampoo con la dicitura «per capelli normali», perché discriminerebbe coloro che i capelli li hanno secchi, grassi, ricci o altro, in ogni caso «non normali». La modella Emily Ratajkowski è sotto accusa sui social perché ha osato postare una foto in cui allatta al seno suo figlio (operazione considerata «inappropriata» in pubblico) e, peccato capitale, lo chiama «beautiful boy». Come si permette di anticipare la scelta di genere? Sarà Sly (il piccolo si chiama così) a decidere se sarà maschio o femmina... In Oregon, Stati Uniti, vogliono «debellare il razzismo in matematica, poiché essa non è oggettiva, e farlo credere è un pensiero tipicamente suprematista, imperialista e razzista». Alcuni degli specialisti incaricati di tradurre le opere di Amanda Gorman, la poetessa diventata famosa il giorno dell’insediamento di Joe Biden, hanno dovuto rinunciare perché «ritenuti troppo bianchi per interpretare le poesie di un’autrice afro americana ».Devo proseguire? Capite che stiamo esagerando? Come dice il pedagogista Franco Nembrini, «tutto oggi è diventato politicamente scorretto: finirà che non riusciremo più neppure a parlare senza chiedere scusa a qualcuno». Quasi trent’anni fa Robert Hughes scrisse il saggio La cultura del piagnisteo, e pochi anni dopo uscì il mitico La versione di Barney di Mordecai Richler: due capisaldi della ribellione al politicamente corretto. Eppure, soprattutto negli ultimi tempi, è diventato chiaro che la battaglia è persa. Bisogna stare attentissimi a quello che si dice e come lo si dice, le parole vanno pesate e ripulite, il rischio di offendere una minoranza è sempre in agguato, anche se ormai il pericolo più concreto è quello di offendere la maggioranza. L’altra sera guardavo su Sky un bellissimo documentario su Quentin Tarantino ( The first eight), un regista che non è mai andato per il sottile trattando di neri, ebrei o qualsiasi altra categoria umana “sensibile”. Anche su di lui ci sono state polemiche. Ma ho capito una cosa: il razzismo, l’intolleranza, il fanatismo e la faziosità non sono nelle parole, ma negli occhi di chi le pronuncia.


  Sia chiaro, questi  sono   solo uno degli infiniti esempi del politicamente corretto che va adottato, pena il patibolo mediatico e l’accusa di reato, perché la dittatura di questo paradigma oramai si è estesa a tutto, dalle parole pronunciate, alle scelte preferite, alle soluzioni indicate, ai giudizi espressi, insomma il politicamente corretto è diventato una sorta di porta dell’inferno, se si supera e non rispetta si finisce bruciati ed  ai margini   oppure  come  spesso  mi succede,  ma  me ne   frego , derisi  o presi in giro    oppure   sparlano   di te  e  non con   te ed  spalle    .  Infatti    , permettetemi un altra   , l'ultima citazione   diretta     

 

LIBERTÀ E PAURA
Lizze James: "Penso che i fan dei Doors ti vedano come un Salvatore, il leader che li renderà tutti liberi. Che sensazione provi al riguardo? È una specie di pesante fardello, non è vero?"
Jim Morrison: "È un assurdo. Come posso liberare chiunque non abbia il fegato di sollevarsi da solo e di affermare la propria libertà? Penso che si tratti di una menzogna, quella della gente che afferma di voler essere libera - tutti insistono a dire che la libertà è ciò che vogliono di più, la cosa più sacra e preziosa che un essere umano possa avere. Ma queste sono stronzate! La gente è terrorizzata dall'idea di essere liberata - loro stessi serrano le loro catene, combattono chiunque cerchi di spezzare quelle catene. Sono la loro sicurezza... Come possono aspettarsi che io o chiunque altro li liberi se in realtà non vogliono essere liberi?"
Lizze: "Perché pensi che la gente tema la libertà?"
Jim: "Penso che la gente faccia resistenza alla libertà perché ha paura dell'ignoto. Ma è singolare... che l'ignoto una volta fosse davvero ben noto. E ciò a cui appartengono le nostre anime... L'unica soluzione è di confrontarsi - confrontare il proprio Io - con la più grande paura immaginabile. Di a te stesso le tue paure più profonde. Dopo di ciò, la paura non ha più potere, e la paura della libertà si restringe e svanisce. Tu sei libero".
Lizze: "Cosa intendi quando dici "libertà"?"
Jim: "Ci sono diversi tipi di libertà, e ci sono parecchi equivoci in proposito... Il genere più importante di libertà è di essere ciò che si è davvero. Si baratta la propria libertà per un ruolo. Si barattano i propri sensi per un atto. Si svende la propria capacità di sentire, e in cambio si indossa una maschera. Non potrà esserci alcuna rivoluzione di massa fino a che non ci sarà una rivoluzione personale, a livello individuale. Prima deve avvenire all'interno... Si può privare un uomo della sua libertà politica e non lo si ferirà - finché non lo si priverà della sua libertà di sentire. Questo può distruggerlo".
Lizze: "Ma come è possibile privare qualcuno della sua libertà di sentire?"
Jim: "Alcune persone rinunciano volentieri alla propria libertà - mentre altre sono costrette a rinunciarvi. L'imprigionamento comincia con la nascita: la società, i genitori, si rifiutano di lasciarti vivere la libertà per la quale sei nato. Ci sono modi sottili di punire una persona per metterne alla prova la capacità di sentire. Puoi ben vedere che chiunque attorno a te ha distrutto la sua vera natura emozionale. Si imita ciò che si vede".
Interviste a Jim Morrison, a cura di Lizze James,1968.


 con questo  è tutto  vilascio  allla colonna  sonora    e  gli approfondimenti 


 Colonna  sonora

il matto - Modena  city  ramblers
 Another Brick In The Wall - Pink Floyd


Approfondimenti  \    siti  consultati   



 https://www.nonsolocontro.eu/nsc2/in-piu/attualita/6027-ha-senso-parlare-di-una-dittatura-del-politically-correct.html


https://thevision.com/attualita/politicamente-corretto-satira-idiozia/


Fonti e approfondimenti

https://www.quasidi.com/senza-categoria/la-dittatura-del-politicamente-corretto/

Una società civilissima e balcanizzata, Daniele Lo Vetere, Le parole e le cose http://www.leparoleelecose.it/?p=33518

La lingua imbrigliata: a margine del politicamente corretto, Massimo Arcangeli, Italianistica online  http://www.italianisticaonline.it/2004/politicamente-corretto-01/

Come l’odio per il politicamente corretto ha sdoganato il fascismo verbale, Chiara Palumbo, The Vision https://thevision.com/attualita/fascismo-verbale/

http://acoma.it/sites/default/files/pdf-articoli/Acoma%2017%20def_0.pdf 
https://arxiv.org/abs/1812.03899
https://harpers.org/a-letter-on-justice-and-open-debate/
https://www.ultimavoce.it/la-dittatura-del-politicamente-corretto-cose-e-perche-se-ne-parla-tanto/
https://www.ilpost.it/flashes/premio-cesar-roman-polanski-attrici-adele-haenelhttps://www.nonsolocontro.eu/nsc2/in-piu/attualita/6027-ha-senso-parlare-di-una-dittatura-del-politically-correct.html




 




 

2.4.21

storie dalla sardegna i nuovi sardi , sardegna e continente , OLTRE LA CRONACA


per gli amici della penisola continentali come gli chiamiamo noi che mi chiedono della Sardegna
Iniziamo con
 
   

la  storia    di   Giuseppe Cugusi che fa il pastore, ma sulla cartà d'identità non si può scrivere. Lo impedisce la burocrazia italiana per cui la professione più vecchia della storia semplicemente non esiste. Il programma automatico dell'anagrafe suggerisce "coltivatore diretto". Un altro modo per cancellare l'identità? Studiato o meno che sia, Giuseppe, non vuole accettarlo.
Scrive di lui Gianni Mura, giornalista di Repubblica: « ...I suoi pecorini si trovano da Pinchiorri a Firenze e da Beck a Roma, e fortunatamente anche nelle mie due tane milanesi. Come il whisky Laphroaig trent'anni fa, il suo pecorino affumicato e stagionato segna il radioso punto del non ritorno

gli altri sono  tratti dalla  nuova  Sardegna 


 

Nicola, il sogno di una vita sulle ali dell’aquila reale


Il giovane falconiere di Gavoi innamorato del volo libero dei rapaci

Locorra è una collina molto panoramica che sovrasta le ultime case di Gavoi. Il paesaggio è aperto, le due cime di Pizzuri sullo sfondo arricchiscono la scenografia. In una radura declinante un giovane snello e vigoroso indossa sulla mano sinistra, tesa verso l’alto, un robusto guantone di cuoio. Sul guantone è posato uno stupendo esemplare di aquila reale, possente e imponente, che urla in continuazione. Il giovane ruota con energia il braccio in avanti, lancia in volo il rapace e l’aria si carica dell’elettricità che accompagna sempre le planate della regina dei cieli. Lei è una giovane aquila reale di nove mesi; lui è Nicola, un gavoese innamorato dei rapaci. Di cognome fa Marcello, sia da parte del padre Raffaele di Sarule che della madre Franca di Gavoi.

E proprio dalla madre, che già da ragazzina raccoglieva ogni animale ferito o abbandonato, ha preso la grande passione per la natura e in particolar modo per i rapaci. Una volta il padre, esasperato dal suo desiderio di vedere l’aquila, lo portò con se nel cantiere forestale sotto Punta la Marmora, dove lavorava e dove il bambino per tutta la mattina avrebbe potuto guardare il cielo sperando di realizzare il suo sogno. Le prime esperienze dirette con i rapaci arriveranno più tardi. Molto intensa quella con un pulcino di gheppio caduto dal nido che mamma Franca allevò a casa, in assoluta libertà.
Al momento dell’involo il giovane gheppio, perfettamente in salute, andò via ma, per almeno un paio di mesi, continuò a frequentare il davanzale dove era cresciuto per cibarsi della carne posizionata lì per lui. Un altro contatto diretto fu con una poiana ardimentosa che si infilò nel pollaio della zia Filomena creando scompiglio e danno tra le galline. La zia, furiosa, entrò armata di un robusto randello decisa a fare giustizia sommaria. Fortunatamente intervenne Nicola che, con una mano parò i colpi della donna mentre con l’altra riuscì ad afferrare e portar via la poiana.
Per ampliare le sue conoscenze Nicola iniziò ben presto a frequentare la locale stazione del Corpo Forestale e l’ambulatorio del veterinario dove si recava ogni qual volta venisse portato un rapace ferito o malandato. Ma si tratta di episodi, pur se di forte coinvolgimento, sempre troppo fugaci. Nicola vuole di più, aspira al contatto diretto con il rapace e pensa alla falconeria. Appena può frequenta un corso organizzato dall’Associazione Falconieri di Eleonorae di San Gavino; pur se il corso dura solo 3 giorni, è tuttavia un primo importantissimo passo. Il resto lo faranno la sua determinazione, la pazienza infinita e la capacità di sperimentare. Dall’Associazione sangavinese prende una poiana di Harris, rapace molto diffuso nel continente americano, che per le sue qualità caratteriali ben si presta all’iniziazione dei falconieri neofiti. Finalmente un rapace sul pugno! Qualche buona lettura specialistica e via con le varie tappe necessarie per instaurare un rapporto di fiducia e di dipendenza col falco. Ma è solo il primo passo. Nicola sogna un futuro di totale convivenza con i rapaci. Chiede ed ottiene l’utilizzo dei locali di un agriturismo in disuso a Zoccai, a poca distanza dal paese, da utilizzare come giardino per tanti rapaci di diverse specie. Parte alla grande con due esemplari di gufo reale, perfetta incarnazione del fascino misterioso dei rapaci notturni, provenienti dall’allevamento austriaco di Markus Plattner. Ed ecco che brucia le tappe e dall’allevamento cecoslovacco di Vojtech Skrba arriva Zulemma (così la battezza) un pulcino di aquila reale della sottospecie daphanea . E la vita di Nicola cambia e prende i ritmi dettati dalle esigenze dell’aquilotta. Ogni momento libero dal lavoro (fa l’operaio in un caseificio) è dedicato a lei per ammansirla, nutrirla, farla salire sul pugno e iniziare a provare a farla volare. Bisogna vederli, lui e Zulemma che si guardano negli occhi, per capire l’affiatamento che li lega. E vedendo la naturale maestria con la quale questo apprendista falconiere lancia l’aquila in volo e come lei ritorna sul pugno, si rimane stupiti pensando come tutto ciò sia stato possibile in così poco tempo.




Per curiosità chiedo a Nicola come si comporta Zulemma con le altre persone. Mi guarda e il volto si trasfigura, colgo lo smarrimento e la fatica di fermare le lacrime. Capisco di aver varcato involontariamente un confine personalissimo, dove ogni parola ha un suo peso preciso. «L’unica persona da cui si lascia accarezzare è comare Maria Laura» mormora con un filo di voce. E vengo a conoscenza di una storia umana che riveste di nobiltà assoluta quanto ho visto sinora. Luigi è un ragazzino vivace, appassionato di rapaci, fan di Nicola. Sognano insieme un’Aquila da far volare. Così è quasi scontato che Luigi scelga Nicola come padrino di cresima. A volte la vita è molto crudele e Luigi muore per un tragico incidente a soli 15 anni. Per Nicola è una sofferenza terribile. E sarà proprio
questa sofferenza a spingerlo ad anticipare i tempi e prendere l’aquila pensando a lui. E quando scopre che Zulemma è nata il 4 maggio del 2020, proprio un anno esatto dal giorno della cresima di Luigi, vede un preciso segno del destino. Racconta, come stesse parlando a se stesso, che quando fa volare l’aquila a Perda Liana, sul Gennargentu o in altri posti di intensa naturalezza, dopo aver lanciato Zulemma, si distende in silenzio in assoluta solitudine e osserva la loro aquila volare; la guarda come se a farlo fossero gli occhi del suo giovane amico e magari pensa, con dolce consolazione «...deo l’isco, ses tue...», incarnando in quel leggiadro librarsi l’anima di Luigi.


31 MARZO 2021


La moglie sarda: «Il mio amore da Oscar con Riccardo, l’altro Fellini»

A Olbia la sfida di Natalie Belli, 22 anni: la sua barberia apre nel cuore della città. «Un vero salotto “vittoriano” all’insegna dell’esclusività e della sicurezza»

recentemente ad Olbia è stata inaugurata una nuova barberia più precisamente la


 

 Ora ci si chiederà , embeh .... che c'è di strano è solo qualcuno coraggioso o incosciente ( dipende dai punti di vista da : << [...] Da che punto guardi il mondo tutto dipende \Dipende, da che dipende,\Da che punto guardi il mondo tutto dipende [..] cit) che in tempo di pandemia apre un attività lavorativa ? . Beh il già il fatto d'aprire in piena ( o fase calante secondo alcuni ) epidemia è un evento . Ma il fatto speciale per gente normale normale per gente speciale è che ad aprire l'attività che il tabù ( quasi sessista e misogeno ) italiano considera che a tagliare i cappelli ad uomo siano solo gli uomini e considera strano \ stravagante che a farlo sia una donna , sia appunto una ragazza .
Essa si chiama , da quanto riferisce il suo sito  https://bellisbarberolbia.com/ ( da cui ho tratto foto e parte delle news )
Natalie Belli, titolare del salone, è nata il 25 Giugno 1998. Durante la sua crescita segue le orme della mamma parrucchiera, pe   poi ottenere anche lei la qualifica professionale.

Per proseguire la sua formazione Natalie decide di trasferirsi a Londra,
dove ottiene la specializzazione di barbiera.
Oggi, grazie all’esperienza maturata è riuscita ad aprire la propria attività di barbiere e parrucchiere per uomo ad Olbia.
Il logo del salone  (  vedere sopra   )   è rappresentato da una rosa che indica il mese di nascita di Natalie. Perché di colore nero vi chiederete ? La rosa nera ha un significato positivo: rappresenta l’inizio di nuove cose e grandi cambiamenti, ispira fiducia nella nascita di una nuova era portatrice di speranza e coraggio.
Il cognome Belli nel passato veniva usato come soprannome per indicare un bell’uomo, deriva dalla parola francese Beau ed è stato adottato a nome del salone perché il suo significato è appropriato allo scopo di Natalie, ovvero, rendere ogni cliente più bello.


Belli’s Barber Parlour è stato ispirato dalla fine del 19esimo secolo, periodo di grandi cambiamenti per il mestiere di barbiere, il quale utilizzando la sua abilità e determinazione ha spianato la strada al barbiere di oggi, focalizzando il lavoro nella cura dei capelli, della pelle e facendo apprezzare agli uomini la cultura di essere curati . Infatti    dalle  foto    del  locale    vedere  articolo   sotto  della  nuova  sardegna
Anche l’attenzione ai dettagli interni dei saloni iniziò a cambiare prestando maggior cura all’arredamento e alle comodità.  Il salone diventò uno spazio sociale dotato di ambienti confortevoli e rilassanti..Belli’s Barber Parlour è una combinazione tra tecniche tradizionali e nuove: offre un’alta qualità di servizi, riserva particolare attenzione all’igiene ed alla sicurezza, utilizza prodotti di elevata qualità in grado di dare benefici alla cute ed ai capelli.Infatti  come  dice   ella  stessa  nel  suo  sito   :   Con una sola postazione lavoro Belli’s Barber Parlour garantisce un’esperienza unica e di lusso, unendo lo stile alla funzionalità. Pulizia e precisione sono essenziali, queste vengono garantite dall’esperienza formativa di Natalie Belli e dall’utilizzo di prodotti disinfettanti ad alta efficacia prima di ogni servizio, da asciugamani e da mantelle taglio con utilizzo monouso.





Potrai rilassarti in un’ambiente esclusivo.
L’arredamento scelto è di altissima qualità. La poltrona taglio “Legacy 95” di Takara Belmont è una reinvenzione delle prime poltrone da barbiere con un design rinnovato, qualità giapponese ed elevato comfort.
Il lavatesta “Londra” rigorosamente Made in Italy di Pietranera è sinuoso ed elegante, con un altissimo livello di comfort grazie anche al massaggio Jet. Gli attrezzi da lavoro sono i più moderni sul mercato.
Concludo riportando l'articolo di qualche giorno fa della nuova Sardegna su di lei








A Olbia la sfida di Natalie Belli, 22 anni: la sua barberia apre nel cuore della città. «Un vero salotto “vittoriano” all’insegna dell’esclusività e della sicurezza»



OLBIA. «L’altro giorno, davanti alla mia vetrina, si è fermato un signore di una certa età. Sistemavo, mi sono avvicinata a lui. Era incuriosito. “Ma deve aprire qui una barberia?”, mi ha chiesto. “Sì”, gli ho detto. Poi mi ha chiesto chi fosse il barbiere. «Ce l’ha davanti», gli ho risposto».




Con un sorriso contagioso e una carica di entusiasmo incredibile, Natalie Belli, 22 anni, a partire da oggi farà barba e capelli agli uomini. Sfidando le difficoltà legate alla pandemia e mettendo a frutto tutta la sua esperienza accumulata a Londra, apre nel cuore della città, in via Sassari, “Belli’s Barber Parlour”, la prima barberia della città gestita da una giovane donna. «Quando ho pensato al nome da dare alla mia attività, ho messo in mezzo la parola “Parlour”: si chiamava così il salotto dell’epoca vittoriana, dove ci si riuniva per chiacchierare. Ed è proprio quello che voglio creare qui: il cliente deve sentirsi in un salotto, in un luogo esclusivo dove può anche leggere un libro (in italiano o in inglese), come Madame de Pompadour».Il locale, curato in ogni minimo dettaglio, fa rivivere i tempi della Regina Vittoria con un tocco di modernità. «Ho studiato ogni angolo, andando alla ricerca di pezzi unici e ricercati. Tra questi anche una collezione di antiche tazze da barbiere dove si mettevano l’acqua calda
e il sapone». 




Natalie Belli, nata a Sant’Elia Fiumerapido (in provincia di Frosinone), paese di suo padre Leonardo, si è trasferita a Olbia da circa un anno, ma ha vissuto soprattutto a Londra, dove si è formata. «E’ stata proprio mia madre, che è inglese e che ha fatto prima la parrucchiera e poi la formatrice, a trasmettermi la sua passione. Ma sin da subito sono rimasta attratta dal mondo delle barberie, più artistico e creativo. A me piace creare tagli per l’uomo, anche con acconciature. E’ importante seguire le tendenze, ma traggo ispirazione soprattutto da ciò che vedo: creo un contatto con chi ho davanti, parlo, ascolto. E a quel punto so esattamente cosa consigliare e che cosa fare. Ho fatto esperienza anche in un salone afro, a Londra, e lì ho davvero imparato molto»
Ma la passione più grande di Natalie è fare la barba. «Ho appeso su una parete della mia barberia tutti i certificati che dimostrano le competenze acquisite - spiega -. Non avrei voluto farlo, ma una ragazza che
apre una barberia deve conquistare la fiducia dei clienti e devono vedere con i loro occhi che sono una barbiera esperta e capace. Perché mi piace fare la barba? Innazitutto perché è rilassante anche per me e poi perché offro un servizio innovativo e di lusso. Comincio con un scrub profondo, poi applico le creme pre-rasatura, quindi passo a un trattamento con asciugamani caldi in modo da aprire i pori e far scorrere meglio la lama. Al termine della rasatura, metto sul viso altri asciugamani caldi per eliminare eventuali impurità, quindi stendo sulla pelle la crema dopobarba. Un’ora di relax totale con una musica soft nella parte iniziale. Il volume di alza leggermente quando è il momento di “risvegliarsi”. Ho concentrato tutto su esclusività, sicurezza e igiene. Tutti i miei attrezzi sono monouso, per rispettare le regole, ma ho anche ciò che serve per sterilizzare e igienizzare. E per rispettare l’ambiente, uso prodotti sostenibili». Sull’insegna della barberia “Belli’s barber Parlour”, c’è un disegno che raffigura un paio di forbici e una rosa nera. «Che ha anche, tra i tanti, un significato positivo. E’ il simbolo del cambiamento, è portatrice di speranza». E la speranza di Natalie Belli è che questa barberia possa rappresentare la svolta della sua vita.

    dove  trovarla

 oppure

per  contatti  

    
.💈🔊🔔☎📞328333 0667

Una vita senza Big Tech, storie di chi cerca alternative ai giganti del web: "Non barattiamo i nostri dati per i loro servizi


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Gmail? No, Protonmail o Tutanota. Whatsapp? Meglio Signal. Instagram o Twitter? Assolutamente Mastodon. E così via, per ogni singola applicazione o servizio che siamo abituati a conoscere e utilizzare, loro hanno un'alternativa. "Loro" sono quelli che, per ragioni legate principalmente alla protezione della propria privacy, ricercano opzioni differenti alle Big Tech come Google, Facebook o Apple per lavorare e rimanere connessi. Non sono migliaia ma sono molto eterogenei. Dall'ingegnere e padre di famiglia che installa un server in casa per gestire i documenti in cloud, fino ai ragazzi di Fridays For Future Italia, che hanno migrato il loro sito in un data center alimentato ad energia solare perché, in fondo, anche Internet inquina. "È come decidere di non mettere più lo zucchero nel caffè - dice l'ex parlamentare e imprenditore
informatico Stefano Quintarelli - all'inizio ti sembra amaro, poi scopri che ha un sapore diverso". Ma è
realistico vivere totalmente senza le grandi sorelle della tecnologia? "Non è semplice e per qualcuno anche impossibile ma richiede un primo passo, un po' come smettere di fumare", racconta Filippo Della Bianca, tra i fondatori di Devol, gruppo di sviluppatori che al motto di "degooglizzare l'Italia" ha messo a disposizione degli utenti una suite di servizi (dai motori di ricerca agli applicativi di file sharing) liberi e privi di traccianti. Il sito LeAlternative pubblica contenuti e approfondimenti su tutto ciò che, spiega l'ideatore, "in maniera etica si pone come opzione ai colossi di Internet". Spesso, anche se non sempre, i servizi alternativi sono gratuiti solo nelle versioni base. "Anziché pagare con i miei dati pago con i miei euro, in questo caso pure pochi", spiega ancora Quintarelli. Per molti è anche una questione di libertà di impresa e tutela della concorrenza: l'organizzazione no-profit francese eFoundation ha sviluppato uno smartphone pro-privacy alternativo ad Android e Iphone. "Il nostro è un progetto open-source ed è pensato - dice il fondatore Gaël Duval - per tutti gli utenti, anche per i non esperti". E così, a colpi di ricerche sul motore DuckDuckGo e tutorial sulla piattaforma PeerTube, abbiamo raccolto le storie di ha deciso di vivere una vita senza Big Tech. Ma Google annuncia: in arrivo nuove norme sulla privacy di Andrea Lattanzi

No, non è Leonardo quella della fiction tv



in parte Augias ha ragione << Nelle opere ispirate a nomi storici, l'invenzione drammaturgica coloriva il personaggio, drammatizzava la vicenda, senza però mai fondare l'intera struttura su un evento inventato >> e  con gravi errori  e mancanze storiche  (  e  siamo solo alle  prime di puntate  ) <<  Questo invece è ciò che accade nella serie tv su Leonardo da Vinci >> Ma in questa recensione  quasi preventiva ( anche se io preferisco chiamarla stroncatura ) pubblicata  su repubblica d'oggi 2\4\2021 vedere  articolo riportato sotto . Ma la sua critica mi sembra un po' : nostalgica legata ad una concezione ormai " arcaica " delle arti e della letteratura e poco aperta alla modernità , perchè si posso  fare  anche delle  opere  pseudostoriche   e di fantasia   storica. E  non parla    di ciò , anche  se poco ,   c'è di positivo  e  di   alcune qualità della regia e della fotografia, il fatto che non predomini il binomio sesso e violenza, come in tante altre serie in costume degli ultimi anni.  Ma ha  il pregio di farlo con garbo e  pacatezza  .
Infatti   egli stato , nonostante sia molto preciso raffinato ed non grezzo come la maggior parte dei critici attuali sulla sorta di Davide Turrini su il FQ di qualche giorno fa ,è nell'esposizione un poco precoce nel dare dare un giudizio ad un intera opera , per giunta ancora in itinere ed in pieno svolgimento 4 episodi su 16 ( cioè due a puntata ) di un kolossal  contemporaneo   anche se  incentrato  solo sul marketing    e sull'odiens     e poco sulla  storia    rispetto  a quelli classici  .


Quindi il caro Augias ha avuto troppa fretta nel dare un giudizio anzi una stroncatura .
A voi l'articolo in questione

Fino a che punto la rappresentazione scenica di una vita insigne può allontanarsi dalla verità storica? La domanda non è futile la risposta non è facile. Alessandro Manzoni preparando la sua tragedia Il Conte di Carmagnola scriveva: "I personaggi storici di una tragedia pronunciano discorsi mai detti e compiono azioni mai avvenute". Il Gran Lombardo non faceva a caso questa osservazione come dimostrano - per esempio - le numerose aggiunte e varianti da lui immaginate nella famosa vicenda della monaca di Monza inserita ne I promessi sposiManzoni inseguiva una finalità assai sentita in quegli anni come lo scrittore stesso conferma nella lettera Sul Romanticismo indirizzata al marchese Cesare d'Azeglio dove ribadisce che in un'opera d'arte ciò che deve prevalere è il valore sociale. In un'ottica del genere può anche rientrare qualche scostamento dalla verità per rendere la vicenda più avvincente allargandone così la cerchia dei possibili fruitori. C'è però un limite che non andrebbe superato. Forse in modo inconsapevole la giovane e valente attrice Matilda De Angelis, che interpreta nello sceneggiato la sensuale Caterina da Cremona, ha indicato questo limite davanti a Mara Venier con poche icastiche parole: "Questa è la storia di Leonardo, però strizzando l'occhio alla televisione... Non è che potevamo fare una rottura di palle".

Il confine da tenere d'occhio dunque è, a qualunque costo, la "rottura di palle". Possiamo tranquillamente assumere che i moderni sceneggiatori televisivi siano la versione aggiornata degli autori ottocenteschi di feuilleton: Balzac, Dumas, Hugo; tra gli italiani Carolina Invernizio, Guido da Verona, Pitigrilli. Storie inventate le loro, abilmente costruite in modo che alla fine di ogni puntata rimanga sospeso un interrogativo su come la storia potrà proseguire, a quale sorte i protagonisti andranno incontro. Quando si tratta di opere ispirate a nomi storici, come accadeva di frequente, l'invenzione drammaturgica coloriva il personaggio, drammatizzava la vicenda, suscitava aspettative, senza però mai fondare l'intera struttura su un evento inventato di sana pianta.
Questo invece è esattamente ciò che accade in Leonardo. Non è difficile capirne il motivo. Tale la versatilità di quel genio che si correva il rischio di esaurirlo, puntata dopo puntata, in un elenco di capolavori inevitabilmente ripetitivo. Bisognava trovare un filo rosso, un motore che spingesse il pubblico a seguire la vicenda.
E c'è qualcosa di più efficace d'una storia d'amore seguita da un delitto ? Leonardo arrestato per omicidio è da solo un bel titolo da prima pagina. Tanto più che il vecchio binomio Amore e Morte ha sempre funzionato assai bene. Questa volta però a danno dello stesso protagonista, falsandolo in modo così grossolano da mandare in malora anche l'utilità sociale dell'opera romanzesca che per i romantici giustificava le licenze narrative. La platea sarà vasta, ma a quale scopo ?
Curiosi anni i nostri. Da una parte si chiede di censurare Mozart per (involontario) suprematismo bianco, dall'altra ci si concedono invenzioni banali su uno dei massimi geni dell'umanità. Eccessi che hanno in comune solo il connotato del ridicolo.


1.4.21

Pietà e passione La Via Crucis della pandemia

 chi dice  che  i  laici e  i  non frequenti  alle messe   siano  atei   si legga   quanto scrive  nell'articolo riportato sotto  Stefano Massini    e  poi mi riscriva   per  riprovare  a dialogare  e  magari (  io ci credo  poco  ) si scusi per la  ...  che mi ha lanciato  togliendomi   dai  contatti  e  per  giunta  senza  dare  la possibilità di replicare   e provare  a capire  che esistono  anche  altri modi  di credere  e   che  esiste  anche  una  fede  diversa   da questa mia  citazione   musicale   che  per  una  qualche   strana  ed  casuale  coincidenza   corrisponde   alla canzone che    sto ascoltando  in radio  in questo istante  

 [...] 

Mi han detto
Che questa mia generazione ormai non crede
In ciò che spesso han mascherato con la fede
Nei miti eterni della patria o dell'eroe
Perchè è venuto ormai il momento di negare
Tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura
Una politica che è solo far carriera
Il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto
L'ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto
E un dio che è morto
Nei campi di sterminio, dio è morto
Coi miti della razza, dio è morto
Con gli odi di partito, dio è morto
[... ]
 da Dio  è morto  - F. Guccini 


Era mezzogiorno, quando si fece buio sulla terra… ». Da secoli la Via Crucis è paradigma di ogni sofferenza umana, tanto che usiamo il termine Calvario per definire il tragitto di chiunque combatta la sua personale lotta col dolore. A distanza di un anno dall’inizio della pandemia, è tuttavia il mondo intero a sentirsi ancora sul Golgota, per cui proviamo a rileggere le 14 stazioni della Passione come metafore di questa lunga, tormentata esperienza collettiva.



I. Condanna a morte

Fra i tripudi della folla che gli preferì Barabba, l’inizio del Calvario è nel segno di una leggerezza spiazzante, la massa sceglie chi sopravviverà con la stessa distrazione con cui si vota a un reality show. La banalità del male la descrisse la Arendt, a noi tocca declinare la banalità del dolore, che in genere ci beffa presentandosi come un’inezia. Due linee di febbre.

II. La presa della croce

Ci sono molte risate intorno alla crocifissione: scherni, dileggi, sarcasmi. L’estremo dolore va spesso d’accordo con la farsa, che sembra talvolta un disperato modo di compensare lo spettacolo della morte con un’artefatta botta di vitalità. Per la serie: mentre tu muori, a me interessa volare alle Baleari e sbronzarmi sotto una palma.

III. Prima caduta

La prima caduta del Calvario è quella dei morti uccisi dal virus, centinaia di migliaia. Ma a distanza di un anno dall’inizio di questa danza macabra, abbiamo perso quasi del tutto lo scandalo del morire. Scorriamo con sguardo asettico la lista dei caduti del giorno, perché valgono più le implicazioni dei decessi che non i cadaveri stessi. La morte ha perso il suo impatto, fa parte del paesaggio. E il virus killer, per paradosso, ha ucciso anche lei.

IV. Incontro con la madre

Nelle Rsa ci si può abbracciare solo attraverso il cellophane. Neppure il vaccino ha potuto scalfire questo aberrante diaframma, e nel frattempo migliaia di persone hanno visto svanire genitori e cari nel cono d’ombra di ospedali divenuti fortezze inaccessibili e impermeabili all’esterno. «Non so più niente di mia madre», «qualcuno mi dia notizie di mio padre». Il baratro.

V. Il Cireneo

Simone di Cirene passava per caso, ma venne obbligato a portare la croce. Insomma, suo malgrado si trovò coinvolto. E assomiglia davvero a quelli che sono finiti “dentro” la ruota del virus pur non essendone contagiati direttamente: passavano per caso, ma non volle dir niente. E i tentacoli di questa piovra ci hanno raggiunto di fatto tutti.

VI. Veronica deterge il volto

Unico tratto di tenerezza nell’abominio del Calvario è questa donna che grazie a un attimo di illuminata sensibilità, è stata celebrata nei secoli. Ma sono migliaia le Veroniche senza nome che in questo preciso istante, fra corsie Covid e Rsa, possono scegliere a un bivio che — sia chiaro — non è fra generosità e

egoismo, bensì fra l’umano e il disumano.

VII. Seconda caduta

Scrisse Dante “caddi come corpo morto cade”, e così è stato per molti, troppi, dal momento che dopo i morti per Covid, ci sono i caduti senza Covid. Sono quelli che in un anno hanno visto crollare l’equilibrio costruito per vivere. Ognuno di noi è a suo modo un equilibrista, per cui tutti, più o meno, siamo caduti dal filo. Posti di lavoro spazzati via, chiusure infinite, bandoni abbassati, agende vuote, sedie sui tavoli, luci spente, miriadi di cartelli “Affittasi” e “Vendesi”. Qui giace il lavoro.

VIII. Cristo parla alle donne

«Non piangete per me ma per i vostri figli…» sono parole che assumono adesso un’eco inquietante. Una generazione intera di giovanissimi uscirà razziata e sconvolta da oltre un anno di rinuncia all’affetto, all’istruzione in presenza, alla socialità. Le conseguenze nel tempo saranno incalcolabili. E per favore, nessuno si azzardi a dire «tanto sono giovani, ne usciranno».

IX. Terza caduta

Poi c’è la schiera immensa di chi non trova la propria caduta né su un referto clinico né su un registro contabile. Alzi la mano chi è rimasto in piedi, nel grande girotondo in cui si finisce “tutti giù per terra”, perché a essere affossato è il senso stesso del poter vivere, inteso come plasmarsi la vita. Il divieto e la limitazione sono diventati condizione e perimetro di un’esistenza tramutata in r-esistenza, in cui tuttavia è difficile non cedere alla d-esistenza.

X. Si giocarono le sue vesti

Gli sciacalli, è noto, si accaniscono su ciò che resta. In senso etico simboleggiano la defunta pietà, ma anche la facilità con cui gli opportunisti abdicano al criterio del lecito. Ecco, la crisi comporta il rischio che tutto appaia d’un tratto giustificato e legittimo, proprio perché «la situazione è grave». In altri termini, il Covid può essere un grande alibi.

XI. Cristo inchiodato in croce

Tutti uguali a tutti, il profeta come i ladroni, i vip come i poveracci, i capi di Stato come gli homeless. Il virus ha insegnato che le piramidi gerarchiche sono giochetti di cui madre Natura non si cura affatto. O così almeno ci piace raccontarci, assegnando almeno questo merito al nefasto ospite. Ma è davvero così? Lo sapremo con la distribuzione dei vaccini al Terzo Mondo.

XII. Morte

I telefonini già da anni entravano in sala parto, rendendo il nascere un fatto pubblico. Ma la morte? Mai era stata tanto spiata come nell’ultimo anno. Le telecamere sono entrate a sbirciare fra i tubi delle rianimazioni, negli obitori dove si piange, nei depositi delle bare. Si è smarrito il pudore del morire, e con esso la sua sacralità.

XIII. Deposizione

Riferiscono i Vangeli che all’ultimo respiro esalato sul Golgota seguì un terremoto. Dopodiché, il silenzio, ovvero quel ritorno alla normalità che a pensarci bene è la parte più spietata di ogni sofferenza: per quanto straziante sia, finirà per sparire nel grande tritacarne e si volterà pagina. È questo che cerchiamo, con la normalità: l’archiviazione.

XIV. Sepoltura

Un corpo senza vita riposto in un sepolcro, e fine della storia. Come dire: l’elaborazione del post Covid è tutta da venire, tutta ancora da iniziare, e non è detto che conduca alla resurrezione. Basterebbe che tutto questo dolore assumesse semplicemente un senso, laddove — per adesso — brancoliamo nel buio.


Infatti  distanza di un anno dall’apparizione del virus il mondo intero vive ancora il suo calvario La prima caduta sul Golgota è quella dei malati, morti da soli o quasi negli ospedali. e  proprio  mentre    scrivevo  le  ultime   righe  i questo   post mi è ritornata   a mente questa  canzone demenziale  

 

  con queste    è tutto  

31.3.21

A uccidere non è più il virus ma il nostro modo di gestirlo ha ragione stefano feltri d il domani

 Stefano feltri  ha  ragione  , facendo cosi  non ne  usciremo  mai   e  in tanto  la  gente  continuerà  a morire  ed  le attività a chiudere  . Molti  mi diranno allora  come fare  ? semplice    : 1)   coordinamento  nazionale o  al limite regionale   mettere  da  parte  i loro localismi e campanilismi  ., 2)  vaccinare  tutti  indistintamente   ad esempio  se   quel  giorno     dedicato a  gli  80  anni si presenta  un 25   enne  vaccinare    anche lui  .  cioè  quel giorno  ci sono  100 dosi    e fra i 100 si presenta  anche un  25  enne vaccinare  anche lui  

 concordo  con  l'editoriale di Stefano Feltri  31 marzo 2021

A uccidere non è più il virus ma  il nostro modo di gestirlo




Quando si leggono questi numeri, bisogna fermarsi a riflettere un attimo: 529 morti in un giorno. E non fanno neanche più notizia, perché siamo troppo presi a discutere del successo politico delle destre che sono riuscite a far inserire nel prossimo decreto legge misure per accelerare le riaperture, o perché c’è l’ennesima rissa tra presidenti di regione e governo centrale. Rimaniamo alla più semplice delle domande: perché ci sono ancora 529 morti? Mettiamo in fila un po’ di risposte.L’Italia ha vaccinato il 5,03 per cento della popolazione, il Regno Unito il 5,51 per cento. I morti inglesi sono scesi quasi a zero, su base quotidiana. In Italia siamo sempre tra i 300 e i 500. Segno che abbiamo vaccinato le persone sbagliate, come scriviamo da tempo su Domani.Il ministero della Salute censisce 2,9 milioni di somministrazioni a persone sopra gli 80 anni ma soltanto 638.000 a quelle tra i 70 e i 79, un milione per gli italiani tra i 60 e i 69 anni (la stessa cifra, quasi, che si registra tra i 30-39enni).L’Istituto superiore di sanità considera l’eccesso di mortalità per fasce di età rispetto allo scenario base, quello senza Covid, nelle grandi città. Per la prima volta da molti mesi, nella settimana che si è conclusa il 16 marzo il tasso di mortalità più alto e in crescita è stato quello nella fascia 65-74 anni. Ottantenni e persone più giovani muoiono meno perché vaccinate, si suppone.In una strana forma di eugenetica burocratica, praticata ma non dichiarata, stiamo lasciando morire le persone che il Covid uccide con maggiore facilità, mentre salviamo quelle che appartengono a una corporazione abbastanza forte da aver conquistato una qualche priorità.Questo paese ha qualcosa di profondo che non va, sia nel rapporto con la scienza che con l’etica. Un paio di esempi: le scuole vengono riaperte anche sulla base di uno studio scientifico, evocato perfino in un intervento del premier Draghi, di scarso valore e ancor più scarsa utilità, pubblicato su una versione minore di Lancet che chiede agli autori di pagare 3.500 dollari per avere spazio. Possiamo decidere che le scuole vanno aperte anche se pericolose, ma non possiamo raccontarci la frottola che sono tutte sicure.Su Domani Francesca Nava ha rivelato che per mesi l’ex premier Giuseppe Conte e l’attuale ministro della Salute Roberto Speranza hanno raccontato una versione falsa sulle decisioni prese a inizio pandemia, nella scelta di non chiudere subito Nembro e Alzano Lombardo il 2 marzo 2020. Ci sono molte attenuanti per le decisioni sbagliate a inizio pandemia, ma nessuna per mentire all’opinione pubblica, perché si può perdonare l’errore ma non la copertura sistematica degli errori. Quante altre volte è successo? Sta succedendo ancora?Dopo oltre un anno tocca dire che non è il virus a uccidere, ma il nostro modo di gestirlo. Se una legge stabilisse che tutti i pazienti con una verruca su un dito hanno la precedenza sui malati oncologici, di chi sarebbe la colpa dell’alto numero di morti evitabili tra i malati oncologici? Del tumore, dei medici o di chi ha fatto la regola?


Tigri romantiche, trapianti suini, bestemmiatori fatali, smemorati fedeli, babbi Natale atletici, docenti truffaldini e omicidi su Google

Il prof di Economia si laurea in Fisica sfruttando un errore e gli esami di un omonimo L’accademico dell’anno è il prof. Sergio Barile, doce...