2.9.22

rifugio sulle piattaforme digitali . Virtus , la tigre bianca

in sottofondo 
 Lasciami Andare - Gianmaria Testa 


Oggi propongo dei film ,  soprattutto il secondo   tristi e malinconici   erano quelli che  mi  ci  volevano   dopo un estare  di  merda    ( vedere   il post  : <<  la  malinconia    può essere preziosa  - autunno 2022 >>  ) che   anora  mi tormenta   

Vitus  2006 diretto da Fredi M. Murer


un bambino prodigio, di dodici anni, in grado di suonare il pianoforte con maestria sin dall'età di sei anni, gran giocatore di scacchi e lettore di enciclopedia. I genitori, date le sue capacità, lo iscrivono in una scuola prestigiosa, ma frequentata da ragazzi più grandi.In cuor suo Vitus vorrebbe essere un ragazzo normale e frequentare i suoi coetanei, e l'unico in grado di capire il suo stato è suo nonno, con cui condivide la passione per il volo. Una notte si butta dal balcone e finge, per la caduta, di aver perso tutte quelle capacità che lo contraddistinguevano dagli altri bambini, e, si considera una persona normale: ciò porta allo sconforto dei genitori, in particolare della madre che cade in depressione. Il nonno scopre l'inganno, ma mantiene il segreto. Grazie alla sua intelligenza, Vitus fa diventare ricco suo nonno e fa riavere il posto di lavoro a suo padre. Il giorno seguente il nonno di Vitus si fa male e due giorni dopo muore. Alla fine, per non scoraggiare ulteriormente i genitori, Vitus torna ad essere se stesso e a riacquisire tutte le capacità che la natura gli ha dato e che lo rendevano speciale e praticamente unico.

Un fim  bello  ,  favolistico , un po' prevvedibile  il finale  msbello.lo.stesdi .  Sulla  scia   di Will Hunting - Genio ribelle (Good Will Hunting) del 1997 diretto da Gus Van Sant e interpretato da Matt DamonRobin WilliamsBen AffleckCasey AffleckStellan Skarsgård e Minnie Driver.

La tigre bianca

(The White Tiger) è un film del 2021 scritto e diretto da Ramin Bahrani.Si tratta dell'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Aravind Adiga del 2008. Il film è interpretato da Adarsh Gourav nel suo primo ruolo da protagonista, insieme a Rajkummar Rao e Priyanka Chopra, che sono anche i produttori esecutivi del film.



 L'epico viaggio di un povero autista indiano che deve usare il suo ingegno e la sua astuzia per liberarsi dalla servitù, in un'India iniqua in cui il riscatto sembra essere possibile solo attraverso l'illegalità. esso  è la  storia  di Balram, ricco fondatore di una startup di Bangalore, racconta  in una lettera indirizzata al primo ministro cinese la sua storia. Nato in un povero villaggio del nord dell'India con il nome di Balram, inizia a lavorare come autista per una ricca famiglia corrotta. Spinto dalla voglia di riscattarsi socialmente e di vendicarsi dei soprusi ricevuti in qualità di servo appartenente ad una casta bassa, l'astuto Balram riesce ad ingraziarsi il suo padrone Ashok, arrivando ad ucciderlo e a prendere il suo nome e il denaro usato per corrompere la classe politica indiana, per poi recarsi a Bangalore e diventare un imprenditore di successo.Il consenso dei critici del sito web recita: "Ben interpretato e ben fatto, The White Tiger distillano i punti di forza del suo materiale originale in un dramma cupo e avvincente"  . Cinico e  divertente .  Un ottima  metafora    quella    della  stia di  polli  

1.9.22

la richiesta di : svolta , moralità , ecc di Moser e fondriest alla federciclismo per il caso Dagnoni vale anche quello del giovane ciclista Giovanni Ianelli ?

per  approfondire  la  vicenda  

https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/07/puoi-una-condanna-per-diffamazione-far.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/06/giovanni-iannelli-aggiornamento-una.html
https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2022/06/ingiustizie-ed-insabbiamenti-italiani.html



 Fa piacere notare che anche i signori #francescomoser, #mauriziofondriest #vittorioadorni #giuseppesaronni #alessandroballan oltre alla signora nonché collega #NormaGimondi si siano finalmente



accorti che nella #federciclismo occorre MORALITÀ, ETICA, TRASPARENZA. Vorrei però ricordare come il padre suddetti che, oltre al “caso provvigioni”, esiste ed è tuttora irrisolto, sin dalla presidenza di Renato Di Rocco, un “caso” assai più grave, scandaloso, inaccettabile, irreparabile che è quello relativo alla morte di Giovanni Ianelli E che ci sono diverse circostanze tremende, agghiaccianti, oscure ed inquietanti che #federciclismo, #CONI, certi #magistrati e non solo devono ancora chiarire ecco cosa riporta il padre

di seguito, riassumo: -LUCA BOTTA, GIUDICE DI GARA NAZIONALE DELLA FEDERAZIONE CICLISTICA ITALIANA (FCI), PRESIDENTE DEL COLLEGIO DI GIURIA, NEL MENTRE MIO FIGLIO È STESO A TERRA SULL’ASFALTO, PRATICAMENTE MORTO, EMETTE UN COMUNICATO CON SU SCRITTO:NULLA DA SEGNALARE. -GIULIA FASSINA, GIUDICE DI GARA DELLA FCI, CHE FA PARTE DI QUEL COLLEGIO DI GIURIA, DICHIARA IL FALSO AI CARABINIERI DI CASTELNUOVO SCRIVIA E QUINDI ALLA PROCURA FEDERALE DELLA FCI. -I CARABINIERI DI CASTELNUOVO SCRIVIA QUEL GIORNO NON SVOLGONO NESSUNA ATTIVITA’ D’INDAGINE, NEPPURE UNA FOTOGRAFIA CON IL CELLULARE. -IL GIUDICE SPORTIVO PIEMONTESE DELLA FCI OMOLOGA QUELLA GARA CICLISTICA MORTALE SENZA PROVVEDIMENTI.

-LA STRUTTURA TECNICA DEL COMITATO REGIONALE PIEMONTESE DELLA FCI APPROVA IL PROGRAMMA DI GARA SENZA GLI OBBLIGATORI DOCUMENTI RELATIVI ALLA SICUREZZA, DOCUMENTI CHE POI FALSAMENTE SI MATERIALIZZANO PER ESSERE PRODOTTI NEL GIUDIZIO SPORTIVO SVOLTOSI AVANTI LA CORTE SPORTIVA DI APPELLO DELLA FCI DALLA SOCIETÀ ORGANIZZATRICE QUELLA CORSA CICLISTICA MORTALE TRAMITE IL DIFENSORE AVV. GAIA CAMPUS (COMPONENTE DELLA COMMISSIONE NAZIONALE ELETTORALE DELLA FCI). -LA PROCURA FEDERALE DELLA FCI, CAPEGGIATA DALL’AVV. NICOLA CAPOZZOLI, SVOLGE L’ISTRUTTORIA IN ASSENZA DI CONTRADDITTORIO, INSABBIA LA MIA DENUNCIA E COLLABORA SIN DALL’INIZIO CON LA PROCURA DELLA REPUBBLICA DI ALESSANDRIA CHE, NONOSTANTE LE MOLTEPLICI ED INEQUIVOCABILI EVIDENZE, ARCHIVIA LA MORTE DI MIO FIGLIO SENZA NEPPURE VOLER CELEBRARE UN GIUSTO PROCESSO PER ACCERTARE LA VERITÀ ED ASSICURARE LA GIUSTIZIA. -LA FCI, ANCHE TRAMITE IL DOTT. ROBERTO SGALLA, SUO ESPONENTE APICALE (PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE DIRETTORI DI CORSA E SICUREZZA), CONSULENTE DELLA PROCURA FEDERALE DELLA FCI CHE POI DIVENTA ANCHE CONSULENTE DEL PUBBLICO MINISTERO DI ALESSANDRIA (CHE ARCHIVIA LA MORTE DI MIO FIGLIO), DEPISTA LE INDAGINI.

Single shaming: perché essere single dopo i 40 anni è ancora motivo di "vergogna"

   da  repubblica  

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Famiglia allargata: nuove tradizioni per dire "basta" ai tabù (alfemminile.com)


L'Italia è un Paese in cui sempre più spesso si sceglie una strada alternativa alla coppia. Secondo l'Istat, più del 33 per cento delle persone vive da solo, eppure c'è ancora chi pensa che le persone non sposate e senza figli siano incomplete o infelici. La storia di Daniela e i consigli della psicologa per liberarsi di uno stigma sociale




L’Italia è diventato un Paese di single. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, il 33,2 per cento degli italiani, cioè 8,5 milioni di persone, vive da solo. E per la prima volta la famiglia mononucleare supera quella costituita dalle coppie con figli, il 31,2 per cento. Tanti, per essere considerati un’eccezione. Eppure, ancora oggi molti subiscono la discriminazione del “single shaming”, la vergogna di essere single.
Spesso a patirla sono soprattutto le donne e ad alimentarla sono i pregiudizi e gli stereotipi sociali che associano il non avere un partner a una sorta di colpa, un difetto, una mancanza che va colmata. Chi è single spesso viene ancora bersagliato da domande fastidiose e scomode - “Come mai sei ancora da solo o da sola?”, “Possibile che non trovi nessuno?”. Interrogativi che possono sminuire e offendere, come se vivere o meno in una relazione determinasse il proprio valore. Invece non è certo lo status sentimentale a decidere chi siamo e quanto valiamo, nessuno dovrebbe sentirsi sbagliato o in difetto discriminato perfino, solo perché non è parte di una coppia.

La storia di Daniela

“Non ho mai pensato che avere accanto un uomo potesse essere motivo di vanto, ma neanche di dovermi vergognare per non averne uno. Eppure, ancora oggi, il fatto che io sia single a 43 anni a molte persone non va proprio giù. Non parlo della pressione dei parenti, di mia madre soprattutto, che vedono nella mia vita senza marito e figli motivo di infelicità. Mi riferisco piuttosto ai miei coetanei e alle amiche, che guardano alla mia singletudine con imbarazzo, nonostante mi conoscano bene. Mi guardano con occhi compassionevoli, cosiderando 'proprio strano che una donna in gamba come me non abbia ancora un partner'. I più temerari mi propongono appuntamenti al buio per risolvere quello che per loro è un grave problema, cosa che per me non è. Anzi. A dirla tutta la mia vita mi piace così com’è: sono libera di decidere per me stessa e di cambiare i programmi anche all’ultimo; le amicizie non mi mancano e ho la mia indipendenza economica. Fino a due anni fa avevo una storia ma quando è finita ho deciso di prendermi del tempo da dedicare a me stessa. E ora ammetto, ci ho preso gusto ad essere single, e anche se per alcuni sono una zitella un po’ sfigata, vado dritta per la mia strada. Se incontrerò un uomo che mi piace, accoglierò l'amore e quel che verrà, ma cercarlo a tutti costi non è un obiettivo che voglio pormi. Vorrei che gli altri rispettassero questa mia scelta senza metterla in discussione o doverla sempre rimarcare come se fosse insana e inappropriata”.Di “single shaming” abbiamo discusso con Nicoletta Suppa, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa, per partire dalla storia di Daniela e trarne conclusioni utili a molti.





Cos’è il single shaming?

“Letteralmente l'espressione vuol dire vergognarsi di essere single. È un fenomeno di natura sociale che spinge le persone a sentirsi in difetto per il proprio status sentimentale, poiché non è aderente alle aspettative sociali. Uno stigma che nasce da stereotipi ancora radicati nella nostra cultura basata sulla famiglia: si giudica negativamente chi a una certa età non si è sposato e non ha avuto figli, non avendo aderito alle fasi canoniche di una vita considerata “normale” e standardizzata. Il single shaming viene alimentato dall'atteggiamento e dalle domande delle persone che sul single riversano le aspettative dello stare in relazione. Le domande più frequenti rispecchiano un atteggiamento di attesa, come ad esempio: "Che aspetti a fidanzarti?". Le continue pressioni esterne fanno sentire il single inadeguato e inadempiente. Questo succede a maggior ragione quando la persona non vive in maniera del tutto serena la propria singletudine. Ma può generare comunque malessere anche a quei single che non hanno nessun disagio”.

Quali sono le cause di questo fenomeno?

“Sono sociali e culturali. Tutto si riduce alla considerazione che l'essere single è una fase di attesa tra una relazione e l'altra ma non sempre è così. Partendo da questo presupposto, molti considerano il single come qualcuno che è manchevole, che non è completo poiché non ha una relazione. Altri, per questioni culturali profondamente radicate in alcuni contesti, arrivano a pensare che single sia sinonimo di solitudine e di fallimento, perché se non si è in coppia non si ha ottenuto nulla nella vita. Per queste persone la realizzazione personale è strettamente legata alla coppia e alla famiglia”.

Perché ancora oggi si giudica negativamente chi non ha un partner?

“Si tende a pensare che chi non è in coppia è incapace di avere una relazione perché è problematico o troppo selettivo e non sarà mai felice. In questo modo si perde di vista l'elemento dell'individualità che invece può portare una persona a scegliere, in base a considerazioni personali, di essere single e di cercare la sua personale strada della felicità. Molte persone preferiscono ad esempio vivere al di fuori di una relazione stabile, perché non vogliono rinunciare ad una maggiore libertà o perché vogliono dedicarsi ad altri aspetti della propria vita come ad esempio il lavoro”.

Il single shaming colpisce più le donne?

“Sì, perché ancora esiste un doppio standard di valutazione: spesso gli uomini single non sono giudicati male, mentre le donne vengono stigmatizzate con il classico stereotipo della zitella. Resta viva l'idea che la realizzazione personale di una donna debba passare necessariamente per la costruzione di una famiglia, e diventare moglie e madre. È come se l'essere donna fosse meno importante del suo ruolo sociale.La conferma? Molte donne, una volta sposate e con i figli, sembrerebbero rinunciare a spazi personali e all'espressione della propria individualità. Al contrario, è comune una visione dell'uomo che si realizza anche al di là della famiglia, con il lavoro e non solo. Si giustifica l'uomo single che insegue le proprie passioni considerandole prioritarie rispetto ad una relazione stabile. Molte donne poi hanno assorbito questo modo di pensare e soffrono non tanto perché provano disagio, ma perché credono di non potersi affermare al di là dei ruoli di moglie e madre. In questo modo si perde di vista quella che è la priorità personale dell'individuo: il realizzarsi al di là dei ruoli sociali imposti”.



Perché non bisogna mai vergognarsi di essere single?

“Perché è una condizione che rende l'individuo comunque completo, capace di stare con sé stesso. Questo traguardo individuale non è scontato e può minare l'autostima. Cosa fare se accade? È bene chiedersi se siano gli altri a farci sentire così. Se non fosse per quelle continue domande o quei commenti fuori luogo, proveremmo imbarazzo? Se la risposta è no, il nostro problema non è la vergogna, ma il potere che stiamo dando agli altri di giudicare la nostra vita. Pur non essendo facile, sarebbe utile lavorare su sé stessi per essere più centrati e dare valore a ciò che siamo”.

Come si fa a neutralizzare il single shaming?

“Per far capire agli altri che non è una vergogna essere single, il primo passo è sentirsi in sintonia con la propria scelta e non provare nessun disagio a vivere così. Per sbaragliare chi non smette di fare domande sconvenienti sul perché siamo single, può essere efficace usare l'ironia, che serve a depotenziare il giudizio dell'altro. Con ironia si può rispondere ponendo dei confini con frasi come: "Perché ti preoccupi che io sia single? Hai mai pensato che non è poi così male?" Un'altra arma utile nei confronti del single shaming è quella di mostrare i lati positivi dell'essere single, che spesso chi è in coppia invidia, in modo sottile. Primo tra tutti la libertà di cui gode un single e la capacità di stare da solo. Teniamo sempre presente che il giudizio e la critica spesso nascono da un senso di frustrazione per la propria vita. Alcuni di coloro che disapprovano i single potrebbero anche invidiarli in fondo, poiché sono incastrati in relazioni non sempre felici e incapaci di prendersi le proprie libertà”.

A Milano c'è un circolo del tennis pubblico e gratuito: "Ma quale padel, il nostro è il vero sport" Nel 2006 il comune di Milano riconvertì nei pressi del parco Trenno

 A Milano c'è un circolo del tennis pubblico e gratuito: "Ma quale padel, il nostro è il vero sport" Nel
2006 il comune di Milano riconvertì nei pressi del parco Trenno un parcheggio di fronte a una scuola in due campi da tennis pubblici e gratuiti, una rarità non solo per il capoluogo lombardo ma anche per il resto del Paese. Da allora, negli anni, si è formato un nucleo storico di frequentatori che si sono autonominati "TCT", ovvero "Tennis Club Trenno", che, tramite una divertente pagina Facebook, raccontano la gestione dei campi e associano - anche se informalmente - i nuovi arrivati. "Il nostro - racconta Fabio Maffini, tra i gestori della pagina e insegnante di tennis - non è un circolo ufficiale ma ideale, dove tutti possono associarsi. Il tennis ha un costo, da noi no". E così, fra inverni passati a spalare la neve dal campo e pomeriggi estivi tra volée o partite a carte, il club è arrivato fino a 140 iscritti. "Questo - argomenta Mauro, altro giocatore - è un luogo di vera socializzazione che tiene lontane le persone da bar, bicchierini, scommesse e via discorrendo".



 Il circolo ha una forte componente di pensionati anche se non mancano i più giovani. Rispetto a pallacanestro o calcio, sport molto praticati in aree urbane in maniera estemporanea e gratuita, il tennis non ha storicamente uno spirito "di strada". Cosa che, invece, al TCT è molto presente e non senza polemiche sulla gestione dei campi. "Per prevenire incidenti su chi deve giocare e chi no - dice Pino, storico frequentatore 69enne - c'è una regola non scritta. E cioè si fanno doppi, da due set e poi si lascia il campo. Chi non rispetta la regola non è benvenuto". Nel gruppo del TCT ci si dà soprannomi, come "Acciughina" o "Bradipo", c'è "L'Artennista" Francesco, che disegna caricature dei nuovi arrivati e i campi sono divisi in due: uno per i più bravi, l'altro per i principianti. Un piccolo esempio di comunità creata da un intervento amministrativo che, ai suoi membri, fa lanciare un messaggio: "Ce ne vorrebbe uno in ogni zona di Milano".
                                    di Andrea Lattanzi

  da  non confondersi  con  Il padel (dallo spagnolo pádel, a sua volta dall'inglese paddle )  sport con la palla di derivazione tennistica. Si pratica a coppie in un campo rettangolare e chiuso da pareti su quattro lati, con l'eccezione delle due porte laterali di ingresso. Il gioco si pratica con una racchetta dal piatto rigido con cui ci si scambia una pallina uguale a quella da tennis, ma con una pressione interna inferiore, che permette un maggior controllo dei colpi e dei rimbalzi sulle sponde. Non è da confondersi, quindi  ,  con il paddle tennis di cui è una variante. ..... qui altre  notizie   sul  suo derivato Padel

31.8.22

Quando lo chef va controcorrente "Caro bollette? E io abbasso i prezzi"

 

di Tommaso Carmignani 

Quando lo chef va controcorrente "Caro bollette? E io abbasso i prezzi"

TOMMASO CARMIGNANI -
Quando lo chef va controcorrente  "Caro bollette? E io abbasso i prezzi"

Al posto di triglie e salmone userà cozze e pesce azzurro. Invece di servire french rack di agnello cucinerà maiale e tagli meno pregiati. A Giovanni Avano, giovane chef del ristorante 20 Posti, il coraggio di andare controcorrente non è mai mancato. Ha aperto la sua attività in piena pandemia, una settimana prima che dichiarassero Codogno zona rossa. Un altro al suo posto avrebbe mollato tutto, lui ha insistito ed è andato avanti. "Ma stavolta – dice l’imprenditore – ho la sensazione che la crisi sia addirittura peggiore rispetto al Covid". Il caro dell’energia e delle materie prime non ha ovviamente risparmiato la sua attività e così, con bollette e fatture in continuo aumento, lo chef ha deciso di andare in direzione opposta rispetto a molti suoi colleghi. Anziché aumentare i prezzi alla sua clientela ha deciso di abbassarli, rivisitando il menù in maniera intelligente e certosina, senza limitare la sua creatività in cucina, ma con un occhio di riguardo alla spesa e al modo in cui questa viene effettuata.
"Tutto parte dalla necessità di puntare maggiormente sui numeri. Abbiamo bisogno di incrementare i clienti, ma per farlo è necessario proporre un menù a prezzi più contenuti". Perché, come sottolinea anche in un post scritto sui social alle due di notte dopo un’intensa serata di lavoro, "non è giusto che andare a cena fuori sia considerato un lusso". E così largo a preparazioni realizzate con prodotti e ingredienti più poveri – come il maiale e il pesce azzurro, per citarne un paio –, ma anche tempi di cottura minori ed un utilizzo dei macchinari più sostenibile. Un nuovo menù chiamato appunto ’controcorrente’.

"Questo non significa usare materie prime più scarse, ma andare su prodotti più locali e facilmente reperibili. Si può scoprire una cucina particolare e divertirsi – dice Avano – anche a partire da una semplice cozza o da uno sgombro, certamente più accessibili rispetto ad un tonno che ormai ha raggiunto i 35 euro al chilo ed è inavvicinabile". Tradotto in soldoni, un menù degustazione da venti portate che prima costava 70 euro adesso potrebbe essere ridotto di almeno 10 euro, con lo scopo, sottolinea ancora Avano, "di aumentare la clientela e compensare il calo di prezzo. Ovviamente i conti devono tornare, ma ho pensato che fosse meglio fare così. Cercherò di mantenere i margini più alti su altri tipi di prodotti, come ad esempio il caffè o i vini, che non sono strettamente legati al cibo e possono comunque interessare ad una clientela che il prezzo lo guarda meno".

Secondo Avano è fondamentale inventarsi qualcosa di diverso per cercare di compensare un aumento dei prezzi che rischia di abbattersi sugli esercizi pubblici in maniera ancor più pesante e aggressiva rispetto al Covid. "Abbiamo cercato di attirare anche una clientela più giovane con un menù degustazione riservato appositamente agli Under 35 – prosegue il giovane chef – e le cose hanno funzionato, ma la mannaia dei costi continua ad abbattersi su le nostre attività in maniera impressionante. Dobbiamo inventarci qualcosa e la mia scelta è stata que

la malinconia può essere preziosa [ parte I ] - autunno 2022

in sottofondo 
La Malinconia Luca Carboni

"A settembre succedono giorni di cielo sceso in terra. Si abbassa il ponte levatoio del suo castello in aria e giù per una scala azzurra il cielo si appoggia per un poco al suolo." Erri De Luca🌾🌾🍂🍁🍇

 

Di solito  tutti gli anni vedevo il periodo che va dalla fine d'agosto ai primi di   Settembre  il nono mese dell'anno secondo il calendario gregoriano ed è il primo mese dell' autunno nell'emisfero boreale 

ed il primo della primavera nell'emisfero australe   come  qualcosa  di malinconico  \  triste   e   ritorno al solito tram tram   \  routine  .   Come testimonia      la striscia     dei fumetti di penauts  riportata   sotto  .   Ma  stavolta ,  cazzeggiando  in rete  ,  grazie  alla canzone    suggerita     che si sente in sottofondo   e ad  una  storia     di  un  mio  contatto  di facebook   , ne  ho  scoperto  l'utilità  un altro lato .  infatti posso dire  almeno.per quest'anno  che , come un famoso film  Odio l'estate  , la mia stagione insieme alla primavera preferita .   Mi ci vuole   un po' di malinconia per  archiviare    un estate  di  merda   fra  covid  ,  afa , lutti  ,  noia ,  una   campagna  elettorale   violenta  ed  aggressiva   fatta :  d'insulti,  fakenews   demagogia  ed  propaganda  .   Infatti   come dal titolo del post  la malinconia in   certi momenti  può essere  preziosa 

 Peanuts 2022 agosto 29 (ilpost.it)


  
Con un felice paradosso il celebre scrittore Victor Hugo definì la malinconia “la gioia di sentirsi tristi”. Una gioia difficile da afferrare, legata spesso ad un dolce indugiare nella propria fantasia volto a ricercare non di rado una bellezza, un qualcosa, dai contorni sfumati: un amore che non è mai arrivato realmente, un sogno nel cassetto a cui si guarda con un piacevole mix di desiderio e rassegnazione. A differenza della nostalgia, nella quale si soffre per l’assenza di un passato ben specifico, la malinconia rimane uno stato d’animo di fondo maggiormente indeterminato. Un cuscino morbido, nel quale trovare un certo ristoro. “I migliori momenti dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia dove tu piangi e non sai di che , e quasi ti rassegni riposatamente a una sventura e non sai quale”, scrive Giacomo Leopardi nello Zibaldone con parole non lontane dal “naufragar m’è dolce in questo mare” che ritroveremo nella lirica più celebre, L’Infinito, dello stesso Leopardi. Per altri poeti ....  segue in   << Malinconia e Melanconia Psicologo Dott. Luca Zucconi Frosinone e dintorni  >>  ( su  psicologofrosinone.it)


benvenuta quindi nalinconia   


 

Marco Guerra, trent'anni da libraio di periferia: "Ce l'ho fatta perché sono più veloce di Amazon"

  da repubblica sdel 31\8\2022

Marco Guerra, trent'anni da libraio di periferia: "Ce l'ho fatta perché sono più veloce di Amazon"

La libreria Pagina 348 festeggia l'anniversario a Roma Sud: "Il segreto è non fare sentire solo il lettore"


C’è un gran silenzio estivo in viale Cesare Pavese quando Marco Guerra alza con gran fracasso la saracinesca della sua libreria, Pagina 348. Periferia sud di Roma, alla fine di una sfilza di palazzine tra l’Eur e il Grande Raccordo anulare. “Qui tutto è cambiato rispetto a quando abbiamo iniziato, trent’anni fa. Non c’era internet, né Netflix, non avevano ancora inventato lo smartphone. La gente usciva di più, sia di

giorno che di sera, faceva lo struscio lungo questa via, nel quartiere prosperavano ancora cinque librerie indipendenti”. Guerra le elenca: quella dei Congressi, i due punti di vendita di Palma, Book and Byte e un’altra di cui non ricorda più il nome. È rimasto solo lui. “Oggi i ragazzi vanno al centro commerciale il pomeriggio, ne sono sorti addirittura due, l’Euroma2 e il Maximo. E infatti quasi nessuno più passeggia in via Pavese. Laddove c’era una profumeria ora c’è il Compro oro, e al posto del negozio di scarpe è sorta una sala giochi”. Guerra si siede su un pacco enorme di nuovi arrivi appena scaricati dal corriere, “siedo su 17mila euro di roba”, scherza. Alle sue spalle c’è un cartello con la scritta “La libreria consiglia”: due scaffali di libri che gli sono piaciuti, a lui, al fratello Alessio e alla loro collaboratrice Cristina Navarra. “Molti li abbiamo consigliati prima che diventassero famosi, e infatti questo scaffale è il più redditizio".
Spiccano i libri di Piero Trellini su Italia-Brasile e Che hai fatto in tutti questi anni, il saggio di Piero Negri Scaglione su C’era una volta in America, Stoner Il ritorno di Matar, La simmetria dei desideri di Nevo, gli ultimi romanzi di Valentina Farinaccio e Silvia Dai Pra', per citarne alcuni. Sullo scaffale ci sono anche due dvd, del film Bangla, e Quando c’era Berlinguer di Veltroni. Cinema e calcio, due ossessioni per Guerra, 50 anni, di sinistra e molto romanista.

Cita le altre scoperte: Antonio Manzini, Fabio Bartolomei, Daniele Mencarelli, Marco Malvaldi. “Malvaldi venne qui nel 2007, aveva ancora i capelli scuri, non lo conosceva nessuno, vennero ad ascoltarlo dodici persone. Nel quartiere cominciarono a chiedermi i suoi libri. Questo l’ho imparato col tempo: una presentazione felice suscita sempre un’onda, innesca un passaparola. E perciò ne facciamo tantissime, anche nei pub, nei ristoranti, col circolo Arci, nella vicina biblioteca Laurentina che solo in teoria rappresenta una concorrenza per noi. Niente puzze sotto il naso. Sono un libraio indipendente, ho i miei gusti, le mie idee, ma il segreto è entrare in relazione col cliente, capire cosa vuole. Servirlo. Mai anteporre le tue idee. I librai che agiscono così alla fine chiudono”. Racconta di quella volta che tappezzò l’intera vetrina della biografia di Totti. “Alcuni colleghi mi criticarono. Ma nei giorni successivi cominciò a entrare in libreria gente mai vista prima. Il garzone del bar di fronte, l’estetista del centro nella via, il benzinaio. Non prendevano un libro in mano dai tempi della scuola, alcuni poi sono tornati. Non è detto che uno di loro finisca per passare, prima o poi, a un Adelphi”. Il libro della Meloni quelli di destra lo cercano? “Non più di tanto”. È stato un bestseller. “Sì, ma stranamente ne ho venduto poche copie”.Guerra è torrenziale. Si percepisce una passione profonda per il suo mestiere e una conoscenza vera per l’altro (un bravo commerciante è anche uno psicologo). Cita a precipizio tutte le attività accessorie che si è inventato per campare: corsi di scrittura creativa, presentazioni in presenza e online, pranzi con l’autore, dirette social, laboratori per bambini, gruppi di lettura, acquisti sul web: “Oggi ne ho venduto uno a Campobasso”. Dice: “Per ogni libro venduto si guadagna il 30 per cento rispetto al prezzo di copertina, con uno scolastico il 15. È un’arma a doppio taglio lo scolastico, se non lo sai fare, ti fai molto male. Soprattutto oggi conta la rapidità. Il cliente che mi chiede un libro che non ho in negozio alla mattina lo deve trovare alle quattro del pomeriggio. Mi sono salvato perché sono più veloce di Amazon, che detiene ormai il 40 per cento delle vendite. Nella pausa pranzo prendo la macchina mi precipito nel magazzino oltre il raccordo, mangio un panino all’autogrill, e torno col libro. Quel cliente tornerà”. Guerra tiene aperto anche la domenica mattina. “La gente esce da messa e passa da qui, per parlare della Roma, o di politica. È come stare in un paese, ti senti al centro della comunità”. 

Che periferia è questa?, gli chiediamo. “Molto composita, vivace, classe media, più ricca verso l’Eur, decisamente più impoverita verso il raccordo. Per andare a teatro bisogna arrivare a Testaccio; lo stadio e l’Auditorium sono proprio dall’altra parte". Tutto è cambiato, ripete. Anche i negozi di viale Europa non sono più di una volta, ma non si può vivere di nostalgia, di quando i librai stavano dietro al banco col grembiule”. Guerra è figlio d’arte. Suo padre, Mario, s’inventò le prime rassegne a Castel Sant’Angelo, negli anni Ottanta. “Sapeva il catalogo a memoria, era una generazione formidabile, che viveva in librerie tappezzate di libri fino al soffitto, e avevano tutto in testa”. Stasera, nell’arena della Biblioteca Laurentina, il quartiere festeggerà la piccola impresa, trent’anni di vita non sono pochi per una libreria di quartiere. Ma qual è il segreto, alla fine? “Non voglio essere solo. Bisogna imparare a stare insieme agli altri, parlarsi, vedersi, allearsi, fare comunità. Vale per un libraio, ma in fondo è una regola valida per tutti”.

29.8.22

‹‹Frigoriferi staccati a turno per non aumentare i prezzi » Il Bar da Stella a Nuoro: « Dopo il Covid, un altro disastro »

  la  nuova  sardegna  del  29\8\2022
 ‹‹Frigoriferi staccati a turno per non aumentare i prezzi » Il Bar da Stella a Nuoro: « Dopo il Covid, un altro disastro »

                               Kety  Sanna 

Nuoro
 «Pensavamo che superato il Covid nulla si sarebbe potuto più mettere di traverso». Il Bar da Stella, in via Dessanay, locale aperto da tempo ma gestito da tre anni da Antonelo Carbone e Stella Carta, ora rischia la chiusura. A determinarla la stangata avuta con il caro energia. L’ultima bolletta, relativa ai mesi di giugno e luglio, ha superato i 4700 euro. «Un disastro. Impossibile sostenere queste spese» dicono marito e moglie, lui 55enne, lei più giovane di un anno, che quotidianamente viaggiano da 

 i titolari del bar da Stella,
 in via Dessanay a Nuoro
Ottana per mandare avanti l’attività. «Siamo partiti pagando bollette che non superavano i 900 euro e ora i costi si sono quadruplicati. Le prime avvisaglie del rincaro energetico le abbiamo avute qualche mese fa, quando siamo passati a 2mila e 200 euro. Ora, però, ci siamo trovati a pagarne 2.800 in più». Quattro volte tanto i costi per Stella Carta e Antonello Carbone che per limitarli hanno iniziato a staccare due frigoriferi. «Il fatto – dice la barista – è che per questo bimestre avevo una promozione che ci permetteva di pagare 27 centesimi a chilowatt. Dal prossimo, pagheremo 40 centesimi, dunque per noi sarà sempre peggio». E pensare di aumentare i prezzi per i due titolari sarebbe fallimentare. «In un locale, se si dovesse sollevare il costo  del caffè o della birra dall’oggi al domani, i clienti vanno via – sottolineano –. Certo è che se dovesse arrivare un’altra bolletta come l’ultima, saremo costretti a licenziare una dipendente, che lavora con noi a tempo indeterminato, da due anni. In un bar come questo, dove al mese solo per le spese fisse, senza contare il costo della merce, partono 7mila euro, non è possibile affrontare stangate come queste – aggiungono i due baristi –. Motivo che ci ha portato rateizzare la bolletta paghiamo mille e 400 euro in quattro mesi, sapendo che nel frattempo arriveranno le altre, e chissà se saremo in grado di farvi fronte». Stella e Antonello hanno iniziato a lavorare nel bar il 1 settembre 2019, quando hanno deciso di acquistare la licenza dal precedente titolare, che stanno ancora pagando. «Per noi è stato come reinventarci. Io – dice la donna – lavoravo in un market, mentre mio marito era un vigilante. Dopo 6 mesi che abbiamo aperto, siamo stati costretti a chiudere per il Covid. Ci ha beccato in pieno. Per noi non era previsto alcun tipo di aiuto, proprio perché avevamo appena iniziato e non avevamo “uno storico”. Inoltre eravamo un’azienda a conduzione familiare. Siamo riusciti a “strappare” 600 euro per due mesi, e mille euro per il mese di dicembre. Nonostante tutto abbiamo continuato a pagare l’affitto del locale: 1500 euro, e le bollette che sono continuate ad arrivare. È andata male – continuano – ma abbiamo resistito, anche se ci abbiamo rimesso tutti i risparmi. Ora queste bollette sono state davvero il colpo di grazia. Se si continua di questo passo saremo costretti a chiudere». Il Bar da Sella si trova in un punto strategico della città, a pochi passi dall’area commerciale di via Don Bosco e a quella di via Dessanay. È un locale che lavora bene, e tanto, in tutto l’arco della giornata. «Dalle 5 del mattino siamo già dietro il banco, per poi chiudere alle 22. È un lavoro stressante che in condizioni normali dà tante soddisfazioni. Il fatturato è buono anche perché garantiamo pasti caldi ai clienti. Ma, il Covid prima, e la crisi poi, ci hanno spezzato le gambe. E proprio ora che ci stavamo rialzando – concludono marito e moglie – è arrivata la stangata delle bollette. Se nessuno interviene per noi è la fine