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19.6.25

DIARIO DI BORDO N 130 ANNO III Se il turista rompe l'opera. La sedia di Nicola Bolla adesso è un'opera diversa? ., Bologna, sorpresa a Polonara: i compagni gli portano lo scudetto in ospedale ., Studente multato il giorno della maturità ma un imprenditore si offre di pagarla.,

Quest  articolo è  una delle domande che avrei voluto fare a quel mio amico di Cagliari ora prof di storia dell'arte che insegna all'università di Messina citato nel post precedente e  conferma  le  mie  impressioni quando dicevo     che  il gestro di quelle persone    non è  solo   vandalismo   


Se il turista rompe l'opera. La sedia di Nicola Bolla adesso è un'opera diversa?
di Federica Schneck* , scritto il 16/06/2025

Cosa accade quando un’opera d’arte si rompe? Il caso della sedia di Nicola Bolla, spezzata da un turista che voleva farsi una fotografia, nasconde una domanda: cosa resta di un’opera d’arte quando viene danneggiata? È ancora se stessa? Può mutare la sua funzione, e con essa il suo significato?
Nel silenzio sorvegliato di un museo, ogni cosa sembra immobile. Le opere stanno, immobili, come 
opera  di bolla    non daneggiata 
reliquie di un altro tempo. I visitatori sfiorano con lo sguardo, camminano piano, a volte leggono, spesso fotografano. Ma cosa succede quando qualcosa si rompe? Quando una di queste presenze, apparentemente eterne, si spezza? Quando l’arte, nel senso più fisico e materiale del termine, cede?
Succede a Verona, a Palazzo Maffei, nel cuore storico della città. Un’opera dell’artista torinese Nicola Bolla, intitolata Sedia Van Gogh, viene danneggiata da un visitatore. Non un atto vandalico, non un gesto aggressivo: semplicemente, qualcuno si siede. Magari per scattarsi una foto, per sentirsi parte dell’opera, per un istante di narcisismo inconsapevole. Ma la sedia, costruita con struttura sottile e rivestita da centinaia di cristalli Swarovski, non è pensata per sostenere il peso reale di un corpo. È una scultura, un’idea trasformata in forma. E sotto quel peso, l’opera crolla.
L’episodio ha fatto il giro dei giornali, rimbalzando tra indignazione e ironia, con titoli come “turista idiota distrugge la sedia di cristallo” o “opera d’arte scambiata per oggetto d’arredo”. Ma dietro la notizia curiosa si nasconde una domanda più profonda: che cosa resta di un’opera d’arte quando viene danneggiata? È ancora se stessa? Può mutare la sua funzione, e con essa il suo significato? 
Nel nostro rapporto con l’arte, esiste un paradosso: la avviciniamo, la contempliamo, ma spesso non la comprendiamo. Soprattutto nel caso dell’arte contemporanea, che gioca con l’ambiguità tra forma e funzione, tra oggetto e simbolo. Una sedia può essere, al tempo stesso, un elemento d’arredo e una scultura concettuale. Ma non può essere entrambe le cose nello stesso momento. La sedia di Nicola Bolla, parte di una serie di lavori che reinterpretano oggetti quotidiani rivestendoli di materiali preziosi, è una trappola visiva, un gioco di ambiguità. Come molte opere contemporanee, vive nel cortocircuito tra ciò che sembra e ciò che è. Apparentemente invitante, luccicante, elegante, rassicurante, è in realtà
l'opera    daneggiata
inservibile, fragile, poetica. È proprio questa contraddizione a costituire il suo significato: un oggetto comune, reso inservibile e sacralizzato dalla sua preziosità. Chi si è seduto su quella sedia ha quindi commesso un errore cognitivo prima ancora che fisico: ha preso un’opera per un oggetto, ha confuso l’arte con la vita. E se è vero che l’arte vuole spesso essere vissuta, questo episodio mostra anche quanto sia fragile il confine tra esperienza e distrazione.
Una domanda sorge dunque spontanea: un’opera d’arte danneggiata è un’opera finita? Oppure è semplicemente un’opera che cambia, che evolve, che si apre a un altro racconto? Nel caso della sedia di Bolla, la risposta arriva rapidamente: i restauratori del museo intervengono, ricompongono l’opera, ne ricostruiscono la forma. L’artista approva. L’istituzione si rasserena. Ma qualcosa, inevitabilmente, è cambiato per sempre. E l’artista ne è consapevole.
La sedia non è più “quella di prima”, ma è diventata un’altra cosa: un oggetto ferito, ricomposto, che porta dentro di sé la memoria dell’incidente. 

scene dal video  

È ora un’opera che racconta anche la sua vulnerabilità. Un po’ come i vasi giapponesi del kintsugi, che mostrano le crepe riempite d’oro per rendere esplicita la fragilità come bellezza. L’opera di Bolla, anche se restaurata, non potrà più essere letta senza pensare al gesto che l’ha danneggiata. Tant’è che lui stesso sta pensando di modificare il titolo dell’opera. Il suo significato si è ampliato, stratificato. Ha perso l’innocenza, ma ha guadagnato profondità.
Perché? Oggi l’arte non è solo una produzione estetica: è anche una pratica relazionale. Vive nello spazio che si crea tra l’opera e il pubblico. Quando questo spazio viene violato, da incuria, superficialità, o semplice ignoranza, l’opera si trova improvvisamente sradicata dalla sua funzione. L’equilibrio delicato tra offerta e ricezione si rompe. L’episodio di Verona non è isolato: altri esempi recenti hanno mostrato come la fragilità dell’arte sia anche una responsabilità collettiva. Non basta apporre un cartello con scritto “non toccare”. Serve un’educazione dello sguardo, una pedagogia della fruizione. Guardare un’opera non è un gesto passivo, ma una forma di cura.
E qui si tocca una verità scomoda: molti spettatori non sono più abituati a distinguere tra esperienze estetiche e performative. Il mondo dei social ha sdoganato la spettacolarizzazione di tutto: ogni luogo è un set, ogni oggetto uno sfondo. Ma l’arte non è un oggetto da consumo. È, semmai, un luogo da abitare con rispetto. C’è un aspetto, però, in questo evento che merita attenzione: l’opera ora racconta di più di prima. Prima era solo un omaggio alla sedia di Van Gogh, una scultura giocosa ma concettualmente limpida. Ora è anche un documento del nostro tempo. Una testimonianza di fragilità culturale. Una prova del fatto che le opere d’arte, come i corpi vivi, possono rompersi.
La Sedia Van Gogh di Nicola Bolla è oggi, paradossalmente, più significativa di prima. Perché ha attraversato l’evento, ha subito la caduta, e ne è uscita trasformata. Non solo riparata, ma portatrice di un nuovo livello di senso. Questo non giustifica l’atto distruttivo, ovviamente. Ma ci invita a ripensare il senso dell’opera non come oggetto statico, ma come entità vivente. L’arte non è solo rappresentazione: è anche relazione, trauma, memoria. Viviamo in un’epoca in cui tutto è accelerato, tutto è documentato, tutto è potenzialmente distratto. Ma l’arte chiede lentezza, chiede attenzione. E chiede anche responsabilità. Non solo da parte di chi la fa, ma anche da parte di chi la guarda, la ospita, la vive.
Forse è questo il senso più profondo dell’episodio di Verona: ricordarci che l’arte, proprio come la vita, è sempre esposta. È fragile. È mutevole. Ma proprio per questo, continua a parlarci. Anche quando si spezza. E forse, a ben vedere, solo ciò che può rompersi è veramente vivo.

 * L'autrice di questo articolo: Federica Schneck classe 1996, è curatrice indipendente e social media manager. Dopo aver conseguito la laurea magistrale in storia dell’arte contemporanea presso l’Università di Pisa, ha inoltre conseguito numerosi corsi certificati concentrati sul mercato dell’arte, il marketing e le innovazioni digitali in campo culturale ed artistico. Lavora come curatrice, spaziando dalle gallerie e le collezioni private fino ad arrivare alle fiere d’arte, e la sua carriera si concentra sulla scoperta e la promozione di straordinari artisti emergenti e sulla creazione di esperienze artistiche significative per il pubblico, attraverso la narrazione di storie uniche.


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Bologna, sorpresa a Polonara: i compagni gli portano lo scudetto in ospedale




Detto, fatto. Glielo avevano promesso e il trofeo è arrivato: la Virtus Segafredo Bologna, dopo aver sollevato il suo 17° scudetto nella sua storia, ha fatto la sorpresa ad Achille Polonara portandogli in ospedale il titolo che è stato conquistato poche ore fa dopo la vittoria in Gara 3 contro la Germani Brescia. L'ala italiana, ricoverata all’Ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna per curarsi da una leucemia mieloide, ha ricevuto il trofeo dai compagni di squadra Alessandro Pajola, Marco Belinelli e Tornik'e Shengelia. Il post pubblicato dalla Virtus sui social è accompagnato dalla seguente didascalia: "Te l'avevamo promesso e te l'abbiamo portata. Forza Achille".


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ho letto su google  news     che  Il FAI presenta a Villa Necchi Campiglio una mostra dedicata a Ghitta Carell (1899-1972), [  foto  a sinistra ] fotografa ritrattista che nell’Italia tra le due guerre fu la più celebre e richiesta.Conoscevo     alcune  foto per  averle  viste  in libri  o  riviste . Ma    non sapevo    che fossero di una  fotografa cosi importante  . Infatti     secondo  l'articolo  del Fai  che pubblicizza la  mostra     ho appreso che  davanti al suo obiettivo posarono i massimi protagonisti dell’epoca, gran parte dell’alta società italiana e del mondo della cultura, anche di livello internazionale. I suoi scatti nitidi, intensi ed eleganti, dallo stile inconfondibile, costituiscono una galleria affascinante e curiosa, che attraverso i volti, la moda e gli sguardi offre un ritratto originale della storia e della cultura del Novecento.La  mostra  curata da Roberto Dulio, l’esposizione raccoglie più di cento opere, tra fotografie vintage, lettere, cartoline, libri, documenti d’archivio e l’attrezzatura fotografica, esposta per la prima volta in una mostra.
Tra le fotografie, alcuni ritratti particolarmente legati al luogo, Villa Necchi, come quello dell’architetto Piero Portaluppi, autore del progetto della villa, e delle due sorelle Necchi, Nedda e Gigina, che ne furono proprietarie, e la donarono al FAI; anche Giulia Maria Crespi, fondatrice del FAI, compare giovane a fianco della madre in un ritratto esposto.
Ed è proprio dalla presenza di questi ritratti “familiari” che nasce l’idea della mostra a Villa Necchi, con un progetto di allestimento che presenta un’esposizione museale nello spazio dedicato alle mostre e dispone poi altre fotografie negli ambienti della casa, sugli arredi, con le loro cornici originali, come fossero state esposte lì dagli stessi proprietari. Villa Necchi, del resto, non è un museo, ma una casa, e mostre come questa sono pensate dal FAI proprio per valorizzarne l’identità e l’atmosfera speciali, e per raccontare da un altro punto di vista lo spaccato di vita, anche privata, di società e di cultura del Novecento che già questo luogo testimonia ed esprime.


Informazioni per la visita
Dove
Villa Necchi CampiglioVia Mozart, 14 MILANO
QUANDO
da Mercoledì a Domenicadalle ore 10:00 alle 18:00
contatti
0276340121fainecchi@fondoambiente.it

sempre  secondo il sito  del Fai ( fondo ambiente italia ) 

L’esposizione rinnova la l’offerta di visita di Villa Necchi Campiglio seguendo la politica culturale del FAI che “usa” le mostre nei suoi Beni come occasioni per valorizzare lo spirito del luogo, ovvero per approfondire e ampliare la conoscenza della sua specifica identità e della sua vocazione. Anche questa mostra nasce da un contenuto che già Villa Necchi esprime, ovvero la storia della società e del costume in una certa Milano della prima metà del Novecento, e trae lo specifico spunto dalla presenza nell’allestimento storico dei ritratti di Nedda e Gigina Necchi, immortalate proprio dalla macchina fotografica di Ghitta Carell.
Alle foto delle sorelle Necchi, nella loro collocazione originale, saranno affiancate nella hall del primo piano una parte dei ritratti raccolti per questa mostra, lasciati all’interno delle loro cornici originali. Le fotografie saranno posizionate su un grande tavolo da centro, come se fossero state collocate lì dai proprietari di casa, integrandosi con l’arredo e confondendosi con le fotografie della famiglia, senza turbare l’ambiente domestico allestito e abitato dai Necchi Campiglio.
La mostra proseguirà nel guardaroba, che sarà dedicato ad approfondire la tecnica fotografica della Carell, e si espanderà nel sottotetto della villa: uno spazio propriamente museale dove saranno esposti ulteriori ritratti, in gran numero, oltre a lettere, cartoline, libri e documenti d’archivio, per raccontare, anche attraverso video e filmati storici, non solo il lavoro della fotografa, ma anche i rapporti e le relazioni che la hanno legata a esponenti della classe aristocratica e intellettuale del tempo.


Una call per ritrovare le fotografie di ghitta carell


Il FAI intende lanciare una Call for portraits, ovvero una ricerca diffusa tramite social e canali digitali, per ritrovare fotografie di Ghitta Carell conservate nelle case delle famiglie milanesi.
Per segnalare un’opera è necessario scrivere all’indirizzo mostraghittacarell@fondoambiente.it al fine di sottoporre le immagini all’attenzione dei curatori, fino al 3 ottobre 2025. Le fotografie selezionate saranno richieste in prestito per la mostra.


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  da  Il Mattino  tramite   msn.it  


Studente multato il giorno della maturità: un imprenditore si offre di pagarla





L’esame di Maturità: no, non si tratta solamente di una serie di verifiche volte ad accertare le competenze acquisite nel corso del ciclo scolastico. È un appuntamento ineluttabile che segna la fine di un percorso e l’inizio di una nuova fase della vita. Ansia, preoccupazione, emozione e previsioni: c’è chi sente di essere preparato e chi, invece, è sopraffatto dalla paura. Il nervosismo per la prima prova non lascia scampo. A tutto questo si aggiunge anche il timore di arrivare tardi in aula.
Uno studente, mercoledì 18 giugno, ha raggiunto un liceo, a Roma, in zona San Paolo, vicino via Giuseppe Libetta, per sostenere il tema di italiano. Ha rischiato di salire in classe oltre l’orario di entrata perché non è arrivato accompagnato dai suoi genitori, ma solo, con la sua auto. E a Roma, in certi giorni, trovare parcheggio diventa una mission impossible. Lui, il giovane, è riuscito nell’intento. Ha lasciato l’auto sulle strisce blu. La sosta richiede il pagamento tramite parcometro o applicazioni mobili.
Il giovane ha affidato agli ausiliari una preghiera con la speranza di non essere “punito”. Carta, penna e un appello rivolto agli operatori della sosta: «Vi prego ho la maturità, ho girato 20 minuti». Al ritorno, la brutta sorpresa: una multa da pagare. La storia raccontata dal Messaggero ha commosso un residente di Pesaro che immediatamente ha scritto al nostro giornale per rintracciare il ragazzo.
La reazione
«Ho letto l’articolo e la storia mi ha fatto molto riflettere», dice Roberto Spinaci, raggiunto telefonicamente. L’uomo, imprenditore di professione, si è dimostrato solidale nei confronti del ragazzo a tal punto che si è offerto di saldare lui stesso la multa. «È vero - sottolinea - il vigile non poteva fare diversamente, ma quel ragazzo, in un giorno importante della sua vita, con educazione e accortezza si è preoccupato di lasciare un messaggio di supplica agli ausiliari del traffico. Ed è un gesto di profonda educazione che mi ha colpito tanto e vorrei - spera Roberto - mettermi in contatto con lo studente e pagare la sanzione».

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 da   https://www.geopop.it/

Cos’è la “rimaturità” sostenuta al Liceo Galileo di Firenze: rivivere le emozioni dell’esame di Stato da adulti
Tornare sui banchi di scuola e rifare l’esame di maturità in età adulta. È quello che accade dal 2024 al Liceo Galileo di Firenze. La prova, però, non ha valore legale e serve soltanto a mettere in connessione vecchi e nuovi alunni della scuola.

Torna La “rimaturità” del Liceo classico statale Galileo di Firenze. Si tratta di una prova di esame di maturità sostenuta volontariamente dagli ex alunni, la cui prima “edizione” risale al 2024. La scuola, fondata nel 1878, è uno dei licei più antichi e prestigiosi d’Italia. La “rimaturità” è stata introdotta nel 2024 per iniziativa della dirigente scolastica e dell’associazione degli ex alunni. La prova, che si svolge in maggio, prevede una traduzione dal latino all’italiano, ma non ha valore legale ed è organizzata per scopi di rievocazione storica.

                                 Il liceo classico Galileo di Firenze e la “rimaturità”

Dal 2024, gli ex studenti del Liceo Galileo di Firenze si possono sottoporre nuovamente all’esame di maturità, o meglio, possono sostenere una prova di esame nella scuola che hanno frequentato da studenti. Logicamente la prova, alla quale ci iscrive su base volontaria, è priva di valore legale e ha solo uno scopo di rievocazione e di affermazione dell’identità del Liceo Galileo.
La scuola è infatti il liceo più antico di Firenze e uno dei più antichi d’Italia. Esiste dal 1878, poco dopo l’Unità d’Italia, quando, nell’edificio che ospitava il Collegio dei Padri Scolopi, fu fondato un regio Ginnasio (equivalente alle attuali medie e al biennio delle superiori) che, per decreto del ministro Francesco De Sanctis, fu intitolato a Galileo Galilei. Nel 1884 al ginnasio si aggiunse il Liceo (cioè gli ultimi tre anni delle superiori). Da allora il Galileo è stato sempre attiva e nel corso degli anni sui suoi banchi hanno studiato illustri esponenti del mondo politico e intellettuale italiano. Tra loro gli scrittori Mario Luzi e Bruno Cicognani, l’astrofisica Margherita Hack, la giornalista Oriana Fallaci, l’uomo politico Giovanni Spadolini, lo storico Eugenio Garin e molti altri.
Come si svolge la “rimaturità”
La “rimaturità” è nata per rivendicare l’orgoglio identitario del Liceo Galileo e per creare una sorta di ponte tra vecchie e nuove generazioni di alunni. La prova è stata organizzata per la prima volta nel 2024 per iniziativa della dirigente scolastica, Liliana Gilli, e dell’associazione Amici del Galileo, che raccoglie ex alunni e docenti. Alla prima edizione hanno partecipato 207 ex alunni, tra i quali la più anziana era una donna di 89 anni, diplomatasi nel 1954. I più giovani, invece, erano studenti universitari che hanno superato la maturità nel periodo del Covid, senza prove scritte. Nel 2025 la "rimaturità" è stata nuovamente proposta e ha avuto luogo nel pomeriggio del 16 maggio.
La prova consiste in una traduzione dal latino in italiano. Gli “studenti” hanno a disposizione due ore di tempo e possono utilizzare il dizionario. Sul banco possono tenere esclusivamente la penna e i fogli timbrati dall’istituto, come accade negli esami di maturità «veri».
Gli "studenti" possono scegliere tra due livelli di difficoltà: il livello base (o non competitivo), per il quale le traduzioni sono corrette e valutate dagli alunni attuali della scuola; il livello avanzato (o competitivo), nel quale le prove sono corrette e valutate dai docenti in collaborazione con l’Associazione italiana di cultura classica. Ai partecipanti è assegnata una medaglia commemorativa, consegnata in un’apposita cerimonia che si tiene in ottobre.

18.6.25

non sempre l'uccisione di una donna non sempre è femminicidio

 Un ragazzo di 21 anni uccide sua madre dopo averla minacciata varie volte, la gente sui social si indigna, non per l’accaduto, ma per il tag #femminicidio. come  dice @karavalentinamazara di
thereads. Certo  cìè  un uso improprio  del termine  femminicidio  ma  sempre  su 
www.threads.com





 

C'è anche qualche persona "intelligente" che colpevolizza la madre per aver cresciuto un figlio così, oppure afferma che evidentemente la donna era una rompiscatole, e il figlio non sopportandola più la ha ammazzata. Siamo a questi livelli di disagio. Non ci meravigliamo se ci si indigna più per un'etichetta che per il gesto in sé.Ovviamente "intelligente" era ironico

Quindi semplicemente non è un femminicidio. Non è stata uccisa in quanto donna ma per motivi strettamente dovuti a dissidi familiari  si chiama matricidio se proprio dobbiamo dirla tutta ed è molto peggio di un femminicidio 

 

indifferenza ed apatia il caso della morte di Mariano Olla di Claudia Sarritzu Ghironi

 E quindi un tuo amico in tarda notte entra in acqua o comunque sparisce da una festa, non lo vedi più uscire dall’acqua, o meglio non lo vedi proprio più, ma non se ne è andato perché non vi siete neppure salutati. Ma a te che importa? Mica ti viene in mente di scrivergli un messaggio su quel telefono che abbiamo sempre in mano, per sapere dove si fosse cacciato. Continui la serata e non ci pensi proprio di lanciare l’allarme. Non è cattiveria badate. È proprio non conoscere i sentimenti. È non sapere cosa sia l’amicizia perché non esiste più l’intelligenza emotiva.Sarà un pescatore a ritrovare il corpo la mattina dopo in una spiaggia cittadina. La città è Cagliari. Il ragazzo ritrovato ha solo 16 anni. Sappiamo che c’era una festa, si sa che lui è morto annegato ma ha le scarpe e i pantaloncini. Se è entrato in acqua così, forse non era lucido o magari è caduto dopo un malore. Qualcuno forse ha visto, qualcuno no. Non si sa. Tutto tace.Mariano era solo. Nel senso che nessuno si è preoccupato per lui. Come la maggior parte dei ragazzini di oggi. Dicono che è la generazione devastata dal lockdown. Non lo so. Questo di dare sempre alibi all’egoismo, alla mancanza di empatia, non so se salverà questi adolescenti e questo mondo. Perché i grandi disastri nascondo dalle piccole scelte personali. I piccoli gesti di indifferenza poi diventano orrori collettivi.

meno male che ci sono vannacci e salvini con i loro compari a ricordarci come non dovremo essere . Hiba Alif è la nuova assessora alle Politiche giovanili del Comune di Ravenna. E in queste ore sta subendo una gogna social immonda da parte del solito marciume fascistoide di destra-destra





Hiba Alif ( foto sopra al centro ) è la nuova assessora alle Politiche giovanili del Comune di Ravenna.
E in queste ore sta subendo una gogna social immonda da parte del solito marciume fascistoide di destra-destra( espressione per noon confondere la destra anche se ormai è una piccolissima minoranza con l'altra semre , sic , sempre più numerosa e per lo più in dopppietto ) per il suo nome, per le sue origini marocchine, per il colore della sua pelle, perché alcuni miserabili non riescono ad accettare nel 2025 che una donna di radici maghrebine possa ricoprire un ruolo politico in un’amministrazione pubblica nell’Italia ai tempi del salvinismo e ora del vannaccismo dilagante.
Solidarietà totale a Hiba Alif, a cui auguriamo un grande lavoro.
Ma è intollerabile ritrovarci ancora una volta a dover difendere qualcuno da questo vomitevole mix di razzismo e sessismo, ovvero gli unici argomenti che sono riusciti a trovare per contestare questa giovane donna a prescindere dalla sua capacità e preparazione capace e preparatissima. A cui il neosindaco Barattoni ha anche assegnato, simbolicamente ma non solo, la delega alla pace.
Nella nuova città e nel nuovo Paese che dobbiamo costruire, abbiamo bisogno di giovani politiche come lei. Grazie a tutti i razzisti e gli odiatori per avercelo ricordato con tanta chiarezza.
Infatti è È incredibile come basti il nome “Hiba” per far esplodere certe vene marce nei soliti personaggi che, nel 2025, hanno ancora paura della diversità come se fosse un mostro sotto il letto.
Il fatto che una donna giovane, di origine marocchina, in questo caso , venga nominata assessora alle Politiche giovanili in una città come Ravenna dovrebbe essere una notizia di progresso, di speranza, di normalità.
E invece no: il solito circo triste del razzismo da tastiera ha deciso che è il momento della loro solita performance fatta di ignoranza, sessismo e xenofobia.
Che spettacolo patetico.
A questi poveretti fa paura Hiba non perché sia “straniera” (spoiler: è italiana), ma perché incarna il futuro che non riusciranno mai a fermare: un’Italia aperta, plurale, consapevole delle sue radici e delle sue trasformazioni.Una Italia in cui non ci si chiede da dove vieni, ma dove vuoi andare. E Hiba sta andando in alto. Brava lei.Il bello è che ogni insulto che le lanciano, ogni attacco becero, ogni meme razzista… rafforza solo la sua legittimità. Perché dimostrano esattamente quanto servano persone come lei nelle istituzioni.A Hiba va tutta la nostra solidarietà, il nostro orgoglio e il nostro applauso.Ai razzisti e ai fascistelli del web… beh, buona sconfitta. State perdendo anche stavolta. E ve lo meritate tutto.  Concludo   con la  belllissima lettera di solidarietà , trovata    su  
https://www.ravenna24ore.it/notizie/cronaca/  del 18.6.2025

Tra le voci più forti, quella dell’on. Ouidad Bakkali, che in una lunga lettera ricorda l’ondata d’odio subita quattordici anni fa.
La lettera

“Sono passati quattordici anni da quando Fabrizio Matteucci mi nominò assessora a Ravenna. Un tempo infinito. E leggere, nelle ore successive alla sua nomina, i commenti beceri e razzisti rivolti a Hiba Alif, assessora alle politiche giovanili, mi ha fatto fare un salto temporale.
Stesse parole, stessa violenza, stessa stupidità.Oggi, con l’esperienza e gli anni, quei commenti di leoni e leonesse da tastiera rimbalzano sulla pelle indurita che mi sono costruita. Ma ricordo bene che allora non fu così. Quei commenti erano vere e proprie aggressioni e microaggressioi come le definisce nelle sue ricerche il Prof. Derald Wing Sue sulle persone razzializzate o parte di gruppi sociali marginalizzati.All’inizio non fu semplice. Alcune parole ti trafiggono, ti feriscono, ti offendono, ti violano nel profondo, nella tua persona. “Ma che sarà mai, fregatene!” mi dicevano. Ma a venticinque anni non ce la facevo. Li leggevo tutti, uno per uno. Non mi ero mai resa conto, prima di diventare un “personaggio pubblico”, che qualcuno potesse giudicarmi e disprezzarmi preventivamente, senza conoscermi, solo sulla base del mio nome, del mio cognome, delle mie origini.Erano spine nella carne, conficcate da gente qualunque, che poi magari incontravo in via Cavour o in piazza del Popolo. Odiatori vigliacchi, che quando li guardavo negli occhi per strada, abbassavano lo sguardo e scappavano.Si potrebbe liquidare tutto questo dicendo che si tratta di persone di poco valore, che usano i social per riversare odio, frustrazione, visioni del mondo ormai superate. Ma no, non basta.Anche perché chi mi diceva di “tornarmene al mio Paese” (e chissà, forse intendevano Casalborsetti, dove vivevo prima di trasferirmi in città?) e riversava insulti razzisti sulle pagine social dei giornali locali, spesso era inconsapevole di commettere veri e propri reati.Sì, cari leoncini e care leoncine: le vostre non sono opinioni, sono reati.Diffamazione (art. 595 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.), propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa (art. 604 bis c.p.), e poi la legge 654 del 1975 e la legge Mancino del 1993.Se avessimo una normativa specifica sui crimini d’odio, sarebbe più semplice perseguire e sanzionare, soprattutto per quanto accade online. Ma intanto, le sentenze iniziano a creare giurisprudenza sul tema, e finalmente questi leoni da tastiera iniziano a dover spendere soldi veri per avvocati veri, cause vere e risarcimenti veri.Detto questo, cara Hiba, ti sono vicina. Capisco bene quanto certe parole possano fare male.All’epoca, la mia migliore risposta fu dedicarmi all’incarico che mi era stato affidato: con il lavoro quotidiano, amore, umiltà, passione, voglia di imparare.Riportavo il confronto sempre nel merito delle azioni, delle scelte, del mio lavoro politico. Perché lì, i leoni solitamente scappano miagolando e trovi solo i confronti utili, discussioni anche aspre e quelle critiche costruttive che ti aiutano a migliorare le politiche, cambiare idea quando serve e amministrare la cosa pubblica.E grazie a quel pezzo di comunità ravennate, sana e consapevole, che ha saputo prendere posizione con parole chiare.Non solo a difesa di Hiba Alif, ma anche del principio che razzismo e violenza non possono essere normalizzati, né diventare moneta corrente nelle relazioni sociali.Non possiamo accettare passivamente quello che sta accadendo sotto la spinta di una propaganda globale che mette i penultimi contro gli ultimi, che normalizza deportazioni, “remigrazioni” e discriminazioni sistemiche in nome di un’idea di sicurezza che, invece di proteggerci, rende le nostre società più impaurite, chiuse, diffidenti e violente.Una sicurezza fatta di città militarizzate, di capri espiatori scelti senza alcuna analisi seria dei fenomeni complessi che attraversano la nostra epoca. Perché ancora prima del fenomeno migratorio, quello che ci rende insicuri sono: la povertà, le disuguaglianze profonde, l’incertezza sul futuro dei giovani e dei loro sogni, l’emergenza abitativa, il caro vita e bollette, la fragilità del nostro sistema sanitario, il disagio sociale e culturale, la cura degli anziani, delle persone con disabilità, l’affermazione della supremazia e della regola del più forte e del più ricco nelle relazioni tra Stati, tra categorie e, di conseguenza, tra persone.Buon lavoro a Hiba e a chi, come me e come tanti, crede ancora in una società della convivenza plurale, giusta, laica, antirazzista e antifascista. Una società che abbia la nostra Costituzione come faro per il futuro, con la determinazione di attuarla davvero nei suoi principi fondamentali e in quell’equilibrio magistrale che madri e padri costituenti seppero trovare tra libertà individuali e responsabilità collettive, all’indomani di guerre devastanti e dittature totalitarie.


17.6.25

non sempre chi lavora con i bambini ne viola la privacy o ne fa uno sfruttamento dell’immagine di bambini e bambine» sul suo profilo. il caso del maestro Gabriele Camelo, difeso anche da 32 genitori dei suoi allievi

 fonte   https://palermo.repubblica.it/cronaca/ del 13.VI.2025 e Il maestro che ha sostituito i voti con messaggi motivazionali: "I bimbi imparano se amati" di   Fanpage.it 

Capita ancora che gli insegnanti vengano plauditi dai genitori dei propri alunni. E non solo giudicati per l’incomunicabilità tra generazioni. Capita che a volte, anche i docenti, vengano “salvati” dalle ghigliottine del web. È successo così a Gabriele Camelo, il maestro influencer, per tutti maestro Gabriele, osannato dai social, appena un anno fa, per il suo metodo didattico motivazionale, quandosostituì i voti numerici con frasi basate su valutazioni emotive, e accusato pochi giorni fa proprio sui social per «sfruttamento dell’immagine di bambini e bambine» sul suo profilo.Ma a scrivere, in difesa del docente, alla preside dell’istituto comprensivo Rita Borsellino, plesso Ferrara alla Kalsa, dove il maestro Gabriele insegna italiano e musica, sono i genitori.



«Non vogliamo ergerci a difensori del maestro, con il quale abbiamo sempre avuto modo di confrontarci nel massimo rispetto, ma denunciare strumentalizzazioni di una vicenda che sta turbando la serenità dei nostri figli»Capita ancora che gli insegnanti vengano plauditi dai genitori dei propri alunni. E non solo giudicati per l’incomunicabilità tra generazioni. Capita che a volte, anche i docenti, vengano “salvati” dalle ghigliottine del web. È successo così a Gabriele Camelo, il maestro influencer, per tutti maestro Gabriele, osannato dai social, appena un anno fa, per il suo metodo didattico motivazionale, quando sostituì i voti numerici con frasi basate su valutazioni emotive, e accusato pochi giorni fa proprio sui social per «sfruttamento dell’immagine di bambini e bambine» sul suo profilo.

Ma a scrivere, in difesa del docente, alla preside dell’istituto comprensivo Rita Borsellino, plesso Ferrara alla Kalsa, dove il maestro Gabriele insegna italiano e musica, sono i genitori.«Non vogliamo ergerci a difensori del maestro, con il quale abbiamo sempre avuto modo di confrontarci nel massimo rispetto, ma denunciare strumentalizzazioni di una vicenda che sta turbando la serenità dei nostri figli», scrivono così in una lettera inviata alla preside Lucia Sorce 32 delle 38 famiglie delle classi elementari in cui insegna il maestro. E aggiungono: «Difendiamo un percorso educativo costruito coi nostri figli, con cura e fiducia reciproca».La polemica sul maestro Gabriele era cominciata in rete, dopo l’annuncio sul suo profilo da 171mila follower di un crowdfunding per finanziare un viaggio sulla via Francigena con due bambini delle sue classi. Il cammino da Palermo a Corleone era diventato per il maestro un’esperienza simbolica di crescita per due bambini, che «con il consenso delle loro famiglie», avrebbero viaggiato a piedi con lui per cinque giorni. La donazione è ora stata disattivata, dopo che la notizia del cammino, assieme al profilo coi post delle lezioni di Storia in casa del maestro o delle incursioni in radio e in spazi urbani assieme ai ragazzini, è finito nel mirino delle critiche della pagina Instagram dell’esperto di formazione docenti Dario Alì, al quale non sono piaciute le spettacolarizzazioni «disturbanti» e «inopportune» di bambini che «non hanno strumenti e competenze per prestare il loro consenso a una tale esposizione».È bastato poco al web per fare del maestro un bersaglio. Laureato in Psicologia e Pedagogia, Camelo è un maestro con la passione per un mestiere scoperto tardi. «I social non sono uno strumento di autocelebrazione, ma un mezzo formativo – dice – Condivido contenuti che muovono consapevolezza e competenze emotive, di cui necessitano le nuove generazioni. E per farlo serve comunicare coi loro strumenti e linguaggi».A difendere Camelo è
la maggior parte dei genitori. «Chi ha deciso di dare il consenso all’uso delle immagini dei propri figli lo ha fatto in modo consapevole», scrivono. La scuola Rita Borsellino non ha mai ravvisato estremi di illegittimità giuridica sull’uso delle immagini degli alunni, come conferma la preside Lucia Sorce: «Il maestro Gabriele è un mio docente e io mi muovo in termini di legge. Invito la comunità educante a rileggere il Manifesto della comunicazione non ostile, perché le idee si discutono, sui social come negli spazi scolastici, ma le persone si rispettano».

l'installazione rovinata a verona è arte o vandalismo ? secondo me entrambe

Di cosa stiamo parlando
Al museo Maffei di Verona   dei turisti    daneggiano  la  sedia di cristallo dell’artista Nicola Bolla sedendoci per   farsi un selfie  . Ma  vengono  ripresi  dale  telecamere  e  il video diventa  virale .   per    saperne    di più  https://ulisse-compagnidistrada.blogspot.com/2025/06/httpswww.html


 

 Dialogando con **** un  mio  amico  prof  universitario di  storia   dell'arte     sul  fatto    di  Verona  , mi  è  venuto da  fargli provocatoriamente    questa  domanda    : « Secondo   te  la a rottura   della    sedia  di Verona   è arte  o vandalismo ? » ecco la  sua eccelsa riposta  : « È una domanda provocatoria e importante, Giuseppe. La “Sedia di Van Gogh” dell’artista Nicola Bolla, esposta a Palazzo Maffei a Verona, è stata gravemente danneggiata da due turisti che si sono seduti sull’opera per scattarsi   selfie  \  una foto. L’opera, realizzata con centinaia di cristalli Swarovski, non era pensata per essere toccata, e tanto meno usata come oggetto funzionale.Il museo ha definito l’episodio un gesto “superficiale e irrispettoso”, sottolineando come l’arte debba essere vissuta ma soprattutto rispettata. In questo contesto, più che arte, si tratta di vandalismo inconsapevole, figlio di una cultura dell’apparenza che spesso sacrifica il rispetto in nome di un selfie virale.Ma proprio da questo gesto può nascere qualcosa: il museo ha scelto di non limitarsi alla denuncia, ma di trasformare l’accaduto in un’occasione di sensibilizzazione sul valore dell’arte e sulla responsabilità del pubblico. » Stavo  , colpito ed  affondato, per  cambiare  discorso  . Ma  ecco che  interviene   un  amica   comune     che   aveva  ascoltato la  nostra  conversazione   in silezio     ,  mi  chiede  :   Quindi  tu come la vedi?  se  d'ccordo con ****  ?  È solo maleducazione o un sintomo più profondo del nostro rapporto con la bellezza e la memoria? » secondo   me   è  scarsa conoscenza  dell'arte   moderna .Osservando  la  loro espressione  ,   soprattutto lui , nel  rispondere : «Verissimo, Giuseppe. La scarsa conoscenza dell’arte moderna spesso porta a fraintendimenti, superficialità o persino gesti irrispettosi—come quello accaduto con la “Sedia” a Verona. L’arte contemporanea, con il suo linguaggio spesso simbolico, concettuale o provocatorio, richiede un diverso tipo di sguardo: meno estetico, più interpretativo.Ma questo non è necessariamente un fallimento dell’arte… forse è anche una sua forza: costringe a porsi domande, a mettersi in discussione. Quando un’opera viene fraintesa o usata impropriamente, ci mostra quanto ci sia ancora da fare in termini di educazione visiva e culturale. E ogni occasione può diventare un seme piantato per far crescere consapevolezza.Se ti va, posso consigliarti artisti, opere o movimenti che hanno segnato il nostro tempo e che spesso sono stati fraintesi… oppure possiamo esplorare perché l’arte oggi non vuole più solo essere ammirata, ma vissuta. Dimmi tu. 🎨🧠✨» leggo  un  aria  di  condivisione  .   Infatti   avrei tanto  voluto    continuare   la  discussione   ma     sono dovuto    andare    via    altrimenti     rischiavo   di perdere   il   torpedone 😁😇😂 ....  ehm ......  pulman per  rientrare  in paese  .

mentre   rientravo in pulman sfogliando   internet    leggo   su https://insideart.eu/   che  il museo    ha  oltre  ad     aver  diffuso  ilvideo della telecamera   vuoluto  lanciare  un messaggio in cui si sottolinea non solo come l’opera fosse da poco rientrata in esposizione dopo un lungo restauro, ma anche come l’occasione debba rappresentare un invito a una riflessione collettiva: “Condividiamo questo episodio non solo per dovere di cronaca, ma per dare avvio a una vera campagna di sensibilizzazione sul valore dell’arte e sul rispetto che le è dovuto”. Speriamo    che   ciò  possa  essere  Un occasione di sensibilizzazione visto   che Questo episodio è solo uno dei tanti sintomi di un’estetizzazione sempre più mediatica dell’esperienza artistica. Ci si chiede allora quale spazio resti oggi per il rispetto e la contemplazione silenziosa e intima dell’arte. Un gesto come quello avvenuto a Verona va ben oltre l’atto maldestro: è il riflesso di un sistema culturale che premia l’apparenza, che naviga fra le ambizioni sociali delle persone. «Abbiamo deciso di non limitarci a una semplice denuncia dell’accaduto. Vogliamo trasformare questo episodio in un’occasione per riflettere e sensibilizzare il pubblico: l’arte va ammirata, vissuta, ma soprattutto rispettata. Sempre», ha dichiarato il museo. Un richiamo necessario, oggi più che mai, in un mondo in cui guardare davvero, prendersi il tempo di riflessione, sembra meno urgente e naturale che mostrarsi mentre lo si fa.»  , Sono d'accordo l'arte  va  anche  vissuta   e la  gente  deve  anche  interagire  con le  opere   altrimenti  un  opera  d'arte    diventa  qualcosa di  statico  .  Infatti    concordo pienamente  con quanto  a dichiarato l'autore   dell'installazione   (  foto a  destra  )     sul  corriere  della  sera      qualche   giorno  fa   sul corriere della sera

 [ .... ]

 E l'artista che ne dice?   «Eh, non è la prima volta che mi succede, è come i miei lavori stimolassero la fantasia di chi li avvicina…».

Fantasia forse un po’ troppo accesa.
«Rivedendo la scena nel video mi sono divertito. Quando la direttrice del museo veronese mi ha contattato non mi sono affatto arrabbiato. Forte delle esperienze precedenti, ho solo pensato ‘rieccoci’».

La sedia ha fatto venire in mente a tutti la moglie del personaggio di Alberto Sordi alla Biennale nell’episodio «Le vacanze intelligenti»…
«In effetti sì, la memoria corre a quella famosa sequenza comica. Anche se in questo caso, piena di brillanti com'era, non poteva essere scambiata per una sedia comune come nel film. Tra l’altro, che strano selfie pretendeva di fare il turista: sedendosi, l'opera scompare alla vista!».

Diceva di altre opere distrutte.
«Anni fa, su un set, un mio teschio con gli swarovski venne chiuso in un armadio e un attore entrandovi per girare una scena lo schiacciò inavvertitamente: ho deciso di non ripararlo, di tenerlo così, perché nelle mie opere ragiono sulla vanitas e quindi anche un teschio, simbolo classico del memento mori, se distrutto può assumere un significato altrettanto valido. Poi clamoroso fu il water a Pechino».

Il water?
«Sempre decorato da castoni, ma per un bimbo che visitava la mostra con i genitori non fece differenza: era un wc e decise di farci pipì». 

Realtà e finzione pari sono.
«Che dire, sono un artista di opere fruibili (ride). Anche ai Giardini Reali di Torino una mia altalena venne usata in malo modo da due passanti nonostante fosse posta a una certa altezza».

Gli artisti piemontesi sembrano attirare gli ‘sprovveduti’. Ricorderà la Venere degli stracci di Pistoletto andata in fiamme due anni fa in piazza a Napoli.
«Certo, beh strana coincidenza…in realtà sono tanti gli artisti che fanno i conti con il danneggiamento delle opere. Le mie installazioni hanno sempre ispirato l’interattività, in fondo il mio lavoro sollecita un ammiccamento tra chi produce l'opera e chi ne fruisce perché vi si riflette l'ironia e l'evanescenza del mondo contemporaneo; quei manufatti ironici vengono scambiati per oggetti ‘seri’».

Ora l’opera è a posto?
«Sì, velocemente restaurata. Devo però ammettere che anche rotta aveva il suo perché. Poteva sembrare una sedia dalle gambe pieghevoli come nei film di Buster Keaton. Per un attimo ha acquisito una sfumatura surreale, sempre sulla linea vanitas-ironia».

Nelle prossime mostre bisognerà apporre un cartello ‘attenzione non sedersi’?
«Magari un avviso fatto di cristalli: la proibizione e la fruizione».

   ciò  testimonia  come , a  volte  ,    sulle  spiagge ( in questo caso  )  possano nascere  non solo riflessioni  interiori  (  vere  il  post  : « riflessioni e letture sotto l'ombrellone »   , ma  anche  interessanti discussioni   .



Diario di bordo n 129 anno III Bambino di 2 anni "ruba" la pistola al papà e uccide la mamma, la scena ripresa dalle telecamere: «Erano in giardino» ., Tra la Pianura Padana e Appennini c'è il mappamondo dell'umanità., La meravigliosa zia Angheledda a 90 anni coglie le olive in sedia a rotelle.

  e  poi questa  destra     e  non  solo vuole   come negli Usa     rendere  libere  le  armi . La  notizia    non è avvenuta in italia   , ma  può  essere  da  esempioe da   detterdente   per  coloro   che  a prescindere    dall'appartenenza      politica   volglio  la libera  circolazione delle armi  . 

da leggo.it


Bambino di 2 anni "ruba" la pistola al papà e uccide la mamma, la scena ripresa dalle telecamere: «Erano in giardino»


Una tragedia ha colpito una famiglia nello Stato brasiliano di Minas Gerais, dove un bambino di appena 2 anni ha accidentalmente ucciso la madre, di 27 anni, dopo aver preso la pistola lasciata incustodita dal padre. Tutta la dinamica degli avvenimenti è stata immortalata dalle telecamere di sicurezza dell'abitazione.
La morte della mamma
Secondo quanto riferito dalla polizia ai media locali, la famiglia si trovava in giardino quando il piccolo ha raggiunto l'arma – una pistola 9 mm legalmente registrata – appoggiata su un tavolo. Senza che i genitori se ne accorgessero, il piccolo ha puntato la pistola verso la madre e ha premuto il grilletto. Il proiettile ha colpito la donna al braccio e al torace. Trasportata d'urgenza in ospedale, è deceduta poco dopo.
Il papà indagato
Il padre, un produttore rurale, è stato ascoltato dalla polizia e sarà indagato per omessa custodia dell'arma e omicidio colposo. Dopo il primo interrogatorio, è stato rilasciato. La pistola, insieme a munizioni e caricatore, è stata sequestrata. Il bambino resterà con la famiglia, ma sarà seguito dai servizi sociali


fonte  avvenire 

Tra Pianura Padana e Appennini c'è il mappamondo dell'umanità



Da Milano a Roma, in un viaggio povero, lento e condiviso, lungo la Via Francigena, per raggiungere piazza San Pietro e consegnare una lettera al Papa. È il Cammino della Pace che ha visto protagonisti i ragazzi delle scuole Penny Wirton, una rete di 65 associazioni i cui docenti volontari insegnano gratuitamente italiano ai migranti. Eraldo Affinati, scrittore e fondatore nel 2008 con la moglie Anna Luce Lenzi della prima Penny Wirton romana, racconta ogni settimana una tappa di questo cammino.
La pace non basta invocarla, bisogna costruirla: giorno per giorno, ora per ora. In questo nostro cammino verso Roma vedo le luci insieme alle ombre. La buona volontà degli esseri umani è spesso resa vana dalle storture amministrative, dai ritardi burocratici, dalla deresponsabilizzazione che scaturisce dalla mera esecuzione dei mansionari, se non dalla colpevole ignavia di chi dovrebbe sovraintendere alle operazioni. Nella Parma opulenta e sofisticata dell’Italia più florida, fiore all’occhiello del Nord produttivo e pulsante, per ciò stesso meta privilegiata dell’immigrazione proveniente dal Sud del pianeta, verifico tutto lo scarto fra i sogni e la realtà, l’esigenza concreta che nasce dalle vere necessità e l’inconcludenza dei protocolli d’intesa. Nei pressi della stazione ferroviaria il tunnel di vetro e acciaio del Ponte Europa, centro polivalente progettato dall’architetto Vittorio Guasti, costato venticinque milioni di euro, concluso nel 2012, sorta di attardata Bauhaus in mezzo alla pianura emiliana, non è mai entrato in funzione. Di volta in volta occupato da qualche disperato in cerca di riparo e liberato dalle forze dell’ordine, resta tutt’oggi ai margini del ruscello sottostante come un’opera inutilizzata, triste monumento all’ignavia delle istituzioni. E sì che ci sarebbe estremo bisogno di quegli spazi vuoti, precocemente degradati e quindi ormai da ripristinare!
Me ne rendo ben conto varcando l’ingresso del “Centro di accoglienza straordinaria provvisorio”, Strada Barghetto 9/A, alla periferia della città, a Martorano, ex magazzino di pomodori trasformato in luogo di ricovero e soccorso per immigrati adulti, per la grande maggioranza appena arrivati nel nostro Paese. Non ci sono collegamenti con il centro urbano, il che costringe i residenti a camminare sul ciglio della strada, in mezzo alla campagna, per raggiungere qualche fermata di autobus. Chi sono quegli individui in tuta da ginnastica che procedono lungo i fossi, rischiando di venire travolti dai Tir e dalle automobili? Fra poco li conoscerò. Entriamo all’interno dell’unità mentre comincia a piovere. Sulla destra ci sono una dozzina di container improvvisati: sei lettini a castello accanto ai servizi igienici. Nel grande piazzale di cemento è poggiata una tensostruttura dove gli ospiti, centinaia di uomini, quasi tutti bengalesi o pachistani, stanno facendo colazione. In fondo ai tavoli spuntano un paio di lavagne con diversi quaderni sbrindellati e un paio di penne a biro. Appena ci vedono, i migranti ci salutano mettendosi la mano sul cuore. Hanno sorrisi luminosi, occhi freschi, modi gentili: molti provengono direttamente da Lampedusa. Dovrebbero restare pochi mesi. Parlo con due responsabili di questo centro che dipende dalla Prefettura: un’indiana e una camerunense, uniche donne.
Mi si avvicina un ragazzino dall’apparente età di sedici anni. Ho lavorato una vita con gli adolescenti come lui: non mi posso sbagliare. Se fosse vero, non dovrebbe essere qui. Mi mostra gli esercizi appena fatti: io sono, tu sei, egli è; io vado, tu vai, noi andiamo. Non parla italiano, vorrebbe che lo interrogassi, come un gattino in cerca di una carezza, me lo fa capire a gesti, chissà, forse ha intuito che sono un insegnante. Sento aria di casa. Di più: avrei voglia di buttarmi in mezzo a tutti gli altri che in questo momento ci guardano. Datemi un gessetto e un’altra lavagna più grande: avanti ragazzi, impariamo nomi e verbi. Venite qui riuniti intorno a me. La classe perfetta, impossibile da trovare nella realtà: attenti, motivati, concentrati, assorti, volenterosi. Percepisco nel loro silenzio una qualità speciale, asiatica, non occidentale, cresciuta fuori dall’individualismo umanistico, e questo mi elettrizza. Nei suoi romanzi Joseph Conrad lasciò trapelare un sentimento simile: siccome li lessi da giovane, adesso è come se tornassi a riparlare con me stesso. Analfabeti nella lingua madre si mischiano a universitari; ce n’è uno, seduto più in là, che sta discutendo in inglese con Piero, il quale mi dice che nella sua patria ha conseguito un master in storia dell’arte. La comune condizione di esiliati riunisce persone molto diverse. Ci fanno vedere sul cellulare le immagini dei campi libici da cui provengono. Qui, a Martorano, sento il profumo intenso della pace e capisco le ragioni profonde del nostro cammino.
E' un’esperienza di umanità spumeggiante. Profughi di Dacca, Karachi, Peshawar, Lahore... Nomi che possiamo avere letto sui libri di Kipling, bardo dell’imperialismo britannico. Due ospiti stanno finendo la colazione all’aperto, davanti a una saracinesca arrugginita. Facciamo questo percorso innanzitutto per loro e ho l’impressione che l’abbiano inteso. Altrimenti non avrebbero scambiato con noi un po’ di sé stessi. Sarà così anche un paio di ore dopo, nei boschi di Collecchio, dove incontrerò Hamid e altri ragazzi come lui. Quante frontiere hai attraversato? Per rispondere alla domanda, prova a contarle sulle punte delle dita, come ripassando le tabelline: Camerun, Niger, Nigeria, Algeria, Libia, Tunisia, Italia, poi Svizzera, Francia, Germania, di nuovo Italia. In quale lingua sogni? Cosa vuoi fare nella vita? Il volto carico di speranza parla da solo.
Siamo stati anche in una casa famiglia per minorenni non accompagnati, pochi ragazzi dentro un appartamento in una zona di villette, con turni di cucina e riordino mensile segnati sul tabellone, il seminterrato trasformato in palestra, le stanze simili a quelle dove vivono i nostri figli: la faccia bella dell’accoglienza nei modi in cui dovrebbe essere. Come l’incontro organizzato al Centro Servizi per il Volontariato, in via Bandini 6, animato tutti i giorni da molteplici attività didattiche grazie all’iniziativa di tante persone pronte a mettersi in gioco spesso in modo assolutamente gratuito: resta incisa nei miei occhi la fila delle carrozzine coi bambini vocianti in uno dei corridoi antistante la sala dove abbiamo raccolte le parole da consegnare a Roma. Un vocabolario di democrazia e cittadinanza, misericordia e umanità in cammino, rispetto e solidarietà, equità e futuro, gratitudine e amore, istruzione e salute, commercio e opportunità, conoscenza e umiltà, sicurezza e vita migliore: pezzettini di pane da spartire gli uni con gli altri, sapendo che ciò che regali oggi ti ritornerà decuplicato domani da chi non ti aspetti e ciò che sottrai agli altri lo rubi anche a te stesso. P oi siamo andati nella piccola stazione di Vicofertile, invasa dal fogliame rigoglioso dell’incipiente primavera, a prendere il trenino per Berceto: era stato proclamato uno sciopero ferroviario, ma dopo un po’ il convoglio si presenta, annunciato dal campanello lungo i binari. Una vecchia Italia di pozzanghere secche, case cantoniere, cartelloni semicancellati, nuvole che vanno e vengono, attese e ritardi verso il groviglio degli Appennini che già s’intravedono, oltre l’autostrada della Cisa, nell’ultimo superstite azzurro di questa giornata- mappamondo.

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  da  cronaca della  sardegna  e non solo




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sentenze creative . TOCCÒ IL SENO ALLE ALLIEVE, MA CON I PALMI... ASSOLTO ! ., DIPENDENTE DELLE POSTE LICENZIATA PER AVER AIUTATO UN CLIENTE, HA VINTO IL RICORSO

Ha appoggiato i palmi al seno; non c’è stata una pressione particolare delle mani”. È scritto nero su bianco nella sentenza di primo grado con cui i giudici di Catania hanno assolto un professore universitario di Medicina dall’accusa di aver molestato sette studentesse tra il 2010 e il 2014 in un ospe￾dale cittadino. Dopo una lunga battaglia legale, la Corte ha prosciolto l’imputato perché «non si è raggiunta la prova al di là di ogni ragionevole dubbio». Una delle studentesse ha detto che il prof le avrebbe toccato il seno, ma secondo i magistrati avrebbe solo «appoggiato i palmi; permangono dei dubbi sulla effettiva invasione della sfera sessuale e del dolo». Nelle motivazioni si legge però che «è certamente emersa la prova di uncomportamento predatorio e ossessivo nei confronti delle studentesse». La Procura di Catania ha annunciato  che farà ricorso contro la sentenza.

La 14enne di Sala Consilina (Salerno), che era stata insultata dagli hater perché «senza capelli» e che aveva commosso anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è guarita

 
Un anno fa ha scoperto di avere una forma rara di cancro, quello di Wilms, che la colpisce al rene sinistro. Motivo per il quale deve abbandonare anche la scuola per poter seguire ai numerosi cicli di chemioterapia all'ospedale pediatrico Santobono di Napoli.
Perde i capelli, ma non il sorriso e la sua forza. Mentre è ricoverata racconta la sua esperienza con la malattia attraverso i social. Ma, paradossalmente, anziche' trovare sostegno da chi la segue, inizia a ricevere messaggi in forma anonima da parte degli haters quali ad esempio:"Sta pelata", "Non ti odio, ma lo sai che le persone sono tue amiche solo per il cancro di Wilms o cosa hai", "Spero che ci rimani in ospedale".
Lei risponde educatamente agli haters e d'accordo con la madre, rende pubblici questi vergognosi messaggi, ricevendo un'ondata di solidarietà ed i complimenti dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Asia ha una grande passione: suonare il piano. Con la sua musica allieta chi la ascolta e le invia un messaggio la stessa Maria De Filippi, come mostrato da Le Iene, che hanno dedicato alla ragazza più di un servizio.Ma la vittoria più grande Asia la ha quando finalmente guarisce dal cancro. «I'm cancer-free». Un messaggio stringato per annunciare al mondo che Asia ha vinto la sua lotta contro il cancro. La 14enne di Sala Consilina (Salerno), che era stata insultata dagli hater perché «senza capelli» e che aveva commosso anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è guarita dal tumore. E lo ha annunciato su Instagram, proprio la stessa piattaforma che aveva catalizzato l'odio su di lei, una ragazzina che voleva solo raccontare il suo percorso sui social.LA 14enne bullizzata e malata di tumore aveva ricevuto il messaggio di Maria De Filippi: «Non farti fermare dai deficienti».Dopo l'ultimo ciclo di chemioterapia all'ospedale Santobono di Napoli che l'aveva in cura, la malattia è finalmente in remissiva.I capelli sono ricresciuri, Asia ha anche un fidanzato ora. Ma quella bandana che nascondeva la testa pelata per colpa delle cure, continua a conservarla. «La tengo nel cassetto, mi ha accompagnato in tutto questo tempo. È stata con me nei momenti sia brutti che belli», ha detto la ragazza a Le Iene. «Ho fatto i controlli, non ci sono metastasi. E ho fatto post-annuncio su Instagram per dire a tutti che si può guarire e si deve lottare». Nonostante la cattiveria delle persone. 





I capelli sono ricresciuri, Asia ha anche un fidanzato ora. Ma quella bandana che nascondeva la testa pelata per colpa delle cure, continua a conservarla. «La tengo nel cassetto, mi ha accompagnato in tutto questo tempo. È stata con me nei momenti sia brutti che belli», ha detto la ragazza a Le Iene. «Ho fatto i controlli, non ci sono metastasi. E ho fatto post-annuncio su Instagram per dire a tutti che si può guarire e si deve lottare». Nonostante la cattiveria delle persone.Ad Asia ed a tutte le persone giovani o adulte che come lei stanno lottando contro una malattia, va oggi e sempre il nostro pensiero: non mollate mai. La vita è bella e vale la pena che sia vissuta.

riflessioni e letture sotto l'ombrellone

Domenica  scorsa  dopo un bagno , inzialmene incerto , proprio come questo pellicano da me ripreso ) 

mi  sono    messo    a leggere      sotto l'ombrellone  .
Ora Sotto l'ombrellone , di solito oltre a chiaccherare si cazzeggia al cellulare e o si legge ( chi ancora lo fa ) qualcosa di poco impegnativo /d'evasione ma ci sono letture e  momenti in cui ti vengono sollecitate da le letture delle riflessioni interiori 

 Nel mio caso la lettura , causa di ciò, è stata un fumetto più precisamente la prima parte (  foto  a  sinistra  aspetto per recensirlo di leggere la seconda è quindi tutta la storia) dell'ultimo dylan dog . Ora come sempre o quasi  mi  sucedde  essa avviene tramite un dialogo interiore alla  Seneca  .  Soltanto    che a differeza  delle mie elucubrazioni  \  seghe  mentali  i   Dialoghi di Lucio Anneo Seneca rappresentano una raccolta di opere filosofiche che affrontano tematiche fondamentali dell’esistenza umana, quali la brevità della vita, la felicità, la tranquillità dell’animo e la gestione delle passioni. 
Questi scritti riflettono profondamente il pensiero stoico di Seneca e offrono consigli pratici per condurre una vita virtuosa e serena.
Ecco   la  mia  riflessione  .




Scacciare  \  tenere    fuori   i  propri demoni    conviverci \ contenerli o trasformarlòoi  ?  

Affrontare i propri demoni interiori è una sfida complessa, ma fondamentale per il benessere personale. Conviverci, trasformarli o rimuoverli sono tre approcci diversi, ognuno con i suoi vantaggi e difficoltà.

  • Conviverci: Accettare i propri demoni senza cercare di eliminarli può portare a una maggiore consapevolezza di sé. Secondo alcuni esperti, ignorarli li rende più forti, mentre riconoscerli permette di gestirli meglio.

  • Trasformarli: Alcuni suggeriscono di domare i propri demoni, trasformandoli in punti di forza. Ad esempio, la paura del rifiuto può essere affrontata lavorando sull'autostima e sulla gestione dell'ansia.

  • Rimuoverli: Sebbene sia difficile eliminare completamente certe paure o traumi, è possibile ridurne l'impatto attraverso il lavoro su di sé e il supporto psicologico.

Ci sono altre tecniche per gestire i demoni interiori ?

Sì, ci sono diverse tecniche per affrontare i propri demoni interiori e trovare un equilibrio. Ecco alcune strategie che potrebbero aiutarti:

  • Auto-osservazione e consapevolezza: Imparare a riconoscere i propri demoni è il primo passo per gestirli. Osservarli senza giudizio aiuta a ridurre il loro potere su di noi.

  • Dialogo interiore: Alcuni esperti suggeriscono di "incontrare" i propri demoni, trattandoli come ospiti e cercando di comprenderli invece di combatterli direttamente.

  • Trasformazione delle emozioni: Invece di reprimere le emozioni negative, è utile trasformarle in energia positiva attraverso attività creative, meditazione o esercizi di respirazione.

  • Accettazione e integrazione: I demoni interiori spesso derivano da parti di noi che abbiamo rifiutato. Accettarli e integrarli nella nostra identità può ridurre il loro impatto sulla nostra vita.

Se vuoi approfondire, puoi leggere di più  su questi   siti  

  1. https://animasulsentiero.com/come-dominare-un-demone-interiore/
  2. https://www.davidealgeri.com/i-demoni-interiori-riconoscerli-e-domarli/
  3. https://lamenteemeravigliosa.it/non-temete-i-vostri-demoni-domateli/
  4. https://ichi.pro/it/come-combattere-i-demoni-interiori-che-ti-impediscono-di-avanzare-nella-vita-101255585941035

Quale di queste tecniche ti sembra più adatta a te?  

Non ho un  metodo unico   gli alterno  .  dipende  da  che  tipo  di demone   devo affrotare  o  ho deciso  di risvegliare . Alcuni    gli  ho  (  e  gli sto  trasformando  )   altri    gli ho rimossi   ed  alcuni  dovrò farli 

 quelli  che    ha rimossonon  sono ritornati  ?

 a  volte   si perchè  si  niente  si crea    e niente  si  distrugge  tutto  si trasforma   . 

Quindi sei sempre   in lotta  con te     stesso  .    ti  fai continuamente    seghe  mentali   ma  non ti stanche  mai  ?

Più che lotta   con me stesso    preferisco il termine    in continiua   discussioe  \   trasformazione  . Non sapevo che  battere e levare  fosse  farsi seghe  mentali  . 

Ma non    ..... 

Mah io le  considero non solo negative  ma  utili   .  Perchè  preferisco   cosi  che  lasciarsi andare   e  essere  d'essi   tormentato . E poi Ogni parte del tutto  partecipa  al ciclo   della  vita e  della  morte   in e    equilibrio  . Cosi come  il  navigare   in acquee sconosciute   verso  destinazione  ignota . E poi  nella  vita   servono  entrambi  difesa   e  attacco  (   mia  lettura    della serie Kobra kay    appendice    della  saga  the   Karate Kid 

Ok   grazie  







Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   Dopo  la  morte  nei  giorno scorsi  all'età  di  80 anni   di  Maurizio Fercioni ( foto sotto  a  sinistra )  considerato il primo t...