Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
30.6.10
Appuntamento
21.6.10
Il mondo visto da un'edicola «Il lettore di porno? Facile riconoscerlo a distanza»
di GIORGIO PISANO
Le edicole non faranno la fine delle cabine telefoniche, non diventeranno sconsolati cimeli di una civiltà che non c'è più. A salvarle saranno quelli che i direttori di giornale chiamano, con un pizzico di ruffianeria, gli affezionati lettori: di quotidiani, manga giapponesi, stampa sportiva, fumetti, inserzioni per scambisti e un'infinità di riviste che insegnano a ricamare, fare giardinaggio, scrutare gli astri, ossigenare sentimenti asfittici.
Figlio d'arte (suo padre, morto l'anno scorso, era il decano della categoria), Roberto Gerina ha respirato per la prima volta l'aria di un'edicola che aveva quattordici anni. «Quel giorno ho capito che questo lavoro non avrà mai fine». Nel senso che ci sarà sempre qualcuno che non riuscirà a leggere la Gazzetta su un iPad, sfogliare un romanzo sul pc, perdersi in una Rete che propone miliardi di notizie e non ne garantisce neppure una. Tutt'al più, per rispondere ai morsi della crisi che ha assottigliato la clientela, bastano piccole integrazioni e vendere, insieme a Repubblica e al Corriere della Sera, magliette, biglietti del bus, occhiali da presbite.
Cagliaritano, 45 anni, due figli, Roberto Gerina ha gestito per una vita l'edicola che sta di fronte alla stazione ferroviaria. La vicinanza di un albergo (e dunque d'un portiere di notte) lo ha convinto nel '91 a non chiudere mai: ventiquattr'ore su ventiquattro a disposizione di clienti che, a seconda della fascia oraria, arrivavano senza cravatta, truccati, travestiti, qualche volta semplicemente disperati e insonni. «Il mondo notturno è molto, molto movimentato». Lo ha capito talmente bene che anni fa ha deciso di allargarsi per venire incontro ai più esigenti: «E ho aperto due porno shop».
Nel cuore dice che però gli è rimasta l'edicola. In quella vicina alla stazione, che ha segnato la sua vita, adesso c'è dentro il fratello. Lui ne ha appena rilevato un'altra, sempre in via Roma, sempre sotto i portici ma di fronte alla Darsena, insomma dove puntano le invasioni barbariche un minuto dopo lo sbarco dalle navi vacanziere. Appena ha messo mano alla nuova postazione, Gerina ha avviato quella che si dice una radicale ristrutturazione abbattendo lo storico separè metallico che garantiva un minimo di discrezione e di privacy: sugli scaffali c'erano riviste porno di tutto il mondo, comprese quelle (apprezzatissime) americane e tedesche in vendita a 25 euro la copia. Roba per soli ricchi. «Quell'angolo appartato non aveva più senso. Le riviste hard, ormai, si vendono alla luce del sole». Cioè nella vetrina affacciata sul marciapiede, nel viavai compresso e nervoso della folla che transita a un passo dal Consiglio regionale.
«Non lo nego, a Cagliari siamo stati i primi a vendere un certo tipo di giornali e di filmini. Il giro c'era. Ne valeva la pena». In tempi non lontanissimi, dice Gerina, un'edicola come quella della stazione manteneva serenamente tre famiglie e «a fine mese assicurava circa sette milioni di lire». Col cambio della moneta è cambiato tutto. «Oggi si guadagnano 2.400-2.500 euro lordi al mese lavorando, perché sia chiaro, dalle sei e un quarto del mattino alle otto e mezzo di sera».
Come si fa a stare mezza giornata in una gabbia?
«Ci si abitua. Il mio spazio di lavoro è di un metro per due. Ci sto bene, non mi sento stretto. Ho il mio sgabello, sto comodo. Se ho caldo tengo la porticina spalancata, nei momenti di noia guardo la tivù che ho sistemato in alto, fra le t-shirt per turisti».
Realizzato?
«Ho smesso di studiare che stavo in quarta superiore. Vivere in edicola mi ha permesso di leggere moltissimo, non solo Tex e Diabolik che sono stati e restano la mia droga. Mi guardo intorno e capisco d'essere stato fortunato. Dal mio gabbiotto vedo un mare scintillante, davanti agli occhi ho sempre uno spettacolo interessante».
Quattordici ore di lavoro non schiantano?
«No, perché questo è un mestiere che puoi fare solo per passione. Ti fa conoscere e capire un sacco di gente. Mio padre m'aveva dato un solo consiglio: sorridi, agli altri non importa nulla dei fatti tuoi».
Basta questo per fare l'edicolante?
«La gentilezza e un sorriso, soprattutto verso le facce spente che arrivano qui dopo colazione in marcia verso l'ufficio. Diventiamo una specie di quieta abitudine».
Confidenti e confessori.
«Bisogna ammortizzare i furori del prossimo. Mantenendosi, per esempio, politicamente corretti. Io espongo, uno a fianco all'altro, Il Giornale, la Stampa, il Fatto, Repubblica. E quando una signora, indicando Libero, mi ha chiesto cosa ci facesse un giornale comico tra giornali veri, ho risposto con un mezzo sorriso. Mai aprire una discussione politica, sarebbe la fine».
Il nocciolo duro dei guadagni è fatto dai quotidiani?
«Certo, a cominciare da quello locale naturalmente. Ci sono edicole che vendevano 240-250 copie di sola Unione Sarda. Prima di Internet, intendo».
Insieme ai giornali vendete di tutto.
«Gli omaggi di quotidiani e riviste intasano. Ho un settimanale di larghissima tiratura che sta offrendo contenitori di plastica per alimentari: sta andando molto bene».
Scarpe e camicie, no?
«Lucidalabbra per adolescenti, abbronzanti, pettini, teli da mare. Mica è colpa nostra se l'editoria cerca di conservare la clientela proponendo una sorta di supermercato. Un tempo andavano forte le enciclopedie, ora non le comprano manco morti».
Non interessano più?
«La ragione è un'altra: si chiama crisi. Anche se da sempre abituati a svegliarsi col giornale, tanti hanno scoperto che il quotidiano non è un bene di prima necessità. Figuriamoci le enciclopedie, che costano un sacco di soldi».
Sono molti quelli che non comprano e sbirciano gratis?
«In genere i pensionati. Scorrono le prime pagine, si fermano anche interi quarti d'ora per leggere un articolo. Poi, magari senza voltarsi a guardarmi, se ne vanno».
Tutt'altro genere quelli delle riviste specializzate.
«Spesso mi sono chiesto cosa si può trovare in mensili come Stufe e camini, Salotti o Big Hunter, che vende abbigliamento per cacciatori. Da un po' abbiamo anche la collana I santi protettori: dieci immaginette, tre euro e cinquanta».
Insomma, vendete. Internet non vi ha cancellato.
«Internet ha lettori che già non leggevano i giornali cartacei, e nemmeno libri se è solo per questo. Il problema vero è un altro: crisi. Te ne accorgi dalle chiacchiere di ogni giorno che in giro non ci sono più soldi. Più che internet ci ha causato danni immensi la liberalizzazione voluta dal ministro Bersani. È colpa sua se oggi chiunque può vendere giornali».
Qualcuno sostiene che sia più facile superare il test per l'ingresso a Medicina che ottenere l'autorizzazione ad aprire un'edicola. Nella città di Cagliari ce ne sono 150, in Sardegna 1.400 d'inverno e 1.700 d'estate. Impossibile calcolare il fatturato: costi di gestione quasi zero, tutto quello che non si vende viene restituito. Il guadagno netto per copia venduta oscilla (a seconda che si tratti di quotidiani o di periodici) tra il 19 e il 24 per cento del prezzo di copertina. Gerina afferma che il panorama non è affatto così florido. «Tant'è che sono molte le edicole in vendita». A quanto? Il prezzo medio è di cento, centodiecimila euro ma ce ne sono alcune che possono arrivare tranquillamente a trecento. Anche se poi, dice Gerina, trecentomila euro per un'edicola non te li dà nessuno.
Siete una casta?
«Sì, una casta che inizia a lavorare all'alba e tira avanti tutta la giornata. Sugli edicolanti ci sono molti luoghi comuni. Campiamo, certo. Ma fatichiamo molto».
Una volta si viveva di solo porno.
«Il porno, lo ammetto, ha avuto una stagione d'oro. Lo compravano tutti: uomini, donne, ragazzi, preti».
Donne, preti?
«Mio padre aveva tre clienti affezionate: ogni settimana acquistavano il meglio dell'hard per sole donne. Preti? Uno sicuramente. Oggi non li riconosci più perché non vengono a comprare in abito talare».
Tramonto di un'epoca.
«Quasi. Ora si vendono bustoni con tre quattro pezzi per meno di dieci euro. Stanno andando un pochino meglio solo i racconti supertabù, novelle maiale per un pubblico fedelissimo. Poi, cos'altro c'è? Qualche dvd si vende ancora. Ho clienti che però vogliono solo il dischetto e non tutta la confezione perché dà nell'occhio».
Il porno-lettore è riconoscibile a distanza?
«Di solito, sì. Uno mi ha fatto tenerezza. Era un ladro, ma per vergogna».
Cioè?
«Tenevo apposta un certo porno vicino ai quotidiani. Lui, un signore elegante sulla cinquantina, ha preso L'Unione Sarda e ha agganciato anche la rivista che stava sotto. Pago il giornale, mi ha detto. No signore, gli ho risposto io, paga il giornale e anche Le Ore. Fortuna che non se l'è presa».
In che senso?
«Da quel giorno, sciolto il ghiaccio, è venuto a comprare regolarmente il settimanale porno infilandolo in un quotidiano qualunque».
Richieste non soddisfatte?
«Sì, una. Solito tipo di signore, elegante e di mezza età, mi ha chiesto se avevo riviste con ragazzini molto, molto giovani».
Voleva dire bambini?
«L'ho fatto scappare. Gli avrei messo le mani addosso, proprio come ho fatto con un ladro tossico».
C'è un nesso fra tossicità e furto?
«Ovvio. Approfittando di un attimo di disattenzione, uno di quegli scheletri ambulanti mi sfila una notte un pacco da quindici pezzi di Dylan Dog. Ho chiesto al portiere dell'albergo di sostituirmi per un attimo e sono corso in piazza del Carmine. E chi ti trovo?»
Chi?
«Il tossico che svendeva i miei giornali. Non gli ho detto nemmeno una parola. L'ho steso di botte e me ne sono andato non solo con Dylan Dog ma con tutta la sua bancarella. Giusto per fargli capire come gira il mondo».
pisano@unionesarda.it
20.6.10
un esempi d'identità aperta incontro fra due culture
NUORO. Lei nuorese e lui scozzese. Hanno scelto di sposarsi in Barbagia rispettando le tradizioni: lui, un informatico di Edimburgo, in kilt e lei, una consulente turistica, circondata dal coro nuorese dei Canarjos. Poi, pranzo in campagna a base di porcetto arrosto. La prima notte di nozze? In una “pinnetta” ( usate dai pastori come transumanti come abitazioni fino a gli anni del 2 dopo guerra qui per chi aprla e comprende il sardo o qui in italiano ulteriori news ) sinistra )
dalla nuova sardegna del 20 giugno 2010
Nadia Cossu
Nuoro, nozze con sposo in kilt: è show
Rito celtico tra informatico scozzese e consulente nuorese
NADIA COSSU
NUORO. Don Aldo, sul portone della Cattedrale di Nuoro, accoglie Christopher a braccia aperte: «Questo è un giorno storico». Saluta lui, in gonnella scozzese verde, e tutta la famiglia in kilt arrivata dalla patria di William Wallace.
Eppure succede, in una città e in una provincia che da sempre ben conservano e difendono le proprie tradizioni. Usanze che si mescolano, storie che si incontrano. A un certo punto il coro Sos Canarios che si è appena esibito col costume sardo in un altro matrimonio in Cattedrale, scatta le foto insieme agli scozzesi in gonnella plissettata. Ed è festa comune.
«Ci siamo conosciuti a Londra nel 2000 - racconta Barbara con un filo d’emozione - frequentavamo lo stesso corso per imparare la lingua giapponese». E da quel momento tra la bella nuorese, consulente turistica trapiantata nel Regno Unito, e l’affascinante programmatore informatico di Edimburgo è scoppiato l’amore. «Volevo sposarmi nella mia terra - dice ancora Barbara - ci tenevo molto e Chris è stato subito d’accordo».
E così ieri le campane di Santa Maria della Neve a mezzogiorno hanno suonato a festa, la marcia nuziale ha accompagnato gli sposi fin davanti all’altare dove don Aldo Cottu li ha uniti in matrimonio.
Poi il pranzo di nozze nella fattoria didattica Istentales, sotto la quercia secolare di Badde Manna, un posto suggestivo scelto da Barbara per respirare, e far respirare agli ospiti, la forte tradizione barbaricina. Sono andati a ruba porcetto arrosto, trippa, coratella, sanguinaccio. Antipasti, primi, secondi, un vero successo. Gli scozzesi hanno divorato il menù sardo e apprezzato il vino della Barbagia, mentre dalla loro terra hanno portato uno straordinario liquore al basilico. Quindi spazio alle danze con l’orchestra arrivata appositamente dalla Scozia: violini, contrabbasso, flauto traverso. Musica celtica nell’azienda di Gigi Sanna, il cantante degli Istentales. Un connubio perfetto, suoni che appartengono a mondi diversi e che per una sera hanno creato un’unica melodia.
E poi, manco a farlo apposta, è da poco uscito l’ultimo lavoro degli Istentales: il cd si intitola “Onora s’istranzu”. In una delle pagine interne del disco Gigi Sanna scrive: «Perché noi sardi siamo sempre disponibili ad accogliere le persone che arrivano da fuori, a rispettarle facendole sentire come fossero a casa loro». E ieri, Nuoro e Badde Manna, s’istranzu lo hanno onorato davvero. Gli sposi non hanno passato la prima notte da marito e moglie in una lussuosa stanza d’albergo. Hanno dormito nella vecchia capanna dei pastori, su pinnetu, che si trova nel cortile della fattoria. Maria Paola Masala, factotum dell’azienda, ha curato ogni minimo dettaglio. Stoffe bianche con ricami tipicamente sardi, luci soffuse, profumi, grano sul letto. Una scenografia che ha emozionato Chris e Barbara.
la seconda è una storia di un ragazzo costretto «a fare la vita dell'uomo-ragno» «Le battutacce sui nani? Sono il frutto dell'ignoranza. dall'unione sarda del 20 giugno 2010
« I miei genitori sono stati informati subito, io l'ho capito a rate durante i primi anni di scuola. Avevo la testa più grande degli altri, ero diverso. Ho smesso di crescere intorno ai dodici anni».
«I miei genitori sono stati informati subito, io l'ho capito a rate durante i primi anni di scuola. Avevo la testa più grande degli altri, ero diverso. Ho smesso di crescere intorno ai dodici anni».
Battutacce?
« Eeeh . Più d'uno ha rischiato di prendere schiaffi in quantità industriale dai miei amici. Ai bambini non rispondo neppure, agli adulti sì, anche se penso che tutto sommato lo facciano solo per ignoranza».
Sport? «Calcio, naturalmente. Gioco da venticinque anni, l'apice l'ho raggiunto in terza categoria. Sono una forza della natura».
Le colpe della canzone di De André?
«Nessuna, e comunque non attribuisco importanza a queste scemenze».
L'amore?
«Non mi tocca, mi sfiora».
In che senso?
«Non trovo l'anima gemella. Nel frattempo meglio scapolo che male accompagnato».
Dall'era craxiana in poi l'espressione "nani e ballerine" ha acquisito un'accezione negativa.
«Credo che la politica non c'entri, molta responsabilità ce l'ha l'ignoranza».
Un nano famoso che le è antipatico?
«Il ministro Brunetta».
Uno simpatico?
«Danny de Vito, Pupo e Giancarlo Magalli».
Biancaneve e i sette nani è una fiaba consolatoria?
«È solo bella».
Pentito di essere andato in tv per la sua altezza?
«Volevo essere lì e ci sono riuscito. Peccato che abbiano tagliato selvaggiamente la puntata di Ciao Darwin: abbiamo registrato sette ore e mezza ma ne sono andate in onda solo due. Ho visto dal vivo madre natura, una bellissima ragazza cubana alta alta, me ne basterebbe metà. Volevo fare la foto con lei ma purtroppo l'hanno portata via».
Vorrebbe sfondare in tv?
«Mi piacerebbe lavorarci. Avere davanti una telecamera mi genera molta adrenalina, ma non così tanta da perdere il controllo».
Un sinonimo di nano politicamente corretto?
«E che ne so. Comunque non mi offendo, a trentacinque anni sarei pazzo».
Cosa detesta?
«Le bugie».
Nei sogni che altezza ha?
«Un metro e trentacinque centimetri. Però sono fortissimo, gioco in serie A e faccio vincere lo scudetto al Cagliari».
E poi?
«Ho tanta, tanta roba. Belle donne, soprattutto».
Quante le si avvicinano con curiosità?
«Per nove estati ho lavorato a Cannigione. Molte erano curiose di ogni dettaglio, ci siamo capiti?»
Qualcuna si è innamorata?
«No, solo sesso».
Un aspetto positivo della bassa statura?
«Non l'ho ancora trovato».
Una frase che l'ha resa felice?
«Non parole, ma l'affetto degli amici, che mi considerano una persona buona e semplice, come tutte le altre. Nessuno mi ha mai fatto pesare la statura».
Cosa le manca?
«A parte il lavoro fisso?»
Sì.
«I soldi. Ma per ora va bene così».
Pregiudizi dei datori di lavoro?
«Mai. Soprattutto le donne per le quali ho lavorato: sono state splendide».
Se avesse potuto decidere la sua altezza?
«Un metro e sessanta. Almeno lo zucchero l'avrei potuto prendere senza difficoltà».
I problemi di tutti i giorni?
«Mi devo arrampicare anche per prendere lo zucchero, in un certo senso sono un super eroe: faccio la vita dell'uomo ragno».
Battutacce?
« Eeeh . Più d'uno ha rischiato di prendere schiaffi in quantità industriale dai miei amici. Ai bambini non rispondo neppure, agli adulti sì, anche se penso che tutto sommato lo facciano solo per ignoranza».
Sport?«Calcio, naturalmente. Gioco da venticinque anni, l'apice l'ho raggiunto in terza categoria. Sono una forza della natura».
Le colpe della canzone di De André?
«Nessuna, e comunque non attribuisco importanza a queste scemenze».
L'amore?
«Non mi tocca, mi sfiora».
In che senso?
«Non trovo l'anima gemella. Nel frattempo meglio scapolo che male accompagnato».
Dall'era craxiana in poi l'espressione "nani e ballerine" ha acquisito un'accezione negativa.
«Credo che la politica non c'entri, molta responsabilità ce l'ha l'ignoranza».
Un nano famoso che le è antipatico?
«Il ministro Brunetta».
Uno simpatico?
«Danny de Vito, Pupo e Giancarlo Magalli».
Biancaneve e i sette nani è una fiaba consolatoria?
«È solo bella».
Pentito di essere andato in tv per la sua altezza?
«Volevo essere lì e ci sono riuscito. Peccato che abbiano tagliato selvaggiamente la puntata di Ciao Darwin: abbiamo registrato sette ore e mezza ma ne sono andate in onda solo due. Ho visto dal vivo madre natura, una bellissima ragazza cubana alta alta, me ne basterebbe metà. Volevo fare la foto con lei ma purtroppo l'hanno portata via».
Vorrebbe sfondare in tv?
«Mi piacerebbe lavorarci. Avere davanti una telecamera mi genera molta adrenalina, ma non così tanta da perdere il controllo».
Un sinonimo di nano politicamente corretto?
«E che ne so. Comunque non mi offendo, a trentacinque anni sarei pazzo».
Cosa detesta?«Le bugie».
Nei sogni che altezza ha?
«Un metro e trentacinque centimetri. Però sono fortissimo, gioco in serie A e faccio vincere lo scudetto al Cagliari».
E poi?
«Ho tanta, tanta roba. Belle donne, soprattutto».
Quante le si avvicinano con curiosità?
«Per nove estati ho lavorato a Cannigione. Molte erano curiose di ogni dettaglio, ci siamo capiti?»
Qualcuna si è innamorata?
«No, solo sesso».
Un aspetto positivo della bassa statura?
«Non l'ho ancora trovato».
Una frase che l'ha resa felice?
«Non parole, ma l'affetto degli amici, che mi considerano una persona buona e semplice, come tutte le altre. Nessuno mi ha mai fatto pesare la statura».
Cosa le manca?
«A parte il lavoro fisso?»
Sì.«I soldi. Ma per ora va bene così».
Pregiudizi dei datori di lavoro?
«Mai. Soprattutto le donne per le quali ho lavorato: sono state splendide».
Se avesse potuto decidere la sua altezza?
«Un metro e sessanta. Almeno lo zucchero l'avrei potuto prendere senza difficoltà».
9.5.10
11.3.10
Ecco a voi...
10.3.10
L'Avversario
24.1.10
...
Cancelli e casoni erano il mio mondo, anni fa. Erano la zia che raccoglieva gli ancor lunghi capelli in un'interminabile, finissima treccia d'aglio; e, con perizia da ricamatrice, li avvolgeva poi sulla nuca, a formare un sapiente chignon. Erano densi lucori d'olio, cucine come aie o rustici saloni, sempre un po' in penombra, bizzarre chiese laiche dove il rito si confondeva col ticchettio della pendola e le scarabattole degli avi. Santuari agresti, le cui divinità erano carciofi, carote, topinambur setosi e bitorzoluti. A quei tempi non amavo molto i fiori, perché li celebravano tutti; non le rose, riso d'amore, con quei nomi agghiaccianti di duchesse e regine. Preferivo di gran lunga gli alberi e l'orto, dove l'umano tornava humus, radice e terra, e conviveva tra filari di pomodori e viti, minuto, non invasivo. Restava voce, confusa nel giallo della zucca e il brillìo profondo dell'alloro. Pochi libri si occupavano di questa vegetazione, salvo quelli degli specialisti, mentre per me l'orto era essenzialmente poesia.
In quello di Pejrone ho ritrovato questa poesia. Nulla vi è escluso: non le buganvillee liberty delle ville signorili, non il buffo ombrello dei pini marittimi, non l'esotico delle palme scapigliate, e nemmeno le brutte "giardinetterie" delle nostre autostrade. E, appunto, l'orto, l'orto che ride, che ama e ricambia l'amore, che non è un vezzo decadente, ma famiglia, rispetto. Mitizzato o eccessivamente realistico, l'orto è sempre stato maltrattato dalla letteratura. E' stato dannunziano: artificioso, pietrificato, disossato e prepotentemente umano, anzi, super-umano; o ha significato indigenza, come i marci sterrati pasoliniani dove crescevano, stenti e acciaccati, cavoli fiori per miserabili deschi. Io, invece, nell'orto vedo pace, riconciliazione.
Ride l'orto, e splende il giardino, perché sono pieni: di vita, di ogni vita. Anche di quella insidiosa, che si fronteggia, direi si rigenera, con altra vita: dalla cicala al passero, alla cincia, al pettirosso. Giardiniere era Pascoli, giardiniere era Manzoni; e, quindi, eccelsi catalogatori. Ma non compilavano elenchi: dipingevano arcobaleni.
La pazienza è virtù vegetale, come la speranza. E rincuora, di quando in quando, sedersi sopra un sasso, e aspettare.
19.1.10
Buon compleanno
13.1.10
Terremoto di Haiti: come agire
Per le Donazioni
Haiti e' uno dei paesi piu' poveri del pianeta - e' classificato al 148 posto su 179 secondo l'Indice di Sviluppo Umano dell'UNDP - e fatica a riprendersi da anni di violenza, insicurezza e instabilita' e da una lunga serie di calamita' naturali.
10.1.10
Il problema Nord
1.1.10
Renato è l'unico
***
Mi sento stanca, di quella stanchezza buona, profonda, lineare, fisicamente intatta e indisturbata, che si compiace del suo molle sopore. L'automobile mi riporta a casa. E' sufficiente socchiudere gli occhi, ed eccomi sola. Con un unico accompagnatore: Renato Zero e la sua musica.
Il mio amore per lui, che dura ormai da oltre trent'anni, nacque in sventagliate oasi di luce: al mare, in estate, lo ascoltai la prima volta; sempre al mare, tempo dopo, lo vidi in tv: ed era proprio Capodanno, un Capodanno del '78 trascorso ancora in famiglia, assieme a un cugino già adolescente. Poi ancora al mare, finalmente dal vivo. Allora esilissimo, irriverente, sfacciato, fin troppo provocatorio, un capolavoro di glam e di follia, il giovanotto nudo, come in seguito l’avrei chiamato, portava avanti una protesta tutta intima dove il sesso celava una spiritualità inattesa, da bimbo ferito.
Quel desiderio di colore non era nato forse in un’anima troppo costretta al buio? Di “anime buie” avevo appunto parlato in un post del maggio scorso ispirato a Salvami, brano antichissimo riproposto anche nell'ultimo tour di Zero, conclusosi poco prima di Natale. Lo scorso dicembre milanese è stato, a tutti gli effetti, un mese "renatesco", iniziato con l’imprevedibile Zero Day allo Iulm e suggellato da tre trionfali concerti. Renato – anche coreografo - ha concepito il palcoscenico come un immenso ventaglio, che si apriva e si chiudeva con la maestosità e la leggiadria di enormi ali di farfalla, dal ritmo cadenzato, solenne e mellifluo insieme; e impreziosito da ologrammi dove comparivano gli antichi costumi di scena e le copertine dei suoi numerosi album. Uno show essenziale ma ricco, di musica e di voce, talora potente talora carezzevole, sofferta e grintosa, ma mai invasiva, sempre calibrata.
Con la maturità Zero, che non è mai stato immune da certi barocchismi, sembra voler rinunciare all’orpello con la consapevolezza che, su quel palco, basta davvero solo lui. E avanza, anche. È significativo che abbia aperto questo suo nuovo percorso con Vivo, tratto da quell’album fatale che, da solo, gli avrebbe comunque regalato un spicchio d’eternità nel mondo della musica moderna: Zerofobia. Si trattava, già dal lontano ’77, d’un manifesto programmatico, tanto più efficace quanto involontario.
Renato è vissuto e sopravvissuto, spingendosi oltre sé stesso, accettando qualche compromesso secondo alcuni suoi detrattori, i quali però ignorano sempre il tributo che l’artista deve pagare all’uomo, soprattutto nel caso di Zero, nel quale i due momenti sono spesso mescolati. Ho percepito onestà in questo spettacolo, che ha voluto essere popolare ma non piacione, ammiccando al pubblico senza però arruffianarselo troppo. Unica concessione al Renato “per tutti” (mi verrebbe da dire: “per famiglie”), I migliori anni della nostra vita, fra l’altro interpretata con classe, e una spruzzata, di cui invero non si avvertiva il bisogno, del Dono con Mentre aspetto che ritorni. Ma chi sperava nei grandi classici da stadio, Cercami, Magari, Amico da intonare sventolando cuoricini luminosi – e sempre prescindendo dalla vena inquieta che quei pezzi pure presentano –, è rimasto a bocca asciutta. Non c’è stato spazio nemmeno per Il cielo, pensata come il naturale compimento di Salvami e sbocciata, inattesa e commossa, da un groppo di sfrenatezze disperate, ma tramutata poi, con gli anni, in una liturgia da stadio, più chiesastica che religiosa; per il Renato “asciutto” che si avvicina ai sessanta, un po’ acciaccato ma con la voglia, ancora disarmante e fanciullesca, di confidarci i suoi timori, simili (auto)celebrazioni non hanno più molto senso.
“Poco zucchero”, direbbe Faust’O; poiché il Renato autentico sta altrove, in un remoto ma mai sopito antro da sibilla. E sa ancora graffiare, irridere e provocare. Non più un’ambigua libellula dalle ali di nerofumo, ma l’ormonauta del sesso senza perifrasi, diretto e prosaico; quindi, inerme. Non un nuovo crooner come ha inopinatamente azzardato qualcuno, ma il soul man che si diverte davvero a duettare con Mario Biondi (Non smetterei più) e Fiorella Mannoia (quest’ultima, interprete anche di una personale versione di Cercami).
Un’altra gioventù non è una replica. Renato ha una solidità ancestrale, da bravo figlio della terra. È vitale come un sessantenne, non vispo come un ragazzino. Non gli saremo mai abbastanza grati per questa sua ostinazione a non parodiarsi, a rimanere sempre e comunque ciò che è, nel bene e nel male.
Nonostante abbia già tutto scritto. Giunto al successo nel ’77, il suo in verità era già un approdo. Nella sua precedente gipsoteca musicale, incompiuta, e perciò geniale e fascinosa, aveva ormai affastellato di tutto: il primo (e l’unico) ad aver affrontato in termini appropriati la pedofilia, con un brano restituito in questo tour, grazie al chitarrista Fabrizio “Bicio” Leo, all’originaria matrice rock, nervosa e tragica, cronachistica e smembrante, accompagnato da un video in cui migliaia di occhi infantili dalla consistenza di molluschi si disfacevano sotto mani tramutate via via in artigli e adunchi rami secchi. E, su tutto, il lungo lamento di Renato, straziante ma senza dolorismo, cristallino e lesivo come una vetta aguzza.
Era comparsa la già ricordata Salvami, ma pure bislacchi provini incisi chissà come, un po’ nonsense, un po’ futuristici, un po’ nevrastenici come 113 che qui Renato ha rivestito da canzone “vera”, con accompagnamento carioca e relativo poncho-volant incorporato. E il Cristo che si sfarina di Potrebbe essere Dio risale al 1980.
Tutto si conclude con Gli unici, una dedica al pubblico, o anche a sé stessi, per essere ancora qui, soddisfatti e ammaccati, ma tutto sommato integri. E curiosi della vita. Con Mi vendo, nel modo in cui l'aveva presentata, Renato avrebbe potuto benissimo chiudere la sua avventura artistica: in effetti, in seguito, nulla è rimasto più uguale nella musica italiana. Ma quel personaggio che poteva vivere, o ansimare, solo di frenesia (M. Del Papa), che "piaceva ai camionisti" come lui stesso ha ricordato, era necessariamente destinato a durare nei cupi bagliori d’una notte, dopo averne assorbito i miasmi incrostati e bituminosi. “Ho sempre avuto la sensazione che se fossi arrivato fino ai 18 anni avrei avuto un mazzo così – ha dichiarato Renato in una recente intervista -, poi, quando ho visto che arrivavo a trenta, ho detto sarò come Gesù, me ne andrò a 33. Passati i 33, mi sono reso conto che stava succedendo qualcosa di strano. Poi, ora che ho festeggiato i 59 anni, non so più spiegarmelo”. E grazie al cielo resta questo stupore, e la grandezza e la fatica del tempo che avanza. Senza che il Nostro sia diventato un umorista. Intanto, sono giunta a casa. Ho concluso il mio viaggio e mi sono accorta di non essere affatto sola, come pensavo all'inizio; con me ho portato volti, ma anche case, marciapiedi, fermate del metrò, rimpianti. Vapori. Lo devo a lui, agli amici che hanno condiviso questa mia passione, nonché ai compagni di viaggio di Renato (Giampiero, Roberto, Mariano) che mi hanno permesso di condividere con tanti questa nuova, erratica avventura.
31.12.09
... sono tracce .
sono tracce .
… sono le tracce dell’amore che lasciano nostalgie
gli indelebili ricordi che a volte fanno male ,
e tra i padri fondatori e i maestri del pensiero
han per te un’arte antica che ancora vive …
… è un tesoro che regna in molti cuori
e giustifica le mille occasioni di momenti emozionali
si perdono nel vuoto in un solo grido ,
è la voce dell’anima che sale da quella croce …
… sono tracce che dal nulla mi distoglie
e dal mio canto triste afferro e ferro ferri di cavallo,
un gioco del pensiero che da sfogo ai poeti maledetti
agli uomini che vivono nell’egoista sfera …
… e con mani tese abbraccio i confusi
questi arrivano da lontano e camminano a piedi nudi,
su di un barcone si sono avventurati
e in cerca di una patria la dignità le ha lasciati soli …
… e farà sognare a sera le menti pure
felicemente in epoche future,
il ricordo di te e le incerte storie
delle mie attese e di un anello ci fa catena …
… sono tracce che tu donna lasci su questa terra
in un piazzale di una piccola fermata:
qui ti perdi e ti innamori fingi di addolorarti e ti consoli
per un uomo fai le pazzie poi ti accorgi che non è sincero …
… tracce che a volte si sporcano nel fango ,di sangue!
imbrattate di melma fan ristagno,
ma poi a porgerti gli omaggi è sempre il vagabondo
e a capo chino si schifa e mendica perdono …
… e vorrei e lo desidero con tutto il mio cuore
di raggiungere te e le bianche mete,
i miei versi cantarli sempre all’infinito
varchino l’ oceano e si posano su fogli colorati …
… sono i ricordi che ognuno lascia prima di morire
una parte di noi ha le ali e al di là si sente meno solo,
una presenza dell’anima in ognuno fa dimora
traccia un percorso di una vecchia storia …
… lascio tracce ovunque c’è cammino
ci sei tu e non mi vedo ,
nel mio cantuccio ora faccio nido
aspetto mezza notte e vi saluto.
Poetanarratore.
****
FELICE ANNO NUOVO !
30.12.09
Buon capodanno
Senza titolo 1725
31 / 12 / 2009 / ASPETTANDO IL 2010 ! TANTI AUGURI DI BUON ANNO A TUTTI I BLOGGER DA LUCKY L'ESPLORATORE ! :-)
HANNO DISTRUTTO PIAZZA NAVONA! ... RIDATECI IL MERCATINO ARTIGIANALE!!!! - 1
HANNO DISTRUTTO PIAZZA NAVONA! ... RIDATECI IL MERCATINO ARTIGIANALE!!!!
TANTI BACI ROSSELLA.
Questo è quello che si vede oggi.
29.12.09
HANNO DISTRUTTO PIAZZA NAVONA! ... RIDATECI IL MERCATINO ARTIGIANALE!!!!
HANNO DISTRUTTO PIAZZA NAVONA! ... RIDATECI IL MERCATINO ARTIGIANALE!!!!
TANTI BACI ROSSELLA.
Questo è quello che si vede oggi.
27.12.09
ADDIO COMPAGNO DI MILLE AVVENTURE
C'era una volta una gatta
che aveva una macchia nera sul muso
e una vecchia soffitta vicino al mare
con una finestra a un passo dal cielo blu.
Se la chitarra suonavo
la gatta faceva le fusa
ed una stellina scendeva vicina vicina
poi mi sorrideva e se ne tornava su.
Ora non abito più là
tutto è cambiato non abito più là
ho una casa bellissima
bellissima come vuoi tu.
Ma io ripenso a una gatta
che aveva una macchia nera sul muso
a una vecchia soffitta vicino al mare
con una stellina che ora non vedo più...
NON SCAMBIATEMI PR BAMBINO SE OGGI , DEDICHERÒ IL POST AL MIO GATTO , MORTO DOPO 17 QUASI 18 ANNI DI COMPAGNIA .
Addio "frattelino " grazie x avermi accompagnato fin qui . Mi è dispiaciuto non averti potuto salutare bene prima d'uscire in giro per poi tornare e trovarti addormentato per sempre . Di non averti dato , visto quanti esami hai preparato con me , di vedermi laureato .in tempo . Comunque la tia morte sarà un incentivo per studiare e lavorare aLla tesi con più impegno
QU SOTTTO TROVATE DEI VIDEO SU DI LUI DA ME GIRATI , PRIAM CHE LA MALATTIA NE PRENDESSE COMPLETAMENTE IL SOPRAVVENTO
http://www.youtube.com/watch?v=oRInZplyrEI
http://www.youtube.com/watch?v=zqCTFfrfpfQ
La sottile logica delle formiche
Ho visto Dio
spargere polline sulla terra
e con gran pazienza creare le api
e il loro ronzio era una musica
e ho chiesto loro un po' di miele,
per farne una canzone,
una canzone di prima foglia.
Poi mi sono seduto sull'erba
ed Eva scioglieva i suoi capelli,
bella più delle sue sorelle,
bella con i suoi occhi
sogno d'oriente
e non c'era nessun serpente,
solo un gufo che ci guardava
mentre ci amavamo sotto l'albero del pane.
E poi abbiamo visto le formiche
correre come delle dannate,
correre ed erano in tante
perchè era crollato
il loro nido,
per colpa di un'antilope
dalle lunghe corna.
Erano mille e non cadevano
erano mille e non s'uratavano,
eppure correvano come matte
sino al fiume di quel mondo
dal sole giallo.
Eva ha capito che nessuna,
nessuna superava la sua sorella
che nessuna si permetteva
di essere migliore d'un'altra
sino al fiume
sino al fiume.
Eppure sua sorella
piantò dei pali sulla terra,
eppure sua sorella
disse è mia questa terra
e forse per questo
che poi è finita
e forse per questo
che poi siamo andati via
e lei aspettava un altro figlio
e lei era tanto diversa
da me.
26.12.09
Sono una renna ubriaca
Sono una renna ubriaca
con le corna troppo lunghe
per colpa di una moglie
che si finge gelosa
per colpa di un destino crudele.
Sono una renna si
una renna
con il pelo delicato
un mantello da far invidia
a un industriale del borgo
ma è mio
e non lo lascio nemmeno
in prova
al figlio degenere
di quel cornuto
che sputa sugli stranieri.
Sono una renna giocosa
colpita dal complesso d'Edipo
fuggita alla sua emozione
per colpa di un depravato
che mi faceva lavorare
come un dannato
un pancione barbuto
uscito dalla quinta strada
o forse da un romanzo di Dostojevsky
E bevo per non pensare
per non amare
e per non ballare
che i Lapponi danzano
troppo
troppo sul finire del giorno.
Bevo vino di Francia Corta
ma non disdegno nemmeno
un Primitivo di Manduria
perchè sono una renna clandestina
ma mai cretina.
25.12.09
24.12.09
Buon Natale!
Immagine "Civita"
Immagine di Ceglie
La strada di casa…
Ho lasciato i primi passi
nella terra di Tuscia
il borgo antico di Civita
ha visto i miei primi giochi.
Nelle grotte Etrusche
ho cercato la verità!
Per anni mi sono persa…
ho seguito le stelle
l’alba e il tramonto.
Sulle cime dei monti
del Piccolo Tibet
ho ascoltato il vento
e fatto volare i miei aquiloni.
Nella terra della Sabina
ho cercato la mia strada.
E nella terra rossa
degli antichi Messapi
per un po’ mi sono fermata.
Gli amici di Ceglie con tanto amore
mi hanno indicato la strada di casa.
franca bassi
23.12.09
Senza titolo 1720
21.12.09
20.12.09
Senza titolo 1717
Neva a Prato: parla il consigliere comunale di opposizione Donzella
Oggetto:DOMANDA D’ATTUALITA’ SUI MANCATI INTERVENTI ONDE IMPEDIRE LA PRESENZA DI GHIACCIO NELLE VIE CITTADINE
Gli strumenti metereologici avevano matematicamente previsto anche con una certa precisione oraria,la nevicata del 18 Dicembre sera.
Pur tuttavia le vie del centro storico e le principali strade di scorrimento della nostra città sono rimaste coperte dalla neve,che poi ovviamente si è solidificata in ghiaccio.
Tutto ciò oltre la criticità più evidente verificatasi in Viale Nam-Din, ha provocato intasamento del traffico,impossibilità alla circolazione dei veicoli sia privati che pubblici e gravi difficoltà allo spostamento dei cittadini,impossibilitati a raggiungere il posto di lavoro,o ad esaudire le proprie necessità.
Molti pedoni sono rimasti vittima di traumi essendo scivolati sul ghiaccio che ricopriva i marciapiedi.
TUTTO CIO’ PREMESSO CHIEDO ALL’A.C.
Quali sono state le cause per le quali l’assessorato e gli uffici competenti pur essendo al corrente dell’evenienza della nevicata,non hanno adottato i provvedimenti idonei a prevenire il suddetto stato di cose,a differenza di quanto a titolo d’esempio ha effettuato il Comune di Firenze.
Il Presidente del Gruppo Consiliare dell’Italia dei Valori
Aurelio Donzella
Allegorie al terzo giorno di trapasso
Book-trailer del libro Allegorie al terzo giorno di trapasso di Gianluca Saccone
Quell'odio nato dalla "normalità"
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