Nostra patria è il mondo intero e nostra legge è la libertà
19.9.09
Abominio - 2
Gino Strada: «In Afghanistan è vera guerra. Dobbiamo ritirarci subito»
ITALIANI e italiani
Abominio - 2
ecco perchè non firmo e non aderisco ala manifestazione del 3 ottobre
dal sito gemello http://www.censurati.it
L'ipocrisia della FNSI e della 'libera stampa italiota'
Inviato da vipera il Sab, 19/09/2009 - 09:42. la VIPERA
Dopo aver convocato una controversa manifestazione (per Travaglio e Floris) la FNSI rinvia tutto in nome dell'unità e del lutto nazionali dopo la morte dei 6 soldati in Afghanistan. Rinvia tutto di una settimana. Quando, a Roma e nelle stesse ore, è convocata una manifestazione dei precari della scuola. Per la propaganda di guerra si rinvia, per le vittime del più grande licenziamento di massa in Italia no...
La manifestazione per la libertà di stampa di oggi pomeriggio era stata convocata a seguito di alcuni episodi delle ultime settimane che hanno colpito alcuni giornalisti.
Era stata, perché ora non è più. O meglio, è stata rinviata di una settimana. La FNSI ha deciso di aggiungersi al clima di unità e lutto nazionale per la morte dei 6 soldati italiani in Afghanistan (ovviamente nessuno ricorda che sono morti anche civili afghani, in numero anche superiore, ma quelli non sono eroi, non sono persone degne di essere ricordate). Bisogna fermarsi, è doveroso unirsi al cordoglio nazionale. Tra una settimana, nelle stesse ore e sempre a Roma, è convocata la manifestazione dei precari della scuola, vittime del più grande licenziamento di massa della storia italiana. La manifestazione della FNSI si potrà fare, oggi no. Perché altrimenti verrebbe rovinato il clima di unità nazionale, si toglierebbe spazio alla retorica patriottarda e militarista, non potremmo vedere La Russa con l'elmetto su ogni canale. E Franceschini che piange lacrime di coccodrillo (come ogni politico che questa guerra ha voluto e votato e stravotato), affermando che il PD è 'un partito serio e responsabile' e quindi non toglierà l'appoggio ai 'nostri ragazzi'.
In guerra tra le prime vittime c'è la libertà di informazione e di pensiero. In guerra i giornalisti vengono censurati, boicottati, assassinati (basti ricordare Enzo Baldoni). E' impossibile denunciare quanto accade. Una manifestazione per la libertà di stampa, come ha sottolineato Flavio Lotti della Tavola della Pace (non certo uno dalle posizioni estremiste ...), non può non partire da questo: dal chiedere verità, giustizia, libertà nei teatri di guerra, lì dove l'Italia muove truppe del proprio esercito (qualcuno si ricorda cosa accadde due anni ad uno dei responsabili di Emergency in Afghanistan, rapito e torturato dalle milizie di Karzai? Ricordiamoci che la polizia afghana la stanno addestrando i carabinieri italiani e che il sistema giudiziario lo stanno organizzando gli italiani). A partire dall'Afghanistan dove la guerra imperversa, dove ogni giorno muoiono centinaia di persone. Pochi giorni fa è toccato a soldati italiani (ma quante persone sono morte da quel momento ad ora?), ma è una roulette che ogni giorno tocca moltissimi, in massima parte civili che nessuno ricorderà mai. Esattamente come in Italia con le morti sul lavoro. Gravissima piaga criminale, che ogni anno ammazza oltre mille persone, e che (tranne rari gravissimi casi) non finisce nei titoli del Tg1 (a proposito l'Umbria Olii continua a chiedere alle famiglie degli operai morti nel suo stabilimento risarcimenti multimilionari).
Gli episodi per i quali è stata convocata la manifestazione coinvolgono due giornalisti e tre quotidiani. Santoro ha scritto che la RAI non ha ancora permesso a Travaglio di firmare il contratto per la nuova serie di AnnoZero. Milena Gabanelli ha denunciato che la RAI da quest'anno non fornirà più copertura legale alle inchieste di Report. La prima puntata di Ballarò, la trasmissione di Giovanni Floris, è stata posticipata di due giorni per lo show di Berlusconi a 'Porta a Porta'. Berlusconi ha querelato, in pochi giorni, La Repubblica, L'Unità e Luciana Littizzetto (il bello è che la stessa battuta prima di lei l'aveva fatta Bossi, Berlusconi querelerà anche lui?) e attaccato pesantemente i giornalisti e il servizio pubblico RAI (soprattutto il Tg3).
Mobilitazione immediata, l'Italia sta scivolando verso il regime, la libertà di stampa è in pericolo. Sacrosante parole, giuste e condivisibili. Ma, sinceramente, oggi non sarei mai sceso in piazza. Perché questo sta succedendo da decenni, non da oggi. Perché l'articolo 21 della Costituzione Italiana non lo si può difendere solo in alcuni casi. In questi anni abbiamo avuto casi eclatanti di censure, omertà, intimidazioni.
Dieci anni fa Fulvio Grimaldi veniva cacciato da Liberazione, dopo essere stato già cacciato dal Tg3. Da allora televisioni e giornali non gli hanno dato minimamente spazio, nonostante abbia realizzato alcuni tra i documentari più belli della storia del giornalismo italiano e articoli giornalistici di rarissima e straordinaria bravura. Grimaldi può essere odiato o amato (e io confesso lo amo...), si può essere d'accordo o meno con quel che afferma (confesso che qualche volta non la penso come lui ...) ma resta uno dei più grandi giornalisti di razza in Italia. Nessuno ha mai invocato la libertà di stampa per lui?
Qualcuno si ricorda di Carlo Ruta, massacrato dalle procure di mezza Sicilia, l'unico sul quale le procure si mettono d'accordo per processarlo contemporaneamente, e che si vede condannato per stampa clandestina dopo che i rilievi della polizia postale hanno certificato l'opposto? Qualcuno, in questi giorni di mobilitazione per la libertà di stampa, ha chiamato Marco Benanti, cacciato dall'ANSA perché troppo pacifista e scomodo? Nei mesi precedenti le elezioni politiche del 2006 persino Fausto Bertinotti, allora segretario di Rifondazione Comunista, venne a Catania per lui. Lo abbracciò e affermò che la lotta di Marco era la sua, che l'avrebbe aiutato e difeso. Poi è diventato Presidente della Camera ...
Oggi avrebbe compiuto 50 anni Giancarlo Siani, giornalista de Il Mattino di Napoli ucciso dalla camorra. Le sue inchieste scomode non sono rientrate nella manifestazione che era convocata per oggi. In queste settimane si è tornato a parlare dei traffici di rifiuti tossici, uno dei più grandi business internazionali nel quale il nostro Paese è coinvolto. Qualcuno ha chiesto la riapertura del processo per l'assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi perché stavano documentando quanto stava accadendo tra l'Italia e la Somalia (quando parliamo di pirati documentiamoci prima ...). Ma, oltre a Ilaria, qualcun'altro stava documentando questi traffici, arrivando a toccare interessi e potentati molto in alto: Mauro Rostagno. Qualcuno per favore si ricordi di lui, e si faccia giustizia di tutte le infamie dette prima, durante e dopo la sua morte, sia di lui che sulla sua comunità Saman.
In Sicilia, come da anni denuncia solitario Riccardo Orioles, la libertà di stampa non esiste. L'Ordine dei Giornalisti risponde direttamente a Mario Ciancio Sanfilippo, boss della grande stampa locale (essendosi aggiudicata anche la distribuzione dei grandi quotidiani, che manda nelle città a seconda della convenienza personale - a Catania La Repubblica non viene distribuita per esempio perché farebbe concorrenza al quotidiano di Ciancio e, tra le altre cose, vi scrive Umberto Santino che si ostina a parlare di mafia in Sicilia...) e i giornalisti liberi, come lui, Ruta, Benanti, Maniaci, Santino, vengono isolati.
Tutto questo (e molto altro, qui non riportato per brevità...) non è libertà di stampa. Bisogna difendere un democratico così democratico che gode del bombardamento dei campi profughi palestinesi e che difende la criminale aggressione di Gaza del dicembre scorso (Travaglio). Bisogna difendere un quotidiano che, insieme al Corriere della Sera, ha la pagina esteri più vergognosa sull'America Latina, capace di ogni menzogna (La Repubblica). Bisogna difendere un altro quotidiano che, nell'ultima estate, ha dedicato pagine e pagine alle falsità di Travaglio e alle false (o, in alcuni casi fatti risaputi e noti a tutti) rivelazioni del figlio di un politico corrotto dalla mafia, dedicando solo i ritagli millimetrici a Pino Masciari, imprenditore calabrese a cui hanno revocato la scorta perché si ostina ad andare nelle scuole e nelle piazze a dire che bisogna denunciare il racket come ha fatto lui (L'Unità).
La libertà di stampa è stracciarsi le vesti per lo spostamento di due giorni del 'Porta a Porta' nero (fateci caso, da Vespa predomina il bianco, da Floris i colori scuri...)...
Prima che sia troppo tardi e dalla sottocultura razzistica si passi ai genocidi e alla pulizia etnica
<< (....) Ma è tardi ormai per la questine morale...
è come imporre ai tuoi 26 figli un anticoncezionale. (....) >>
Laico reggae
per il testo completo http://gubba71.splinder.co
Lo so che dal titolo sembrerò esagerato e allarmnistico , ma è proprio in questo brodo che si sviluppano genocidi che e dittature che hanno caratterizzato e abbruttuito il secolo scorso . E poi e meglio intervenire a creare anticorpi culturali per evitare di ripetere tali errori .
Dopo le discussioni qui facebook : la prima sulla guarigione dell'indiano bruciato a nettuno 8 mesi fa , con un idiota che ho segnalato dove manifestava il suo odio e la sua exenofobia che ho prontamente cancellato \ stroncato suo nascere e segnalato all'abuse di fb per incitamento e odio razziale ., la seconda per io caso sanaa dove la madre persdona il marito dicendo che è colpa dela figlia , e da cui è nata una bellissima nota della nostra iscritta Daniela Tuscano ( per chi di voi è mio amico in fb la trova qui http://www.facebook.com/po
il terzo i vari episodi di razzismo e di xenofobia , prima circoscritti e limoitati a qualche imbecille e ora sempre più diffusi , soprattutto fra gliadolescenti come per esempio due degli ultimi casi
Un altro episodio di baby-bullismo a sfondo razziale in un
istituto di Treviso: gli studenti italiani hanno chiesto scusa
Costretto a cambiare scuola
lo insultavano: sporco kosovaro
Costretto a cambiare scuola lo insultavano: sporco kosovaro
TREVISO - Un ragazzino kosovaro di tredici anni costretto a cambiare scuola perché preso in giro dai compagni di classe. Non ne poteva più di subire insulti razzisti, di ascoltare offese che lo ferivano, così ha chiesto ai genitori di cambiare scuola.
Un altro episodio di baby-bullismo a sfondo razziale che scuote Treviso, città simbolo del potere leghista in Veneto. Il nuovo caso viene a galla pochi giorni dopo che una sedicenne, scoperta a rubare ai Magazzini Coin, ha insultato il vigilante di colore che l'aveva sorpresa con un paio di pantaloncini e un reggiseno in borsa, senza averli pagati.
Storie quotidiane di razzismo che si consumano nel cuore del Nordest. La triste vicenda del ragazzino
All'arrivo delle volanti è emersa la vera storia, confermata dallo stesso ragazzino trevigiano. Il più piccolo dei kosovari ha infatti raccontato agli agenti che lo scorso anno è stato costretto a cambiare scuola a causa dei continui soprusi subiti dal giovane italiano, rifugiatosi all'interno del bar, spalleggiato dagli altri compagni di classe. Ha ricostruito per filo e per segno un anno scolastico da dimenticare, con i compagni di classe a sbeffeggiarlo dalla prima all'ultima ora. L'altro giorno l'incontro casuale per le strade di Treviso.
E' finita invece in questura la sedicenne sorpresa a rubare da Coin al termine di una vicenda incredibile. Quando l'antitaccheggio posizionato all'uscita del grande magazzino ha iniziato a suonare, la guardia di colore incaricata di svolgere i controlli ha fermato la ragazza che, alla richiesta di controllare il contenuto della borsa ha perso la testa: "Negro di m...", si è messa ad urlare di fronte ai clienti del negozio allibiti. "Lasciami stare che tanto voi siete tutti spacciatori", ha poi aggiunto. Ma a finire in questura è stata lei.
Quindi è sempre più urgente nelle scuole una ora di religione che non sia solo religione cattolica o confessionale , ma educazione alle altre relifioni con cui l'italia non ha mai fatto i conti ( vedere le minoranze ebraiche e protestanti ) e ora anche di più ti soprattuttto nell'ultimi 20\30 con un flusso migratorio sempre più grande di immigrati di religione islamica . Un ora di educazione civica che non si limnite ad uinsegnarti la differenza fra costirtuzione e statuto albertino , ma ti insegni i valori di tolleranza ( non quella acritica e pelosa ovviamente ) e non violenza e legalità . Ma soprattutto la s toria non " ufficiale " ridotta per esigenze a poche righe o una paginetta quando va bene , sulla immigrazione italina avvenuta dopo il primo decennio dell'unità finno agloii anni '80 in europa ma in maniera particolare nelle americhe .
Infatti proprio mentre m'aggingo a concludere minritornano in mente questo scritto di Daniela Zini \ del gruppo di facebook DONNE IN LOTTA PER I DIRITTI UMANI - WOMEN IN STRUGGLE FOR HUMAN RIGHTS
Argomento: I NOSTRI EMIGRANTI NEL NUOVO MONDO: I GHETTI ITALIANI D'AMERICA
Daniela Zini ha scrittoil 14 agosto 2009 alle 21.59
AI SANS PAPIERS
Con l’unità d’Italia il Mezzogiorno fa un inaspettato, ulteriore passo indietro verso il silenzio e l’immobilismo sociale. Dopo il 1880, la depressione agricola blocca il Mezzogiorno proprio nel momento in cui il nord industriale inizia la sua rapida ascesa grazie anche alla protezione delle tariffe doganali. Il prezzo del grano, sceso a 22 lire al quintale, nel 1888, precipita a 13, 5, nel 1894. L’allora Ministro del Tesoro Sidney Sonnino sceglie proprio quel momento per aumentare il dazio sul grano e portare il prezzo del sale da 35 a 40 centesimi il chilogrammo. Nel sud, prevalentemente agricolo, ciò va a detrimento sia dei proprietari sia dei contadini, e per questi la terra nativa diventa ancora più inospitale. Nei paesi del sole a picco e delle donne in nero, per i poveri la vita si fa impossibile; per sopravvivere molti scelgono la strada dell’emigrazione in America.
E mare, mare, mare.
In condizioni quasi sempre bestiali i nostri vengono avviati verso il nuovo mondo, stipati su navi antiquate, senza acqua, senza conforti.
Racconta Edmondo De Amicis (1):
“E il caldo cocente non era il peggio: era un puzzo d’aria fracida e ammorbata, che dalla boccaporta spalancata dei dormitori maschili ci saliva su a zaffate fin sul cassero, un lezzume da metter pietà a considerare che veniva da creature umane, e da far spavento a pensare che cosa sarebbe seguito se fosse scoppiata a bordo una malattia contagiosa. Eppure, ci dicevano, non v’eran più passeggeri di quanti la legge consente che s’imbarchino in relazione con lo spazio. Eh! Che m’importa, se no si respira! Ha torto la legge. Essa permette che si occupi sui piroscafi italiani uno spazio maggiore quasi d’un terzo di quello che è concesso sui piroscafi inglesi e americani; e non è là a vedere se i tutto bene trovato dalla polizia alla partenza, sia mantenuto poi durante il viaggio; a impedire, per esempio, che s’imbarchino in altri porti più passeggeri di quello che rimanga di posti, e che si caccino viaggiatori sani nello spazio riservato agli infermieri, e che s’improvvisino dei dormitori alla bella diana. Quanto rimane da fare ancora dentro a questi bei piroscafi che il giorno della partenza si vedono luccicare come palazzi di principi! Sulla maggior parte, i marinai e fuochisti ci stanno come cani, l’infermeria è un bugigattolo, i luoghi che dovrebbero essere più puliti fanno orrore e per mille e cinquecento viaggiatori di terza classe, non c’è un bagno. E dican quello che vogliono gli igienisti che han fissato il numero necessario dei metri cubi d’aria: la carne umana è troppo ammassata, e che una volta si facesse peggio, non scusa: oggi ancora è una cosa che fa compassione e muove a sdegno.”
È un brano tratto da Sull’Oceano, che, in un primo tempo, De Amicis intitola I nostri contadini in America. Dalle annotazioni di De Amicis, in margine al manoscritto, sappiamo che il Nord America imbarcò per Buenos Aires 1600 passeggeri in terza classe, 20 in seconda e 50 in prima, oltre ai 200 uomini dell’equipaggio.
Analoghe erano le condizioni di viaggio dei contadini del sud, del Piemonte, della Lombardia, del Veneto e dell’Italia Centrale diretti in America – avi di coloro che, oggi, formano una colonia di oltre 12 milioni di americani di origine italiana (2) –.
Per migliaia e migliaia di loro quella traversata resterà nella memoria come il ricordo dell’inferno.
Riascoltiamo De Amicis:
“Man mano che s’alzava la colonna termometrica, crescevano per il Commissario le occupazioni e i fastidi; principalissimo dei quali era il dormitorio delle donne, in cui doveva scendere molto sovente, di giorno e di notte, per ristabilire il buon ordine o vegliare alla pulizia. Anche a tener conto del da fare, sarebbe bastato quello spettacolo obbligatorio a disamorare dell’ufficio qualunque galantuomo. S’immaginino due piani sotto coperta, come due vastissimi mezzanini, rischiarati da una luce di cantina, e in ciascuno di essi tre ordini di cuccette posti l’un sull’altro, tutto intorno alle pareti e nel mezzo, e lì circa a quattrocento tra donne e bambini poppanti e spoppati, e trentadue gradi di calore. Qui, nella cuccetta più bassa, dormiva una donna incinta con un bimbo di due anni, sopra di lei una vecchia settantenne, sopra di questa una giovinetta sul primo fiore; là s’allungava una cafona calabrese accanto a una signora caduta nell’indigenza; più oltre un’avventuriera di città, che si dava il belletto al buio, a fianco di una contadina timorata di Dio, che dormiva con la corona del rosario tra le mani.”
Artisti, studenti, contadini analfabeti venuti dall’Europa portano un bagaglio di tradizioni culturali: folklore, oggetti, religioni, cibi e vivande, modo di concepire la famiglia e la comunità. Gran parte di questo patrimonio scompare nel processo di americanizzazione, ma una dose notevole entra a far parte della vita americana.
Gli ultimi arrivati, gli emigranti italiani, si trovano di fronte a una società sovente ostile e vengono avviati rudemente dai poliziotti di New York agli squallidi abituri periferici. Molti di quei poliziotti sono irlandesi, giunti con la precedente ondata migratoria, il cui privilegio sarà, rapidamente, contrastato da un’altra mafia, la latina.
Una civiltà erompe, turbinando tra i primi grattacieli: la metropoli si avvia verso i 4 milioni di popolazione e la molteplicità di una vita, che ha già assunto un ritmo troppo crudele e frenetico, atterrisce gli immigrati. La civiltà capitalistica, anche nel momento del suo massimo rigoglio e splendore, è basata su uno squilibrio, su una contraddizione intima. Lo apprenderanno presto, a proprie spese, i nostri muratori, sconosciuti costruttori di grattacieli, i cui figli decideranno di lasciare gli italian ghettos, dove un italiano resta un “dago”: e qualcuno ci riuscirà, piantando in asso la bancarella di frutta e verdura del padre per mettersi in banda con altri oriundi.
La città, già sterminata, attira e sgomenta. Fiorisce un nuovo linguaggio, nascono nuovi giornali, nuovi scrittori popolari che ricorrono allo slang e riferiscono i fatti del giorno degli umili 4 milioni di piccola gente newyorkese. New York vanta, nel 1900, quindici quotidiani; si pensi che oggi ne restano soltanto tre: il New York Times e il Daily News, quotidiani del mattino a diffusione nazionale, e il New York Post a diffusione locale (3). Questo per dire della immensa forza propulsiva che agita l’America degli inizi del secolo scorso. L’intraprendenza e la genialità trovano sovente un campo di sfruttamento. Gli edifici commerciali sorgono come severe torri d’acciaio, cemento e pietra arenaria. Le generazioni precedenti hanno lasciato come ricordo l’ufficio postale con le sue soffitte sormontate da tetti di legno, le vecchie e goffe case dai minareti in mattoni rossi, le fabbriche dalle finestre meschine e fuligginose, i casotti di legno color fango. La città è piena di queste misere costruzioni, ma le belle torri già le respingono dal centro degli affari e sulle colline circostanti sorgono le lussuose dimore dei nuovi ricchi.
Niente è mutato dal tempo delle carovane dirette all’ovest: ogni anno si fondano nuove città, e sempre con lo stesso procedimento. Centinaia di case tutte uguali, ammassate e con qualcosa di provvisorio, di nomade. Poche città concentrano la gigantesca produzione industriale: Detroit, a esempio, dove, nel 1903, Henry Ford impianta la sua dinastia automobilistica, nel 1905, conta 300.000 abitanti e giunge a un milione alla fine della seconda guerra mondiale.
Si operano continui mutamenti: si acquista un immobile per demolirlo e costruirne uno più grande sullo stesso terreno; dopo cinque anni lo si rivende a un imprenditore, che rade al suolo il secondo edificio per tirarne su un terzo.
A San Francisco il terremoto e l’incendio distruggono tre quarti della città che serba un aspetto asiatico. Siamo alle soglie della prima guerra mondiale: San Francisco viene ricostruita e rapidamente americanizzata.
Regole e dogmi collettivistici, retorica pionieristica, fanatismo puritano e spregiudicatezza negli affari: nell’America dei primi decenni del Novecento le contraddizioni danno luogo a una società concentrata e frenetica, ricca e miserabile. Manodopera non specializzata, la nostra emigrazione ha lasciato le sue testimonianze letterarie per mano di muratori o ex-muratori.
Cristo fra i muratori, di Pietro di Donato, è una storia autobiografica. Di Donato ha solo dodici anni quando suo padre, operaio mattonaio, è sepolto vivo e ucciso in un crollo dell’edificio dove lavora. È il venerdì santo del 1923 (4).
Settant’anni fa, presentando Cristo fra i muratori dalle colonne del Corriere della Sera, Emilio Cecchi scriveva:
“Esatta e impressionante è la requisitoria sulle angherie che i nostri patiscono laggiù dagli imprenditori assassini, dai sindacati camorristi, dalle compagnie di assicurazione che fanno l’interesse dei capitalisti. Cose che non saranno mai troppo ripetute, a scorno della ipocrisia ed ingordigia puritana.”
“Senza nome nella folla dei senza nome”,si definisce, nell’autobiografia di venti pagine, che redige nella prigione di Charleston, Bartolomeo Vanzetti (5), il quale ha a dire rivolgendosi per l'ultima volta al giudice Thayer:“Io non augurerei a un cane o a un serpente, alla più bassa e disgraziata creatura della Terra — io non augurerei a nessuna di queste ciò che io ho dovuto soffrire per cose di cui io non sono colpevole. Ma la mia convinzione è che ho sofferto per cose di cui io sono colpevole. Io sto soffrendo perché io sono un radicale, e davvero io sono un radicale; io ho sofferto perché ero un Italiano, e davvero io sono un Italiano…”Discorso di Bartolomeo Vanzetti del 19 aprile 1927, a Dedham, Massachussetts
NOTE
(1) L’11 marzo 1884, alle 2 antelucane, Edmondo De Amicis si imbarcò a Genova sul piroscafo Nord America, per raggiungere l’Argentina. Da alcune carte deamicisiane la partenza risulterebbe avvenuta il 13, mentre gli archivi della Società di navigazione registrano il 10 marzo (E. De Amicis, Sull’Oceano, cit., pag. 277, nota 15). Questa ultima data è corretta e confermata del resto dalla lettera al fratello del giorno stesso (L. 31: “l’imbarco è alle ore 2”) anche se il vapore è, poi, salpato l’indomani alle due di mattina. Come risulta da varie lettere, in un primo tempo, la partenza del Nord america, poi posticipata di una settimana, era prevista per il 3 marzo.
Le opere Sull’Oceano (1889) e In America (1897) sono legate al suo viaggio in Sud America, un viaggio che gli fornirà spunti e materiali per realizzare quella che è stata definita “la più straordinaria short novel ottocentesca sull’emigrazione”, vale a dire Dagli Appennini alle Ande. Nel racconto Nella baia di Rio de Janeiro un contadino lombardo emigrato e malato chiede disperatamente di imbarcarsi sulla stessa nave che sta riportando lo scrittore in Italia dall’Argentina: questi avverte la morte vicina e chiede, prima, accoratamente e, poi, con disperazione e rabbia di poter andare a morire in patria.
L’emigrazione non era ben vista dai grandi latifondisti, perché portava via braccia sfruttate e sottopagate. Basti pensare che, nel 1884, gli espatri transoceanici erano stati 60.000, mentre, nel 1888, anno in cui fu varata una prima legge che tentava di regolamentare l’emigrazione, erano partite 207.000 persone.
(2) In base a una recente rielaborazione dei dati del censimento del 1980 gli italo-americani risultano 12.195.798, cioè il sesto gruppo etnico per importanza negli Stati Uniti (il 5,4% della popolazione statunitense: praticamente una persona ogni venti americani). Secondo i dati ufficiali, la più elevata concentrazione di Americani di origine italiana si trova nello Stato di New York (2.900.000), seguita dalla California, dal New Jersey (1.500.000 ciascuno) e dalla Pennsylvania (1.400.000). Consistenti comunità italo-americane si trovano anche nel Massachusetts (845.000), nella Florida (800.000), nell’Illinois (730.000), nel Connecticut (650.000) e nell’Ohio (640.000).
(3) Sono tre i principali quotidiani di New York: il New York Times e il Daily News, quotidiani del mattino a diffusione nazionale, e il New York Post a diffusione locale. Vi sono poi altri quotidiani a diffusione nazionale: USA Today e Wall Street Journal, ovvero la "bibbia" per chi lavora nel campo dei mercati economici e finanziari. Altre testate sono: Financial Times (economico), New York Newsday, The New York Observer (economico).
(4) In quello stesso periodo, molti ex-immigrati si arricchiscono, invece, con il contrabbando di alcol. Vi è chi organizza piccole flotte di motobarche che trasportano centinaia di bottiglie di whisky e gin dal Canada agli Stati Uniti. Un altro oriundo italiano, Alfonso Capone, detto “Scarface”, lo Sfregiato, da galoppino di una casa chiusa diviene il re dei fuorilegge di Chicago. Politicanti corrotti, avvocati troppo spregiudicati, poliziotti avidi costituiscono la ragnatela invisibile ma onnipotente delle sue alleanze. Il fatturato dell’impero del crimine della sola Chicago raggiunge i 10 milioni di dollari e, quando la stella di Scarface splenderà più luminosa, verso la metà degli anni 1920, supererà i 300 milioni.
(5) Il 5 maggio 1920, in piena crisi identitaria e xenofoba, due uomini, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, sono accusati dell’omicidio di un contabile e di una guardia del calzaturificio Slater and Morrill. Sono immigrati, italiani e anarchici. Quanto basta. E a nulla vale la confessione del detenuto portoricano Celestino Madeiros, che li scagiona. Giudicati colpevoli, saranno giustiziati sulla sedia elettrica, il 23 agosto 1927. Nel 1977, Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachussets, riconoscerà ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabiliterà completamente la memoria di Sacco e Vanzetti.
concludo segnalando sempre dallo stesso gruppo quest8 due altri post
http://www.facebook.com/to
http://www.facebook.com/to
perchè la storia siamo noi , e un popolo che non ha menoria non ha anticorpi contro la sottocultura di cui parlavo all'ìinizio del post fa a gli altri ( vedere i respingimenti disumani e l'abberrante legge sull'immigrazione ) ciò di cui essi sono stati vittime
Hai pagato l’ IMPERF?
Ecco per il week-end un racconto ironico e surreale. O forse super-reale.
Driiiiiiin. Chi cavolo è a quest’ora del mattino? Infilo distrattamente le ciabatte e mi avvio verso la porta. Apro.
«Salve, Lei è il signor G.?»
«Sono il figlio» dico farfugliando su due piedi mentre riconosco le inconfondibili divise di due agenti della Guardia di Finanza «Mio padre non è in casa. Posso esservi utile?»
«Ci risulta che siate in ritardo con il pagamento delle tasse e dobbiamo notificarvi l’atto di precetto»
«Impossibile, mio padre è talmente pignolo…. Deve esserci un equivoco»
«Nessun equivoco. Non è stato effettuato il pagamento dell’IMPERF»
«L’ IMPERF? E che tassa è? Mai sentita…»
«E’ la tassa sull’Imperfezione. E’ stata introdotta da poco su proposta di “Repubblica” e dell’ “Italia dei Valori”. Chiunque è fisicamente o moralmente imperfetto deve pagare una somma proporzionale al peso e al danno che adduce alla società. Un uomo senza vista ha ad esempio un’aliquota dell’1%, un abituale bevitore una del 3% e così via. Anche i bambini pagano: autistici, Down, bambini che dicono bugie o che rubano caramelle, tutti. E’ finito il tempo della compassione di Stato!»
«Ma a casa nostra non c’è nessuno con queste disgrazie»
Risero di gusto e con uno sguardo d’intesa continuarono
«Signor G, pensa di essere perfetto?»
«Io? No affatto»
«E allora deve pagare l’ IMPERF. Forse Lei avrà il vizio dell’alcool o del sesso o del fumo. O semplicemente l’orgoglio per non aver nessun vizio particolare: anche questa è un’inaccettabile immoralità da risarcire. E poi ci risulta che la sua schiena non vada poi così bene: avere una noia alla cervicale Le costerà circa 200 euro all’anno. Tenga qui, c’è scritto tutto»
Mi passa un lungo questionario intitolato “Scheda di autocertificazione delle proprie inescusabili fragilità”.
«“Usa responsabilmente contraccettivi?” “Beve?” “Ha fatto incidenti d’auto negli ultimi tempi?” “Ha risposto male a qualcuno?” “Ha rubato?” “E’ moralmente irreprensibile?” “Ha familiarità con malattie degenerative?” ecc ecc. Altro che autocertificazione: sembra il foglietto della Liturgia Penitenziale della Quaresima!»
«Sì ma il prete assolve, lo Stato non più. La vostra misericordia è servita per giustificare i peggiori orrori della natura e i più orrendi delitti, ora si cambia. Mi raccomando: nel compilare il modulo non imbrogli, perché i controlli sui portatori di imperfezioni si sono fatti molto rigidi e i magistrati sono assai zelanti. Non vorremmo essere costretti a…»
«Costretti a…?»
«Costretti a fare come Eluana Englaro che si ostinava a non pagare. Alla fine per saldare il debito abbiamo dovuto pignorarla con l’eutanasia. Lo stesso abbiamo fatto con migliaia di feti malformati, pignorati con l’ “aborto terapeutico”. E ci apprestiamo a fare altrettanto con chiunque non è moralmente, fisicamente, psicologicamente perfetto. Perciò si sbrighi a compilare quel modulo o pignoreremo anche Lei»
Nel frattempo mi accorgo che l’altro agente mi sta fissando negli occhi dall’inizio. Mi scruta com Minosse con le anime dannate; mi sento scansionato in ogni dettaglio, ispezionato fin dentro l’ultima piega dell’anima. Sorride con un ghigno e meccanicamente annuncia:
«Lei lo scorso week end ha rubato 10 euro dalla cassettina comune della casa; ha risposto male a suo nonno durante il pranzo di due giorni fa; non ha aiutato sua madre in affanno; ha trascurato i suoi affetti preferendo una partita di calcetto; ha peccato d’orgoglio quando domenica scorsa alla Messa si è sentito più cristiano degli altri. Totale: 30000 euro»
«Ma io non ce li ho!»
«Allora venga con noi. E’ pignorato»
«Come sarebbe a d….»
Ma mentre provo a protestare mi hanno già apposto i sigilli, per ultimo anche sulla bocca.
«E con Lei sono pignorati tutti i suoi effetti personali. Compreso il pesce nell’acquario»
«No, quello no» rimprovera gravemente l’ufficiale giudiziario «E’ un animale, povera bestia...»
L’oste
http://osteriavolante.myblog.it/archive/2009/09/18/l-imperf-la-nuova-tassa.html
18.9.09
trasformista
Foto dal Web
E' un'ora che sto quì a rimirarti
senza mai staccare gli occhi da te
ed in quest'ora
cento vesti hai indossato
in una passerella
che mi piace pensare
sia per me.
Mai uguale tu sei:
una vela che passa all'orizzonte,
un alito di vento che increspa la superficie,
un raggio di luce che muta il tuo colore,
il volo di un gabbiano a pelo d'acqua,
la scia di una barca che fende l'onda.
Trasformista tu sei,
ma ogni mutazione è un'emozione.
Più ti guardo e più m'innamoro,
potessi
ti porterei via con me.
Scritto da Marilicia il 22/08/2009
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