22.10.10

le donne hanno più dignità di noi ?

Leggendo   queste due storie    che troverete nele righe suiccessive  mi chiedo canticchiando questa canzone autocritica   di Bennato




se le donne  , oltre che in amore  sono più forti di noi uomini e che forse non sarà per  quiesto che i maschi (  ovviamente senza  generalizzare  )  fustranti  ed  incapaci  di reagire al di fuori della tv , almeno per  ora    come  dimostra  il documentario il corpo dellle donne ,  citato  su  queste pagne ( , ora  anche sito internet  ed  un   un libro     ) culturalemente alla perdita  del  loro  dominio  reagiscono  copn violenza   ?
 Adesso le storie .


La prima



Ieri 21\10\2010  Nel bar  ,   quello in cui vado  do solito  è chiuso per ferie  , fra  i giornali  oltre  quelli locali ed il corriere della sera   , c'era il  giornale  (    la velina   del governo ) e da tale  copia   da me acquistata  online   ( a dmostrrazione che  non sono  mentale   chiuso  ,  o comunista  come  mi definiscono   a destra o fascista  a sinistra  ) , perché  spesso capita  che anche  gli organi governativi  ( per  non cadere nel volgare  e  per mantenermi  nel rispetto di voi lettori\lettrici  o utenti  )  ci sia  fra tante veline  deglia rticoli interessanti  . Infatti sfogliandolo ,  passando oltre  gli editoriali e le pagine politiche  interne  , faziose i oltre  ogni normalità fisiologica (  visto che  tutti i giornali   sono di parte  \ faziosi )  fino a  farmi vomitare    arrivo alla pagina  della politica estera   ed  ho trovato anche li  fra faziosità   un articolo interessante   che vado a riportare .
Esso narra  la storia  \ la vicenda    di   una ragazza coraggiosa per  avre 20  annni e con un  forte  valore  della legalità  e  della legge  in un paese  corrotto  con il narcotraffico (  o mafia che dir si voglia  )


LA GUERRA DELLA DROGA IN MESSICO
La studentessa che vuol sconfiggere i narcos
A Guadalupe, una delle città più violente e pericolose del Paese, nessuno voleva il posto di commissario anti-cartelli L’unica a candidarsi è stata Marisol, 20 anni: «Tutti hanno paura, ma qualcuno questo mestiere lo deve pur fare»





AL LAVORO
Marisol Valles nel suo ufficio. La ragazza, 20 anni, studen­tessa di criminologia a Ciudad Juarez, è stata nominata capo della polizia di Guadalupe, diecimila anime per una cittadina ai confini con il Texas, completamente in mano ai narcos. È stata l’unica che ha accettato la sfida, la sua città è al centro di una faida che in una sola settimana, proprio prima della sua nomina, è costata la vita a otto persone
Manila Alfano
A Guadalupe la legge ha la faccia pulita e ingenua di una ragazzina di vent’anni. Marisol Valles è stata l’unica ad aver accettato: ci ha pensa­to un attimo e poi ha detto sì a quel posto di capo della poli­zia che nessuno voleva. A giu­gno, l’uomo che prima occu­pava il suo posto, il direttore di polizia Jesus Manuel Lara Rodriguez, è stato trovato de­capitato e con lui i narcos ave­vano ucciso anche suo figlio. Erano andati a casa, in asset­to da guerra e avevano ucciso tutti, senza farsi scrupoli, fe­rendo i passanti per strada, ammazzando il custode. Era­no mesi che lo minacciavano e lo mettevano in guardia. Lui non si era fatto intimidi­re, la legge prima di tutto. E ha pagato. Da allora nessun sostituto si era fatto avanti. Un mese dopo era stata la vol­ta del sindaco, stessa sorte: ri­trovato con la testa mozzata. Guadalupe è l’inferno mes­sicano, peggio c’è solo Ciu­dad Juarez, a sessanta chilo­metri da lì. Il centro delle vio­lenze dei trafficanti di droga e della criminalità organizzata ai confini del Texas si concen­tra qui. È per questo che quel posto di capo della polizia proprio non lo vuole nessu­no. Da quelle parti chi fa ri­spettare le regole muore. Poi, a farsi avanti, a dire sì, è arriva­ta lei, Marisol, occhi grandi e neri, studentessa di crimino­­logia all’università, nuovo ca­po della polizia di Guadalu­pe, diecimila abitanti e otto omicidi solo la settimana scorsa.
È il metodo narcos, la guer­ra dei trafficanti di droga che si combatte ormai da mesi nelle strade al confine con il Texas. È da qui che passano i carichi di cocaina, arrivano dal Sud dell’America Latina, passano per la Colombia, at­traversano il confine con il Messico, salendo verso nord, nell’America ricca. Gli Stati Uniti. Un problema che
gli americani stanno cercan­do di combattere con l’invio di militari per aiutare i federa­li a sorvegliare il confine. Ar­nold Schwarzenegger ha mandato 224 guardie nazio­nali californiane. A giugno Obama ha disposto l’invio di 1.200 uomini lungo tutta la frontiera. Anche il governo messicano cerca di reagire: il presidente Felipe Calderon ha incrementato le misure di sicurezza, ha rafforzato la presenza dei militari nelle zo­ne più a rischio. «Il Messico vive un problema che per de­cenni è stato in incubazione, e anche la soluzione richiede­rà molto tempo», ammetto­no oggi gli esperti.
«Tutti hanno paura, anche io ne ho, ma qualcuno lo de­ve pur fare questo mestiere». Marisol lo sa. È giovane, è donna. In questa faida lei è un obbiettivo fin troppo faci­le.

Marisol si sforza di sem­brare sicura e disinvolta e al­lora parla con i giornalisti, si sente che ha studiato, che ha le idee chiare, quasi da ma­nuale: «Il mio obiettivo non sarà soltanto quello di com­battere il traffico di droga, ma di occuparmi dei quartie­ri e delle scuole. Vorrei crea­re una polizia su due ruote, penso a programmi alternati­vi di vigilanza». È ambiziosa e i suoi progetti assomigliano più a quelli di un capo di poli­zia di una città qualunque, che non vuole cedere alla re­altà, alla gente che ha paura anche di uscire in strada. La nomina della giovanissima «poliziotta» arriva nel giorno in cui più a ovest, al confine con la California, nella città di Tijuana, è stato messo a se­gno uno storico sequestro di marijuana: oltre 105 tonnel­late di «erba» per un valore di 335 milioni di dollari. Droga che avrebbe potuto essere venduta negli Stati Uniti in 210 milioni di dosi. «È un col­po gravis­simo per la crimina­lità organizzata e i narcotraffi­canti messicani», ha detto il generale dell’esercito Alfon­so Duarte Mujica, che ha con­dotto la gigantesca operazio­ne, spiegando che il valore della marijuana può anche «triplicare nella vendita al dettaglio negli Stati Uniti».
È il più grosso carico di dro­ga sequestrata in Messico ne­gli ultimi anni. I narcotraffi­canti hanno già diramato messaggi di morte e minacce sulle radio pirata. Ma forse questo colpo è un segno, un buon auspicio per il coraggio di Marisol.

TERRORE Il suo predecessore è stato decapitato. Soltanto lei ha accettato la sfida LOTTA Per combattere il contrabbando Obama ha inviato 1.200 militari lungo la frontiera

La seconda  invece fìviene dala mia bacheca  di fb    dove   tramite la condivisione    na mia utente   ha condiviso   questa nota
pubblicata da Cinzia Sbardella il giorno sabato 5 giugno 2010 alle ore 11.37 su la  coraggiosa scelta difficile ma obbligata  quella di  Maria Luisa Busi che  ha  lasciato   il TG1: "Oggi l'informazione del TG1 è un'informazione parziale e di parte
--br--

                 FINALMENTE QUALCUNO SI RIBELLA



L'avete letta questa lettera?
Io non guardo più la tv e raramente leggo i giornali convenzionali   per questo non avevo avuto modo di apprendere questa notizia......E BRAVA, CHI L'AVREBBE DETTO DI VISO D'ANGELO!!!  FATELA CIRCOLARE è una bella lettera!!!!!  Questa è la versione integrale pubblicata dall'Ansa, indirizzata al direttore Augusto Minzolini e al Cdr, e per conoscenza al direttore generale della RaiMauro Masi, al presidente dell'azienda Paolo Garimberti e al responsabiledelle Risorse umane Luciano Flussi." Una scelta difficile ma obbligata  quella di  Maria Luisa Busi che  ha  lasciato   il TG1: "Oggi l'informazione del TG1 è un'informazione parziale e di parte


"Caro direttore - scrive la Busi -
Ti chiedo di essere sollevata dalla  mansione di conduttrice dell'edizione delle 20 del TG1, essendosi determinata una situazione che non mi consente di svolgere questo compito senza pregiudizio per le mie convinzioni professionali. Questa è per me - prosegue - una scelta difficile, ma obbligata. Considero la linea editoriale che hai voluto imprimere al giornale una sorta di dirottamento, a causa del quale il TG1 rischia di schiantarsi contro una definitiva perdita di  credibilità nei confronti dei telespettatori. Come ha detto - osserva la giornalista - il presidente della Commissione di  Vigilanza Rai Sergio Zavoli: 'la più grande testata italiana, rinunciando  alla sua tradizionale struttura ha visto trasformare insieme con la suaidentità, parte dell'ascolto tradizionale´.Amo questo giornale, dove lavoro da 21 anni. Perchè è un grande giornale. È  stato il giornale di Vespa, Frajese, Longhi, Morrione, Fava, Giuntella. Il giornale delle culture diverse, delle idee diverse. Le conteneva tutte, era questa la sua ricchezza. Era il loro giornale, il nostro giornale. Anche dei colleghi che hai rimosso dai loro incarichi e di molti altri qui dentro che sono stati emarginati. Questo è il giornale che ha sempre parlato a tutto il Paese. Il giornale degli italiani.  Il giornale che ha dato voce a tutte le voci. Non è mai stato il giornale di  una voce sola. Oggi l'informazione del TG1 è un'informazione parziale e di  parte.
Dov'è il paese reale? Dove sono le donne della vita reale? Quelle che devono aspettare mesi per una mammografia, se non possono pagarla? Quelle coi salari peggiori d'Europa, quelle che fanno fatica ogni giorno ad andare avanti perchè negli asili nido non c'è posto per tutti i nostri figli? Devono farsi levare il sangue e morire per avere l'onore di un nostro  titolo. E dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie.
Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere  al mondo un figlio? E dove sono i  cassintegrati dell'Alitalia? Che fine hanno fatto? E le centinaia di aziende che chiudono e gli imprenditori del nord est che si tolgono la vita perchè  falliti? Dov'è questa Italia che abbiamo il dovere di raccontare? Quell'Italia esiste. Ma il tg1 l'ha eliminata.
Anche io compro la carta igienica per mia figlia che frequenta la prima elementare in una scuola pubblica. Ma la sera, nel TG1 delle 20, diamo spazio solo ai ministri Gelmini e Brunetta che presentano il nuovo grande progetto per la digitalizzazione della scuola, compreso di lavagna  interattiva multimediale.
L'Italia che vive una drammatica crisi sociale è finita nel binario morto della nostra indifferenza. Schiacciata tra un'informazione di parte - un editoriale sulla giustizia, uno contro i pentiti di mafia, un altro sull'inchiesta di Trani nel quale hai affermato di non essere indagato,  smentito dai fatti il giorno dopo - e l'infotainment quotidiano: da quante  volte occorre lavarsi le mani ogni giorno, alla caccia al coccodrillo nel lago, alle mutande antiscippo.
Una scelta editoriale con la quale stiamo arricchendo le sceneggiature dei  programmi di satira e impoverendo la nostra reputazione di primo giornale  del servizio pubblico della più importante azienda culturale del Paese.
Oltre che i cittadini, ne fanno le spese tanti bravi colleghi che potrebbero dedicarsi con maggiore soddisfazione a ben altre inchieste di più alto profilo e interesse generale.
Un giornalista ha un unico strumento per difendere le proprie convinzioni  professionali: levare al pezzo la propria firma. Un conduttore, una   conduttrice, può soltanto levare la propria faccia, a questo punto.
Nell'affidamento dei telespettatori è infatti al conduttore che viene ricollegata la notizia. È lui che ricopre primariamente il ruolo di garante del rapporto di fiducia che sussiste con i telespettatori.
I fatti dell'Aquila ne sono stata la prova.  Quando centinaia di persone hanno inveito contro la troupe che guidavo al  grido di vergogna e scodinzolini, ho capito che quel rapporto di fiducia che ci ha sempre legato al nostro pubblico era davvero compromesso. È quello che accade quando si privilegia la comunicazione all'informazione, la propaganda alla verifica.
Ho fatto dell'onestà e della lealtà lo stile della mia vita e della mia  professione. Dissentire non è tradire. Non rammento chi lo ha detto   recentemente. Pertanto:
1) respingo l'accusa di avere avuto un comportamento scorretto. Le critiche che ho espresso pubblicamente - ricordo che si tratta di un mio diritto oltre che di un dovere essendo una consigliera della FNSI - le avevo già mosse anche nelle riunioni di sommario e a te, personalmente. Con spirito dileale collaborazione, pensando che in un lavoro come il nostro la circolazione delle idee e la pluralità delle opinioni costituisca un  arricchimento.
Per questo ho continuato a condurre in questi mesi. Ma è palese che non c'è  più alcuno spazio per la dialettica democratica al TG1. Sono i tempi del pensiero unico. Chi non ci sta è fuori, prima o dopo.
2) Respingo l'accusa che mi è stata mossa di sputare nel piatto in cui  mangio. Ricordo che la pietanza è quella di un semplice inviato, che chiede semplicemente che quel piatto contenga gli ingredienti giusti. Tutti e  onesti.
E tengo a precisare di avere sempre rifiutato compensi fuori dalla Rai,lautamente offerti dalle grandi aziende per i volti chiamati a presentare le  loro conventions, ritenendo che un giornalista del servizio pubblico non  debba trarre profitto dal proprio ruolo.
3) Respingo come offensive le affermazioni contenute nella tua lettera dopo  l'intervista rilasciata a Repubblica, lettera nella quale hai sollecitato all'azienda un provvedimento disciplinare nei miei confronti: mi hai accusato di `danneggiare il giornale per cui lavoro´, con le mie dichiarazioni sui dati d'ascolto. I dati resi pubblici hanno confermato quelle dichiarazioni. Trovo inoltre paradossale la tua considerazione seguente: 'il tg1 darà conto
delle posizioni delle minoranze ma non stravolgerà i fatti in ossequio a  campagne ideologiche´. Posso dirti che l'unica campagna a cui mi dedico è quella dove trascorro i week end con la famiglia. Spero tu possa dire altrettanto.
Viceversa ho notato come non si sia levata una tua parola contro la violenta campagna diffamatoria che i quotidiani Il Giornale, Libero e il settimanale Panorama - anche utilizzando impropriamente corrispondenza aziendale a me  diretta - hanno scatenato nei miei confronti in seguito alle mie critiche alla tua linea editoriale. Un attacco a orologeria: screditare subito chi  dissente per indebolire la valenza delle sue affermazioni.
Sono stata definita 'tosa ciacolante - ragazza chiacchierona - cronista senza cronaca, editorialista senza editoriali' e via di questo passo.Non è ciò che mi disse il Presidente Ciampi consegnandomi il Premio Saint Vincent di giornalismo, al Quirinale. A queste vigliaccate risponderà il mio legale. Ma sappi che non è certo per questo che lascio la conduzione delle  20.
Thomas Bernhard in Antichi Maestri scrive decine di volte una parola che amo  molto: rispetto. Non di ammirazione viviamo, dice, ma è di rispetto che abbiamo bisogno. Caro direttore, credo che occorra maggiore rispetto. Per le notizie, per il pubblico, per la verità. Quello che nutro per la storia del TG1, per la mia azienda, mi porta a questa decisione. Il rispetto per i telespettatori, nostri unici referenti. Dovremmo ricordarlo sempre. Anche tu ne avresti il dovere.
 

21.10.10

mi rilasso doipo una giornata di studio

 dopo un ointera  girnata  di lavoro alla tesi   , appena  vado  a vedere il blog http://nel-faro.blogspot.com/ del cdv  blogspotiano ed ascolto questo emraviglio pezzo che mi   tira  su e  che ho deciso di  condividere  copn voi  cari amici\che    - compagni di viaggio \ strada 



19.10.10

l'uomo che verrà di Giorgio Diritti

dopo aver  visto  , sempre  di G.Diritti il vento fa il  suo giro  ( trovate la recensioen   nell'archivio del blog  gemello   http://www.cdv.splinder.com )  vi aprlo adesso   del suo fil  film  L'uomo che verrà  di cu trovate sotto  il trailler 

 


<< L'umo che verrà è un film   da memorizzare   e diffondere  , da mostrare  a scuola   prima  sdoganino anche  questo :  cosi il cinema  ha  un senso  >> ( Maurizzio porro corriere  della sera   qui dalla rassegna stampa  di  http://www.uomocheverra.com/ pagina  ufficiale  del film  a del film ---  da cui ho preso il trailler  ----  il resto dell'articolo )

Un potente  antidoto  allla folle   , serpeggiante  ( ora più che mai  ) voglia di   dimenticare \  rimuovere le più amare  e tragiche lezioni  che la storia del  novecento  ha  (  avrebbe  dovuto  visto il  caso di Moffa )  impartito al nostro paese  . Limpida  memoria  di G.Diritti , raccontando  voci sorrisi  e  speranzre   dei contadini di Montesole ( meglio nota  alla storia  come Marzabotto  )  che  nel settembre  1944  verrano spazzati  via  dalla furia  dei nazifascisti  in ritirata ,    mette  in atto   il poetico ritornello : <<
Storia diversa per gente normale \ storia comune per gente speciale \cos'altro vi serve da queste vite \ora che il cielo al centro le ha colpite \ ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.
>> di una  storia  sbagliata di F.De Andrè . IL film  è una poesia civile  , il racconto meticoloso  di una tragedia  che si fece  realtà giorno dopo  giorno  . Questo film mi ha letteralmente sconvolto, ovviamente tutti conosciamo la storia, ma rarametne viene raccontata cosi bene dagli occhi degli umili, l'empatia che il regista riesce a creare tra lo spettatore ed i personaggi è incredibile, sembra ormai di conoscerli e si sussulta con loro per l'arrivo dei tedeschi e si vive lo stesso stato d'angoscia, solo risentire la musica di questo spezzone mi fa venire i brividi. Se non andate a vederlo  o  non lo vedete  in streamig  o  in dvsx  o  a noleggio  allora tanto vale andare mai più   al cine  o  smettere  di scaricare  o vedere film  Grazie Diritti.
Mi fermo qui  ,perchè rischierei di diventare  noioso  e di  dire  ovviettà  per  i miei 40 lettori che mi  conoscono  ma  soprattutto ,  non rieisco più a continuare  , a scriverne , le  lacrime mi hanno  "annebbiato la vista  "
Mi fermo qui  , non reisco più a continuare  , a scriverne , le  lacrime mi hanno  "annebbiato la vista  "




18.10.10

per chi ama la tv di tette e culi



Finalmente stasera ritorna il Grande Fratello !! L'astinenza per quelli che vivono passando la propr...ia esistenza cazzeggiando e godendo dei profumi della spazzatura è finita !!..in anteprima la foto della nuova casa del G.F.‌della serie l'alga cu l'alga ....

16.10.10

BASTA PARLARE DI SARAH SCAZZI II

 Dopo le ultime news  che vedono indagata ed accusata  di complicità ed  occultamento di cadavere  la  cugina  Sabrina com'era prevvedibile   se  si analizzano    le  prime dichiarazioni  a  caldo  nella prima intervista, ancora inedita, a Sabrina Misseri, cugina di Sarah Scazzi, rilasciata due giorni dopo la scomparsa. Una ricostruzione dei fatti che poi viene contraddetta dalla stessa ragazza nelle settimane successive. L'intervista è stata raccolta dal giornalista Ciccio Casula, dell'emittente pugliese Telerama. il video  è preso dal quotidiano  online  http://www.unita.it
chiedo  a maggior  ragione quanto chiesi nel post ( pubblicato sul blog  gemmello http://cdv.splinder.com  ) e che  trovate qui.
Mi verebbe  da scrivere  qualcosa  su Sabrina  ma  è meglio che mi trattenga  o  autocensuri  perchè : 1)  rischierei di scendere  allo stesso piano , dei discorsi forcaioli che si sentono sul web e  nei bar quando si parla di tragedie come questa  ., 2) perchè  : <<  (...) cos'altro vi serve da queste vite \ora che il cielo al centro le ha colpite \ora che il cielo ai bordi le ha scolpite. \Per il segno che c'e' rimasto \non ripeterci quanto ti spiace \non ci chiedere piu' come e' andata \tanto lo sai che e' una storia sbagliata \tanto lo sai che e' una storia sbagliata.>>. Quind  chiedo a voi tutti\e  sia  di questo   che del  blog  gemello  silenzio  e rispetto per  le due famiglie  . La stessa cosa  chiedo ,anche se  è come chiedere la  luna  perchè  il mio appello volerà nel vento
ai media , specie  quelli televisivi    di  non aprire la prima pagina    uusando tale  increscioso fatto di cromnaca   nera   per  coprire \far passare in secondo piano news  più importanti  nazionalied  internazionali   del  loro programmi o di fare  punte  speciali  apposta  andando a raschiare  il fondo del barile  e  alimentando  ulteriormente anzi che  smorzarlo e farlo scomparire  senza  reprimerlo  voyeurismo macabro   non basgtano le foto , vere  o presunte  , che siano del cadavere  della povera  ragazzza pubblicata  in rete  . qui vi chiedo  SILENZIO 













12.10.10

una via di mezzo fra scemo ed ingenuo

"La tua vita adesso puoi cambiare solo se sei disposto a camminare,
gridando forte senza aver paura contando cento passi lungo la tua strada"
Allora.. 1,2,3,4,5,10,100 passi! ''

 Oltre  un pezzo riportato sopra   tratto  dalla famosa  cento  passi dei Mcr   come   colonna  di sottofondo   sonora  d'oggi  ne  uso due  . La prima  è Geometrie  dell'anima     di Paolo fresu  di cui riporto  sotto il video  e con cui  le note dell'animo umano si sciolgono sulla melodia di questa incantevole e sublime melodia





la  seconda è  non  è tempo per  noi  di Ligabue    di cui    trovate   qui  un bellissimo  video   che non metto  onde  evitare  un troppo appesantimento nell'aprire  la pagina  del blog  a chi  ha  nel pc  poca ram  , con troppi video  nel  post

Ma Priam d'inizare  il post  d'oggi . è doveresa una precisazione
 N.B 
non metto i nomi e  d'essi sono   coperti  da  ***** (  chi già  causa di miei comportamenti inqualificabli e da  c... su facebook  lo sà ,  chi  non lo sà pazienza 
)   non per   censura  o d'autocensura  ,  ma perchè , chi  ha letto il manifesto del blog  e  le  faq  ( con relativi tag  d'aggiornamenti )  dvrebbe  saperlo  rispetto  è  uno dei cardini  dei questo  blog e  ( anche  se  non sempre  ci sono riuscito nel corso dela mia opera  d'arte  fin qui  realizzata  in quanto  consideravo questo  "  equazione  "  privato=pubblico privato=pubblico ) della mia pagina di Facebook (  in cui  i  post  del blog  vanno in automatico ), ma  soprattutto perchè  fa  parte del rispetto non fare  nomi e  cognomi  di persone  che non hai davanti o  metterle  alla berlina  ( cem spesso ho fatto nele pagine di facebook  ,  a scopo provocatorio  per  attirare loro  l'attenzione  e per  il motivo  sopracitato )   e  fanno  in  maniera  cannibale  i media  )    , metaforicamente parlando  , quando  non  sono o  diventate  ,  personaggi pubblci, oltre  che   problemi riguardanti la loro riservatezza  quella  che   ipocriticamente  il potere  chiama  privacy  
Lo sciocco non perdona e non dimentica. L’ingenuo perdona e dimentica. Il saggio perdona, ma non dimentica.(  proverbio cinese  )  
 foto   tratta  dala pagina    di facebook   un pò angelo e un pò diavolo


Dal proiverbio  sopra  riportato e  dalla prima  canzone  dela  colonna sonora  d'oggi   mi  è venuto  in mente    ed  ho trovato il coraggio per  parlare  di  una   tappa    del mio viaggio .
Prima  ero sciocco poi dopo i casi  di **** e ***** che usavo la come arma  contro  i torti  della vita   non il perddono , ma la vendetta  e  fotunatamanrre   che  sono diventat non violento (  altra tappa  del mio viaggio  ne  ho parlato nei post  precedenti  di questo  blog  , mi pare  se non erro nel  2006\7 )  altrimenti continuando cosi  sarei finito  come  la sto storia  in parte  vera    ma in maggior  parte  leggendaria  di  il bandito e campione     di  Costante  Girandego (  campione di ciclismo )  \ Sante Pollastri (  il bandito )    narrata  in vari  libri  e   nella  canzone     iL bandito ed il campione  e  ora  recentemente in un fiction tv . Poi mi son detto ma che c... sto facendo perchè mi creo rimorsi inutili . D'allora    dopo  oil male  che  ho fatto  ad   ******   e recentemente  a  ******* mi sto incamminando definitivamente , un percorso che avevo già iniziato prima dell'ultimo caso   ma che procedeva a tentoni , e ora procede rettilineo nella mia  strada fatta di curve ( perchè la retta  via  è per chi ha fretta  come dice  una famosa  canzone    contemnuta  nel ll'ultimo cd tabula rasa elettrificata   degli ex Csi  )  fatta di cadute e riprese , fino a farmi diventare  almeno per  ora  poi chi sà ,dato che  l'opera  d'arte \  bviaggio  si  sà quando inizia   ma non quando  finisce  una via di mezo tra l'ingenuo e il saggio . Adessoi la prossiam tappa e la saggezza . Ma per il momento , meglio  , uan via di mezzo in quanto gli antichi dicono In medio stat virtus In altre parole è il proverbio il meglio è nemico del bene  soprattutto da me  che cerco ancora  perdonatemi l'ultima citazione   musicale   ancora  una canzone di Ligabue   una  vita  da mendiano 


11.7.10

L'ultima cena?

Io non canterei vittoria a proposito del presunto "fallimento" del simposio Vespa-Bertone-Berlusconi. E attenti a considerare quest'ultimo un fesso. Non lo è affatto. Il suo lessico è elementare, ridotto all'osso: tipico delle persone incolte e dei pubblicitari. Per questo fa leva sul popolo italiano, notoriamente poco incline alla lettura e all'approfondimento. E', soprattutto, un ladro di linguaggio, astuto nel cooptare le parole più in voga per stravolgerne il senso. Avete notato come si è disinvoltamente appropriato del termine "bavaglio"? Dai suoi tg, soprattutto quello sulla prima rete Rai, ha fatto sapere che l'imbavagliato è lui, in nome d'un diritto che non può essere assoluto: quello della libertà di stampa. Perché prima di essa esiste il diritto alla privacy, come usa dire con orribile anglismo, e che è tutt'altra cosa dall'intimità.

A rigor di termini sarebbe pure incontestabile, e infatti egli spera che molti italiani lo seguano. Ci pare di udirli, gli adoratori di "Silvio": c'ha ragione, è un bravo ragazzo (malgrado le 74 primavere, “Silvio” è sempre il bravo e intraprendente ragazzotto della porta accanto), vuole proteggere i “fatti nostri”. Senonché sono state proprio le sue televisioni, in 25 anni, a spadellare qualsiasi fatto nostro, a far dilagare l'onda volgare e melmosa del voyeurismo: grandifratelli, uominiedonne, e lui stesso, col suo corpo, le sue avventure sessuali (per B. le donne non contano come persone, ma come oggetti) squadernate a destra e a manca. Ora, proprio lui, invoca la "pràivasi". Credibile come uno squalo affamato davanti a una preda ferita, ma gli italiani possono cascarci. Quanti slogan disattesi, dal 1994 ad oggi! Il primo fu "Il nuovo miracolo italiano", seguito da "un milione di posti di lavoro" per giungere ai più recenti "daremo un posto fisso a tutti", "via la tassa dalla prima casa", per tacere del martellamento, durato quasi un anno, sul tema della "sicurezza" e delle fantomatiche ronde, subito fallite, anzi mai iniziate, di cui nessuno ormai parla più.

Egli sa che basta far colpo, promettere senza mantenere, soprattutto senza faticare: perché i cittadini, vale a dire il pubblico, sono, per sua stessa ammissione, come un bimbo di dodici anni nemmeno troppo intelligente.

Anche per questo piace così tanto alla Chiesa (intesa come gerarchia vaticana) e non si speri venga meno tale alleanza: i preti la sfrutteranno fino all'ultimo. Sia perché naturalmente inclini ai regimi di destra, anche dittatoriali, sia perché troppi sono i vantaggi materiali che possono trarre da questa (santa?) alleanza; e non si dimentichi che il Vaticano è lo Stato più materialista e mondano esistente sulla terra. La cena a casa di Vespa e il suo corredo simbolico-blasfemo può e deve farci fremere di orrore, soprattutto a noi credenti, ma stupirci, no davvero: rientra nella normalità delle cose. Potere puro, o meglio: fondamentalismo del potere.

Insomma Berlusconi continua a godere dell'appoggio d'Oltretevere, del resto la pseudo-opposizione è inetta e inesistente, quindi ci propineranno tutto ciò che vorranno. Ma per fortuna non verrà promulgata alcuna legge sulle coppie di fatto, alleluia.


P.S.: Ho usato "per fortuna", e non "grazie a Dio", perché Dio, in tutta questa storiaccia, non c'entra un beneamato cavolo, povero Cristo.



30.6.10

Appuntamento


Il ragazzo e la ragazza si diramano, tra fiumi d'asfalto e ampie soleggiate di grigio, sul far del giorno, timidi e lenti. Le parole leggere, semplici, feriali sottolineano ancor più quel silenzio sospeso, l'angolo del cuore dove la vita scorre aerea, normale e miracolosa. Sono giunti insieme, lui non osa abbracciarla, si limita a starle al fianco, tra sbiaditi bagolari e cespugli di maggiociondoli, superstiti in città, e par di respirare un'aria marina, in questo calmo scampolo d'estate. E' un giorno senza pensieri, vuoto e circolare, un sentiero pedestre nell'autostrada del mondo.


Ogni tanto passa un tram.


(A Domenico)

21.6.10

Il mondo visto da un'edicola «Il lettore di porno? Facile riconoscerlo a distanza»

unione sarda 21\6\2010

 di GIORGIO PISANO
 
Le edicole non faranno la fine delle cabine telefoniche, non diventeranno sconsolati cimeli di una civiltà che non c'è più. A salvarle saranno quelli che i direttori di giornale chiamano, con un pizzico di ruffianeria, gli affezionati lettori: di quotidiani, manga giapponesi, stampa sportiva, fumetti, inserzioni per scambisti e un'infinità di riviste che insegnano a ricamare, fare giardinaggio, scrutare gli astri, ossigenare sentimenti asfittici.
Le edicole non faranno la fine delle cabine telefoniche, non diventeranno sconsolati cimeli di una civiltà che non c'è più. A salvarle saranno quelli che i direttori di giornale chiamano, con un pizzico di ruffianeria, gli affezionati lettori: di quotidiani, manga giapponesi, stampa sportiva, fumetti, inserzioni per scambisti e un'infinità di riviste che insegnano a ricamare, fare giardinaggio, scrutare gli astri, ossigenare sentimenti asfittici.
Figlio d'arte (suo padre, morto l'anno scorso, era il decano della categoria), Roberto Gerina ha respirato per la prima volta l'aria di un'edicola che aveva quattordici anni. «Quel giorno ho capito che questo lavoro non avrà mai fine». Nel senso che ci sarà sempre qualcuno che non riuscirà a leggere la Gazzetta su un iPad, sfogliare un romanzo sul pc, perdersi in una Rete che propone miliardi di notizie e non ne garantisce neppure una. Tutt'al più, per rispondere ai morsi della crisi che ha assottigliato la clientela, bastano piccole integrazioni e vendere, insieme a Repubblica e al Corriere della Sera, magliette, biglietti del bus, occhiali da presbite.
Cagliaritano, 45 anni, due figli, Roberto Gerina ha gestito per una vita l'edicola che sta di fronte alla stazione ferroviaria. La vicinanza di un albergo (e dunque d'un portiere di notte) lo ha convinto nel '91 a non chiudere mai: ventiquattr'ore su ventiquattro a disposizione di clienti che, a seconda della fascia oraria, arrivavano senza cravatta, truccati, travestiti, qualche volta semplicemente disperati e insonni. «Il mondo notturno è molto, molto movimentato». Lo ha capito talmente bene che anni fa ha deciso di allargarsi per venire incontro ai più esigenti: «E ho aperto due porno shop».
Nel cuore dice che però gli è rimasta l'edicola. In quella vicina alla stazione, che ha segnato la sua vita, adesso c'è dentro il fratello. Lui ne ha appena rilevato un'altra, sempre in via Roma, sempre sotto i portici ma di fronte alla Darsena, insomma dove puntano le invasioni barbariche un minuto dopo lo sbarco dalle navi vacanziere. Appena ha messo mano alla nuova postazione, Gerina ha avviato quella che si dice una radicale ristrutturazione abbattendo lo storico separè metallico che garantiva un minimo di discrezione e di privacy: sugli scaffali c'erano riviste porno di tutto il mondo, comprese quelle (apprezzatissime) americane e tedesche in vendita a 25 euro la copia. Roba per soli ricchi. «Quell'angolo appartato non aveva più senso. Le riviste hard, ormai, si vendono alla luce del sole». Cioè nella vetrina affacciata sul marciapiede, nel viavai compresso e nervoso della folla che transita a un passo dal Consiglio regionale.
«Non lo nego, a Cagliari siamo stati i primi a vendere un certo tipo di giornali e di filmini. Il giro c'era. Ne valeva la pena». In tempi non lontanissimi, dice Gerina, un'edicola come quella della stazione manteneva serenamente tre famiglie e «a fine mese assicurava circa sette milioni di lire». Col cambio della moneta è cambiato tutto. «Oggi si guadagnano 2.400-2.500 euro lordi al mese lavorando, perché sia chiaro, dalle sei e un quarto del mattino alle otto e mezzo di sera».
Come si fa a stare mezza giornata in una gabbia?
«Ci si abitua. Il mio spazio di lavoro è di un metro per due. Ci sto bene, non mi sento stretto. Ho il mio sgabello, sto comodo. Se ho caldo tengo la porticina spalancata, nei momenti di noia guardo la tivù che ho sistemato in alto, fra le t-shirt per turisti».
Realizzato?
«Ho smesso di studiare che stavo in quarta superiore. Vivere in edicola mi ha permesso di leggere moltissimo, non solo Tex e Diabolik che sono stati e restano la mia droga. Mi guardo intorno e capisco d'essere stato fortunato. Dal mio gabbiotto vedo un mare scintillante, davanti agli occhi ho sempre uno spettacolo interessante».
Quattordici ore di lavoro non schiantano?
«No, perché questo è un mestiere che puoi fare solo per passione. Ti fa conoscere e capire un sacco di gente. Mio padre m'aveva dato un solo consiglio: sorridi, agli altri non importa nulla dei fatti tuoi».
Basta questo per fare l'edicolante?
«La gentilezza e un sorriso, soprattutto verso le facce spente che arrivano qui dopo colazione in marcia verso l'ufficio. Diventiamo una specie di quieta abitudine».
Confidenti e confessori.
«Bisogna ammortizzare i furori del prossimo. Mantenendosi, per esempio, politicamente corretti. Io espongo, uno a fianco all'altro, Il Giornale, la Stampa, il Fatto, Repubblica. E quando una signora, indicando Libero, mi ha chiesto cosa ci facesse un giornale comico tra giornali veri, ho risposto con un mezzo sorriso. Mai aprire una discussione politica, sarebbe la fine».
Il nocciolo duro dei guadagni è fatto dai quotidiani?
«Certo, a cominciare da quello locale naturalmente. Ci sono edicole che vendevano 240-250 copie di sola Unione Sarda. Prima di Internet, intendo».
Insieme ai giornali vendete di tutto.
«Gli omaggi di quotidiani e riviste intasano. Ho un settimanale di larghissima tiratura che sta offrendo contenitori di plastica per alimentari: sta andando molto bene».
Scarpe e camicie, no?
«Lucidalabbra per adolescenti, abbronzanti, pettini, teli da mare. Mica è colpa nostra se l'editoria cerca di conservare la clientela proponendo una sorta di supermercato. Un tempo andavano forte le enciclopedie, ora non le comprano manco morti».
Non interessano più?
«La ragione è un'altra: si chiama crisi. Anche se da sempre abituati a svegliarsi col giornale, tanti hanno scoperto che il quotidiano non è un bene di prima necessità. Figuriamoci le enciclopedie, che costano un sacco di soldi».
Sono molti quelli che non comprano e sbirciano gratis?
«In genere i pensionati. Scorrono le prime pagine, si fermano anche interi quarti d'ora per leggere un articolo. Poi, magari senza voltarsi a guardarmi, se ne vanno».
Tutt'altro genere quelli delle riviste specializzate.
«Spesso mi sono chiesto cosa si può trovare in mensili come Stufe e camini, Salotti o Big Hunter, che vende abbigliamento per cacciatori. Da un po' abbiamo anche la collana I santi protettori: dieci immaginette, tre euro e cinquanta».
Insomma, vendete. Internet non vi ha cancellato.
«Internet ha lettori che già non leggevano i giornali cartacei, e nemmeno libri se è solo per questo. Il problema vero è un altro: crisi. Te ne accorgi dalle chiacchiere di ogni giorno che in giro non ci sono più soldi. Più che internet ci ha causato danni immensi la liberalizzazione voluta dal ministro Bersani. È colpa sua se oggi chiunque può vendere giornali».
Qualcuno sostiene che sia più facile superare il test per l'ingresso a Medicina che ottenere l'autorizzazione ad aprire un'edicola. Nella città di Cagliari ce ne sono 150, in Sardegna 1.400 d'inverno e 1.700 d'estate. Impossibile calcolare il fatturato: costi di gestione quasi zero, tutto quello che non si vende viene restituito. Il guadagno netto per copia venduta oscilla (a seconda che si tratti di quotidiani o di periodici) tra il 19 e il 24 per cento del prezzo di copertina. Gerina afferma che il panorama non è affatto così florido. «Tant'è che sono molte le edicole in vendita». A quanto? Il prezzo medio è di cento, centodiecimila euro ma ce ne sono alcune che possono arrivare tranquillamente a trecento. Anche se poi, dice Gerina, trecentomila euro per un'edicola non te li dà nessuno.
Siete una casta?
«Sì, una casta che inizia a lavorare all'alba e tira avanti tutta la giornata. Sugli edicolanti ci sono molti luoghi comuni. Campiamo, certo. Ma fatichiamo molto».
Una volta si viveva di solo porno.
«Il porno, lo ammetto, ha avuto una stagione d'oro. Lo compravano tutti: uomini, donne, ragazzi, preti».
Donne, preti?
«Mio padre aveva tre clienti affezionate: ogni settimana acquistavano il meglio dell'hard per sole donne. Preti? Uno sicuramente. Oggi non li riconosci più perché non vengono a comprare in abito talare».
Tramonto di un'epoca.
«Quasi. Ora si vendono bustoni con tre quattro pezzi per meno di dieci euro. Stanno andando un pochino meglio solo i racconti supertabù, novelle maiale per un pubblico fedelissimo. Poi, cos'altro c'è? Qualche dvd si vende ancora. Ho clienti che però vogliono solo il dischetto e non tutta la confezione perché dà nell'occhio».
Il porno-lettore è riconoscibile a distanza?
«Di solito, sì. Uno mi ha fatto tenerezza. Era un ladro, ma per vergogna».
Cioè?
«Tenevo apposta un certo porno vicino ai quotidiani. Lui, un signore elegante sulla cinquantina, ha preso L'Unione Sarda e ha agganciato anche la rivista che stava sotto. Pago il giornale, mi ha detto. No signore, gli ho risposto io, paga il giornale e anche Le Ore. Fortuna che non se l'è presa».
In che senso?
«Da quel giorno, sciolto il ghiaccio, è venuto a comprare regolarmente il settimanale porno infilandolo in un quotidiano qualunque».
Richieste non soddisfatte?
«Sì, una. Solito tipo di signore, elegante e di mezza età, mi ha chiesto se avevo riviste con ragazzini molto, molto giovani».
Voleva dire bambini?
«L'ho fatto scappare. Gli avrei messo le mani addosso, proprio come ho fatto con un ladro tossico».
C'è un nesso fra tossicità e furto?
«Ovvio. Approfittando di un attimo di disattenzione, uno di quegli scheletri ambulanti mi sfila una notte un pacco da quindici pezzi di Dylan Dog. Ho chiesto al portiere dell'albergo di sostituirmi per un attimo e sono corso in piazza del Carmine. E chi ti trovo?»
Chi?
«Il tossico che svendeva i miei giornali. Non gli ho detto nemmeno una parola. L'ho steso di botte e me ne sono andato non solo con Dylan Dog ma con tutta la sua bancarella. Giusto per fargli capire come gira il mondo».


pisano@unionesarda.it

20.6.10

un esempi d'identità aperta incontro fra due culture


NUORO. Lei nuorese e lui scozzese. Hanno scelto di sposarsi in Barbagia rispettando le tradizioni: lui, un informatico di Edimburgo, in kilt e lei, una consulente turistica, circondata dal coro nuorese dei Canarjos. Poi, pranzo in campagna a base di porcetto arrosto. La prima notte di nozze? In una “pinnetta” ( usate  dai pastori  come transumanti  come  abitazioni  fino a  gli anni  del  2  dopo guerra   qui per  chi aprla  e comprende  il sardo  o qui in italiano   ulteriori  news  ) sinistra  ) 
 dalla  nuova sardegna    del 20  giugno 2010
Nadia Cossu

Nuoro, nozze con sposo in kilt: è show
Rito celtico tra informatico scozzese e consulente nuorese




NADIA COSSU

NUORO. Don Aldo, sul portone della Cattedrale di Nuoro, accoglie Christopher a braccia aperte: «Questo è un giorno storico». Saluta lui, in gonnella scozzese verde, e tutta la famiglia in kilt arrivata dalla patria  di William Wallace. 


«Questa città e questa chiesa vi danno il benvenuto». Barbara Cabras (31 anni, di Nuoro) e Christopher Hall (35, di Edimburgo)

hanno scelto la Barbagia per pronunciare il «sì». E lo hanno fatto circondati dagli amici e dai parenti
 
ma anche dalla marea di turisti in trasferta a Nuoro che ieri mattina hanno scattato foto più alla comitiva in kilt che al monumento sacro dedicato a Santa Maria della Neve. «Tutto mi sarei aspettato - dice nel piazzale della chiesa un turista genovese - fuorché vedere qui un matrimonio celtico».
Eppure succede, in una città e in una provincia che da sempre ben conservano e difendono le proprie tradizioni. Usanze che si mescolano, storie che si incontrano. A un certo punto il coro Sos Canarios che si è appena esibito col costume sardo in un altro matrimonio in Cattedrale, scatta le foto insieme agli scozzesi in gonnella plissettata. Ed è festa comune.
«Ci siamo conosciuti a Londra nel 2000 - racconta Barbara con un filo d’emozione - frequentavamo lo stesso corso per imparare la lingua giapponese». E da quel momento tra la bella nuorese, consulente turistica trapiantata nel Regno Unito, e l’affascinante programmatore informatico di Edimburgo è scoppiato l’amore. «Volevo sposarmi nella mia terra - dice ancora Barbara - ci tenevo molto e Chris è stato subito d’accordo».
E così ieri le campane di Santa Maria della Neve a mezzogiorno hanno suonato a festa, la marcia nuziale ha accompagnato gli sposi fin davanti all’altare dove don Aldo Cottu li ha uniti in matrimonio.
Poi il pranzo di nozze nella fattoria didattica Istentales, sotto la quercia secolare di Badde Manna, un posto suggestivo scelto da Barbara per respirare, e far respirare agli ospiti, la forte tradizione barbaricina. Sono andati a ruba porcetto arrosto, trippa, coratella, sanguinaccio. Antipasti, primi, secondi, un vero successo. Gli scozzesi hanno divorato il menù sardo e apprezzato il vino della Barbagia, mentre dalla loro terra hanno portato uno straordinario liquore al basilico. Quindi spazio alle danze con l’orchestra arrivata appositamente dalla Scozia: violini, contrabbasso, flauto traverso. Musica celtica nell’azienda di Gigi Sanna, il cantante degli Istentales. Un connubio perfetto, suoni che appartengono a mondi diversi e che per una sera hanno creato un’unica melodia.
E poi, manco a farlo apposta, è da poco uscito l’ultimo lavoro degli Istentales: il cd si intitola “Onora s’istranzu”. In una delle pagine interne del disco Gigi Sanna scrive: «Perché noi sardi siamo sempre disponibili ad accogliere le persone che arrivano da fuori, a rispettarle facendole sentire come fossero a casa loro». E ieri, Nuoro e Badde Manna, s’istranzu lo hanno onorato davvero. Gli sposi non hanno passato la prima notte da marito e moglie in una lussuosa stanza d’albergo. Hanno dormito nella vecchia capanna dei pastori, su pinnetu, che si trova nel cortile della fattoria. Maria Paola Masala, factotum dell’azienda, ha curato ogni minimo dettaglio. Stoffe bianche con ricami tipicamente sardi, luci soffuse, profumi, grano sul letto. Una scenografia che ha emozionato Chris e Barbara.

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la seconda  è una storia  di un ragazzo costretto «a fare la vita dell'uomo-ragno» «Le battutacce sui nani? Sono il frutto dell'ignoranza.  dall'unione sarda  del 20 giugno 2010

DAL NOSTRO INVIATO PAOLO PAOLINI ppaolini@unionesarda.it

GUSPINI Al Sant'Elia, in curva nord, annegava nel gorgo degli striscioni rossoblù. Centotrentacinque centimetri - certificati dalla carta d'identità - di tifo pallonaro oscurati da bandiere sventolanti. Giuseppe Pusceddu (  foto sotto  a  sinistra è stato un ultrà della corrente sconvolts prima, furioso poi: «Il calcio è la mia vita».A trentacinque anni si dichiara «momentaneamente disoccupato, solo qualche serata extra nei bar». La serenità racconta di non averla mai perduta, neppure davanti ai sorrisini rivelatori, alle battute taglienti: «Certi atteggiamenti possono darmi fastidio, ma non mi sonomai vergognato della statura».
Quando ha saputo che non sarebbe cresciuto?
« I miei genitori sono stati informati subito, io l'ho capito a rate durante i primi anni di scuola. Avevo la testa più grande degli altri, ero diverso. Ho smesso di crescere intorno ai dodici anni».
Quando ha saputo che non sarebbe cresciuto?
«I miei genitori sono stati informati subito, io l'ho capito a rate durante i primi anni di scuola. Avevo la testa più grande degli altri, ero diverso. Ho smesso di crescere intorno ai dodici anni».
I problemi di tutti i giorni?                                                                     «Mi devo arrampicare anche per prendere lo zucchero, in un certo senso sono un super eroe: faccio la vita dell'uomo ragno».
Battutacce?
« Eeeh . Più d'uno ha rischiato di prendere schiaffi in quantità industriale dai miei amici. Ai bambini non rispondo neppure, agli adulti sì, anche se penso che tutto sommato lo facciano solo per ignoranza».
Sport?                                                                                                                                                                                       «Calcio, naturalmente. Gioco da venticinque anni, l'apice l'ho raggiunto in terza categoria. Sono una forza della natura».
Le colpe della canzone di De André?
«Nessuna, e comunque non attribuisco importanza a queste scemenze».
L'amore?
«Non mi tocca, mi sfiora».
In che senso?
«Non trovo l'anima gemella. Nel frattempo meglio scapolo che male accompagnato».
Dall'era craxiana in poi l'espressione "nani e ballerine" ha acquisito un'accezione negativa.
«Credo che la politica non c'entri, molta responsabilità ce l'ha l'ignoranza».
Un nano famoso che le è antipatico?
«Il ministro Brunetta».
Uno simpatico?

«Danny de Vito, Pupo e Giancarlo Magalli».
Biancaneve e i sette nani è una fiaba consolatoria?
«È solo bella».
Pentito di essere andato in tv per la sua altezza?
«Volevo essere lì e ci sono riuscito. Peccato che abbiano tagliato selvaggiamente la puntata di Ciao Darwin: abbiamo registrato sette ore e mezza ma ne sono andate in onda solo due. Ho visto dal vivo madre natura, una bellissima ragazza cubana alta alta, me ne basterebbe metà. Volevo fare la foto con lei ma purtroppo l'hanno portata via».
Vorrebbe sfondare in tv?
«Mi piacerebbe lavorarci. Avere davanti una telecamera mi genera molta adrenalina, ma non così tanta da perdere il controllo».
Un sinonimo di nano politicamente corretto?
«E che ne so. Comunque non mi offendo, a trentacinque anni sarei pazzo».
Cosa detesta?
«Le bugie».
Nei sogni che altezza ha?
«Un metro e trentacinque centimetri. Però sono fortissimo, gioco in serie A e faccio vincere lo scudetto al Cagliari».
E poi?
«Ho tanta, tanta roba. Belle donne, soprattutto».
Quante le si avvicinano con curiosità?
«Per nove estati ho lavorato a Cannigione. Molte erano curiose di ogni dettaglio, ci siamo capiti?»
Qualcuna si è innamorata?
«No, solo sesso».
Un aspetto positivo della bassa statura?
«Non l'ho ancora trovato».
Una frase che l'ha resa felice?
«Non parole, ma l'affetto degli amici, che mi considerano una persona buona e semplice, come tutte le altre. Nessuno mi ha mai fatto pesare la statura».
Cosa le manca?
«A parte il lavoro fisso?»
Sì.
«I soldi. Ma per ora va bene così».
Pregiudizi dei datori di lavoro?
«Mai. Soprattutto le donne per le quali ho lavorato: sono state splendide».
Se avesse potuto decidere la sua altezza?
«Un metro e sessanta. Almeno lo zucchero l'avrei potuto prendere senza difficoltà».
I problemi di tutti i giorni?

«Mi devo arrampicare anche per prendere lo zucchero, in un certo senso sono un super eroe: faccio la vita dell'uomo ragno».
Battutacce?

« Eeeh . Più d'uno ha rischiato di prendere schiaffi in quantità industriale dai miei amici. Ai bambini non rispondo neppure, agli adulti sì, anche se penso che tutto sommato lo facciano solo per ignoranza».
Sport?«Calcio, naturalmente. Gioco da venticinque anni, l'apice l'ho raggiunto in terza categoria. Sono una forza della natura».
Le colpe della canzone di De André?
«Nessuna, e comunque non attribuisco importanza a queste scemenze».
L'amore?
«Non mi tocca, mi sfiora».
In che senso?
«Non trovo l'anima gemella. Nel frattempo meglio scapolo che male accompagnato».
Dall'era craxiana in poi l'espressione "nani e ballerine" ha acquisito un'accezione negativa.
«Credo che la politica non c'entri, molta responsabilità ce l'ha l'ignoranza».
Un nano famoso che le è antipatico?
«Il ministro Brunetta».
Uno simpatico?
«Danny de Vito, Pupo e Giancarlo Magalli».
Biancaneve e i sette nani è una fiaba consolatoria?
«È solo bella».
Pentito di essere andato in tv per la sua altezza?
«Volevo essere lì e ci sono riuscito. Peccato che abbiano tagliato selvaggiamente la puntata di Ciao Darwin: abbiamo registrato sette ore e mezza ma ne sono andate in onda solo due. Ho visto dal vivo madre natura, una bellissima ragazza cubana alta alta, me ne basterebbe metà. Volevo fare la foto con lei ma purtroppo l'hanno portata via».
Vorrebbe sfondare in tv?
«Mi piacerebbe lavorarci. Avere davanti una telecamera mi genera molta adrenalina, ma non così tanta da perdere il controllo».
Un sinonimo di nano politicamente corretto?
«E che ne so. Comunque non mi offendo, a trentacinque anni sarei pazzo».
Cosa detesta?«Le bugie».
Nei sogni che altezza ha?
«Un metro e trentacinque centimetri. Però sono fortissimo, gioco in serie A e faccio vincere lo scudetto al Cagliari».
E poi?
«Ho tanta, tanta roba. Belle donne, soprattutto».
Quante le si avvicinano con curiosità?
«Per nove estati ho lavorato a Cannigione. Molte erano curiose di ogni dettaglio, ci siamo capiti?»
Qualcuna si è innamorata?
«No, solo sesso».
Un aspetto positivo della bassa statura?
«Non l'ho ancora trovato».
Una frase che l'ha resa felice?
«Non parole, ma l'affetto degli amici, che mi considerano una persona buona e semplice, come tutte le altre. Nessuno mi ha mai fatto pesare la statura».
Cosa le manca?
«A parte il lavoro fisso?»
Sì.«I soldi. Ma per ora va bene così».
Pregiudizi dei datori di lavoro?
«Mai. Soprattutto le donne per le quali ho lavorato: sono state splendide».
Se avesse potuto decidere la sua altezza?
«Un metro e sessanta. Almeno lo zucchero l'avrei potuto prendere senza difficoltà».



10.3.10

L'Avversario

E così, grazie al decreto "interpretativo" , la legge non è più uguale per tutti, ma solo per i privilegiati. Parlare di abuso di potere mi sembra persino limitativo. Qui siamo di fronte a un vero e proprio "potere assoluto". Mi ricorda la celebre battuta di Mel Brooks-Luigi XVI: "Bello fare il re". Ma questa fa meno ridere.

Il poco onorevole Nicola Di Girolamo lascia, ma i compagni di partito gli tributano l'onore dell'applauso, come a un caduto in battaglia. A Milano, il bravo ragazzo Milko Pennisi viene cuccato con le mani nella marmellata, anzi, nella mazzetta. Denis Verdini finisce nei casini per gli stessi motivi. La Chiesa intanto è travolta dagli scandali pedofili e il gentiluomo del Papa Angelo Balducci, tra una Messa e l'altra, trovava il tempo per farsi procurare robusti fotomodelli per sentirsi meno solo. Il Vaticano ha promesso il massimo rigore e tempestività per punire crimini commessi soltanto quarant'anni fa (i tempi della Chiesa, si sa, non sono quelli miserrimi dei comuni mortali). Hanno persino scoperto che la pedofilia "è un grave peccato". Complimenti per il discernimento! Per certi alti e potentissimi prelati l'omosessualità adulta, consenziente e dichiarata è un abominio inammissibile, mentre è tollerata quella occulta, pervertita e violenta che sfocia nella pederastia: basta resti sommersa. Il prete pedofilo, al massimo viene spostato in un'altra diocesi. Si sono mai domandati perché padre Dante pose i "sodomiti" nel girone dei violenti, non dei lussuriosi? "Molti fur cherci/e litterati di gran fama". Abbiamo udito, tanto per cambiare, illustri porporati tuonare contro il fumo di Satana introdottosi nella Chiesa per colpa, ovviamente, degli omosessuali. Satana esiste e agisce, questo è assolutamente sicuro, ma quella praticata dai pochissimo reverendi padri non è una condizione umana, problematica quanto si vuole, ma degna di ascolto e rispetto. E', appunto, un atto prepotente, nefando, malsano, frutto di una sessualità deviata e distorta, e di una subcultura sessuofoba e misogina che la alimenta. Ma figuriamoci se avvieranno una riflessione seria sul fenomeno.

Continua la campagna contro acqua privata e l'assassinio del Lambro che, come la caccia, ha dimostrato che pure sulla tutela ambientale il dio denaro, l'idolo muto, ha messo le zampe (e la coda). Verrà un giorno... Presto, speriamo.

Viva gli sposi. Angelo Izzo ha impalmato Donatella Papi, giornalista. "E' il mio angelo", insomma il suo alter-ego, dice della dolce consorte il neomarito estasiato. Nel frattempo ha disinvoltamente confessato che nel generoso periodo di semilibertà concessogli da giudici maschi, malgrado le inutili proteste di Donatella Colasanti (ora morta di cancro al seno, malattia curabile nel 90% dei casi, ma che la donna aveva trascurato per ottenere una giustizia che non le è arrivata), in quel periodo, dicevamo, qualche marachella ha continuato a commetterla. Sarà robetta di ordinaria amministrazione, qualche altro stupro, qualche altro assassinio di donne, certo la parte del leone è stata fatta con una sventurata donna con la figlia quattordicenne, violentate e uccise. "E' stato un lavoro relativamente semplice", ci ha informati, con un tono da travet. Proprio così: lavoro. Del resto la mogliettina lo considera innocente. Un vero Angelo, insomma.

Funzionari dello Stato in odor di sagrestia incassano tangenti poi chiedono la benedizione del prete. Devoti frequentatori di stanze vaticane si trastullano con piaceri ben più carnali (e carnosi). Angeli caduti sposano vergini stregonesche che curiosamente si chiamano con lo stesso nome delle loro vittime sacrificali. La più grande astuzia del diavolo è far credere che non esiste, sentenzia Baudelaire. Eppure, qui, si vede benissimo. Siamo entrati in Quaresima, e la prima domenica ci presenta Cristo tentato dal demonio. Un motivo forse ci sarà.



24.1.10

...

Prezioso libro, La pazienza del giardiniere di Paolo Pejrone (Einaudi). Prezioso perché antico, secolare; perché dalle sue pagine si sprigionano aromi, e sentori: di Liguria, di viottoli, di mulattiere che s'inerpicano chissà dove, improbabili e impossibili, simboli di lotta e laboriosità. Specchi di pietra, che riflettono volti essenziali, affaticati e contratti, dove la frappola è bandita e persino il sorriso, parco, è attraversato da venature severe. Volti che coltivano, accudiscono, accolgono la natura, talora squillante, più spesso discreta, insinuante, capricciosa, elementare. C'è una strana, domestica maestosità negli aranci aggrappati ai cancelli di vetusti "casoni", proprio perché non chiedono nulla: non attendono l'elogio, non destano meraviglia e, quando questa scoppia, è imprevedibile, balenante, tra il verde cupo del fogliame e l'azzurro intenso di scaglie di mare. E' una felicità al tempo stesso segreta e dilagante; una felicità bambina.

Cancelli e casoni erano il mio mondo, anni fa. Erano la zia che raccoglieva gli ancor lunghi capelli in un'interminabile, finissima treccia d'aglio; e, con perizia da ricamatrice, li avvolgeva poi sulla nuca, a formare un sapiente chignon. Erano densi lucori d'olio, cucine come aie o rustici saloni, sempre un po' in penombra, bizzarre chiese laiche dove il rito si confondeva col ticchettio della pendola e le scarabattole degli avi. Santuari agresti, le cui divinità erano carciofi, carote, topinambur setosi e bitorzoluti. A quei tempi non amavo molto i fiori, perché li celebravano tutti; non le rose, riso d'amore, con quei nomi agghiaccianti di duchesse e regine. Preferivo di gran lunga gli alberi e l'orto, dove l'umano tornava humus, radice e terra, e conviveva tra filari di pomodori e viti, minuto, non invasivo. Restava voce, confusa nel giallo della zucca e il brillìo profondo dell'alloro. Pochi libri si occupavano di questa vegetazione, salvo quelli degli specialisti, mentre per me l'orto era essenzialmente poesia.

In quello di Pejrone ho ritrovato questa poesia. Nulla vi è escluso: non le buganvillee liberty delle ville signorili, non il buffo ombrello dei pini marittimi, non l'esotico delle palme scapigliate, e nemmeno le brutte "giardinetterie" delle nostre autostrade. E, appunto, l'orto, l'orto che ride, che ama e ricambia l'amore, che non è un vezzo decadente, ma famiglia, rispetto. Mitizzato o eccessivamente realistico, l'orto è sempre stato maltrattato dalla letteratura. E' stato dannunziano: artificioso, pietrificato, disossato e prepotentemente umano, anzi, super-umano; o ha significato indigenza, come i marci sterrati pasoliniani dove crescevano, stenti e acciaccati, cavoli fiori per miserabili deschi. Io, invece, nell'orto vedo pace, riconciliazione.

Ride l'orto, e splende il giardino, perché sono pieni: di vita, di ogni vita. Anche di quella insidiosa, che si fronteggia, direi si rigenera, con altra vita: dalla cicala al passero, alla cincia, al pettirosso. Giardiniere era Pascoli, giardiniere era Manzoni; e, quindi, eccelsi catalogatori. Ma non compilavano elenchi: dipingevano arcobaleni.

La pazienza è virtù vegetale, come la speranza. E rincuora, di quando in quando, sedersi sopra un sasso, e aspettare.

19.1.10

Buon compleanno


Oggi in tanti, a partire dai Presidenti della Repubblica e del Senato, sono impegnati a ricordare Bettino Craxi nel 10° anniversario della morte.
Questo blog vuole invece ricordare Paolo Borsellino, martire della legalità e della democrazia, che oggi avrebbe compiuto 70 anni (e Rocco Chinnici 85). Non oso chieder loro perdono per l'oblio degli italiani. Mi limito alla vergogna. Infelice quel Paese che ha bisogno d'eroi, ma disgraziato quel Paese che sceglie eroi sbagliati.

13.1.10

Terremoto di Haiti: come agire


Esprimiamo la nostra solidarietà per queste persone che hanno visto tutto quel poco che avevano distruggersi in un secondo. C'è chi parla di più di 100000 morti.
Il sisma di magnitudo 7 della scala Richter si è verificato il 12/01/2010. L'epicentro è stato localizzato a 15 km a sud-ovest della capitale, Port-au-Prince. Crollate decine di palazzi, ci sono migliaia di vittime. Si scava tra le macerie alla ricerca dei dispersi.

Per le Donazioni
UNICEF:- c/c postale 745.000, causale: 'Emergenza Haiti'; - carta di credito online su www.unicef.it, - chiamando il numero verde UNICEF 800745000;- attraverso comitati locali dell'UNICEF presenti in tutta Italia (elenco sul sito-web http://www.unicef.it/).
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Haiti e' uno dei paesi piu' poveri del pianeta - e' classificato al 148 posto su 179 secondo l'Indice di Sviluppo Umano dell'UNDP - e fatica a riprendersi da anni di violenza, insicurezza e instabilita' e da una lunga serie di calamita' naturali.

1.1.10

Renato è l'unico

Giornata Mondiale della Pace

***

Mi sento stanca, di quella stanchezza buona, profonda, lineare, fisicamente intatta e indisturbata, che si compiace del suo molle sopore. L'automobile mi riporta a casa. E' sufficiente socchiudere gli occhi, ed eccomi sola. Con un unico accompagnatore: Renato Zero e la sua musica.

Il mio amore per lui, che dura ormai da oltre trent'anni, nacque in sventagliate oasi di luce: al mare, in estate, lo ascoltai la prima volta; sempre al mare, tempo dopo, lo vidi in tv: ed era proprio Capodanno, un Capodanno del '78 trascorso ancora in famiglia, assieme a un cugino già adolescente. Poi ancora al mare, finalmente dal vivo. Allora esilissimo, irriverente, sfacciato, fin troppo provocatorio, un capolavoro di glam e di follia, il giovanotto nudo, come in seguito l’avrei chiamato, portava avanti una protesta tutta intima dove il sesso celava una spiritualità inattesa, da bimbo ferito.

Quel desiderio di colore non era nato forse in un’anima troppo costretta al buio? Di “anime buie” avevo appunto parlato in un post del maggio scorso ispirato a Salvami, brano antichissimo riproposto anche nell'ultimo tour di Zero, conclusosi poco prima di Natale. Lo scorso dicembre milanese è stato, a tutti gli effetti, un mese "renatesco", iniziato con l’imprevedibile Zero Day allo Iulm e suggellato da tre trionfali concerti. Renato – anche coreografo - ha concepito il palcoscenico come un immenso ventaglio, che si apriva e si chiudeva con la maestosità e la leggiadria di enormi ali di farfalla, dal ritmo cadenzato, solenne e mellifluo insieme; e impreziosito da ologrammi dove comparivano gli antichi costumi di scena e le copertine dei suoi numerosi album. Uno show essenziale ma ricco, di musica e di voce, talora potente talora carezzevole, sofferta e grintosa, ma mai invasiva, sempre calibrata.
Con la maturità Zero, che non è mai stato immune da certi barocchismi, sembra voler rinunciare all’orpello con la consapevolezza che, su quel palco, basta davvero solo lui. E avanza, anche. È significativo che abbia aperto questo suo nuovo percorso con Vivo, tratto da quell’album fatale che, da solo, gli avrebbe comunque regalato un spicchio d’eternità nel mondo della musica moderna: Zerofobia. Si trattava, già dal lontano ’77, d’un manifesto programmatico, tanto più efficace quanto involontario.

Renato è vissuto e sopravvissuto, spingendosi oltre sé stesso, accettando qualche compromesso secondo alcuni suoi detrattori, i quali però ignorano sempre il tributo che l’artista deve pagare all’uomo, soprattutto nel caso di Zero, nel quale i due momenti sono spesso mescolati. Ho percepito onestà in questo spettacolo, che ha voluto essere popolare ma non piacione, ammiccando al pubblico senza però arruffianarselo troppo. Unica concessione al Renato “per tutti” (mi verrebbe da dire: “per famiglie”), I migliori anni della nostra vita, fra l’altro interpretata con classe, e una spruzzata, di cui invero non si avvertiva il bisogno, del Dono con Mentre aspetto che ritorni. Ma chi sperava nei grandi classici da stadio, Cercami, Magari, Amico da intonare sventolando cuoricini luminosi – e sempre prescindendo dalla vena inquieta che quei pezzi pure presentano –, è rimasto a bocca asciutta. Non c’è stato spazio nemmeno per Il cielo, pensata come il naturale compimento di Salvami e sbocciata, inattesa e commossa, da un groppo di sfrenatezze disperate, ma tramutata poi, con gli anni, in una liturgia da stadio, più chiesastica che religiosa; per il Renato “asciutto” che si avvicina ai sessanta, un po’ acciaccato ma con la voglia, ancora disarmante e fanciullesca, di confidarci i suoi timori, simili (auto)celebrazioni non hanno più molto senso.

“Poco zucchero”, direbbe Faust’O; poiché il Renato autentico sta altrove, in un remoto ma mai sopito antro da sibilla. E sa ancora graffiare, irridere e provocare. Non più un’ambigua libellula dalle ali di nerofumo, ma l’ormonauta del sesso senza perifrasi, diretto e prosaico; quindi, inerme. Non un nuovo crooner come ha inopinatamente azzardato qualcuno, ma il soul man che si diverte davvero a duettare con Mario Biondi (Non smetterei più) e Fiorella Mannoia (quest’ultima, interprete anche di una personale versione di Cercami).

Un’altra gioventù non è una replica. Renato ha una solidità ancestrale, da bravo figlio della terra. È vitale come un sessantenne, non vispo come un ragazzino. Non gli saremo mai abbastanza grati per questa sua ostinazione a non parodiarsi, a rimanere sempre e comunque ciò che è, nel bene e nel male.
Nonostante abbia già tutto scritto. Giunto al successo nel ’77, il suo in verità era già un approdo. Nella sua precedente gipsoteca musicale, incompiuta, e perciò geniale e fascinosa, aveva ormai affastellato di tutto: il primo (e l’unico) ad aver affrontato in termini appropriati la pedofilia, con un brano restituito in questo tour, grazie al chitarrista Fabrizio “Bicio” Leo, all’originaria matrice rock, nervosa e tragica, cronachistica e smembrante, accompagnato da un video in cui migliaia di occhi infantili dalla consistenza di molluschi si disfacevano sotto mani tramutate via via in artigli e adunchi rami secchi. E, su tutto, il lungo lamento di Renato, straziante ma senza dolorismo, cristallino e lesivo come una vetta aguzza.

Era comparsa la già ricordata Salvami, ma pure bislacchi provini incisi chissà come, un po’ nonsense, un po’ futuristici, un po’ nevrastenici come 113 che qui Renato ha rivestito da canzone “vera”, con accompagnamento carioca e relativo poncho-volant incorporato. E il Cristo che si sfarina di Potrebbe essere Dio risale al 1980.

Tutto si conclude con Gli unici, una dedica al pubblico, o anche a sé stessi, per essere ancora qui, soddisfatti e ammaccati, ma tutto sommato integri. E curiosi della vita. Con Mi vendo, nel modo in cui l'aveva presentata, Renato avrebbe potuto benissimo chiudere la sua avventura artistica: in effetti, in seguito, nulla è rimasto più uguale nella musica italiana. Ma quel personaggio che poteva vivere, o ansimare, solo di frenesia (M. Del Papa), che "piaceva ai camionisti" come lui stesso ha ricordato, era necessariamente destinato a durare nei cupi bagliori d’una notte, dopo averne assorbito i miasmi incrostati e bituminosi. “Ho sempre avuto la sensazione che se fossi arrivato fino ai 18 anni avrei avuto un mazzo così – ha dichiarato Renato in una recente intervista -, poi, quando ho visto che arrivavo a trenta, ho detto sarò come Gesù, me ne andrò a 33. Passati i 33, mi sono reso conto che stava succedendo qualcosa di strano. Poi, ora che ho festeggiato i 59 anni, non so più spiegarmelo”. E grazie al cielo resta questo stupore, e la grandezza e la fatica del tempo che avanza. Senza che il Nostro sia diventato un umorista. Intanto, sono giunta a casa. Ho concluso il mio viaggio e mi sono accorta di non essere affatto sola, come pensavo all'inizio; con me ho portato volti, ma anche case, marciapiedi, fermate del metrò, rimpianti. Vapori. Lo devo a lui, agli amici che hanno condiviso questa mia passione, nonché ai compagni di viaggio di Renato (Giampiero, Roberto, Mariano) che mi hanno permesso di condividere con tanti questa nuova, erratica avventura.

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