25.2.13

occhio al pc se avete bimbi piccoli Pedofilia, abusi e adescamenti: i nuovi orchi navigano in Rete

musica  di sottofondo  bambini di Paola  Turci 

ho deciso di fare anzi meglio a riprendere ( vedere archivio del vecchio blog ) questo post dopo questa news mi pare  sull'unione  sarda   o la nuova  sardegna di qualche  giorno fa  



Il rapporto di Meter sui pericoli per i bambini nell'era digitale

di Luigi Barnaba Frigoli 

Adulti senza scrupoli che, utilizzando internet, adescano minori ignari per soddisfare le loro insane prurigini pedofile. Un fenomeno subdolo e inquietante che, purtroppo, in un'era dominata dalle nuove tecnologie come quella attuale, risulta essere sempre più all'ordine del giorno. 

LA DENUNCIA L'allarme arriva dall'associazione Meter, sodalizio sociale con sede ad Avola (in provincia di Siracusa), fondato nel 1989 da don Fortunato Di Noto proprio per tutelare l'infanzia a 360 gradi. Impietosi i dati contenuti nell'ultimo rapporto divulgato in questi giorni. Un dossier che punta i riflettori su molte delle principali emergenze che interessano il mondo dei piccoli. Come il moltiplicarsi del numero di bambini con meno di 13 anni che aprono profili su Facebook e sugli altri social network all'insaputa dei genitori, esponendosi alle insidie dei cyber-orchi (1.274 le segnalazioni arrivate a Meter lo scorso anno contro le 1.087 del 2011). 
LA ZONA OSCURA Ma a destare preoccupazione e sconcerto sono anche i numeri relativi al proliferare dei siti internet pedopornografici: oltre 100mila quelli scoperti dal 2002 a oggi, di cui 35mila individuati negli ultimi due anni. E questo solo per quel che concerne il web “visibile”. Quello, cioè, tradizionale, accessibile a tutti. L'ultima frontiera della cyberpedofilia, infatti, è rappresentata dal cosiddetto “deep web”. Si tratta di una sorta di sottorete internet, ad accesso più ristretto, quindi più subdola e difficilmente individuabile dalle autorità preposte (altamente specializzati in Italia sono gli agenti della Polizia Postale) dove sta aumentando in maniera pressoché incontrollabile la divulgazione di immagini che ritraggono minori in pose osé se non addirittura video di abusi e sevizie. In questa parte nascosta dell'universo internet sono stati ben 56.357 i siti finiti nel mirino negli ultimi mesi. Un mondo oscuro “a parte”, insomma; un luogo virtuale, che consente ai pedocriminali di tutto il pianeta di “incontrarsi” e di scambiarsi materiale indecente in perfetto anonimato. Una “free zone” 550 volte più vasta rispetto al web tradizionale, dove vengono illecitamente trafficati quasi 600 miliardi di file, che forze dell'ordine, agenzie educative ed enti in prima linea per la prevenzione fanno sempre più fatica a tenere sotto controllo. 
GEOGRAFIA DEGLI ORCHI Il rapporto redatto da Meter riguarda anche la geografia dei siti pedofili. In questo senso, l'osservazione dei domini conferma il ruolo di spicco dei Paesi Europei nell'utilizzo della Rete per la diffusione di materiale a contenuto pedopornografico e, in particolare, della Russia che con le estensioni .ru e .su copre 571 degli oltre 1.500 siti segnalati negli ultimi tempi. L'Asia è rappresentata in primo luogo dal Giappone con il dominio .jp (267 siti), l'Africa in egual misura dalla Libia e dalle Isole Mauritius (rispettivamente 80 e 79), l'America dagli Stati Uniti (67) e l'Oceania dalle Isole Cocos (37). 
Non esente dal giro, purtroppo, l'Italia. Anche la Penisola, infatti, ricopre il suo piccolo, squallido ruolo all'interno del panorama della criminalità pedofila in rete con 36 siti individuati. Più in generale, ad alimentare la rete pedopornografica mondiale è sicuramente l'Europa, che da sola detiene il 50,7 per cento della fetta di questa amara torta. 
SEXTING Ancora, il rapporto Meter mette l'accento anche su nuovi, preoccupanti fenomeni che serpeggiano tra i giovanissimi parallelamente al diffondersi di internet. A cominciare dal sexting. Un neologismo composto dalle parole inglesi sex (sesso) e texting (digitare), che indica l'abitudine ad avere conversazioni a sfondo sessuale con amici o sconosciuti, arrivando anche a scambiarsi foto e filmati in atteggiamenti più che espliciti. Il risultato (tralasciando ovviamente le implicazioni sociologiche e psicologiche di questa vera e propria moda) è che i minori, più o meno inconsapevolmente e comunque senza riflettere sulle conseguenze, diventano essi stessi produttori di materiale pedopornografico, esponendosi al rischio di essere ricattati oppure di finire sugli schermi e nelle grinfie elettroniche delle persone sbagliate. Per comprendere l'entità del fenomeno anche in questo caso sono eloquenti i numeri: nel 2012 sono stati (parlando solo dei casi accertati) 5.640 i minori rimasti vittima di questo insano e sprovveduto giochetto. 
FACEBOOK E CO Da questo punto di vista, la diffusione dei social network tra gli adolescenti - o meglio l'uso di questi ultimi senza debita supervisione da parte degli adulti – può contribuire ad amplificare il rischio. Da uno studio effettuato nel mese di novembre 2012 dallo staff di Meter nelle scuole primarie di Avola (770 gli alunni complessivamente intervistati) emerge che il 99 per cento dei bambini (di età compresa tra i 9 e i 10 anni) possiede un profilo su Facebook, quasi sempre attivato dopo aver falsificato età e identità. La conclusione? «È impressionante - osserva Meter - come bambini così piccoli abbiano la libertà, senza alcun controllo da parte dei genitori, se non marginale, di utilizzare i social network, che vengono percepiti più come un gioco che non come mezzo di comunicazione». 
CYBERBULLI Non espressamente monitorato dal dossier di Meter, ma comunque diffuso tra le nuove generazioni, è anche il fenomeno del cyberbullismo, ovvero le molestie messe in atto da adolescenti nei confronti di altri adolescenti utilizzando email, messaggistica istantanea, blog e via dicendo. Senza tralasciare, anche in questo caso, Facebook, Twitter e gli altri social network. Stando a un rapporto del Telefono Azzurro, relativo al 2011, in Italia un ragazzo su cinque ha scoperto in Rete informazioni false sul proprio conto. Menzogne e accuse che in certi casi possono trasformarsi in minacce e persecuzioni. Un altro studio, del 2008, ha rilevato che su un migliaio di studenti delle scuole medie inferiori e superiori del nostro Paese circa il 15 per cento è stato vittima di bulli via chat, sms o posta elettronica.  (....)  
Questo perché, si legge nelle dichiarazioni d'intenti dell'associazione, «non basta solo la denuncia demandata alle forze di polizia, non basta solo un report o statistiche per la repressione o per stroncare il turpe commercio pedopornografico, ma ci vuole anche una rete capillare di persone competenti e motivate, capaci di collegarsi con la società in cui vivono, perché si crei una mentalità di vigilanza, di sostegno e protezione dell'infanzia come tale, rendendo l'abuso, e l'omertà che lo copre con i suoi paludosi silenzi, un crimine insopportabile per la coscienza collettiva». 
Affidandosi a questa convinzione, dal 2002 l'opera di sensibilizzazione dello staff di Meter sul rischio rappresentato dalle nuove tecnologie per i minori ha raggiunto e coinvolto complessivamente oltre 18mila persone, tra cui 8.190 studenti, grazie a iniziative nelle scuole, convegni, dibattiti, corsi di formazione e incontri privati, organizzati in tutta Italia, da Roma a Savona, da Messina a Bari, passando per Siracusa, Marsala, Milano, Catania e Padova. 
Ma, fortunatamente, sono molte le organizzazioni a tenere costantemente puntati i propri radar sulle insidie e sui problemi che riguardano i giovanissimi. Il già citato Telefono Azzurro, l'Unicef, l'associazione Prometeo solo per citarne alcune. 
I RISULTATI E proprio in virtù dell'opera meritoria di queste realtà, che operano a stretto contatto con le forze dell'ordine, molti casi di pedofilia o di molestia nei confronti dei minori sono stati scoperti e sbaragliati. L'ultimo in ordine di tempo in Sicilia, ancora una volta grazie a Meter. Una segnalazione effettuata alla Procura di Siracusa proprio dal fondatore don Fortunato Di Noto ha infatti permesso di individuare e denunciare un uomo di 35 anni per aver adescato on-line un ragazzino di 11. Il sacerdote aveva ricevuto il racconto del padre del fanciullo, che era stato contattato da uno sconosciuto su Facebook ed era stato oggetto di alcune proposte di natura sessuale. 
Dopo l'esposto di Meter, i magistrati hanno immediatamente autorizzato la Polizia Postale ad agire sotto copertura e dopo avere conquistato la fiducia del pedofilo, fingendosi a loro volta ragazzini sul social network, i cyberagenti sono riusciti ad ottenere un appuntamento con il sospettato, mettendolo di fronte alle sue responsabilità. Un caso eloquente, e purtroppo non isolato, dove le autorità hanno potuto intervenire, tra le prime volte in Italia, in virtù della Convenzione di Lanzarote, adottata anche dal nostro Paese lo scorso autunno. 
LA CARTA DI LANZAROTE Si tratta di una serie di norme riconosciute a livello internazionale, che consentono, una volta inserite nei codici penali vigenti, di contrastare la pedocriminalità e i nuovi fenomeni di sfruttamento sessuale dell'infanzia. 
Tra i capisaldi della Convenzione (fatta propria, oltre che dal governo italiano, anche da Danimarca, Francia, Grecia, Malta, Olanda, San Marino, Serbia, Albania e Spagna) l'introduzione di nuovi reati prima non previsti, come l'istigazione a pratiche di pedofilia e di pedopornografia e, appunto, l'adescamento attraverso internet. 
La Convenzione, inoltre, prevede pene più severe per i maltrattamenti in famiglia, l'associazione a delinquere a danno dei minori, la prostituzione e la pornografia minorile. 
Uno strumento importante, insomma, per condurre una battaglia sempre più ostica, ma che è necessario vincere a tutti i costi.

 sia perchè le piaghe   ( io condanno di più la 2 in quanto :   sono cose diverse vedere i collegamenti citati. Ma soprattutto perchè  :1)  spessissimo anche  se   come  dice  una degli esperti   d'antipedofilia   Loredana Morandi  : <<  non sono la stessa cosa. La pedopornografia è il commercio della pornografia su minori, la pedofilia invece è la malattia e la perversione dell'acquirente delle foto. Ovvero: chi scatta foto e gira filmati pedopornografici potrebbe non essere pedofilo, ma di fatto è certamente la più schifosa razza di criminale esistente per il dolore che provoca a creature innocenti. >>  Infatti   molto spesso la pedofilia è in molti casi degenerazione della  pedopornografia . E poi non è detto che un pedopornografo pratichi anche la pedofilia o viceversa anche se per la maggior parte delle associazioni dell'infanzia e  anti pedofile    è difficile pensare di scindere le due cose. )  della pedopornografia e pedofilia

veicolata attraverso internet che merita una lotta a 360 gradi. Scuola, genitori, società civile, mondo dell’associazionismo devono mobilitarsi prima che questa «peste» continui a mietere vittime . 
Lo so che a molti  , non solo i mie  amici\conoscenti   con prole  o nipoti  darà fastidio il fatto che un single non i faccia i c...i suoi si metta a pontificare ( mettere il nbaso si diceva una volta ) sulle loro decisioni \ metodo d'educare i figli .Ma purtroppo la pedofilia o la pedo pornografia ( per no parlare di cyber bullismo , ma non è questo l'argomento del post ) sta avendo il sopravvento .E poi e qui ( ed   questo   una  delle origini di questo post  )n  mi rivolgo agli amici\che , conoscenti e\o semplici utenti di facebook e degli altri social network , che mettono come  foto di profilo e\o negli album fotografici le foto del proprio figlio\an o nipote ma non lo sapete che esse posso essere preda di sporchi  pedofili visto chela privacy in rete è una chimera ? .
Come difendersi allora  ?   sempre  secondo  l'articolo prima  citato  : << (....)  La domanda, allora, nasce spontanea: cosa è possibile fare per proteggere i più piccoli da questa vasta, pericolosa, tentacolare selva oscura? Come spesso accade, di grande utilità possono rivelarsi educazione e prevenzione. Ma un aiuto può arrivare anche dalle realtà in prima linea in questa battaglia sempre più dura. La stessa associazione Meter, ad esempio, che, nel suo piccolo, di risultati ne sta ottenendo parecchi. Il tutto, grazie a un centro di ascolto, (collegato al numero verde 800.455270) cui rivolgersi per chiarimenti o segnalazioni. Una mano tesa ai genitori che in una decina d'anni ha fornito supporto e sostegno a centinaia di famiglie. In particolare, quelle di Sicilia, Lazio, Lombardia e Veneto, regioni che si confermano ai primi posti per numero di richieste. Tre, invece, i casi emersi nel 2012 dalla Sardegna . Importante, anzi fondamentale, resta comunque la prevenzione, capillare, nelle scuole e nelle parrocchie. >> . Infatti  un primo passo   sarebbe   quello  da   parte dei genitori   e parenti ( nonni , zii , cuigni ) di  non mettere pubblico sui sociual network o blog le foto di bambini . Controllando o chiedere alle maestre o ai docenti di scuola media ( perchè dopo i 14 non c'è più niente da fare o è più difficile , parlo per esperienza personale controllare il voler essere se stessi \ il slegarsi dalle pressioni dela famiglia dei ragazzi\e ) ad un uso consapevole e criticop della rete e dei cellulari


ecco cosa suggerisce  http://www.commissariatodips.it/
 e quest'altro sito  http://www.webalice.it/jack.rota/pclandia%20kids/difesa.htm, anche se per  i filtri è antiquato perchè  ormai i bambini  ( ad esempio mia  nipote  acquisita  nipote  di un cugino di mio padre , riesce  ed  ha  6  anni  ad usare  l'ipad  e l'aifone  e le nuove  tecnologie  ) al di sotto dei  10 anni sanno già smanettare  e   con un po' di pratica  riescono ad  aggirare i filtri . Ma  soprattutto  fare pressioni sui politicanti   ( di destra , sinistra  , centro  ) perchè  :1 )
 non siano candidati  persone  del genere  

  2)  sia  ripristinato  l'osservatorio nazionale  sulla  pedofilia 

24.2.13

La nuova frontiera del ciabattino: suole di plastica e tacchi invisibili


fonte  l'unione  del  24\2\2013
N,b 
 le  foto  sono  solo dimostrative  e prese  dal web in quanto  da  3  anni circa  l'unione sarda  free  cioè queklla  che  puoi scaricare dopo le  19   non contiene  più  le  immagini degli articoli . A meno  che  , ma  ancora non ho capito come fare  a cambiare i Dns  per  avere online  ( o trovare  siti   dei protagonisti dell'articolo  che  riportano sulle loro pagine  le scansdioni  dell'unione  in  questo caso copn l'articolo  su di loro  )   quelli più agiornati  cioè  prima  della  chiusura  dall'italia  all'italia ma non da  estero a italia  del sito www.avaxhome.ws
di GIORGIO PISANO  ( pisano@unionesarda.it ) 
L'insegna è fatta con suole di scarpe appiccicate al muro. Marco Basciu fa il ciabattino e ha imparato negli anni ad ascoltare le scarpe che ripara. Nel senso che riesce a capire tante cose di chi le indossa: c'è il nevrotico e il perfettino, quello clamorosamente fuori taglia e il martire pronto a infilare il piede in una scarpa dove il piede non ci sta.

Lavora in un quartiere piccolo borghese di Cagliari, un posto - dice lui - affollato di pensionati e «di nipoti che usano le Hogan». Non solo: tra la clientela, c'è anche una fetta di nicchia, che non bada a spese ma pretende risultati d'eccellenza. Per esempio la signora che esibisce scarpe strepitose con un tacco 14 che però non c'è. «È il trucco di uno stilista giapponese che è riuscito a sostituirlo con una V metallica». Il problema? La signora non ci cammina bene però non ci rinuncia e aspetta un piccolo miracolo dal suo ciabattino. Poi c'è il vecchio ortopedico che vorrebbe resuscitare la sua borsa di laurea e l'impiegato che vorrebbe riparare una scarpa che in realtà non esiste più.
Quarantasei anni, due figli, Basciu rompe volentieri due sacri tabù del commercio in Sardegna: quando un cliente entra nella sua bottega, saluta e sorride. Evita il pianto greco sulla crisi che non dà tregua e riconosce anzi che la recessione ha rianimato un lavoro altrimenti destinato a fare la fine delle cabine telefoniche. Per integrare, produce cinte e gambali in attesa (verrà un giorno) di poter realizzare scarpe su misura.Suo padre (che era ciabattino) avrebbe voluto farne un «buon chirurgo o un bravo avvocato». Peccato che Marco si sia fermato alla seconda media e non si dichiari nemmeno pentito. In compenso è un divoratore felice di «qualunque cosa si possa leggere purché non siano libri». Moglie che lavora («e questo consente di tirare il fiato in famiglia»), parla molto volentieri di un'attività che «offre tante soddisfazioni». Impossibile però censire la clientela perché «per un calzolaio i mesi non sono affatto uno uguale all'altro». Ci sono quelli ricchi (marzo, aprile, maggio, giugno, settembre, ottobre e inizi di dicembre), quelli così così (gennaio e febbraio), quelli disgraziatissimi (luglio e agosto). «D'estate mi va d'incanto se faccio ottocento euro al mese, d'inverno posso arrivare a milledue».Neanche per un secondo lo sfiora l'idea che il suo sia un mestiere umile. Quando gli domandano cosa fa, risponde serenamente: calzolaio. I figli li ha cresciuti sulla stessa rotta. «Il mio è un lavoro come un altro». Con una piccola differenza: a saperlo conoscere fino in fondo, può regalare lampi di felicità. Questione di attimi, di momenti ma vuoi mettere col grigiore a tempo pieno d'uno sportellista?
Quali sono i requisiti del buon calzolaio?
«Prima di tutto ti deve piacere quello che fai. Poi devi conquistare la fiducia dei clienti. Anche se qualche volta bisogna fargli cambiare idea».
Cioè?
«Se il cliente propone un tipo di riparazione che non va bene, devi spiegargli perché sbaglia. Senza fargli venire il sospetto che ci stai facendo la cresta».
Funziona il passaparola?
«È l'unico sistema che porta gente in bottega. Io lavoro in un rione dove ci si incontra per strada la mattina mentre si fa la spesa. Se hai un buon nome, un cliente tira l'altro».
Arroganti, mai?
«Caspita se ce n'è. Con questo genere di persone sorrido e sono gentile più del solito: proprio perché voglio che si rendano conto, che ci rimangano male. È gente che ha una vecchia idea del calzolaio».
Che vecchia idea?
«Una volta a fare i ciabattini erano persone con qualche problema fisico: poliomielitici, disabili, insomma gente che non avrebbe potuto svolgere altri mestieri. Per questo venivano trattati con sufficienza».
Gli arroganti invece?
«Sono i nipotini di quelli che credono d'essere sempre e comunque padroni del mondo. Entrano, non salutano e ti trattano come uno sciacquino».
La tentazione di mandarli a fare in culo?
«Fortissima. Qualche volta non ho resistito e, col sorriso sulle labbra, ho chiesto al cliente se preferiva uscire dalla porta o dalla vetrina».
A proposito di vetrina: perché le vostre sono sempre desolate, disadorne?
«Per via del lavoro che facciamo. Succede anche agli orologiai. Ha mai visto un riparatore di orologi lavorare in un bel posto? Eppoi i tempi».
Che c'entrano?
«Una volta mio padre lavorava in questa stessa via: aveva cinque colleghi e un capo. Erano in sei, calzoleria conosciutissima. Facevano lo scarpino di gala, quello da sposa e altri pezzi importanti. In pratica, era una fabbrichetta».
Il brutto e il bello di questo mestiere.
«Cominciamo dal bello: la soddisfazione. Te ne dà tanta. Mi entra un cliente altissimo, scendo con lo sguardo fino ai piedi e resto impressionato. Sapete quanto aveva? Cinquantuno, ossia una scarpa che misura più di 35 centimetri. Però era contento».
Perché?
«Perché, a vedere i suoi mocassini rotti, non mi sono spaventato. E allora ha cominciato a raccontare i dolori di uno coi piedi come i suoi: solo a Parigi o in Portogallo riusciva a trovare scarpe. L'imbarazzo si è sciolto quando gli ho detto per ridere: lei paga doppio, lo sa?»
Il brutto?
«La fine del mese. Sono cosciente d'essere privilegiato rispetto a un cassintegrato o uno che il lavoro non ce l'ha proprio. Però chi fatica ha il diritto di guadagnare il tanto per vivere».
Quanto sarebbe il giusto, secondo lei?
«Duemila euro, come un qualunque metalmeccanico tedesco».
Una volta eravate tutti esperti di lirica.
«Altra leggenda sulla categoria. Io sono un rinnegato, non so nulla di lirica».
Esiste la solitudine del ciabattino?
«Mi capita di ascoltare la radio fino a quando non mi stufo di sentire i politici. Allora resto in silenzio, anche per mesi. Non mi disturba, il silenzio».
Ci sono clienti che vengono per chiacchierare?
«Certo. La calzoleria, da questo punto di vista, somiglia al salone di un barbiere: è uno spazio aperto. Vengono soprattutto pensionati, mi portano scarpe che non si possono riparare (e loro lo sanno) e ne approfittano per scambiare due parole».
La imbarazza dire che mestiere fa?
«Non me ne vergogno, anche se qualcuno mi guarda male. Dicono che non ho le mani da calzolaio».
Come sono le mani da calzolaio?
«Piene di calli e sempre sporche. A me non va. Mi sono fatto fare apposta anche un dosatore per la colla. Prima usavano il dito o un pennello per spalmarla. A un mio amico che fa il meccanico rimprovero sempre proprio le mani sporche: come fai a usarle per toccare tua moglie?»
Le scarpe sono tutte uguali, più o meno?
«No. Quelle di pelle o di cuoio si possono rivoltare come una maglietta. Altre sono intrattabili. Diciamo che su cento paia che mi portano in bottega, posso intervenire al massimo su 40».
Quando incontra una persona, il primo colpo d'occhio è alle scarpe?
«No, alla faccia. Ho controllato le scarpe nelle primissime edizioni delMauriziocostanzoshow. Mi incuriosiva. Ho scoperto un sacco di scarpe bucate. Se lo sai, d'avere un buco dico, fai attenzione a non sollevare la scarpa da terra. Ma poi, se la conversazione vola, inevitabilmente ti deconcentri e mandi il buco in diretta».
Le scarpe parlano di chi le indossa.
«Sempre. Le scarpe di uno stressato sono curatissime oppure completamente lise. Il cliente io-so-tutto compra le scarpe e te le porta un minuto dopo per metterci la suola in gomma: non vuole correre il rischio di scivolare. Poi ci sono quelli che io chiamo i colpevolisti».
Perché?
«Perché pare che sia colpa mia se hanno le scarpe strette. Se ne accorgono il giorno che debbono indossarle per una cerimonia e poi rimetterle a dormire in un armadio. Ma se c'è un numero in meno, io che posso farci? Per i miracoli, più avanti c'è la basilica di Bonaria».
Quali segreti ha carpito dai suoi clienti?
«Capisci se hanno problemi nel camminare. Ricordo un signore che aveva una gamba più lunga dell'altra e quindi usava un rialzo interno. Che però gli faceva male. Gliel'ho levato senza dirgli nulla, ha imparato a compensare e ha risolto».
Sono più esigenti gli uomini o le donne?
«Le donne. A differenza degli uomini, badano solo alla bellezza della scarpa. Poi, se è larga, pazienza; se è un po' più corta e comprime il piede, pazienza lo stesso. Tanto, c'è il calzolaio. Gli uomini sono più... più normali. Sarà perché non usiamo tacchi vertiginosi».
Le chiedono il rialzo per sembrare più alti?
«Qualche volta ma in genere i rialzi servono a chi ha problemi di equilibrio».
È vero che dal ciabattino vanno solo i poveri?
«Nel modo più assoluto, no. Ci vanno tutti. Perfino quelli che non ne hanno bisogno».
Come, non ne hanno bisogno?
«Beh, non aveva sicuramente bisogno di me il pensionato che mi ha portato una lampada da tavolo chiedendomi se potevo darle un'occhiata. Gliel'ho aggiustata».
Quali sono le scarpe più belle che ricorda?
«Quelle di un industriale fiorentino, roba fatta a mano. Aveva terrore che gliele macchiassi. Costavano circa tre milioni di lire».
C'è chi si dimentica di pagare?
«Succede. Qualcuno si dimentica sul serio. Ma non potrò mai dimenticare la direttrice di banca che doveva pagare trentamila lire e mi fa: scusi, ha il bancomat? Mi è venuto da ridere: esiste al mondo un ciabattino col bancomat? Mi ha detto che sarebbe tornata ma se n'è scordata».
Il cliente si riconosce al volo?
«Quasi sempre. Vuoi che un direttore di banca non sappia che qui non può esserci un bancomat?»
Le hanno mai chiesto di pagare a fine mese?
«Succedeva col mio predecessore. Era un servizio vero e proprio. Aveva un quaderno dove segnava i conti e la clientela passava poi a saldare».
In un rione ricco come questo non può accadere.
«Qui no, certo. Può entrare in calzoleria una persona modesta ma non al punto da chiederti se le fai credito».
Mai chiesti lavori impossibili?
«Tipo ricostruire scarpe devastate? Certo. Però avverto sempre: la rifaccio, la scarpa; non si può riparare: è come un vetro rotto. Resta rotto anche se lo rincolli».
Ci sono scarpe che non possono essere recuperate?
«L'ho detto: capita in sei casi su dieci. Le tomaie cucite così strette che se provi ad aprirle è finita. Sono scarpe costruite apposta per essere buttate via, un po' come succede oggi con gli elettrodomestici».
E i clienti ci restano male.
«Guardi questi stivali, ultragriffati. Costano 550 euro. Sono fatti talmente male che ripararli è impossibile. La proprietaria me li ha portati dicendo: ci cammino di un male ma di un male che non se lo immagina. Penso: allora, perché se li è comprati? Ma non dico niente».
C'è di peggio?
«Le scarpe con le suole vulcanizzate. Una volta rotte, non c'è nulla da fare. Poi, fossero suole di gomma: no, ora le fanno di plastica. Un tempo le suole erano di cuoio. Oggi adoperano materiali porosi che si sbriciolano».
Differenze di qualità rispetto al passato?
«Infinite. La metà delle scarpe che indossiamo sono cinesi. Comprese quelle firmate. Le più miserabili le riconosci dall'odore di formaldeide, che è un conservante tossico».
Un desiderio impossibile?
«Allargarmi, gestire un'aziendina artigiana dove le scarpe non si riparano soltanto. Si creano».

anche le suore giocano a calcio il caso di Suor Maradona a Castellammare di Stabia presso l'Acqua della Madonna

 Cazzeggiando in rete  in particolare  su  youtube trovo questo video  di  http://www.youtube.com/user/fra1585 e messo qui tramite donwloadhelper

 

Avviene a Castellammare di Stabia, terra di campioni dello sport, che tutti ma proprio tutti si cimentino col pallone! E così, può capitare di vedere all'opera una suora che stoppa palleggia e tira bordate verso una porta dipinta sul muro del convento, dove un bimbetto inerme tenta la parata.. Suor Maradona si allena a Via Benedetto Brin nella piazza che ospita le cannelle dalle quali sgorga l'Acqua della Madonna e qualcuno parla già di miracolo.....

non c'è differenza tra uomini e animali . Il cagnetto piange l'amica in cimitero "Riconosce la tomba e si sdraia sopra

aveva  ragione,  un vero peccato averlo perso  per  strada -- ma  è la  vita -- il  mio amico  e primo utente  del blog   Danilo Pilato , quando diceva   che  fra  uomini e  animali non ci sono  differenza   e  faceva questo  test   agli altri\e  utenti ( alcuni\e ritrovati  su fb  altri persi o per  causa mia    o per  chiusura  di  splinder  )   : <<  qual'è  l'animale  che amate  di più ?  pensateci bene   perchè anche l'uomo è un animale  >>




I cani hanno un'anima. Ne è sicura Daniela Floris, di Portoscuso, proprietaria di Shonny e fino al primo ottobre, di una cagnetta di nome Shelly."Il giorno del funerale di Shelly non ho portato con me Shonny,


SHONNY SOPRA LA TOMBA DI SHELLY
 pensavo che non fosse il caso. Ma quando sono andata a trovarla, dopo due mesi, lui è venuto con me. Ha trovato la tomba della piccola prima che ci arrivassi io e si è adagiato sopra. Lì ho avuto la certezza che i cani hanno un'anima. È stata una scena tristissima. Il veterinario mi ha spiegato che riconosce il suo odore". Daniela ha deciso di seppellire Shelly nel cimitero per animali Il giardino di Legna, tra Monserrato e Sestu, e ogni volta che ci porta Shonny, il cagnetto si sdraia sulla tomba dell'amica.


  fonte unionesarda  online  di  Domenica 24 febbraio 2013  09:22

le donne sono un enigma

Alcune sono contente   delle battute   sessiste   e maschiliste  estreme   come quelle di un noto  , in questo caso  , politico italiano (  ogni fatto  e riferimento    a persone    quasi  a fine mandato    è puramente  casuale   Facebook emoticon Linguaccia Facebook emoticon Allegro  )


Altre  come nel  caso  della Littizzetto  in  questo  recente  intervento  in particolare dal  minuto  6.55,  giustamente   non ci  stanno  nè  alla violenza  nè al becero umorismo




 qualche donna  mi sa  spiegare il perchè  questa  contraddizione ?  qual'è  il  limite per  voi  donne   fra  battuta  e volgarità  ?
Comunque  quando le  donne  smetteremo  d'essere  accondiscendenti  all'uomo  violento  ed  a ribellarsi  anche (  spero  di n  )  violentemente al partner  e\o  ai bavosi  



scene  come queste    non si ripeteranno  (  almeno diminuiranno  fino a  scomparire  )














Giorgio Casu da artista giramondo al successo a New York


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  • un forum  (ovviamente  bisogna  registrarsi per   commentare  o scrivere) dove  i  sardi  emigranti nella penisola  ( una  volta  si diceva in continente  )  e nel resto  del mondo si    raccontano http://forum.unionesarda.it/forums/show/36.page


da  la  nuova  sardegna  online del 24\2\2013  
«Sino ad un paio di anni fa avevo una gatta, Ashley. Me l'hanno portato via e ora vive a Los Angeles. Con lei parlavo in sardo: abi sesi andendi, itta ses fadendi, itta oisi pappai? Giorgio Casu   (  foto a  sinistra  tratta  dal video sotto  )  vive a New York dal 2007. E' nato nel 1975 a San Gavino Monreale. Oggi è un artista di successo, dipinge, realizza oggetti di design, organizza mostre ed eventi artistici.Gli studi. «Mi sono laureato a Cagliari in Scienze dell'educazione, poi ho lavorato per un paio d'anni come educatore a Guspini, collaborando con un centro di igiene mentale e un centro sociale. Insegnavo animazione grafico pittorica, avevamo un laboratorio enorme, si lavorava tanto e bene. Facevamo attività per adolescenti e anziani. E' stata un'esperienza formativa importante, forse la più importante della mia vita, con un flusso educativo che andava in entrambe le direzioni. Imparavamo ad imparare».L’Inghilterra. A 27 anni Giorgio parte per l'Inghilterra, va a stare a Leeds, nello Yorkshire. L'intenzione è apprendere la lingua. «L'idea era: vado in Inghilterra, studio l'inglese, poi parto in giro per il mondo, così do un senso diverso alla mia vita e magari mi diverto un po'». A Leeds si ferma 2 anni, studia, fa dei lavori saltuari, comincia a dipingere su tela. «Non lo avevo mai fatto prima, anche se ho sempre disegnato, sin da bambino. In Sardegna, per i laboratori, dipingevo su stoffa o su vetro, disegnavo fumetti sulla carta, decoravo oggetti. A un certo punto, per caso, avevo cominciato a decorare gusci di noce di cocco. Un amico mi aveva chiesto di farne uno da utilizzare come posacenere per la macchina, un'automobile che aveva personalizzato. Ho fatto il primo ed è piaciuto, me ne hanno chiesto degli altri. Li decoravo con i colori di automobili o di squadre di calcio. Sono diventati una mania, alla fine pagavo una persona per levigarli, c'era tanta richiesta. Io mi limitavo a dipingerli. Quando sono andato in Inghilterra me ne sono portato dietro un paio e ne ho realizzato alcuni in loco. Ne ho fatto uno anche per l'allenatore del Leeds United».L’incontro. A Leeds incontra Enrico, un sassarese che aveva appena comprato casa e gli propone di realizzare per lui un dipinto su tela. «Ho fatto un grande quadro con quattro fiori giganteschi e l'ho venduto per 13 sterline. Una cifra voluta, perché in Inghilterra il 13 porta sfortuna. Così ho iniziato e dopo 4 o 5 mesi esponevo e vendevo a 5-600 sterline». Imparato l'inglese a sufficienza Giorgio parte per l'Oriente. Due mesi in Thailandia e poi l'Australia, dove si ferma per 2 anni. Quindi decide di spostarsi ancora, vuole andare a stare in una grande metropoli ed è indeciso tra Tokyo e New York, sceglie quest'ultima in virtù della lingua.Gli Usa. «Non avevo voglia di studiare il giapponese e son venuto qui. Non me ne sono mai pentito».
catturata dal video  sopra  
Arriva a New York nel novembre del 2007, va a stare a Brooklyn e si mette a dipingere. Fa freddo, dopo 2 anni trascorsi a seguire l'estate, il primo inverno newyorchese non è piacevole. Ma fa delle mostre che vanno bene, arrivano le prime commissioni di lavori pittorici, dopo qualche tempo chiede e ottiene un visto da artista. Poi la svolta, partecipa ad una mostra alla Casa Bianca,(  con questo ritratto  che trovate  a destra   )   fa degli eventi per il New York Times: la ruota gira.La creatività. «Sono convinto che una persona, se lo vuole e ha un po’ di capacità, puo costruire il suo destino, cambiare le cose. Che per me è anche un poco il senso ampio del dipingere. Credo nella creatività, nella formazione permanente e non ho una meta precisa. Per me il senso di ciò che faccio è rappresentato dal viaggio, dal nomadismo, dalla ricerca. Mi piace fare cose interessanti, che mi stupiscono e mi emozionano». 


E poi c'è la Sardegna «che su di me ha un potere rigenerativo che non ho trovato in nessun altro posto al mondo: il silenzio, la tranquillità, il mare. Rituali e luoghi vissuti da quando ne ho memoria, fanno parte di me e mi ricaricano fisicamente per tutto ciò che ha da venire».I carciofi. Per Giorgio l'isola è il posto dei carciofi, quelli di zio Mondino. «Mi basta mangiare il primo che non capisco più niente e mi rendo conto che ho ingoiato schifezze per mesi. Non è il paradiso terrestre, ci sono tante cose che non vanno, ma la qualità della vita è altissima e cerco di venirci il più spesso possibile». Proprio per questo, dice, non vuole incastrarsi in situazioni che lo possano legare, anche a una città bellissima come New York, per lui tra le più belle al mondo, che è insieme un’esperienza e una metafora. «La metafora del mondo che si riunisce in un posto e coabita. Dove l’arabo rimane arabo ma diventa altro e così l’italiano. Dopo una generazione tutti diventano parte di questa cultura “sporca”, io la chiamo così, ma non è un'accezione negativa. E' un luogo che ti succhia l’anima, che propone delle sfide quotidiane, dove c’è da fare ogni giorno, dove bisogna fare ogni giorno. Una città variopinta, in cui incontri persone interessanti, talentuose, una città dai tanti paradossi: in ogni piccolo quartiere c’è una vita diversa, persone diverse, gente che la pensa diversamente».L’infanzia. Giorgio racconta dell'infanzia a San Gavino, felicissima. «Sono cresciuto in una casa enorme, piena d'animali: avevamo galline, tartarughe, cigni e pavoni. C'era un maiale e abbiamo avuto anche un cavallo, quasi una fattoria in mezzo al paese, come una fiaba. E poi d'estate per 3 mesi al mare. Finite le scuole si partiva per Arborea, dove c'era il casotto. Tante famiglie, a San Gavino e nei dintorni, avevano queste piccole abitazioni abusive sul mare. Si formava una comunità: è andata avanti sino a quando avevo 13 anni. Poi li hanno buttati giù. Andavamo con la barca a pescare polpi che poi vendevamo alle signore in spiaggia. Era semplicemente fantastico».

una storia d'altri tempi prima del motore baby clochard, in fuga per vivere il loro amore


La  storia    che  vi apprestate  a leggere  , cari amici e comnpagnidiviaggio  è tratta  da la nuova sardegna online del 24\2\2013  mi fa    rivenire  alla mente  questa   canzone   di un poeta  italiano  tratta   da  uno dei suoi  dischi più  belli  Lindbergh (Lettere da sopra la pioggia) (1992), Epic/Sony Music Entertainment.







Ah, se potessi raccontare
tutto quello che vedo e sento
dall'orizzonte di questo cielo
che picchia giù nel mare
in questa notte cieca di luna
e te
se stai ad ascoltare.

Maria e Manuel, baby clochard in fuga per amore

La storia di due ragazzi del Nuorese di 18 e 26 anni che dormono per strada in Veneto: «Nessuno ci aiuta, i vigili ci hanno multato»



SASSARI. Cinque euro in tasca, due pezzi di pizza già digeriti nello stomaco, l’aria gelida che taglia la faccia. Alle 19 della sera, mentre piove a dirotto, Manuel e Maria stanno sotto i portici nel centro storico di Portogruaro: in piedi, perché se si sedessero potrebbero beccarsi un’altra multa, come un mese fa. Il pensiero corre già alla notte, bisogna trovare un posto dove dormire e non deve essere troppo freddo, perché le coperte nascoste sotto una siepe sono zuppe d’acqua.

La nuova vita di Manuel e Maria è iniziata cinque mesi fa, quando hanno lasciato la Sardegna. La loro è la storia di un amore giovane ma forte, un amore contrastato dalle famiglie: «I nostri genitori non vogliono che stiamo insieme. Per questo siamo stati obbligati ad andare via, non avevamo altra scelta», dice Manuel.Si sono conosciuti a Oliena, dove Maria viveva insieme al padre a casa della nonna. Era rientrata da poco dalla Toscana, dove stava con la mamma e il fratello più piccolo. Anche Manuel era tornato solo da qualche mese a Nuoro: sino ad allora aveva vissuto a Vicenza, con alcuni parenti della madre. A Nuoro Manuel aveva scelto la vita di campagna: pastore, ogni giorno sveglia all'alba  tanta fatica ma «più divertente che lavorare in città», nel negozio del padre. Quando hanno detto alle rispettive famiglie di essersi fidanzati, è iniziato il dramma. Vecchi rancori, storie di inimicizia che i due ragazzi neanche conoscono, ma sufficienti per fare dire al padre di Manuel: «Tu con quella non puoi stare». Stessa reazione a Oliena, a casa di Maria, dove pure i due hanno vissuto per qualche giorno. Ma il clima era terribile, e la decisione è stata quasi immediata: «Partiamo, andiamo lontano».Il primo a salire sulla nave è stato Manuel. Una settimana dopo Maria l’ha raggiunto in Toscana, vicino a Grosseto. E all’inizio le cose non andavano malissimo: «Facevo qualche lavoretto, manovale, lavapiatti o qualunque altra cosa – dice Manuel –, avevamo una stanza, almeno dormivano al caldo». Poi più nulla. A gennaio di nuovo in viaggio, verso il Nord. «A Portogruaro – racconta Maria – perché Manuel conosce la zona e ha già lavorato nelle località turistiche della costa». Ma ancora è presto, gli hotel sono chiusi, il turismo è ancora in letargo. A Portogruaro Manuel e Maria hanno incontrato un clima freddo, «quasi ostile, qui nessuno ci dà una mano, sembra che diamo fastidio anche se non facciamo nulla di male». Porte chiuse, nessun lavoro, neppure un sorriso di comprensione. E sono rarissimi i gesti di generosità «quando chiediamo qualcosa da mangiare o un aiuto per non dormire al freddo», dice Maria. Lei ha una caviglia dolorante e la bronchite cronica. Ha fame e freddo, ma guarda avanti. Indietro non si torna: la Sardegna è lontana, con le famiglie i contatti sono quasi inesistenti, «forse mio padre l’ho sentito 20 giorni fa, e mia madre non può aiutarci perché abita in una casa piccola e per noi non c’è spazio». Il presente è un’incertezza, «perché non sappiamo mai se troveremo qualcosa da mangiare e dormiamo per terra con gli occhi aperti». Il futuro è un’incognita che fa paura, anche se per stare bene basterebbe veramente pochissimo. Qualche soldo in tasca, un letto morbido e una minestra calda. Manuel e Maria alla vita non chiedono altro .Infatti sempre  secondo  il  giornale  

Sono giovani e si trovano già in mezzo a una strada. Dormono all'aperto, sotto la neve, rischiando di morire per assideramento, in questi giorni di freddo pungente. Infagottati nei loro sacchi a pelo, credevano di non dare fastidio a nessuno, invece sono stati multati per "occupazione di suolo pubblico”, e accompagnati al comando della polizia locale. Dovrebbero sborsare 240 euro, ma loro non hanno i soldi neppure per mangiare.Si chiamano Maria Puddu e Manuel Melis, hanno 18 e 26 anni. Sono sardi: lei è nata a Nuoro e le sue origini sono di Orgosolo, ma ha vissuto per molti anni in Toscana; Manuel è nato a Vicenza ma è nuorese. Sono arrivati a Portogruaro, al confine tra il Veneto e il Friuli, poco più di un mese fa. Nella cittadina di 25mila abitanti in provincia di Venezia, ai clochard non sono tanti abituati. Per questo Maria e Manuel vengono guardati con una certa curiosità. I due si difendono dal freddo con sciarpe, cappelli e maglioni pesanti. Chiedono un lavoro, qualsiasi lavoro, per trovare una sistemazione e andare avanti. La vita li ha sbattuti in mezzo a una strada. Per loro andare avanti non è facile, e ogni ora della notte e del giorno può riservare cattive sorprese. Possono permettersi di consumare un caffè al giorno: «Lo prendiamo lungo, così facciamo metà per uno – racconta Manuel Melis –, ci laviamo nei bagni dei bar. Prima va lei, poi vado io. Qualcuno ci regala dei biscotti per mangiare. Ma patiamo la fame». E devono fare i conti anche con l’indifferenza, la mancanza di sensibilità da parte delle persone alle quali, invano, hanno chiesto aiuto. «A volte ci trattano malissimo. Siamo andati alla Caritas, ma non abbiamo avuto risposte. Dal Comune ci hanno cacciato. Dormiamo in Galleria dei Portici (centro storico ndr) ma due persone ci hanno detto di recente che diamo fastidio e che lì non possiamo stare».Lì sono stati multati, per avere dormito per terra tra i portoni di due case. Il comandante della polizia locale Roberto Colussi dice che Maria e Manuel «non collaborano con noi e con la comunità, lasciano sporcizia e per questo gli agenti sono tenuti a intervenire». Ma fa discutere il provvedimento della multa nei confronti di due clochard, di due ragazzi in così evidente difficoltà: non hanno i soldi per un panino, impensabile che possano sborsare 240 euro per pagare la sanzione. Qualche giorno fa Maria e Manuel raccontano di essere stati cacciati dalla sala d’aspetto della stazione ferroviaria: «Volevamo dormire – racconta Maria – perché inciampando mi ero slogata una caviglia. Ma non c’è stato nulla da fare: ci hanno cacciato, abbiamo dovuto dormire all’aperto. Ma cosa abbiamo fatto di male? Vogliamo solo lavorare, per questo per siamo venuti qui e presto ci sposteremo verso le località turistiche, come Bibione e Lignano Sabbiadoro. Speriamo che lì non ci chiudiano le porte in faccia».


 rispondo in anticipo   a chi dice  : <<  gli stranieri e i rom anno tutto cio' che chiedono questi poveri ragazzi italiani sono costretti a vivere nell'indifferenza e per giunta anche multati  perchè dormivano in strada ma che cazzo di mentalità' ha quella gente ., Impensabile una cosa del genere, e questo e' solo un piccolo pezzo di una storia ancora piu' grande, della poverta' di migliaia di famiglie nell' indifferenza totale dello stato , che ormai e' solo uno specchietto per le allodole.,LO STATO PENSA AGLI ALTRI NON A NOI italiani RIFLETTETTE POVERI RAGAZZI., Lo Stato Italiano preferisce dare il benessere alle persone extracomunitarie, percarità anche loro nè avranno bisogno ma prima di loro c'è la popolazione Italiana....!!! ma dove stiamo andando a finire...??? Boh....forza ragazzi.....  ecc  >> 
  facendo mio  questo commento   trovato nell'articolo  della  nuova sardegna   : << Vorrei proprio sapere cosa c'entra esternare il proprio razzismo, italiani, rom, extracomunitari .... la miseria e povertà non ha alcuna nazionalità >> e  concludo riportando  i messaggio 
 alle  famiglie   dei diue  ragazzi di    


Per le famiglie di questi due ragazzi: perché non li aiutate? È così terribile che abbiano scelto di stare insieme? È sangue del vostro sangue e voi li lasciate a crepare di freddo. Mantieni l'odio che tanto l'occasione si presenta... è così vero?

20.2.13

carnevale tempiese pentolaccia 2013

per mancanza  do tempo le metto ora












c'è ancora bisogno di povocazioni ? 60 cm di gonna in meno e passi da suora a prostituta

da  http://www.diggita.it/  sito conosciuto tramite  la  richeiesta  di contatto  sul mio plusgoogle  del suo fondatore  Filippo della  Bioanca 

Ecco la foto

di un artista canadese che ha voluto lanciare una provocazione: bastano 60 cm di tessuto in meno per passare dall'essere considerata una suora piuttosto che una prostituta o una ragazza "facile" in generale.
  prima di di dire  la  mia    voglio  come sempre  , ma  tanto scommetto  che nessuna  di voi risponderà  e parteciperà  ( Ma  io non  smetto di sperare  )  un sondaggio


cosa ne  pensate  ?
  
pollcode.com free polls 


Strano















                                                                                Strano    
                         
Strano come un gruzzolo d'aria
in ruscelli di sentieri
Strano come un mare
fermo, senza nuvole,
tra odore di boccaporti
e ciocche di parole
Strano perché apolide
nel vento perso
di comignoli al sole,
tra noia e rivoluzione
sapiente e malandrino
Strano perché in bilico
precario su questa terra,
incerto come foglia,
vela dolce di dolore.

19.2.13

anche i boia posso cambiare idea Jerry Givens: storia di un boia che ha mollato davvero ed è+ passato agli abolizionisti

Dopo aver  letto  su  Rsera edizione  delle  19 di repubblica.it  d'oggi   (  gratis  fino   fine marzo ) ma  , [sic ]  of  cute&past , ma  grazie  al cattura  scheramata  sono riuscita  a salvcare  le foto che trovate  sotto , la  storia   cdi  Jerry Givens he  riporto sotto presa  d'altri siti   mi sono meravigliato . Infatti credevo  che certe cose , in un paese  forcaiolo   che  ha  ancora oltre   ( anche  se  in  diminuzione  ) la pena  capitale    fra  gli emendamenti   l'uso libero delle  armi ,   avvenissero solo nella  letteratura  e nel cinema  ( 1 2 )

invece .....
ecco la  storia  sia  in sintesi  ( per chi non ha  tempo  o voglia  di leggere  tutto  l'articolo  )  attraverso  questo video  di rainews24



  sia  qui sotto   con   news  prese  da



Usa, "io, ex boia, oggi lotto contro la pena di morte"

Jerry Givens ha eseguito 62 condanne a morte. Oggi, dopo 17 anni di lavoro, è uno dei più appassionati oppositori della pena di morte. La sua storia raccontata dal Washington Post

di Redazione 17/02/2013


Per ben 17 anni Jerry Givens è stato il boia del braccio della morte in Virginia. Ha eseguito 62 condanne a morte, 37 con la sedia elettrica e 25 con l'iniezione letale. Per anni, anche grazie al ricordo di un brutale omicidio di cui era stato testimone, Givens non ha mai avuto dubbi sul suo lavoro. Ma ora è diventato uno dei più appassionati oppositori della pena di morte.La sua storia, raccontata dal Washington Post, è esemplare di come l'opinione pubblica stia cambiando, in Virginia e negli Stati Uniti.Ex operaio poi diventato secondino, e infine "executioner", Givens aveva una sua routine. Rasava la testa del ondannato, chiedeva ai Dio di perdonarlo per i suoi delitti, infine lo legava sulla sedia elettrica. Poi cercava di farsi un vuoto nella mente e azionava l'elettricità."Dopo non ti senti certo felice, pensi alla famiglia del condannato e a quella delle vittime", racconta l'ex boia.Per anni Givens si era sentito nel giusto. Quando aveva 14 anni, un uomo armato aveva fatto irruzione ad una festa e aveva sparato all'impazzata, uccidendo una ragazzina che gli piaceva. Allora aveva pensato che quell'uomo meritava la morte. E questo pensiero lo aveva sostenuto anni dopo nel suo lavoro di boia. Nel 1993, però, un uomo condannato a morte in Virginia per un delitto brutale, l'omicidio e lo stupro di una giovane madre, fu scagionato completamente dal test del Dna. E Givens cominciò ad avere i primi dubbi.
 Nel 1999, fu condannato a quattro anni di carcere con l'accusa di aver comprato un'automobile con i proventi di una vendita di droga. Givens continua a dirsi innocente da quella accusa, ma la prigione fu per lui un punto di svolta. Lesse molto la Bibbia e approfondì la sua fede battista.
"Pensai alla crocifissione e mi chiesi se avrei mai potuto essere io a mettere a morte Gesù". Così decise che il suo ex mestiere di boia non era compatibile con la sua fede.

UN ALTRO GIORNO E' ANDATO - Francesco Guccini

18.2.13

non si è mai vecchi per certe cose Judo, super-cintura nera a 98 anni: Keiko ottiene ''il decimo dan''

  tale  news    riportata   sia nei due video sia  nei dettagli    conferma il  mio post  precedente ovvero  spesso la    vecchiaia  è  anche  felicità 


video  originale   qui   sotto  trovato tramite il motore  di ricerca interno  di  donwloadhelper ( opzione  per  scaricare  video   da  youtube  e   non sdolo di mozilla  firex  fox  )






quello ridotto  e  sintetico di  repubblica .it     da  cui  hopreso anche  la didascalia













A 98 anni Keiko Fukuda, un'anziana signora originaria di Tokyo e residente ormai da anni a San Francisco, è diventata la prima donna ad aver raggiunto il più alto riconoscimento nel Judo: il decimo dan. Ci sono soltanto altre tre persone, al mondo, che possono indossare la sua stessa cintura nera. E sono tutti uomini. Molto tempo fa Keiko, ultima allieva vivente di Kano Jigoro, fondatore del judo, ha abbandonato il Giappone - mandando all'aria anche il suo matrimonio - perché nel suo paese gli uomini, anche se tecnicamente inferiori alle donne, avevano accesso alle cinture più alte in tempi molto più rapidi. Una forma di discriminazione che ha spinto la donna a volare in America, dove tuttora insegna judo, a San Francisco, presso il Soko Joshi Women’s Judo & Self Defense Club. Le immagini che state vedendo sono estratte da un documentario  sulla sua storia - in lavorazione, previsto per il 2012 - dal titolo "Sii forte, Sii gentile, Sii bellissima". Tre insegnamenti che l'anziana Keiko è solita dare alle sue allieve.

Gianna rinasce a nuova vita FONNI. La commovente testimonianza: «Ho ritrovato la fiducia nel futuro»

  da http://www.labarbagia.net/rubriche/rassegna-stampa-di-michele-arbau  che riporta  questo  articolo  dell'unione  sarda  del  17\2\2013 . Una  storia  di come  noi sardi  ,  regione d'italia   con il più altro  numero di malati  di Scla  non abbia un centro   che  sia iscritto  \ registrato  fra quelli che  sperimentano tale metodo ,  e per  curarsi  (  in quei casi  in cui il metodo  Zamboni   funziona  ed è fattibile  )  debba  andare  fuori   dalla propria  regione  . 

Mi sono sottoposta ad un intervento chirurgico, affidando le mie speranze a quella che ritengo sia la sola possibilità per migliorare la qualità di vita di chi è malato di sclerosi multipla, come me. Ho deciso di parlare pubblicamente della mia situazione e dell'intervento che ho subito». Gianna Allena, 35 anni ad aprile, è originaria di Nule e vive a Fonni da quando si è sposata. La scoperta della malattia nel 2007 non ha disarmato il suo coraggio e la determinazione con cui ha affrontato il percorso, credendo fortemente nel metodo studiato dal professor Paolo Zamboni, chirurgo vascolare dell'Università di Ferrara.
dal  profilo  di facebook della protagonista  
IL RICOVERO «Il primo ostacolo da superare, quando ti ritrovi nelle mie condizioni, è quello di non credere che possa esserci una via d'uscita. Io, al contrario, ho pensato che fosse importante scommettere nel futuro. Mi sono recata a Benevento, presso lo studio del professor Alessandro Rosa, per approfondire gli esami: l'ecocolordoppler ha rivelato un'ostruzione sia alla giugulare sinistra che a quella destra. Confortata dal sostegno morale di mio marito ho deciso di prendere in seria considerazione la possibilità dell'intervento. Sono stata operata il 22 settembre dello scorso anno». L'operazione che ha subito, come previsto dal metodo Zamboni, consiste in un angioplastica dilatativa.
LA GRINTA DI UN TEMPO «I benefici post-intervento sono immediati. Pensavo di non avere nessun problema alla vista e invece mi sono resa conto che, dopo l'operazione, i colori apparivano più vivi e le immagini ben definite. Ho sentito fin da subito le gambe e le braccia leggeri. È da mesi ormai che non provo nessun segno di stanchezza. Il mal di testa che prima mi opprimeva oggi è un brutto ricordo. Ho ritrovato finalmente la grinta di un tempo». La patologia delle giugulari malformate è riconosciuta come malattia dal settembre 2009, ma soltanto il 17 luglio del 2012 il Ministero della Salute ha deliberato in via definitiva l'avvio della sperimentazione in Italia. «La lista d'attesa è lunghissima - dice Gianna -. La Regione Emilia-Romagna ha finanziato lo studio della cura Zamboni. Purtroppo non tutti i pazienti riusciranno ad essere sottoposti all'intervento prima della fine della sperimentazione anche se pian piano qualcosa sembra cambiare».
LA SPERIMENTAZIONE Sono quattro i centri che hanno iniziato le sperimentazioni dello studio “Brave Dreams” (metodo Zamboni) e si prevede che a breve il numero degli Istituti autorizzati a entrare nella fase operativa salga a dieci, incluso il Policlinico Universitario di Monserrato. «Fino ad ora non sono mai riuscita a parlare con i medici del presidio sardo -spiega Gianna - ho provato a chiamare diverse volte ma senza successo. La nostra speranza rimane quella che il metodo Zamboni possa diventare presto la cura per i malati di sclerosi multipla».
Roberto Tangianu