21.1.16

“Francesco De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto”: e Francesco Guccini Se io avessi previsto tutto questo. La strada, gli amici, le canzoni ., ed Mi girano le ruote di Angela Gambirasio

  Ecco  che  rispondo a   chi mi dice  che  so solo raccontarte  storie  . Recensisco  qui , in  attesa di quelli  per  i  miie  40 anni  , i regali di natale    ecco quali
  due   cd

“Francesco De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto”:


Ad  un primo ascolto , ma  soprattutto a  chi lo ascolta  o  compra   per  la prima  volta  , sembra  un disco  di cover  . Ma  poi ,  termine  che  io preferisco perchè in realtà   è cosi  ,  si tratta  di un omaggio a  Bob Dylan  ad  un grande della musica   che  è stato anche la  sua musa  ispiratrice.  Un lavoro eccellente  come sempre  . Ottime  sonorità  , anche  se   alcune  , soprattutto  desolation row (  forse  perchè  sono abituato  alla versaione de  Andreiana  ) , mi lasciano  un  po' deluso  da   un grande  dell musica  italiana  m'aspettavo di più   forse  perchè  non sono abituato a  dischi  omaggio  \  tribute    . Infatti alcuni pezzi come esempio  Sweetheart lilke   you /  un angioletto come  te e a  tratti  anche   Gotta  serve  somebody  \   servire  qualcuno    sembrano   per  chi  non conosce ( ed   coem  è suiccessio a me  al primo ascolto del cd     di de  gregori      che  esistono di quella  canzone di  dylan   diverse    versioni e  che de  gregori  abbia   deciso d'ommaggiare      scegliendo  le versioni meno  note  o  note  solo a   fans  di lungas  data  del  suio maerstro \  musa  )  Bob  dylan  che   faceva  diverse  versioni     di un pezo   sono    un po'  troppo simili all'originale di  . Ma  ragionando   a mente fredda e  rileggendomi  il  titolo     dico  che  è  un  buon disco  diverso  dai soliti  cd   tribute    o  di cover  .  I  pezzi  più belli e  che   più mi hanno invogliato ad  andare  a   risentirmi  ed in alcuni casi a sentire  per  la  prima volta  l'originale  di Bob dylan   che lo rendono eccellente  come  sempre   .  Fra  le canzoni

Un angioletto come te (Sweetheart like you)
Servire qualcuno (Gotta serve somebody)
Non dirle che non è così (If you see her, say hello)
Via della povertà (Desolation Row)
Come il giorno (I shall be released)
Mondo politico (Political world)
Non è buio ancora (Not dark yet)
Acido seminterrato (Subterranean homesick blues)
Una serie di sogni (Series of dreams)
Tweedle Dum & Tweedle Dee (Tweedle Dee & Tweedle Dum)
Dignità (Dignity)

  quelle che mi sono piaciute  di più     sono   la  :  2  7  9 11  6  5






  Guccini   Se io avessi previsto tutto questo. La strada, gli amici, le canzoni  (   versione  4  cd  ) 





Il mio  giudizio  e parziale perchè    si basa  sula versione   4  cd  e  non sulla   quella  da   10  cd.
Posso dire   che   si  era bela , ma  mi aspettavo un po'  di più  per un icona   come Guccini . Infatti credevo ci fossero più inediti ( magari  ristampando quelli usciti   come tapabuchi in altri cd    raccolte e non  come La Tua Libertà  )  o  più pezi scartati   dai cd  regolari  ,   tutte le  canzoni che lui ha  scritto per  altri  ,  o tutte  quelle     che  compaiono in raccolte  di altri autori   qui nella suia discografia maggiori dettagli
maggiori   news  .    Infatti concordo con quanto dicono  alcuni sui fansi  in anche se  un po' nostalgici   su  https://www.facebook.com/groups/guccini/

Garzaniti Giancarlo
Garzaniti Giancarlo questo è un bell'argomento ....io penso, e non ci trovo niente di male, che a fine carriera ci possano essere iniziative di carattere esclusivamente economico o di marketing . Ci sono molti collezionisti che comprano i due cofanetti solo per averli in collezione...d'altra parte molti comprano il vinile e non lo scartano affinchè non si righi o si rovini. Per cui non mi scandalizzo assolutamente, piuttosto avrei fatto un solo cofanetto . Prima o poi son convinto verrà fuori la raccolta completa del suo lavoro in vinile oppure in musicassetta e verranno vendute anche se nessuno ascolta più le musicassette . Non penso abbia nostalgia del palco, mi sembra sia molto soddisfatto dei suoi libri....
Luciano Tessitore
Luciano Tessitore Per quanto mi riguarda piano piano compro i 33 che mi mancano(dal 1990 in poi,tranne l'ultimo,causa la sciagurata scelta di comprare cd,anche perchè non c'erano alternative. Ormai la musica digitale gira gratis sul web ma no il vinile. Senza critica ma la scelta del cofanetto è stata solo commerciale (buon per lui),devo confessare che mi fa più male però il suo continuare a pubblicare per Mondadori....ma io sono vetero
Sergio Di Massa
Sergio Di Massa Sei proprio comunista Luciano pure a me fa male che pubblica per la Mondadori non compro e non leggo i libri di Guccini mi dispiace. .so fatto così
Antonio Magro
Antonio Magro be io un po lo conosco di libri e di mondadori non ci capisco niente ma l ultimo album l ha fatto perchè gli andava di farlo poi può piacere o no e stata una fatica perchè ormai la vena si era esaurita de andrè e stato diverso è caduto più di una volta nel finale per campare .tanto e vero che disse che la fattoria sarda aveva bisogno di soldi
Eh Leeza
Eh Leeza Neppure io ho gradito l'operazione proprio perché l'ho letta come completamente commerciale...è vero, ognuno è libero di fare quel che vuole.. "ognuno invecchia come gli pare"..ma mi è sembrato anni luce da quel Guccini che tanto ho amato negli anni, quello, per chiarire, che "vendere o no non passa fra i miei rischi, non comprate i miei dischi e sputatemi addosso"

Tutto sommato però è stato bello rifare un viaggio nella propria giovinezza vissuita a cavallo fra gli ultimi anni 70 e i primi dei 90 .




Un libro






Autore Gambirasio Angela
Dati 2013, 183 p., brossura
EditoreVoltalacarta   




Un libro molto bello,auto ironico , ben scritto e con tanti spunti simpatici. La protagonista è in grado di far sorridere, riflettere, ridere, emozionare... e spesso dimentichi che sta trattando il tema della disabilità. Leggendo queste pagine ci si avvicina ad un modo tosto di affrontare la vita, un metodo valido sia per chi è su una sedia a rotelle che per chi corre alle olimpiadi... Angela sarebbe speciale comunque! Propongo di far adottare questa lettura nella scuola dell'obbligo, come dice Fabio (01-04-2014) su Ibs , sarebbe un brillante testo educativo.Un libro in cui l'autrice racconta la  sua  disabilità  in chiave ironica e  a  volte  anche sarcastica   nonostante tutte le difficoltà che si ritrova ad affrontare quotidianamente.e  tutti i disagi   diretti e indiretti  con il suo vissuto (da bambina ad oggi) con tutti i disagi, che si possono solo immaginare, è a tratti esilarante : mi sono ritrovata a ridere da sola mentre leggevo come non mi accadeva da tempo. Ma leggendo le sue lotte quotidiane con le barriere architettoniche e l'ottusità ed i pregiudizi  di certe persone ti fa riflettere su cosa c'è ancora tanto da fare anche nella mentalità   in Italia per rendere più vivibile l'ambiente per le personale disabili.







20.1.16

bisceglie Migrante eroe sventa rapina al supermercato, recupera il bottino e fa arrestare il malvivente

E poi dicono che ci fregano il lavoro , violentano e nostre donne , ecc facendo di tutta un erba un fascio. Ed facendo passare , se non tacendo , in secondo piano e\o in ambito locale news come queste per concentrarsi inve solo ed esclusivamente su news negative

da  http://www.bisceglieindiretta.it/  del 15\1\2016


Migrante eroe sventa rapina al supermercato, recupera il bottino e fa arrestare il malvivente
Diversi i biscegliesi spettatori, ma nessuno interviene nel civilissimo gesto
Nessuno dei biscegliesi che ha assistito alla scena ha ritenuto opportuno intervenire. Invece lui,  che dell’Italia potrebbe non ottenere mai la cittadinanza, non ha esitato a mettere a repentaglio la vita pur di sventare la rapina.
È un richiedente asilo ospite a Bisceglie, il giovane che ha mandato a monte l’ennesimo furto al supermercato Dok di via Capitan Gentile e che, in seguito,  ha consentito l’arresto del rapinatore.
L’uomo, in seguito identificato come un biscegliese già noto alle forze dell’ordine, si sarebbe introdotto nel negozio intorno alle ore 17.00 del 12 gennaio e avrebbe minacciato i dipendenti  per farsi consegnare gli incassi.  Alle urla della commessa,  il richiedente asilo che era solito sostare all’esterno del supermercato,  sarebbe intervenuto per bloccare il malvivente. Diversi, i cittadini che avrebbero assistito alla colluttazione che è seguita e in cui il giovane migrante si è visto puntare un coltello sul volto, scansandolo solo per prontezza di riflessi.



 
Al suo grido, in inglese «aiutatemi a fermarlo», nessuno sarebbe accorso, così il malvivente sarebbe riuscito a fuggire su uno scooter parcheggiato su via Capitan Gentile. Nella fuga, avrebbe perso però il bottino, prontamente riconsegnato ai titolari del negozio.
Il giovane migrante avrebbe anche aiutato nelle indagini, riuscendo ad identificare l’autore della rapina, fermato il giorno successivo dai Carabinieri della Tenenza di Bisceglie.
Il suo unico rammarico è quello di non essere riuscito a bloccare subito il rapinatore, nonostante le richieste di soccorsi ai passanti.
Più cittadino degli altri cittadini, questo ragazzo ha ora un sogno: quello di riuscire a trovare un lavoro in Italia.
La legge che regola la presenza degli stranieri sul territorio nazionale permette il lavoro dei migranti anche nelle aziende private, attraverso borse lavoro attivabili per il tramite delle realtà che gestiscono le strutture di accoglienza presenti sul territorio.
Chi per premiare questo giovane coraggioso fosse interessato ad attivare una borsa lavoro, può contattare la redazione di Bisceglie in Diretta, che si impegna a fare da tramite tra l’impresa e la struttura che accoglie il ragazzo.

19.1.16

visto che la statua della dea Morgantina come molte altre opere italiane non ne viene curata la fruizione al pubblico perchè non la restituiamo a chi ce l'aveva fregata magari li sarà fruibile meglio ?

che ..... cavolo si è fatto fuoco e fiamme perchè  ci restituissero  un opera d'arte  che  ci hano rubato   e  poi   noi  nonnla  sappiamo valorizzare .  Mi chiedo   se  fosse  non sarebbe stato meglio , accusatemi pure  di essere  anti italiano  o anti patriota ed  amenità  varie  m'importa 'na  sega ( citazione musiocale ),lasciarglierla ?  

Morgantina, sedotta e abbandonata Dopo cinque anni, visitatori spariti
È uno dei capolavori riportati in Italia dopo una lunga battaglia diplomatica e giudiziaria con il J.P. Getty di Malibù. Nel 2011 la Sicilia l'ha restituita al pubblico, nel suo luogo natale, Aidone. Con un grande entusiasmo. Durato pochi mesi. Perché da allora a oggi i biglietti sono calati a picco. Adesso entrano in circa 20mila all'anno. Di cui oltre due terzi gratis. Un'anomalia
di Francesca Sironi
 
Dea di Morgantina, sedotta e abbandonata Dopo cinque anni, visitatori spariti La dea di Morgantina 
 
 
La sua presenza è ancora imponente. Due metri e venti centimetri d'altezza, il passo muscoloso sotto panneggi di tufo, il volto in marmo prezioso, come le dita del piede e quel braccio che s'alza verso i visitatori. Che son pochi. Anzi, sempre meno. E molti, forse troppi, entrati gratis. È l'amara sorte della dea di Morgantina, gigantessa arcaica scavata, trafugata e spezzata dai tombaroli nella provincia di Enna alla fine degli anni '70. Quindi spedita in Svizzera a un mercante dei Vip che ne ha guadagnati milioni, vendendola al museo di Malibù del miliardario J.P. Getty. Dopo un lungo braccio di ferro con magistrati, carabinieri, avvocati di Stato, diplomazia e perizie, è stata restituita infine all'Italia con trionfo dell'allora ministro ai Beni Culturali Francesco Rutelli. Quindi riportata nel 2011, nuova di restauri, al luogo della sua sparizione: l'area archeologica di Morgantina, ad Aidone, in provincia di Enna, nel cuore orientale della Sicilia.

Ma lì è stata sedotta, e abbandonata. Perché dopo un primo entusiasmo, con quasi 49mila visitatori applaudenti nel piccolo museo archeologico di Aidone, nel 2011, e un incasso complessivo di 115mila euro, il successo della dea è calato a picco. Fino ad arrivare ai numeri dimezzati del 2014: 22mila ingressi in tutto. Di cui soli 4mila e 800 paganti. All'oblio collettivo della Grande Dea si aggiunge infatti la beffa dei conti: nel primo semestre del 2015 solo il 17 per cento di chi è entrato ad ammirarla ha pagato il biglietto. Un'anomalia che è tale sia nella provincia che nell'intera regione, dove i paganti sono in media il 61 per cento. O almeno, di norma, più della metà. Non qui. Dove restano a meno di un terzo del totale quelli che versano un obolo per entrare al cospetto della divinità. Così, con gli ingressi, si sono inabissati anche gli introiti: dai 115mila della stagione 2011 ai 40mila del 2014. È una sorte ben triste per il museo ricavato fra le stanze dell'ex convento barocco dei frati Cappuccini di Aidone. Perché la galleria, con i vicini scavi di Morgantina, nasconde una storia unica, legata per secoli al culto di Demetra e Kore, la dea delle messi e sua figlia rapita dall'Ade, mito fondativo che qui si avverava ogni estate coi raccolti di grano di cui la Sicilia era l'industria mediterranea. Oltre alla dea, infatti, nel museo si affollano reperti come ex voto, teste in terracotta dipinta, figure femminili a mezzo busto o in piedi che evocano le due donne della Madre Terra, donati ai santuari di Persefone e Demetra così importanti per l'isola e i suoi abitanti. Lo stesso vale per altri gioielli presenti, riportati in Italia dall'America, dove facevano parte della collezione del miliardario Maurice Tempelsman, l'ultimo marito di Jacqueline Kennedy: due acroliti - volti, mani e piedi di marmo - che rappresentavano le dee nel VI secolo a.C., epoca di splendore per Aidone.

I due acroliti di Demetra e Kore
I due acroliti di Demetra e Kore

Gli abitanti, dopo ch'era stata loro saccheggiata, ora sembrano proteggere Morgantina e andarne fieri. I due acroliti sono stati pure spediti a malincuore ad Expo sperando facessero pubblicità. Ma qualcosa al museo proprio non va. Soprattutto a confrontare il pubblico racimolato dall'antichissima dea con il traffico di pullman che affolla invece la vicina villa romana di Piazza Armerina, tappa obbligata dei tour da Catania e l'entroterra. Fra i due paesi, e i due musei, ci sono sì e no 10 chilometri. Ma 300mila visitatori di differenza. In più, per i mosaici romani. In meno, per la divinità obliata.

storie d'amore , di solidarieta , e do varia umnanita, e di cattiva burocrazia

Alla prima sonmo particolarmente legato  essendo un trapiantato d'organo , d cornea per la precisione   e qui sono cosa  vuol dire .

  da  http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/  del  19 gennaio 2016

Turriaco, dona un rene e salva la moglie

Trapianto riuscito per i coniugi Pizzamiglio. Lei: «Una volta di più ha dimostrato la sua unicità»

TURRIACO. Ha donato un rene alla moglie per permetterle di vivere. Lui è Valentino, lei Valentina. Già i nomi basterebbero... Nomi che raccontano una storia d’innamorati. Fatti uno per l’altro, senza esitazioni. Perché i coniugi Pizzamiglio possono urlare al mondo intero il loro amore, temprato da un’esperienza delicata e drammatica. È una storia a lieto fine, da condividere con tutti.
Valentina nel 2007, dopo aver appena superato l’esportazione di un adenoma ipofisario, scopre di essere in insufficienza renale. Ha 35 anni. Forse la malattia l’accompagna sin da bambina ma la scoperta avviene a quell’età. È una donna giovane, sposata e con figli. Valentina, originaria di San Canzian d’Isonzo, viene subito seguita dal dottor Massimiliano Martone nel reparto di Nefrologia e Dialisi dell’ospedale di Gorizia. Inizia il suo percorso.
L’avanzamento della malattia doveva essere lento e progressivo ma, a seguito di terapie e diete per nefropatici, l’insufficienza renale presto arriva all’ultimo stadio. Nell’agosto del 2015, la donna si vede costretta alla dialisi peritoneale: tutte le notti si collega con un catetere dall’addome a una macchina che la depura. «Una vera tortura... Un trattamento di nove ore distesa sul letto, con tutte le precauzioni igieniche e sanitarie necessarie ovviamente» racconta Valentina. Che non si dà per vinta. La speranza è di poter effettuare un trapianto di rene. Serve un donatore ma non è un intervento così automatico e semplice. «Mio marito Valentino si è subito proposto per l’eventuale donazione - racconta - e dopo mesi d’infiniti esami atti a verificare la nostra compatibilità, è arrivata la tanto attesa risposta: si poteva fare».
Lo scorso 7 dicembre Valentina e Valentina partono per Padova e il 9 la coppia viene sottoposta a un delicato intervento: alle 16 del pomeriggio il rene di Valentino è già dentro il corpo di sua moglie e, come racconterà il chirurgo dopo l’operazione «... è partito come un treno». Una frase che ha fatto piangere parenti e amici. Lacrime di gioia e di sollievo.
La coppia ora è rientrata a Turriaco, dove risiede, e tutto procede per il meglio. «Il percorso è ancora un po’ lungo - spiega Valentina - perché ci saranno ancora tanti controlli. Ma sto bene, mi sento rinata, so che potrò essere di nuovo una persona normale ma soprattutto sono consapevole che la mia vita la devo a mio marito. Il suo gesto d’amore è stato un qualcosa d’indescrivibile che, ancora una volta e ancora di più, mi ha testimoniato la sua unicità, la sua sensibilità, il suo coraggio e la sua protezione».
Il dono di un rene come gesto d’amore. Assieme all’aiuto di tante persone. «Mi sento di rivolgere un particolare ringraziamento - dice Valentina - al dottor Martone che mi ha sempre seguita e appoggiata e che mi seguirà in futuro. Al professore Paolo Rigotti, alla dottoressa Lucrezia Furian e a tutta l’equipe dell’Azienda ospedaliera di Padova
dove siamo stati operati. Un grazie va alla mia mamma che ci ha assistiti e che continua anche nella convalescenza. Un merito a mia figlia Andrea che ci è stata sempre accanto, sopportando i momenti tristi e aiutandoci con i suoi sorrisi e gesti d’affetto».

DOLO. Le speranze erano ridotte al lumicino, e per i medici il destino di quel feto era tragicamente segnato. Sandro Giorgiutti e la moglie Federica si sono rifugiati nella fede, recandosi a Malo, nel vicentino, al santuari di Santa Libera, la Madonna della Maternità. Il feto è perfettamente guarito. E sei mesi dopo è nata Giulia, una bella bimba che oggi ha 5 anni. «Un miracolo» ha detto il parroco di Malo di Giuseppe Tassoni, che nell’omelia di domenica, ha raccontato al storia della coppia residente ad Arino di Dolo.
«Mia figlia Giulia sarebbe dovuta nascere con una gravissima malformazione, invece progressivamente, dopo essere andati in pellegrinaggio al santuario della Madonna della maternità di Malo, la sua malformazione che ci era stata diagnosticata dopo una ecografia, si è ridotta fin quasi a sparire. Un fenomeno che i medici hanno detto di non saper spiegare». A parlare a cinque anni di distanza dai fatti è Sandro Giorgiutti, il papà della piccola Giulia, che abita ad Arino di Dolo in un residence poco distante dalla chiesa del paese.
Sandro fa l’operaio al Petrolchimico di Porto Marghera e ha una grande passione per la musica rock. La moglie Federica lavora in un bar a Spinea. «Neanche io ero un grande credente prima che mi capitasse ciò che è capitato», confessa. «Ma io e mia moglie volevamo un figlio. Avevamo perso un bambino, poco prima che Federica restasse incinta di Giulia. Alla prima ecografia della bimba, verso i 4-5 mesi di gravidanza, ci venne subito detto dai medici che il feto aveva gravi problemi di salute. I medici ci convocarono e ci spiegarono che c’erano delle grosse cisti sul fegato e in altre zone del corpo, che pregiudicavano la vita della nostra bambina. Eravamo disperati, abbiamo consultato diversi medici, ma tutti ci davano lo stesso responso».
Giulia sembrava destinata a non venire al mondo, ad nascere con gravi malformazioni. «Mia mamma», prosegue Sandro Giurgiutti, «è una catechista, fervente credente, e mi ha consigliato di andare a pregare nella chiesa dedicata a Santa Libera a Malo, la protettrice delle partorienti. Allora ci siamo recati al santuario, e abbiamo pregato per la guarigione della nostra bambina».
Dopo il primo pellegrinaggio nel Vicentino, le notizie sorprendenti non si sono fatte attendere. «Dopo qualche giorno le ecografie di controllo», racconta il papà, «hanno dato risultati incredibili. Le malformazioni si erano ridotte in modo inspiegabile. Abbiamo continuato ad andare a Malo e a tenere per noi questo sconvolgente segreto. Via via, mese dopo mese, tutte le malformazioni e le cisti erano sparite e alla vigilia del parto il feto era in perfetta salute».
A dicembre del 2010, all’ospedale di Mirano, è nata così Giulia. «È stato un parto cesareo», continua il papà, «e ci ha regalato la nostra bella bimba, in piena salute. Dopo qualche giorno dalla nascita ci siamo recati con la piccola a rendere grazie alla Madonna, per questo grande dono che ci ha fatto. Abbiamo voluto anche voluto fa battezzare la nostra piccola nella chiesa di Malo il 12 giugno del 2011 da Don Giuseppe Tassoni, un parroco a cui siamo ancora profondamente legati. Di questa storia non abbiamo mai voluto parlarne anche come segno di rispetto, di riconoscimento per un dono così grande che ci è stato fatto dal cielo, e che ci ha reso immensamente felici».


la  terza  storia  non è una novità    visto che  errori   simili ne capitano   a iosa   ma  va raccontata  perchè   come  sempre   succede  per  imediare  accorrono mesi  e  << per chi prende una pensione da nemmeno 500 euro anche un mese fa la differenza >>. Ma  sopprattutto  la cosa assurda è che devi essere tu a rimediare con certificati ed atri atti burocratici ai loro ..... di errori . E a  chi commette   l'errore  ( comune , inps, segretari    )  loro non gli li fanno pagare .Se ogni volta che facessero un  errore del genere gli togliessero una parte dello stipendio tranquilli che tali ... non ne farebbero più o se ne farebbero di meno  

Per l'Inps è morta. E la pensione non le arriva più

Grosseto, è l'incredibile vicenda di una 66enne malata e inabile al lavoro che non può riscuotere i suoi 465 euro. Per far valere i suoi diritti il caso è in tribunale

GROSSETO. Quando è andata all’Inps a chiedere come mai sul suo conto corrente non c’era ancora la pensione che da anni riceve ai primi di ogni mese, a stento è riuscita a credere alle sue orecchie. «Signora, lei risulta deceduta», è stata la risposta.
Ad essere superstiziosi c’è da correre a procurarsi un cornetto rosso e appenderselo al collo. I più sardonici potrebbero prenderla a ridere: pare che nominare il trapasso allunghi la vita... Per la diretta interessata, una signora alle soglie dei 66 anni, la notizia è stata uno choc. Quella che le è stata tolta, infatti, non è certo una “pensione d’oro” da sguazzarci dentro, ma una piccola pensione da nemmeno 500 euro al mese (465,09, per la precisione) per inabilità al lavoro che a lei, malata da tempo e senza altre fonti di reddito – a parte la pensione, ancora più piccola, del marito – rappresenta l’unico sostentamento. Insomma, davvero niente da ridere. «Il 4 gennaio mia madre è andata in banca a ritirare la pensione – racconta la figlia della donna che, per ragioni di riservatezza, preferisce non comparire – ma l’accredito non risultava. Il giorno dopo c’è tornata e i soldi ancora una volta non c’erano. Allora è andata all’Inps a chiedere il perché di questo ritardo».
È qui che, facendo una verifica al computer, il personale dell’ufficio grossetano ha fatto l’incredibile scoperta: la signora, per l’Inps, risultava deceduta e quindi la sua pensione era stata sospesa. «Ci hanno detto che l’Anagrafe del paese natale di mia madre aveva inviato la comunicazione della morte e che automaticamente la pensione era stata cancellata – spiega ancora la figlia – Così abbiamo chiamato l’Anagrafe, ma a loro non risulta di aver fatto alcuna comunicazione del genere».
Anche al Tirreno l’ufficio Anagrafe conferma di non aver inviato comunicazioni del genere. Forse l’ha fatto un altro Comune con un’omonima della signora? Cosa abbia generato l’errore non è chiaro. Fatto sta che l’errore c’è stato e a pagarne le conseguenze è una signora che soffre di diverse malattie gravemente invalidanti e che, per la propria salute, dovrebbe evitare ogni stress. Ma purtroppo per lei lo stress ha subito, se possibile, un’impennata ancora più grande.
Se, infatti, per un errore del genere c’è rimedio, in questo caso alla velocità fulminea con cui l’Inps ha cancellato la pensione della signora non corrisponde altrettanta rapidità nel rimettere le cose come stavano. Insomma, a due settimane di distanza non è stato ancora possibile sbloccare la pratica e versare la legittima pensione.
Per questo la famiglia della signora si è rivolta a un avvocato, Clara Mecacci, che come prima mossa ha inviato una richiesta all’Inps, segnalando che la sua assistita stava subendo «gravissimi danni patrimoniali e non, che incidono anche sul suo diritto alla salute» e chiedendo che la pensione le venisse ripristinata nel giro di pochi giorni.
L’Inps ha riconosciuto che c’è stato un errore ma ha spiegato che non è possibile ripristinare una pensione che sia stata eliminata e che, per “creare” una nuova pensione, occorre più tempo. «È una vicenda che ha dell’incredibile – spiega Clara Mecacci – Ok, è stato fatto un errore. Ma cosa ci vuole a sistemare le cose?».
A quel punto Mecacci ha presentato un ricorso d’urgenza al giudice del lavoro, con la richiesta, oltre che della pensione, anche degli interessi e dei danni subiti dalla sua cliente, e lamentando di non aver avuto dall’Inps un’indicazione precisa sui tempi.  concludioampedita una raccomandata all’Inps
Al Tirreno l’Inps conferma che la pratica non è immediata. «Le comunicazioni di decesso arrivano telematicamente – dice l’Istituto di previdenza – e, una volta eliminata, una pensione non può essere ripristinata solo premendo un bottone. Occorre fare una nuova liquidazione ab origine riconteggiando tutte le quote riscosse. La sede grossetana si è attivata per lavorare tempestivamente sulla nuova pratica, ha già fatto il conteggio e la pratica viene monitorata per assicurarsi che l’operazione sia andata a buon fine. Al 99 per cento la pensione, ricalcolata, verrà erogata il 1º febbraio; se così non fosse sarà comunque una pensione provvisoria». A quel punto per la pensionata sarà passato un mese senza vedere il becco di un quattrino. «Loro parlano bene – conclude con amarezza la figlia – ma per chi prende una pensione da nemmeno 500 euro anche un mese fa la differenza»


  sbolliam la rabbia  con una storia   sepre  in ambito sanitario  ma  più allegro  che dimostra come  non tutti gli italiani  ,  nonostante  la deriva   sempre  più exenofoba  e di diffidenza  verso gli stranieri  ,  ad esempio


‪#‎Torino‬. Una mazza da baseball è la provocazione del candidato di centrodestra Luca Olivetti: "Se sei venuto


  c'è  chi non lo  è  ed  è solidare con loro . Peròla cosa  straan   e  che  si  è solidale    solo quando  sono integrati  .  la  vera  soidarietà  è


da    http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/  del 18\1\2016

Le mamme come angeli aiutano la bimba malata

Cicognara. Due anni e mezzo, figlia di immigrati e operata per un tumore. Solidarietà e turni per accompagnarla alle cure. «Ci si stringeva il cuore»
VIADANA. Gli occhioni della bimba guardano nel vuoto mentre i sorrisi di chi le sta attorno cercano di donarle un po’ di calore. Lei ha due anni e mezzo e nessuna colpa. Appena nata le hanno diagnosticato un tumore al cervello. Una tragedia che ha colpito una famiglia dignitosa. Immigrati, provenienti da un Paese lontano. Di religione diversa dalla maggioranza dei loro vicini di casa. Ma che hanno trovato nella comunità cicognarese il bene più prezioso: l’umanità. Perché, quando si è saputo della malattia della bimba e della difficoltà della famiglia, c’è chi ha gettato dietro le spalle ogni pregiudizio ed ha guardato solo al bene della bimba che oggi viene regolarmente accompagnata alle cure da una catena di mamme: angeli che se ne fanno carico senza chiedere nulla in cambio.
Tutto nasce a settembre scorso quando il parroco di Cicognara don Andrea Spreafico, che gestisce la chiesa che fu di don Mazzolari, racconta delle difficoltà di questa famiglia. La bimba è nata malata, è stata operata, ma il male ha ritardato la sua crescita. Non cammina e ha bisogno due volte la settimana di fare attività fisiatrica, di riabilitazione fisica all’Asl di Viadana. La mamma non ha la patente ed in casa c’è un altro figlio, un bimbo che va a scuola alle elementari e che patisce per la sorellina. Il padre lavora in un’azienda della zona, ma non riesce a prendere due permessi lavorativi alla settimana. L’azienda con lui ha chiuso un occhio finché ha potuto, ma la situazione non può andare avanti più di tanto. La famiglia si è così rivolta al Comune chiedendo un accompagnamento, ma sinora non ha ricevuto risposte positive alla domanda.
Le parole di don Andrea cadono come semi in un terreno fertile. Alcuni parrocchiani decidono di darsi da fare. In particolare alcune mamme, fra le quali una che ha la figlia della stessa età. «Ho pensato: ma se fosse capitato alla mia bimba? Mi si stringeva il cuore, perché sono una mamma anch’io. E non sono certo stata a pensare al fatto che fossero immigrati, musulmani o quant’altro. Se avevano diritto o meno. Queste cose si fanno, punto e basta. Sulle prime, assieme a mia madre, ci siamo organizzate in modo da dare un aiuto».
Le necessità sono tante. La carrozzella che era stata data dall’Asl non andava bene, perché troppo pesante per essere manovrata da una donna. Così si decide di comprare alla bimba una carrozzina adeguata. Servono poi auto un po’ grandi per caricare la bimba, la madre e il passeggino e infine la disponibilità di tempo il martedì e il venerdì mattina. «Le portiamo all’Asl di Viadana alle 11 e le andiamo a prendere a mezzogiorno – spiega una delle mamme –così da settembre a questa parte. Ci diamo il turno, ma speriamo che qualcuno aiuti questa povera bimba e la sua famiglia che con dignità sta vivendo questa situazione terribile»



«Così la bicicletta mi ha salvato la vita» Il racconto del manager Filippo Mari che ha vinto la depressione aprendo l’agenzia Biko Adventures a Praga. Paola Gianotti 34 anni ciclista d'ivrea in bici fino ad Oslo: "Il Nobel per la Pace 2016 alla bicicletta" La 34enne ciclista di Ivrea,

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APPROFONDIMENTI


Ma  è possibile  che ogni volta  che  leggo storie di biciclette  , mi debba  venire  in mente   sempre  questa  canzone



«COSÌ LA BICICLETTA MI HA SALVATO LA...LA STORIA
«Così la bicicletta mi ha salvato la vita»
Il racconto del manager Filippo Mari che ha vinto la depressione aprendo l’agenzia Biko Adventures a Praga 
di FILIPPO MARI




Mi chiamo Filippo, sono di Ferrara e questa e la storia di come la bici mi ha salvato la vita. Ho 37 anni, molti dei quali passati godendomi la gioia del vento tra i capelli che solo una bici può dare.
La mia storia comincia con una piccola bicicletta sulle rive del Po dove scavavo trincee andando avanti e indietro mentre i miei genitori grigliavano con amici sulle secche formatesi nel fiume. Più tardi cominciai ad allargare i miei orizzonti ciclistici grazie alla scuola. Abitavo in Porta Mare e il tragitto per andare alla Tasso prima e Ragioneria dopo, percorrendo le mura, era pura avventura. Un giorno mia zia mi regalò la mia prima bici seria, una bici da corsa Bianchi alla quale sono ancora molto affezionato tanto che la espongo in vetrina nel mio negozio di Praga. Fu allora, all'età di 11 anni, che scoprii che la bici non è solo gioie ma anche dolori. Mio padre mi portò ad un raduno organizzato dal Salumificio Estense. Ricordo che nemmeno l'idea della mortadella offerta alla fine del giro riuscì a non farmi pensare al dolore e la fatica dopo i primi 30 chilometri
Gli anni passarono e la bici, come ogni ferrarese che si rispetti, diventò parte della mia vita quotidiana. Non solo per spostamenti di tutti i giorni ma anche per esplorazioni del fine settimana con amici. Baura, Cona, Tamara suonavano a noi come paesi esteri da scoprire.
La domenica si andava alla Spal con la ragazza seduta sul cannone. Erano i tempi di G.B. Fabbri ed era uno spettacolo vedere confluire tutte quelle bici la domenica allo stadio.
Fu durante il servizio militare fatto sul Lago di Garda che mi innamorai di sentieri sterrati e pendenze e mi venne la febbre per la mountain bike. Al mio ritorno cominciai a lavorare come responsabile al Bennet e ogni sabato sera, dopo aver chiuso l'ipermercato, mi lanciavo al vicino casello Ferrara Nord con l'amico di avventure Ivo e ce ne andavamo sul Garda, Cortina o qualche altro bel posto in montagna dove potersi ubriacare di mountain bike.
Più tardi mi resi conto che quelle brevi fughe nel fine settimana non erano più sufficienti così mi trasferii a Trento per lavorare nella mia prima multinazionale. Fu un periodo fantastico e prima di decidere di mollare tutto e viaggiare, diventai forte in bici.
Proprio all'apice della mia “carriera” ciclistica decisi di licenziarmi e passare un paio d'anni in giro per il mondo per fare una bella esperienza ma soprattutto per imparare l'inglese che avevo capito essere molto importante per il tipo di vita che sognavo, o che almeno credevo di sognare, il manager.
Al mio ritorno dall'Australia entrai in un’altra multinazionale che mi mandò a vivere a sud delle Marche dove ci sono bellissime montagne e l'amore per la bici, mai estinto, tornò più forte che mai e decisi di celebrare con un gran giro attraverso l'Europa. All'ultimo minuto un mio caro amico decise di aggregarsi ma non essendo abbastanza allenato per il viaggio che avevo in mente decidemmo di cambiare itinerario, fu un evento cruciale che influenzò tutto il resto della mia vita a venire.
Partimmo da Ferrara in direzione Praga attraversando Slovenia e Austria. Il giorno prima di arrivare a Praga ci fermammo per la notte in una bellissima cittadina medievale chiamata Tabor dove incontrai Denisa, la mia futura moglie. Da quel momento cominciò un periodo di innumerevoli viaggi avanti e indietro che mi permise di immergermi nella cultura e lo stile di vita dell'Europa Centrale. Nel contempo la mia carriera nel marketing andava benissimo portandomi a trasferirmi ogni anno in un posto diverso. Perugia, Firenze e Roma sono alcuni esempi.
In un batter d'occhio mi ritrovai trentenne e nella crisi più nera. Mi sentivo triste e senza energie. Avevo messo su 12 chili. Della bici neanche l'ombra. Lavoravo tantissimo per una causa alla quale non credevo e sapevo che sarei avanzato di carriera e ciò mi avrebbe spinto ancora più vicino al baratro. Cominciai a non dormire e a soffrire di ansia. Mi svegliavo la mattina senza nessun entusiasmo. Qualche dottore che visitai mi definì depresso.
Circondato da una crisi economica mondiale, che gridava di tenersi stretto quello che si aveva, mi licenziai per ricominciare tutto da capo. Decisi di prendermi un anno sabbatico e trasferirmi a Praga, dove tra l'altro il costo della vita è inferiore all'Italia. Mia moglie cominciò a lavorare all'Università mentre io cercavo di capire cosa fare nella vita.
Fu allora che feci della bicicletta la mia medicina. Ricominciai a pedalare ogni giorno cercando di rimettermi in forma. Presto mi resi conto quanto i dintorni di Praga siano ideali per la mountain bike. Già a 15 minuti dal centro ci sono sentieri di tutti i livelli con pendenze dignitose e fantastici panorami. Un giorno, tornato da un giro esaltante caratterizzato da viste mozzafiato e discese con il Ponte Carlo sullo sfondo, mi fiondai su Google e, con il fiato sospeso, digitai “mountain bike tours Prague”. Niente. Niente! Solo agenzie che offrivano tour in bici del centro storico che peraltro, purtroppo, non credo siano il meglio che si possa fare a Praga per via del traffico, dei tram e del porfido. Possibile che nessuno ci abbia pensato visto che fuori dal centro storico Praga è un paradiso per la bici? In quel momento capii di aver trovato la mia strada, anzi, il mio sentiero.
Dopo aver frequentato svariate località per mountain bike intuii il potenziale di Praga ma chiaramente i dubbi c'erano visto che nessuno lo aveva fatto prima. Sondai allora il terreno con amici e conoscenti. Tutti quelli con cui parlai della mia idea mi dissero che non avrebbe mai funzionato perchè nessuno viene a Praga per fare mountain bike o bici da corsa. Tutti tranne mia moglie la quale mi supportò nell'inseguire il mio sogno.
Dopo una breve analisi capii che non avevamo abbastanza fondi per cominciare un'azienda in maniera tradizionale ovvero pubblicità, negozio, grande flotta di bici, qualche impiegato. Tutto questo non mi scoraggiò. Mi dissi che quella era la prima vera prova per dimostrare di essere bravo nel marketing. Studiai tutto inverno come farmi da solo un sito web dove pubblicai i primi tour che avevo tracciato. Disegnai, con il continuo supporto artistico di Denisa, i volantini e il logo e tutti i materiali di cui avevamo bisogno. Cominciai a promuovere l'azienda a più non posso. Fu in quel periodo che mi guadagnai l'appellativo di “uomo del rinascimento”. Non si possono offrire tour in mountain bike con bici scadenti ma bici di qualità costano tanto. Fu allora che tre dei miei più cari amici di Ferrara mi comprarono tre biciclette di qualità di diverse misure che avrei ripagato poi nei successivi anni. Un altro amico di Praga mi permise di usare la cantina del suo negozio di tatuaggi come punto di partenza per i tour ad un prezzo simbolico. Tutto era pronto. Chiamammo la nostra agenzia BIKO Adventures. BI come le prime due lettere di bicicletta e KO come le prime due lettere di kolo, bici in ceco. Correva il maggio 2011 quando i primi clienti bussarono alla porta, una coppia di Inglesi.
Il primo tour fu un successo e così il secondo e il terzo e così via. Il primo anno di Biko non mi diede da vivere così sbarcai il lunario insegnando italiano e facendo consulenze di marketing grazie a qualche conoscenza che mi portavo dietro dalla vita passata. Sebbene pochi, furono però i primi clienti soddisfatti che mi diedero l'energia di continuare e di credere nel progetto. Fu la scelta giusta.
Nel 2015 abbiamo avuto la nostra 5ª stagione e abbiamo messo in bicicletta più di 1300 persone. Abbiamo 40 bici nel garage. Svariati giornali e riviste hanno parlato di noi incluso il National Geographic. Siamo presenti in quattro sezioni della Lonely Planet e siamo una delle migliore aziende del turismo a Praga secondo Trip Advisor.
Il nostro team è formato da 14 fantastiche guide. Abbiamo un bel negozio costruito da noi con legno riciclato. Siamo supportati da Giant, il più grande produttore di bici al mondo e sono sponsorizzato dal marchio scozzese Endura che da due anni mi veste da testa a piedi. Abbiamo allargato il nostro portfolio e offriamo anche sci, hiking e corsa. Le nostre magliette, relative alla cultura della bicicletta che ho disegnato come progetto secondario, hanno avuto un successo strepitoso vendendo più di 2000 pezzi. Non è stato facile ma ce l'abbiamo fatta.
Oggi sono felice ed in ottima forma. La bicicletta mi ha salvato la vita.


da http://www.today.it/green/mobilita/del 18\1\2016


Paola Gianotti in bici fino ad Oslo: "Il Nobel per la Pace 2016 alla bicicletta"

La 34enne ciclista di Ivrea, reduce dal Giro del mondo in bicicletta è già partita da Milano; arrivo previsto a destinazione il prossimo 29 gennaio
frame  tratto da questo video
https://youtu.be/0rXs8UfqfZs
A chi assegnare il premio Nobel per la pace 2016? Alla bicicletta. A non avere dubbi che sia questa la risposta giusta e a lanciare la speciale candidatura è Caterpillar, il programma di Rai Radio2 condotto da Massimo Cirri e Sara Zambotti. Tanti i motivi per cui il mezzo a due ruote più usato del mondo meriterebbe questa occasione: "non causa guerre, non inquina, riduce di molto gli incidenti stradali, elimina le distanze tra i popoli, è uno strumento di crescita per l'infanzia e, in passato, è stata usata dai movimenti di liberazione e resistenza di molti paesi.
Le firme raccolte a sostegno della candidatura ufficiale al Nobel per la pace alla bicicletta sono già tante e a portarle ad Oslo sarà Paola Gianotti, la 34enne ciclista di Ivrea, reduce dal Giro del mondo in bicicletta in cui ha percorso 25 paesi in 144 giorni. Gianotti è partita il 16 gennaio da Milano e dovrebbe arrivare a Oslo venerdì 29 dopo un percorso di 2000 chilometri. Ad oggi, il Nobel non si può dedicare a un oggetto, quindi la candidatura è stata intestata alla squadra femminile della Federazione Ciclistica dell'Afghanistan.



I social media e l’amplificazione del reale



 da http://www.sanpotitonews.it/i-social-media-e-lamplificazione-del-reale/admin il 19 gennaio 2016 in Politica


da Guendalina a Sandulli, la politica si fa in anonimo, come dire, “mi vergogno di ciò che dico e di ciò che penso e non posso prestare la mia faccia ai miei pensieri”
La tecnologia e la comunicazione hanno cambiato profondamente la vita quotidiana di tutti noi. L’altro giorno parlando della situazione sampotitese un amico sosteneva che oggi la politica si fa tutti i giorni, anche perché i social media fanno talmente parte del nostro quotidiano, che qualunque affermazione o frase o citazione fatta nel mondo reale o in quello virtuale ha un poderoso impatto anche nell’altro, con effetti sia positivi, sia negativi.
È una frase che mi ha fatto molto riflettere, considerando anche i numeri straordinari di lettori che abbiamo raggiunto col nostro giornale; questa non vuole essere un’autocelebrazione, ma se i nostri contatti unici sono più di centomila, continuando a crescere, e i sampotitesi in tutto il mondo saranno non più di 3500/4000, considerando terze e quarte generazioni, vuol dire che il web riesce a trasportarti in dimensioni che vanno molto aldilà di quello che noi riusciamo a percepire.
Credo allo stesso modo che sia importantissimo confrontarsi costantemente con quello che succede in Italia, nel mondo, e nelle altre realtà, piccole o grandi che siano. Non dobbiamo mai commettere l’errore di pensare che quello che succede lontano dal nostro paesino non possa coinvolgerci, perché siamo distanti km e km; non possiamo ignorare quello che è successo e continua ad accadere, ad esempio, nel Mediterraneo in questi anni, con le traversate dei profughi, perché anche la nostra comunità viene coinvolta dagli eventi e non potrebbe essere diversamente poiché il mondo è sempre più globale; oppure ignorare le stragi di tipo terroristico che la cultura occidentale, non solo attraverso le vittime, sta subendo in questo periodo, né il grande tentativo che Papa Francesco sta provando a compiere nel riformare, nella struttura e nell’anima, la chiesa cattolica.
Tutto ciò, come sopra detto, non può non avere riflessi nel nostro piccolo, a San Potito.
La redazione sta tentando, con risultati che il pubblico poi dirà, di capire come sta cambiando la nostra società, come vivono oggi i nostri compaesani, chi sono i nuovi sampotitesi, qual è la situazione dei commercianti, proprio per discutere su come vivere al meglio la nostra comunità. Le nostre posizioni non sempre vengono condivise, menomale direi, ma il nostro scopo è quello di creare una dialettica perché ci sia nel nostro piccolo paese un confronto vivo, affinché la nostra continui ad essere una comunità e non un dormitorio. Ben vengano i confronti anzi da tempo stiamo cercando ed invitando altre persone a scrivere sul giornale in modo che la discussione resti sempre accesa, per poter allargare il nostro campo di azione e di vedute.
Naturalmente, riceviamo dai nostri avversari politici, che dimostrano spesso di non saper andare oltre la loro piccola visione del mondo, attacchi e repliche. Voglio risponderne a due in particolare.
Per primo al consigliere di maggioranza Gerardo Cataldo che sulla pagina diario elettorale per esporre le sue vedute politiche e per screditare il nostro lavoro, ricorre alla metafora di un sogno; nel suo delirio onirico è facile capire come sia più vicino a Salvini che a De Gasperi.
Poi a Guendalina, altro fake inventato da chissà chi, che nella pagina sempre fake di Alfonso Sandulli ci accusa, come giornale, di aver intentato una crociata contro il nostro parroco Don Antonio; aldilà delle mie personali credenze religiose credo che Don Antonio non abbia bisogno di avvocati difensori, ha tanto da dire e tanto da dare a questo paese e credo possa favorire un confronto sereno fra le parti come domenica, ad esempio, ha mostrato di fare il suo capo spirituale Papa Francesco.

Odio

18.1.16

cosa si deve fare per poter avere un diritto che è all'aborto ? "Dì che vuoi uccidere il feto, avrai più tempo per abortire": il consiglio-choc di un medico obiettore a una donna incinta di 11 settimane

qui non si tratta di essere pro o a favore dell'aborto la mia posizione la conoscete se avete o leggete il blog, ma  di difendere  un diritto  delle donne  . Perché con la scusa  (  tolte le mosche bianche  che lo sono  davvero e  sono coerenti  e  verso cui non  ho niente  da  rimproverare    è una  scelta  etica  condivisibile  o meno    )   che sei  un  obbiettore  in pubblico  e  magari no  in privato  rendi  impossibile   la vita   a chi   vuole esercitare il proprio diritto   

da www.unionesarda.it  Oggi alle 16:02 - ultimo aggiornamento alle 16:39

"Dì che vuoi uccidere il feto, avrai più tempo per abortire": il consiglio-choc di un medico obiettore a una donna incinta di 11 settimane









                                             Foto simbolo




All'undicesima settimana di gravidanza, dopo aver scoperto che il feto aveva una grave malattia genetica, ha chiesto al proprio ginecologo di interrompere la gravidanza.
Ma il medico si è rifiutato, perché "obiettore di coscienza".
E altri suoi colleghi hanno fatto la stessa cosa, costringendola a iniziare un vero e proprio calvario per poter esercitare, entro i termini, il proprio diritto di scelta, sancito dalla legge 194.
Protagonista della vicenda, Benedetta, 35enne di Ascoli Piceno.
La sua odissea sta facendo scalpore in tutto il mondo, perché al centro di un articolo pubblicato sul prestigioso New York Times, dedicato proprio alle difficoltà delle donne italiane a interrompere gravidanze indesiderate o a rischio per via dei medici obiettori (che in Italia sono il 70 per cento, con punte dell'83 in alcune regioni del Mezzogiorno).Ma la storia di Benedetta ha anche particolari inquietanti.
Come il consiglio, ricevuto in ospedale, di rivolgersi a uno psichiatra per farsi certificare di aver minacciato di uccidere il feto così da ottenere una proroga del termine legale (90 giorni) per interrompere la gravidanza.
Tempo in più per cercare uno specialista disponibile all'intervento.
Nell'intervista al prestigioso giornale della Grande Mela, la 35enne si è detta "arrabbiata e incredula" di fronte alla situazione italiana, affermando anche di essersi sentita più volte "come un contenitore, non un essere umano".

certe cose non cambiano mai la burocrazia ed i ritardi nei servizi

alla faccia della pubblicità fatta dalle poste italiane . E' inutile fare pubblicità se poi ai corsi d'aggiornamento \ di formazione non si formano gli addetti ad essere rispettosi e meno arroganti Storia del pacco di Natale arrivato un mese dopo. e questa storia scelta tra le tante , tratta da http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cronaca/ del 18\1\2016

Spedito da Mezzolombardo a Londra, secondo la tracciatura era tornato a Trento, dove però era sparito. Proteste per l’arroganza di un impiegato
di Marco Weber


L’interno di un centro postale, pieno di pacchi e corrispondenza

TRENTO. «Non solo hanno perso un pacco per la cui spedizione ho pagato trenta euro, ma un loro dipendente dell'ufficio pacchi si è permesso di dirmi che a lui del mio pacco non gli frega nulla, che hanno altro da fare che pensare al mio pacco». È veramente arrabbiato questo cittadino di Mezzolombardo che il 18 dicembre scorso si è recato nell'ufficio postale della borgata e ha spedito un pacco contenente regali di Natale (per un valore di un centinaio di euro) con destinazione Londra. Una vicenda che si è conclusa positivamente ma in tempi inaccettabili per un servizio postale. Ben dieci giorni dopo la Befana.
Ma ecco la storia dall’inizio. Dalla tracciatura del pacco, rilavabile dal sito internet delle Poste Italiane, si evinceva che il pacco era arrivato a Milano, dove doveva essere imbarcato su un aereo, ma poi non si sa perché era stato rispedito all'ufficio pacchi di Trento. Dove però a quanto pare il pacco non c'era.
«Quando ho visto su internet che il pacco risultava rispedito a Trento - afferma colui che ha spedito il pacco - non ne capivo il motivo e quindi ho telefonato per avere informazioni e spiegazioni in merito. Mi hanno detto che la tracciatura è sbagliata, che il pacco probabilmente è a Milano oppure è partito per Londra ma il pacco finora non è arrivato a destinazione e dubito arriverà mai. Lo hanno perso, oppure qualcuno lo ha rubato. Può succedere, anche se non dovrebbe succedere, ma quello che non digerisco è che la tracciatura su internet della mia spedizione è sbagliata e quindi questo servizio sbandierato delle Poste Italiane non serve a niente».
«Inoltre è assolutamente inaccettabile il comportamento di un addetto dell'ufficio pacchi di Trento: ha avuto la insolenza di dirmi telefonicamente che hanno altro da fare che occuparsi del mio pacco. Non stavo parlando con lui, ma con un'altra persone, una donna, che stava rispondendo gentilmente alle mie domande, ma la telefonata era evidentemente in vivavoce perché lui ha sentito quello che dicevo e si è intromesso dichiarando ad alta voce che hanno altro da fare che occuparsi del mio pacco. Ho chiesto il suo nome, mi ha risposto che non intendeva dirmelo. Ho chiesto alla signora con cui avevo iniziato la conversazione come si chiama il signore maleducato, anche lei non ha voluto darmelo».
Non tutti sono stati maleducati, tiene a precisare lo sfortunato cliente delle Poste Italiane, anzi nelle diverse telefonate fatte ha prevalso l'educazione, ma nessuno sapeva dov'era il pacco e nessuno sapeva spiegare perché la tracciatura sul sito internet delle Poste dicesse che era tornato a Trento, ma a Trento non c'era. «Mi hanno detto che anche con altri pacchi spediti il 18 dicembre scorso hanno avuto lo stesso problema, ovvero non sanno dove sono andati a finire, – conclude lo sconfortato utente postale – ma non è che questo mi consoli, anzi lo trovo inaccettabile: il loro mestiere è far arrivare i pacchi a destinazione. La pubblicità che vedo tutti i giorni in televisione dice che sono efficienti e gentili, che di loro bisogna fidarsi. Nel mio caso sono stati inefficienti e un loro dipendente è stato scortese e arrogante. Ho speso
trenta euro di spedizione e poi lui, che lavora all'ufficio smistamento pacchi, mi ha detto che del mio pacco non gliene frega niente».
Alla fine, come detto, la situazione si è sbloccata: il fatidico pacco è arrivato a destinazione ma solo sabato, con quasi un mese di ritardo.


la  seconda  da http://nuovavenezia.gelocal.it/venezia/cronaca/  del  16\1\2016 2016/01/16


Rialto, sfratto al carretto del portabagagli: "Altera il paesaggio"
La Soprintendenza nega il permesso in nome del decoro. Fabio: «Una vergogna»






VENEZIA. La Soprintendenza e il Comune sfrattano il «porteur». Da mesiFabio con il suo carretto accoglie i turisti all’imbarcadero di Rialto, in Riva del Ferro, e trasporta le valigie nei vicini alberghi. «Mi sono inventato un nuovo lavoro», diceva con orgoglio, «e ho tutte le autorizzazioni». Ma adesso è arrivato l’ordine di rimozione per il carretto, la piccola panchina e l’ombrellone per cui Fabio Parma aveva chiesto l’autorizzazione. Pochi centimetri quadrati a fianco dell’uscita del vaporetto di linea 2 tra tende, banchetti, stazioni di taxi e gondole, carretti del trasporto.
La lettera è firmata dalla soprintendente Emanuela Carpani. «La concessione di suolo pubblico per l’esercizio dell’attività di portabagagli», scrive la soprintendente, «costituirebbe un ulteriore aggravio per la viabilità e in particolare per le condizioni di decoro di un’area di particolare interesse paesaggistico e monumentale alterando i valori paesaggistici tutelati dalla via acquea del Canal Grande».
Alterando i valori paesaggistici? «Ma avete visto cosa c’è qua intorno?», sbotta Fabio. Maxicartelloni pubblicitari sul ponte di Rialto, tende di ogni qualità, insegne al neon, masegni danneggiati, plastiche e tende dei gondolieri. E non ultimo lo stesso pontile Actv, rifatto da qualche mese. Un blocco di ferro e cemento che occlude più di prima la vista dal Canal Grande. Un edificio che invece secondo la soprintendente «ha costituito l’occasione per il riordino e la razionalizzazione degli spazi pertinenti al pubblico trasporto». Dunque, via il portabagagli. Che offende il decoro e ostacola la viabilità.
«Un’ingiustizia, se la prendono con me, come se dipendesse dalla mia panchina di 50 centimetri il decoro di Rialto. Ho già chiesto un incontro urgente all’assessore all’Edilizia privata De Martin. E voglio parlare al sindaco. Vogliono togliermi il lavoro». Perché ricevuta la lettera di palazzo Ducale, anche il Comune ha inviato la sua lettera al portabagagli. Comunicando che il «nulla osta» rilasciato qualche mese fa deve essere modificato. Sono intervenuti dei «motivi ostativi», e in particolare il divieto della Soprintendenza che nella sua risposta si richiama al Codice dei Beni culturali approvato nel 2004, che disciplina all’articolo 134 le aree sottoposte a tutela. Per il decoro di Rialto dunque è necessario che il portabagali traslochi. Con la sua panchina, il carretto e
l’ombrellone blu che aveva posizionato a fianco del pontile taxi. Anche questo da qualche mese senza copertura dopo l’intervento della Soprintendenza. «Ma darò battaglia, quello che sta succedendo è ridicolo», protesta Fabio. Da mesi noto a Rialto come il «porteur».

Se il cancro non aspetta la legge sulle unioni civili La storia di Marina e Laura. Tra tumore, chemio e permessi negati dallo Stato. Col ddl Cirinnà in stallo, le coppie omo non hanno diritti in caso di assistenza

Se ancora , forse sarà la paura o la diffidenza di essere strumentalizzati politicamente  , prendo   da  
http://www.lettera43.it/politica/ del 17 Gennaio 2016   la  storia   d'oggi . Ma  prima di passare  al post  vero  e proprio  ne  approfitto   per    rilanciare  , serve  l'aiuto di tutti \e  per  evitare    che  per  l'ennesima volta , un tentativo  di riforma   e  di adeguamento  alle democrazie   europee   sia   insabbiato   e  affossato  . Ma  soprattutto  a specificare  che  ,  chi mi segue da tempo sia qui che sui social sa che o dovrebbe saperlo  .  io non strumentalizzo battaglie del genere e che non lo faccio per scopi politici . Infatti avrei , se un tale decreto fosse stato fatto ( paradosso italiano ) da una persona di destra. fatto la stessa battaglia . Qui si tratta di una battaglia di civiltà oltre che etica . Perchè chi ama in maniera differente da quella canonica cioè uomo e donna non debba a vere gli stessi diritti . E poi quello che conta è l'amore non importa se Gay o etero ed è questo che voglio far capire a far capire a qui capoccioni dei family day  \  sentinelle  silenziosi   che  usano  - strumentalizzano la  bibbia     con interpretazioni    capziose  . 
Ora bado alle   ciancie  a    voi l'articolo  in qiuestione

http://www.lettera43.it/politica/
17 Gennaio 2016


Se il cancro non aspetta la legge sulle unioni civiliLa storia di Marina e Laura. Tra tumore, chemio e permessi negati dallo Stato. Col ddl Cirinnà in stallo, le coppie omo non hanno diritti in caso di assistenza.di Manlio Grossi





(© Ansa) La Corte dei diritti dell'uomo di Strasburgo ha condannato l'Italia per la mancata approvazione di una legge sulle unioni civili.

C’è un misto di delusione e rabbia nelle parole di Marina Cerulli Irelli, 45enne da anni impegnata nel settore del turismo, quando racconta la sua storia e quella della compagna Laura Lerario, costretta da diversi mesi a sottoporsi a cicli di chemioterapia.
«Se fossi stato un uomo, e quindi il marito di Laura, non avrei avuto di questi problemi».
Invece tutto è iniziato in uno dei vari controlli «che facciamo noi donne ai quali ci siamo sempre sottoposte».
E che Laura, collaboratrice parlamentare di 44 anni, aveva deciso di intensificare «perché spinta dal desiderio di avere un figlio».
Nell’ultimo, però, «la ginecologa ha visto qualcosa che non andava».
OPERAZIONI INVASIVE. È iniziato così un calvario fatto di visite mediche, due operazioni, di cui la seconda molto invasiva, e sedute di chemio.
Alle sofferenze e alle preoccupazioni che solo una situazione del genere può portare, se ne sono
aggiunte delle altre dovute a un vuoto legislativo nell'ordinamento italiano.
Nonostante le due, entrambe romane, condividano tutto da quasi sei anni, per lo Stato non esistono come coppia.
Non hanno diritti di nessun tipo, se non come singoli. 
NIENTE LEGGE 104/1992. Proprio a causa della mancanza di una normativa in materia di diritti civili Marina non ha potuto, come invece le sarebbe stato permesso se fosse riconosciuta come coniuge di Laura, usufruire della legge numero 104 del 5 febbraio 1992.
Quella che permette a un familiare di una persona affetta da una invalidità permanente o temporanea di utilizzare permessi retribuiti per dare assistenza alla persona in difficoltà.
TRE PERMESSI AL MESE. Questa possibilità di assentarsi dal lavoro per tre giorni al mese, frazionabili anche in permessi a ore, spetta a uno dei genitori, al coniuge o a uno dei parenti fino al secondo grado, esteso in situazioni particolari anche ai parenti e agli affini di terzo grado.Per la legge numero 104/92 quindi Marina, come lei stessa ripete con amarezza, non esiste.Ferie presto esaurite per stare accanto alla compagna



(© Imagoeconomica) Il ddl Cirinnà sulle unioni civili approda in Aula il 28 gennaio 2016.

Non ha potuto utilizzare questi permessi retribuiti, ma è stata comunque accanto a Laura nel momento del bisogno.
Per accompagnarla e assisterla durante i ricoveri e le sedute di chemio, Marina ha iniziato a usufruire delle sue ferie che però sono presto terminate.
«Un giorno mi sono trovata nella impossibilità di poterla accompagnare perché non avevo più giorni da prendere. Sono andata dal capo del personale e ho esposto la mia situazione».
AZIENDA COMPRENSIVA. Non le piace considerarsi fortunata, ma comunque Marina dall’altra parte ha trovato comprensione.
L’azienda in cui lavora le ha concesso permessi, non retribuiti, anziché accettare la sua proposta di passare a una tipologia di contratto part-time, sicuramente meno vantaggiosa per lei.
NON C'È TEMPO DA PERDERE. Superato anche questo scoglio, Marina ha continuato in tutti questi mesi ad accompagnare Laura nelle sue sedute, senza lasciarla da sola un attimo.
Lei il cancro lo conosce bene: si è portato via sua madre, mentre suo padre è riuscito a sconfiggerlo.
«Quando è successo a Laura, non aveva nessuna voglia di affrontare la cosa. Mi diceva di aspettare perché aveva bisogno di elaborare, ma io sapevo che non c’era tempo. Mentre lei elaborava, io mi organizzavo».
In Italia ci sono 7.513 coppie di persone dello stesso sesso

(© Ansa) Monica Cirinnà, la senatrice del Partito democratico che dà il nome al disegno di legge sulle unioni civili

La situazione che Marina e Laura stanno vivendo potrebbe però riguardare anche altri.
Secondo l’ultimo censimento Istat in Italia ci sono 7.513 coppie formate da persone dello stesso sesso.
In attesa che il disegno di legge Cirinnà venga approvato, al momento non hanno nessun tipo di riconoscimento come coppia.
Neanche quello di assistere il partner in caso di malattia.
«PRIMA ERO TUTELATA». A far crescere la rabbia di Marina c’è anche qualcosa in più.
«Ho avuto un matrimonio prima di conoscere Laura, vengo da una situazione con tutte le tutele. Io sono la stessa, solo che prima avevo il diritto a delle tutele e adesso non conto niente. Perché? A te, Stato, cosa importa con chi sto?».
Con una legge come il ddl Cirinnà in discussione in Senato il 28 gennaio, Marina e Laura potrebbero ricorrere all’unione civile e ciò darebbe loro il diritto a usufruire della legge 104/1992.
BATTAGLIA LEGALE TROPPO LUNGA. Il senso di ingiustizia le ha portate anche a pensare di intraprendere una battaglia legale per il riconoscimento di quelle tutele.
A frenarle però è stata la consapevolezza che i tempi burocratici della giustizia sarebbero stati lunghi.
E le sedute di chemioterapia non potevano certo attendere la decisione di un tribunale.


Twitter @ManlioGrossi

Rahma contro l’Algoritmo: una ragazza tunisina contro gli stereotipi dell’AI

da https://it.insideover.com/   Rahma  ha quindici anni, lunghi capelli neri ricci e occhi scuri. La faccia pulita, senza trucco né inga...