Alla prima sonmo particolarmente legato essendo un trapiantato d'organo , d cornea per la precisione e qui sono cosa vuol dire .
TURRIACO. Ha donato un rene alla moglie per permetterle di vivere. Lui è
Valentino, lei Valentina. Già i nomi basterebbero... Nomi che
raccontano una storia d’innamorati. Fatti uno per l’altro, senza
esitazioni. Perché i coniugi Pizzamiglio possono urlare
al mondo intero il loro amore, temprato da un’esperienza delicata e
drammatica. È una storia a lieto fine, da condividere con tutti.
Valentina nel 2007, dopo aver appena superato l’esportazione di un
adenoma ipofisario, scopre di essere in insufficienza renale. Ha 35
anni. Forse la malattia l’accompagna sin da bambina ma la scoperta
avviene a quell’età. È una donna giovane, sposata e con figli.
Valentina, originaria di San Canzian d’Isonzo, viene subito seguita dal
dottor Massimiliano Martone nel reparto di Nefrologia e Dialisi dell’ospedale di Gorizia. Inizia il suo percorso.
L’avanzamento della malattia doveva essere lento e progressivo ma, a
seguito di terapie e diete per nefropatici, l’insufficienza renale
presto arriva all’ultimo stadio. Nell’agosto del 2015, la donna si vede
costretta alla dialisi peritoneale: tutte le notti si collega con un
catetere dall’addome a una macchina che la depura. «Una vera tortura...
Un trattamento di nove ore distesa sul letto, con tutte le precauzioni
igieniche e sanitarie necessarie ovviamente» racconta Valentina. Che non
si dà per vinta. La speranza è di poter effettuare un trapianto di
rene. Serve un donatore ma non è un intervento così automatico e
semplice. «Mio marito Valentino si è subito proposto per l’eventuale
donazione - racconta - e dopo mesi d’infiniti esami atti a verificare la
nostra compatibilità, è arrivata la tanto attesa risposta: si poteva
fare».
Lo scorso 7 dicembre Valentina e Valentina partono per Padova e il 9 la
coppia viene sottoposta a un delicato intervento: alle 16 del
pomeriggio il rene di Valentino è già dentro il corpo di sua moglie e,
come racconterà il chirurgo dopo l’operazione «... è partito come un
treno». Una frase che ha fatto piangere parenti e amici. Lacrime di
gioia e di sollievo.
La coppia ora è rientrata a Turriaco, dove risiede, e tutto procede per
il meglio. «Il percorso è ancora un po’ lungo - spiega Valentina -
perché ci saranno ancora tanti controlli. Ma sto bene, mi sento rinata,
so che potrò essere di nuovo una persona normale ma soprattutto sono
consapevole che la mia vita la devo a mio marito. Il suo gesto d’amore è
stato un qualcosa d’indescrivibile che, ancora una volta e ancora di
più, mi ha testimoniato la sua unicità, la sua sensibilità, il suo
coraggio e la sua protezione».
Il dono di un rene come gesto d’amore. Assieme all’aiuto di tante
persone. «Mi sento di rivolgere un particolare ringraziamento - dice
Valentina - al dottor Martone che mi ha sempre seguita e appoggiata e
che mi seguirà in futuro. Al professore Paolo Rigotti, alla dottoressa Lucrezia Furian e a tutta l’equipe dell’Azienda ospedaliera di Padova
dove siamo stati operati. Un grazie va alla mia mamma che ci ha
assistiti e che continua anche nella convalescenza. Un merito a mia
figlia Andrea che ci è stata sempre accanto, sopportando i momenti
tristi e aiutandoci con i suoi sorrisi e gesti d’affetto».
DOLO. Le speranze erano ridotte al lumicino, e per i medici il destino
di quel feto era tragicamente segnato. Sandro Giorgiutti e la moglie
Federica si sono rifugiati nella fede, recandosi a Malo, nel vicentino,
al santuari di Santa Libera, la Madonna della Maternità. Il feto è
perfettamente guarito. E sei mesi dopo è nata Giulia, una bella bimba
che oggi ha 5 anni. «Un miracolo» ha detto il parroco di Malo di
Giuseppe Tassoni, che nell’omelia di domenica, ha raccontato al storia
della coppia residente ad Arino di Dolo.
«Mia figlia Giulia sarebbe dovuta nascere con una gravissima
malformazione, invece progressivamente, dopo essere andati in
pellegrinaggio al santuario della Madonna della maternità di Malo, la
sua malformazione che ci era stata diagnosticata dopo una ecografia, si è
ridotta fin quasi a sparire. Un fenomeno che i medici hanno detto di
non saper spiegare». A parlare a cinque anni di distanza dai fatti è
Sandro Giorgiutti, il papà della piccola Giulia, che abita ad Arino di
Dolo in un residence poco distante dalla chiesa del paese.
Sandro fa l’operaio al Petrolchimico di Porto Marghera e ha una grande
passione per la musica rock. La moglie Federica lavora in un bar a
Spinea. «Neanche io ero un grande credente prima che mi capitasse ciò
che è capitato», confessa. «Ma io e mia moglie volevamo un figlio.
Avevamo perso un bambino, poco prima che Federica restasse incinta di
Giulia. Alla prima ecografia della bimba, verso i 4-5 mesi di
gravidanza, ci venne subito detto dai medici che il feto aveva gravi
problemi di salute. I medici ci convocarono e ci spiegarono che c’erano
delle grosse cisti sul fegato e in altre zone del corpo, che
pregiudicavano la vita della nostra bambina. Eravamo disperati, abbiamo
consultato diversi medici, ma tutti ci davano lo stesso responso».
Giulia sembrava destinata a non venire al mondo, ad nascere con gravi
malformazioni. «Mia mamma», prosegue Sandro Giurgiutti, «è una
catechista, fervente credente, e mi ha consigliato di andare a pregare
nella chiesa dedicata a Santa Libera a Malo, la protettrice delle
partorienti. Allora ci siamo recati al santuario, e abbiamo pregato per
la guarigione della nostra bambina».
Dopo il primo pellegrinaggio nel Vicentino, le notizie sorprendenti non
si sono fatte attendere. «Dopo qualche giorno le ecografie di
controllo», racconta il papà, «hanno dato risultati incredibili. Le
malformazioni si erano ridotte in modo inspiegabile. Abbiamo continuato
ad andare a Malo e a tenere per noi questo sconvolgente segreto. Via
via, mese dopo mese, tutte le malformazioni e le cisti erano sparite e
alla vigilia del parto il feto era in perfetta salute».
A dicembre del 2010, all’ospedale di Mirano, è nata così Giulia. «È
stato un parto cesareo», continua il papà, «e ci ha regalato la nostra
bella bimba, in piena salute. Dopo qualche giorno dalla nascita ci siamo
recati con la piccola a rendere grazie alla Madonna, per questo grande
dono che ci ha fatto. Abbiamo voluto anche voluto fa battezzare la
nostra piccola nella chiesa di Malo il 12 giugno del 2011 da Don
Giuseppe Tassoni, un parroco a cui siamo ancora profondamente legati. Di
questa storia non abbiamo mai voluto parlarne anche come segno di
rispetto, di riconoscimento per un dono così grande che ci è stato fatto
dal cielo, e che ci ha reso immensamente felici».
la terza storia non è una novità visto che errori simili ne capitano a iosa ma va raccontata perchè come sempre succede per imediare accorrono mesi e << per chi prende una pensione da nemmeno 500 euro anche un
mese fa la differenza >>. Ma sopprattutto la cosa assurda è che devi essere tu a rimediare con
certificati ed atri atti burocratici ai loro ..... di errori . E
a chi commette l'errore ( comune , inps, segretari ) loro non gli li fanno pagare .Se ogni volta che facessero un
errore del genere gli togliessero una parte dello stipendio
tranquilli che tali ... non ne farebbero più o se ne farebbero di meno
GROSSETO. Quando è andata all’Inps a chiedere come mai sul suo conto
corrente non c’era ancora la pensione che da anni riceve ai primi di
ogni mese, a stento è riuscita a credere alle sue orecchie. «Signora,
lei risulta deceduta», è stata la risposta.
Ad essere superstiziosi c’è da correre a procurarsi un cornetto rosso e
appenderselo al collo. I più sardonici potrebbero prenderla a ridere:
pare che nominare il trapasso allunghi la vita... Per la diretta
interessata, una signora alle soglie dei 66 anni, la notizia è stata uno
choc. Quella che le è stata tolta, infatti, non è certo una “pensione
d’oro” da sguazzarci dentro, ma una piccola pensione da nemmeno 500 euro
al mese (465,09, per la precisione) per inabilità al lavoro che a lei,
malata da tempo e senza altre fonti di reddito – a parte la pensione,
ancora più piccola, del marito – rappresenta l’unico sostentamento.
Insomma, davvero niente da ridere. «Il 4 gennaio mia madre è andata in
banca a ritirare la pensione – racconta la figlia della donna che, per
ragioni di riservatezza, preferisce non comparire – ma l’accredito non
risultava. Il giorno dopo c’è tornata e i soldi ancora una volta non
c’erano. Allora è andata all’Inps a chiedere il perché di questo
ritardo».
È qui che, facendo una verifica al computer, il personale dell’ufficio
grossetano ha fatto l’incredibile scoperta: la signora, per l’Inps,
risultava deceduta e quindi la sua pensione era stata sospesa. «Ci hanno
detto che l’Anagrafe del paese natale di mia madre aveva inviato la
comunicazione della morte e che automaticamente la pensione era stata
cancellata – spiega ancora la figlia – Così abbiamo chiamato l’Anagrafe,
ma a loro non risulta di aver fatto alcuna comunicazione del genere».
Anche al Tirreno l’ufficio Anagrafe conferma di non aver inviato
comunicazioni del genere. Forse l’ha fatto un altro Comune con
un’omonima della signora? Cosa abbia generato l’errore non è chiaro.
Fatto sta che l’errore c’è stato e a pagarne le conseguenze è una
signora che soffre di diverse malattie gravemente invalidanti e che, per
la propria salute, dovrebbe evitare ogni stress. Ma purtroppo per lei
lo stress ha subito, se possibile, un’impennata ancora più grande.
Se, infatti, per un errore del genere c’è rimedio, in questo caso alla
velocità fulminea con cui l’Inps ha cancellato la pensione della signora
non corrisponde altrettanta rapidità nel rimettere le cose come
stavano. Insomma, a due settimane di distanza non è stato ancora
possibile sbloccare la pratica e versare la legittima pensione.
Per questo la famiglia della signora si è rivolta a un avvocato, Clara
Mecacci, che come prima mossa ha inviato una richiesta all’Inps,
segnalando che la sua assistita stava subendo «gravissimi danni
patrimoniali e non, che incidono anche sul suo diritto alla salute» e
chiedendo che la pensione le venisse ripristinata nel giro di pochi
giorni.
L’Inps ha riconosciuto che c’è stato un errore ma ha spiegato che non è
possibile ripristinare una pensione che sia stata eliminata e che, per
“creare” una nuova pensione, occorre più tempo. «È una vicenda che ha
dell’incredibile – spiega Clara Mecacci – Ok, è stato fatto un errore.
Ma cosa ci vuole a sistemare le cose?».
A quel punto Mecacci ha presentato un ricorso d’urgenza al giudice del
lavoro, con la richiesta, oltre che della pensione, anche degli
interessi e dei danni subiti dalla sua cliente, e lamentando di non aver
avuto dall’Inps un’indicazione precisa sui tempi. concludioampedita una raccomandata all’Inps
Al Tirreno
l’Inps conferma che la pratica non è immediata. «Le comunicazioni di
decesso arrivano telematicamente – dice l’Istituto di previdenza – e,
una volta eliminata, una pensione non può essere ripristinata solo
premendo un bottone. Occorre fare una nuova liquidazione ab origine
riconteggiando tutte le quote riscosse. La sede grossetana si è
attivata per lavorare tempestivamente sulla nuova pratica, ha già fatto
il conteggio e la pratica viene monitorata per assicurarsi che
l’operazione sia andata a buon fine. Al 99 per cento la pensione,
ricalcolata, verrà erogata il 1º febbraio; se così non fosse sarà
comunque una pensione provvisoria».
A quel punto per la pensionata sarà passato un mese senza vedere il
becco di un quattrino. «Loro parlano bene – conclude con amarezza la
figlia – ma per chi prende una pensione da nemmeno 500 euro anche un
mese fa la differenza»
sbolliam la rabbia con una storia sepre in ambito sanitario ma più allegro che dimostra come non tutti gli italiani , nonostante la deriva sempre più exenofoba e di diffidenza verso gli stranieri , ad esempio
#Torino. Una mazza da baseball è la provocazione del candidato di centrodestra Luca Olivetti: "Se sei venuto
c'è chi non lo è ed è solidare con loro . Peròla cosa straan e che si è solidale solo quando sono integrati . la vera soidarietà è
da
http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/ del 18\1\2016
Le mamme come angeli aiutano la bimba malata
Cicognara. Due anni e mezzo,
figlia di immigrati e operata per un tumore. Solidarietà e turni per
accompagnarla alle cure. «Ci si stringeva il cuore»
VIADANA. Gli occhioni della bimba guardano nel vuoto mentre i sorrisi
di chi le sta attorno cercano di donarle un po’ di calore. Lei ha due
anni e mezzo e nessuna colpa. Appena nata le hanno diagnosticato un
tumore al cervello. Una tragedia che ha colpito una famiglia dignitosa.
Immigrati, provenienti da un Paese lontano. Di religione diversa dalla
maggioranza dei loro vicini di casa. Ma che hanno trovato nella comunità
cicognarese il bene più prezioso: l’umanità. Perché, quando si è saputo
della malattia della bimba e della difficoltà della famiglia, c’è chi
ha gettato dietro le spalle ogni pregiudizio ed ha guardato solo al bene
della bimba che oggi viene regolarmente accompagnata alle cure da una
catena di mamme: angeli che se ne fanno carico senza chiedere nulla in
cambio.
Tutto nasce a settembre scorso quando il parroco di Cicognara don Andrea Spreafico,
che gestisce la chiesa che fu di don Mazzolari, racconta delle
difficoltà di questa famiglia. La bimba è nata malata, è stata operata,
ma il male ha ritardato la sua crescita. Non cammina e ha bisogno due
volte la settimana di fare attività fisiatrica, di riabilitazione fisica
all’Asl di Viadana. La mamma non ha la patente ed in casa c’è un altro
figlio, un bimbo che va a scuola alle elementari e che patisce per la
sorellina. Il padre lavora in un’azienda della zona, ma non riesce a
prendere due permessi lavorativi alla settimana. L’azienda con lui ha
chiuso un occhio finché ha potuto, ma la situazione non può andare
avanti più di tanto. La famiglia si è così rivolta al Comune chiedendo
un accompagnamento, ma sinora non ha ricevuto risposte positive alla
domanda.
Le parole di don Andrea cadono come semi in un terreno fertile. Alcuni
parrocchiani decidono di darsi da fare. In particolare alcune mamme, fra
le quali una che ha la figlia della stessa età. «Ho pensato: ma se
fosse capitato alla mia bimba? Mi si stringeva il cuore, perché sono una
mamma anch’io. E non sono certo stata a pensare al fatto che fossero
immigrati, musulmani o quant’altro. Se avevano diritto o meno. Queste
cose si fanno, punto e basta. Sulle prime, assieme a mia madre, ci siamo
organizzate in modo da dare un aiuto».
Le necessità sono tante. La carrozzella che era stata data dall’Asl non
andava bene, perché troppo pesante per essere manovrata da una donna.
Così si decide di comprare alla bimba una carrozzina adeguata. Servono
poi auto un po’ grandi per caricare la bimba, la madre e il passeggino e
infine la disponibilità di tempo il martedì e il venerdì mattina. «Le
portiamo all’Asl di Viadana alle 11 e le andiamo a prendere a
mezzogiorno – spiega una delle mamme –così da settembre a questa parte.
Ci diamo il turno, ma speriamo che qualcuno aiuti questa povera bimba e
la sua famiglia che con dignità sta vivendo questa situazione terribile»