13.3.21

I nostri governanti maestri di ignoranza

leggendo i  giornali    con   https://www.medialibrary.it/home/index.aspx con  ho   letto  su    Libero  ogni  tanto    è  utile   --- anche    se   si conosce  già  ---    leggere  quello  che dicono  i  giornali (  anzi  gli pseudo  giornali ) ,  i  due   articoli che    trovate  sotto  . 

Il  primo   

Ora   Crepet    non ha  tutti   i  torti   perchè Dad  o  non Dad   se uno\a  non fa  un  ....  nemmeno   il minimo      dev'essere  bocciato  . Ma la    ver a  ignoranza   è dovuta  alla  nostra  classe politica      cioè a quelli   che dovrebbero  curare  l'istruzione    della  popolazione  .  

Infatti    a  confermare  ciò  è i secondo  articolo  

Ora   premetto   che  detesto non  la  persona in se  ,  in quanto è  un caso umano  ,  ma  la  sua ideologia  ed modo  fazioso   che questo  giornalista  (   per  essere buoni   ed non infierire  troppo )   ha   di  esporre    i  fatti   e di     e vedere      solo la  pagliuzza   del suo avversario  ed  non la trave   che    esso  ( ed  il  suo padrone   \  referente  politico   ha )  per  ulteriori dettagli vedere  la sua    biografia  qui  su  wikipedia     .
Ma   non riesco a  biasimarlo completamente  in quanto anche la  merda    ed  i  qualunquismo    contiene      un po'  di verità 

 

I nostri governanti maestri di ignoranza

L’attuale classe dirigente è composta da incompetenti che sproloquiano su tutto. La zucca vuota, ma di successo, è il modello proposto alla gioventù

L’umanità ha riconosciuto dai primordi di avere un nemico: l’ignoranza. Ha sempre cercato di emanciparsi da essa per non consentire alla natura e ai prepotenti di sottomettere la brava gente. È sempre stato così. Fino all’arrivo di Di Maio e dei grillini al Potere. Dopo di che l’ignoranza è diventata un titolo di merito, una conquista agognata sul divano, la prova di una purezza adamantina. (...)

Personalmente ho sempre ritenuta diabolica la pretesa della scienza di impadronirsi del mistero dell’essere. Diabolica e persino ridicola. Non c’era bisogno del Covid e delle baruffe gallinacee tra virologi per scoprirlo. Gli scienziati sono in corsa per darci l’immortalità, ma non sono ancora riusciti a curare la calvizie e il raffreddore. Ma non è un buon motivo per l’instaurazione della dittatura dell’ignoranza, come forma di governo vigente in Italia. Non bisogna confonderla con la confessione di Socrate: «So di non sapere», perché quella era lealtà dinanzi all’infinità dei mondi. Esprimeva la consapevolezza del limite e subito la voglia di andare oltre l’orizzonte, aprendosi all’avventura mai appagata di «virtute e canoscenza», per la quale nacque Ulisse e noi con lui.

Qui siamo invece alla prevalenza del “buon selvaggio” e alla affermazione della superiorità morale e intellettuale del vuoto mentale conclamato come passaporto per essere classe dirigente. Guai a rovinare con lo studio la foresta vergine e riccioluta come le chiome di Toninelli e della Taverna. I social ma anche i talk show sono dominati dalla filosofia dell’uno vale uno. L’opinione sulle origini del virus dell’analfabeta, ma deputato, dunque portavoce del popolo, vale più del giudizio del professor Giuseppe Remuzzi, in odore di Nobel della medicina. Uno uguale uno vuol dire dittatura dell’ignoranza. Il primo teorico della faccenda fu Jean Jacques Rousseau che, inconsapevole di poter essere due secoli dopo trasformato in piattaforma da Casaleggio, era un filosofo e persino un educatore, anche se siamo certi si sarebbe sparato se avesse intuito che cosa avrebbero fatto dell’Italia le sue idee in mano a Grillo. Sosteneva che la “volontà generale” esprimesse la verità. Essa è stata tradotta come volontà della Rete. Risultato: la tabula rasa. Non è additata quale modello la competenza esito della fatica e premiata per questo; è la zucca vuota ma di successo ad essere proposta come esempio alla nostra gioventù.

IL CERTIFICATO DI BATTESIMO

Come ha scritto Antonio D’Anna su Italia Oggi l’unico titolo di studio che non è biasimato è il certificato di battesimo, anche perché nessuno ti può incolpare di aver sgobbato e passato notti insonni per ottenerlo. Siamo portati - e la mia modesta prosa lo dimostra - a scherzarci su. Ma è una tragedia della civiltà. E questo stato di cose è insieme esito e causa dello stato di crisi se non di coma delle agenzie educative. La famiglia, la scuola, la Chiesa, lo Stato, l’esercito sono stati, e dovrebbero tuttora essere, le forme con cui gli individui associandosi consegnano l’eredità di valori e conoscenze alla generazione successiva. I giovani per salire sulle spalle di chi li ha preceduti devono arrampicarsi, giocando la loro libertà: per sviluppare o negare la proposta dei padri e delle madri, dei maestri e dei preti. Si annega tutti nel mar nero dell’uno vale uno, cioè zero, che è il nome della cultura prevalente: il nichilismo. Che non è colpa dei ragazzi ignoranti, ma degli adulti che non hanno saputo accendere la fiaccola affascinante di una bellezza e di una conoscenza da attingere come acqua nel deserto. È uscito un libro illuminante: Sotto il segno dell’ignoranza ( Ed. Egea, pagg. 184, € 22) di Paolo Iacci, che non è un filosofo teoretico ma uno che sta in trincea, grande esperto in gestione delle risorse umane. La prima riga del volume è lapidaria: «In Italia vige la dittatura dell’ignoranza». Quel che segue è una fotografia tremenda. «Questa è la nuova questione morale del Paese. La classe dirigente ha da tempo abdicato a favore di una orda di incompetenti che stanno occupando i posti di potere e che si approfittano della volontà di cambiamento diffusa nel Paese per occupare indegnamente i principali posti di responsabilità».

Dopo di che è arrivato Mario Draghi, che è tutto meno che incompetente e negazionista dei congiuntivi. Esaudendo l’invocazione disperata di Berlusconi a Mattarella e al buon Dio si sarebbe cambiato paradigma. Speranza assai tenue. Il catrame della divina ignoranza ha inzuppato i gangli vitali della società e i meccanismi di selezione della classe politica. La dittatura dell’analfabetismo intellettuale e morale allunga ancora i suoi tentacoli abbrancando poltrone e leve di comando. Tant’è che Draghi e Mattarella hanno “dovuto” stendere il tappeto del governo perché sia calpestato dagli zoccoli di alcuni campioni dell’asineria. Non verrà dai vertici la riparazione del modello (dis)educativo regnante. Si deve ripartire dal basso, dalle famiglie, dalla scuola, dagli oratori. Dal popolo insomma. Campa cavallo.



  concludo    con    gli   ultimi  versi  


Voglio sperare che il mondo torni a quote più normali \che possa contemplare il cielo e i fiori\che non si parli più di dittature \se avremo ancora un po' da vivere... \ La primavera intanto tarda ad arrivare.
  di     questa  canzone  




  alla  prossima

12.3.21

anche l'amore può diventare schiavitù . Ucraina, incatenati l'uno all'altro da un mese: l'esperimento per salvare la loro storia d'amore

 Litigavano e si lasciavano continuamente finché non hanno deciso di legarsi l’uno all’altro, fisicamente. Sono due giovani ucraini, Alexandr Kudlay, 33 anni, e Viktoria Pustovitova, 28. Una catena unisce i polsi di questa coppia dal giorno di San Valentino con risultati, assicurano loro, molto positivi. "Le liti tra di noi non sono scomparse - racconta Viktoria all'agenzia Reuters - ma quando ci avviciniamo a un punto di non ritorno, smettiamo semplicemente di parlare invece di impacchettare le nostre cose e andare via. Dopo un paio d'ore la rabbia svanisce". Le difficoltà quotidiane non mancano e nessuno ha più un momento di privacy, ma i due cominciano ad abituarsi.

                 A cura di Sofia Gadici


secondo quando dice  il  sito   https://nonelaradio.it/


La catena è a maglia stretta ed è sigillata in modo che non si possano liberare. Alexander e Vika dovranno trascorrere in catene ben 3 mesi.
Quest’anno, Alexander e Viktoria, una giovane coppia ucraina, ha deciso di festeggiare San Valentino in modo un po’ diverso dal solito e si è incatenata per tre mesi. Il 14 febbraio i due si sono recati a Kiev per farsi incatenare. Il loro obiettivo è essere letteralmente uniti in ogni momento. Ciò include dormire, fare il bagno insieme e, ovviamente, anche andare in bagno insieme. “Stiamo facendo questo per raggiungere un record”, ha dichiarato Alexander ai giornalisti ucraini. “Siamo legati da una catena in ferro che unisce ogni parte della nostra giornata. Il collegamento finale sarà il sigillo del registro nazionale dei record”.
La giovane coppia si è detta fiduciosa di riuscire a durare tre mesi incatenata. Nel caso in cui decidessero di separarsi e rinunciare al loro obiettivo, avranno bisogno di qualcuno che tagli la catena con uno strumento apposito.

Vitaly Zorin, rappresentante del registro nazionale dei record dell’Ucraina, ha affermato di aver verificato che Alexander e Viktoria fossero “sani di mente” prima di accettare di supervisionare il loro esperimento romantico. Il giorno di San Valentino la coppia ha deciso di far chiudere la catena da un vero saldatore, davanti alla statua dell’Unità, a Kiev, come simbolo del loro impegno reciproco

11.3.21

I cavallini dell'artista Nivola rimossi a New York, la Sardegna denuncia: "Scempio culturale"

  da   repubblica  10 MARZO 2021

I cavallini dell'artista Nivola rimossi a New York, la Sardegna denuncia: "Scempio culturale"

La più importante opera pubblica del maestro sardo, realizzata nel 1964 per il parco giochi delle Wise Towers, è stata rimossa per un intervento di "rinnovamento urbano". Ora il Consiglio regionale della Sardegna ne chiede la restituzione





"I cavallini di Nivola, ispirati ai cavalli a dondolo dell'infanzia e alla statuaria orientale, sono stati rimossi, le gambe spezzate da colpi di mazza”. Con questa immagine la dirigenza del museo Nivola di Orani, paese natale del grande artista sardo, ha voluto denunciare con un post su Facebook cosa è accaduto alla più importante opera pubblica del maestro a New York: il playground delle Wise Towers, realizzato da Costantino Nivola e Richard Stein nel 1964, è stato distrutto.

“Non si tratta di vandali, ma di un progetto di "rinnovamento" dell'area” si legge ancora nel post, e di seguito: “Dopo la mostra Nivola. Figure in Field alla The Cooper Union nel 2020 e in attesa della mostra Nivola. Sandscapes al Magazzino Italian Art questo atto di vandalismo istituzionale appare inspiegabile e scellerato. La riqualificazione delle torri, attesa e benvenuta, può e deve essere realizzata nel rispetto della storia e dell'arte”. Avvertendo che il Museo Nivola, insieme alla famiglia dell'artista sta cercando di contattare i responsabili dell'intervento edilizio per recuperare le opere rimosse e limitare il danno, i responsabili hanno chiesto di condividere il messaggio, perché “La conoscenza è la migliore difesa contro l'oblio”.

Il playground delle Wise Towers con la traccia delle statue rimosse (foto dal profilo Facebook del museo Nivola di Orani)





L’appello non è caduto nel vuoto, anzi è approdato nell’aula del consiglio regionale della Sardegna. Il consigliere dei Progressisti Massimo Zedda ha invitato l'Aula a far sentire la sua voce presso il ministero dei Beni culturali e la presidenza del Consiglio dei ministri: "È necessario contattare subito il consolato di New York per capire che fine faranno le statue rimosse", spiega l'ex sindaco di Cagliari.

Il presidente dell'Assemblea Michele Pais assicura che "il Consiglio regionale metterà in atto immediatamente tutte le azioni necessarie per tentare di arginare questo scempio culturale che non rispetta l'arte: ci attiveremo immediatamente presso il ministero per capire se la rimozione possa essere fermata e se sia possibile recuperare le opere, alcune delle quali sono state devastate. È un massacro che colpisce al cuore la nostra cultura. Lavoreremo per riportare in Sardegna quel che resta dei 'cavallini' di Nivola". La senatrice della Lega Linetta Lunseu afferma di aver già contattato a proposito il l sottosegretario Borgonzoni, che “ha assicurato la massima attenzione alla vicenda”.



Si aspettano ora le reazioni americane, sperando che le opere siano recuperabili e i danni possano essere almeno parzialmente riparati.
Nato ad Orani, vicino Nuoro, nel 1911, in una famiglia di muratori, Nivola frequentò l'Isia di Monza con una borsa di studio, per poi divenire direttore dell'ufficio grafico della Olivetti. Emigrato in Francia prima e poi negli Stati Uniti per via delle leggi razziali (la moglie Ruth Guggenheim era di origine ebraica), negli Usa ebbe una fruttuosa e fortunata carriera artistica, tornando spesso in Sardegna sia per collaborazioni artistiche sia per commissioni pubbliche, fino alla morte nel 1988. Il museo Nivola di Orani conserva la più importante collezione delle sue opere.

9.3.21

Ladri di portafogli pentiti

  da   https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/  del 7\3\2021

Dopo 33 anni gli restituisce i soldi rubati
Una lettera anonima e 200 euro sono stati spediti a Fabrizio Bassetto. "Chiedo scusa, mi vergogno di quello che ho fatto"

Non aveva fatto i conti col tarlo del rimorso l’anonimo bolognese che pochi giorni fa ha chiuso 200 euro in una busta, ha scritto poche righe di scuse ed ha spedito la raccomandata all’indirizzo attuale dello studente che il 16 febbraio 1988 sul ponte di San Donato perse il borsello che conteneva 90mila lire e i documenti di Fabrizio Bassetto, allora studente all’Università di Bologna

Fabrizio Bassetto mostra la busta che conteneva la lettera di scuse e il denaro

 Lui, il destinatario di questa sorprendente missiva, oggi ha 56 anni, nel frattempo ha fatto in tempo a laurearsi, a mettere su famiglia, trovare lavoro (oggi è titolare dell’agenzia Tecnocasa di Crespellano), impegnarsi in politica (è stato assessore alla Scuola nel Comune di Bazzano) e continuare l’attività associativa (oggi è presidente provinciale di Anama-Confesercenti). "Quella sera ero andato ad una festa di Carnevale, nell’euforia persi il portafoglio con i soldi e tutti i documenti -racconta-. Fu un colpo, mio padre mi aveva appena mandato le 100 mila lire che servivano al mio mantenimento per due settimane. Poi c’erano i documenti". Fece tante volte avanti e indietro la strada percorsa. Ma inutilmente.Pochi giorni dopo i carabinieri di Marostica (il paese del Vicentino del quale è originario) chiamarono la famiglia per restituire i documenti che nel frattempo erano stati ritrovati. Cos’era successo? Lo ha scritto l’anonimo bolognese (forse anche lui all’epoca studente squattrinato) nel biglietto che ha accompagnato la busta con i 200 euro spedita dopo 33 anni dal fatto: "Quella sera trovai un portafoglio. Conteneva 90mila lire e i suoi documenti. Rubai i soldi e getti i documenti in una cassetta delle lettere. Le rendo (in parte) il maltolto. Non mi presento personalmente per la vergogna e perchè se lei decidesse di darmi un pugno in faccia non potrei che tenermelo, zitto e muto. Le chiedo scusa".Un foglio bianco, una busta per raccomandata, nessun indizio del mittente. "Per me la questione era finita lì. Ci rimasi male. Ma poi passò. E devo dire che questo gesto e questa lettera per me è di una bellezza infinita. Testimonia comunque una nobiltà d’animo che mi ha commosso. L’ho perdonato da tanto tempo, ma ora lo vorrei conoscere, abbracciare, ringraziare per questo gesto. Ha vissuto con questo senso di colpa per 33 anni e alla fine ha fatto una scelta che lo riscatta completamente".


                                       Gabriele Mignardi 

Eppure, a leggere tutta la cronaca nazionale, sorge una teoria. Infatti  Qualche tempo fa, in settembre, a Venezia, successe una cosa simile al fatto citato  prima    citato 

Un uomo si è visto recapitare una busta con 200 euro, la somma che gli era stata sottratta, in lire, quarant’anni prima. Lo stesso fatto è avvenuto a macchia di leopardo in tutta Italia e la cifra è sempre quella: 200 euro. Gli stessi soldi girano, a distanza di anni, in pochi mesi. Ricordate il film Ladri di biciclette? L’uomo a cui è rubata una bici, ruba una bici. E se decenni fa fosse iniziata una catena di furti da 200 euro? Il primo derubato si rifece su un secondo e così via. Poi durante la solitudine da pandemia uno dei tanti che si erano appropriati dei 200 euro ha uno scrupolo. Restituisce a chi li aveva tolti, che restituisce a chi li aveva tolti e avanti così, in attesa di un segno. Avanti fino a una donna di Valladolid, Laura Reinoso, che trova un portafogli con 200 euro, lo restituisce e 7 giorni dopo vince 75mila euro alla lotteria.
                       dalla rubrica del quotidiano la repubblica  la prima cosa bella 9\3\2021

Miracolo un presidente che si comporta come i comuni mortali e non fa prevaricazioni usando il potere e il potere ringraszia i suoi giullari e musici ma non ringrazia le sue geisha.. ehm.. olgiatine

un presidente che si comporta come i comuni mortali e non fa prevaricazioni usando il potere per passare prima per la vaccinazione . Ed la sottosegretaria alla cultura una che si vanta che sono tre anni che non legge un libro ringrazia ed assume un giullare e ops menestrello leghista del papete . Insomma un potere che fa favori a tutti ma stranamente non ringrazia le sue geisha ... ehm ... #olgiatine che ingrato .

Ecco i fatti in questione

Potrebbe essere un'immagine raffigurante una o più persone, persone in piedi, persone sedute e spazio al chiuso
Fa scalpore che, stamane, Mattarella abbia fatto il vaccino, rispettando la fila come tutti.
L’Italia è così: le cose che all’estero sono normali, da queste parti vengono elevate come straordinarie.

Infatti sono cose elevate a straordinarie” per chi è abituato a non avere rispetto del prossimo. Ovvero per parafrasare de Andre   queste  sono  storie normali per gente speciale \ storie speciali per gente normale 


dal il  fatto quotidiano  d'oggi  



Ora     analizzando      quest'ultimom fatto   mi  chiedo  :   ma  le ballerine di bunga bunga  o  meglio   le  olgiatine le hanno dimenticate oppure le hanno usate solo per i loro porci comodi  e  per .... spurgarsi ? che ingrati .



Se è lo Stato a riscrivere la storia Il caso del consiglio regionale del Veneto taglia i fondi agli studiosi che non si adeguano alle cifre “ufficiali” delle vittime delle foibe.

  chi mi  sfotte perchè   parlo al di fuori della settimana     del giorno  del ricordo  [il 10 febbraio ]   e chi   continua   , nonostante lo  abbia spiegato più  volte  , a dirmi  come spunti sul  10 febbraio ma  lo ricordi  .  Lo invito  a  leggersi questo articolo . 


 DI SIMONETTA FIORI   da repubblica.it

Se è lo Stato a riscrivere la storia

Il consiglio regionale del Veneto taglia i fondi agli studiosi che non si adeguano alle cifre “ufficiali” delle vittime delle foibe. Chi mette in dubbio che fossero 12 mila è considerato “negazionista”
Può esistere una verità storica di Stato sancita da un organo legislativo ? Nell'anno che celebra Orwell, è toccato assistere a una riproposizione in piccolo del suo "Ministero della Verità", che riscrive la cronaca e la storia secondo i dettami di chi governa. È accaduto il 24 febbraio scorso in Veneto, dove il consiglio
regionale ha approvato una mozione con cui si chiede alla giunta di sospendere "ogni tipo di contributo a favore di quelle associazioni che si macchiano di riduzionismo o di negazionismo nei confronti delle foibe e dell'esodo istriano, fiumano e dalmata". E per chi fosse tentato di avanzare dubbi sulla nozione di "riduzionismo" o "negazionismo", lo stesso documento provvede a fornire il parametro attraverso il quale misurare ed escludere gli studiosi reprobi, ossia le cifre degli infoibati (12 mila) e degli italiani costretti all'esodo (350 mila) cui ci si deve attenere. E provvede a indicare anche l'interpretazione esatta di quegli accadimenti, definiti con le categorie precise di "pulizia etnica" e di "genocidio", tanto da richiamare il reato penale previsto dalla legge contro i negatori della Shoah.
Chi non si adegua alla verità storica decretata dai cinque consiglieri veneti firmatari della mozione - per la massima parte Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia - non è degno dei fondi pubblici per la ricerca. Ed è assimilabile ai negazionisti dell'Olocausto. Il che significa - a guardare bene le cose - che il meglio della storiografia italiana rischia di finire sul banco degli imputati.
Modellato a ricalco di un'analoga mozione approvata nel 2019 in Friuli Venezia Giulia, il documento ha provocato l'indignazione degli Istituti per lo studio della Resistenza - i più colpiti dal provvedimento - e dei più bei nomi degli studi storici, i quali hanno inviato ieri una lettera al presidente Mattarella per richiamare la sua attenzione su quella che si configura come "una tendenza pericolosa di manipolazione politica della storia". Un rischio gravissimo "per la libertà di ricerca, per il libero dibattito scientifico, e più in generale per la libertà di espressione nel nostro Paese", si legge nell'appello preparato da tre professori che operano a Padova - Filippo Focardi, Giulia Albanese e Carlo Fumian - e firmato da cinque società storiche, 49 istituti per la Resistenza e oltre duecento studiosi tra i quali Carlo Ginzburg, Mario Isnenghi, Andrea Giardina, Gia Caglioti, Enzo Traverso, Giovanni De Luna, Nicola Labanca, Simon Levi Sullam.
A parte il metodo assai discutibile - fissare a priori i risultati di un'investigazione che deve restare aperta - l'aggravante consiste nel contrasto tra le cifre indicate dai consiglieri veneti - con relativa interpretazione storiografica ("pulizia etnica" e "genocidio") - e gli esiti delle ricerche storiche più attendibili. "È inaccettabile che si pretenda di imporre una sorta di incontrovertibile verità di Stato. E la si imponga su basi storiografiche del tutto infondate", protesta Filippo Focardi, direttore scientifico dell'Istituto Parri che raccoglie la rete degli istituti per lo studio della Resistenza. "La mozione mette sotto accusa un testo come il Vademecum per il Giorno del Ricordo, frutto del lavoro dell'Istituto storico della Resistenza del Friuli Venezia Giulia. Chi ne ha guidato la ricerca, Raoul Pupo, è uno dei massimi esperti dell'argomento. Possiamo accettare che Pupo venga accostato di fatto a negazionisti antisemiti come David Irving o Robert Faurisson?".
L'aspetto paradossale della vicenda è che Raoul Pupo è stato uno dei primi studiosi a far luce sulle foibe, rompendo un lungo silenzio dettato non solo dagli imbarazzi a sinistra - era difficile rovesciare il mito resistenziale dei partigiani jugoslavi - ma anche dalla diplomazia internazionale che induceva i governanti italiani ad avere un occhio di riguardo verso Tito dopo la rottura con Stalin (lo ammise apertamente nel 2005 Giulio Andreotti, ricordando la lezione di De Gasperi: "Guardare sempre avanti e mai indietro"). Fin dagli anni Ottanta, Pupo e i suoi collaboratori hanno lavorato nell'ombra, negletti dalla politica e dall'editoria che fatalmente segue le mode mediatiche. Come si sente oggi nei panni del negazionista? "Mi dispiace non per me, ma perché un organo legislativo dello Stato si sia lasciato trascinare in una china pericolosa, dando un'immagine deformata di quello che è stato un vero dramma. Non capiscono che è proprio alterando la rappresentazione di una tragedia che si finisce per fare il gioco dei negazionisti". I negazionisti ci sono ma isolati, voci periferiche che non hanno influenza nel dibattito o fiammate di qualche singola sezione dell'Anpi o di qualche centro sociale che contesta gli spettacoli di Simone Cristicchi. Non è negazionista la ricerca storica che approda a risultati diversi rispetto a quelli rivendicati dalla destra nazionalista e riportati nella mozione. "Gli italiani infoibati dai partigiani di Tito nel 1943 e nel 1945 non furono probabilmente più di cinquemila", ragiona Pupo. "E quelli cacciati dall'Istria, da Fiume e dalla Dalmazia non potevano essere 350 mila, come indica la mozione veneta, perché un censimento del 1936-39 calcola nelle terre dell'esodo 270 mila italiani. Perché storpiare i numeri? Si pensa forse di dare più peso a una tragedia che già con cifre minori non perde nulla della sua gravità ?".
Gli italiani espulsi furono tra i 250 mila e i 270 mila ma il fatto significativo - insiste lo studioso - è che fu costretto all'esodo il gruppo italiano quasi nella sua interezza: è questo che conta, non le cifre. Gli pare poi una follia parlare di "pulizia etnica". "La nazionalità italiana era un'appartenenza politica e culturale, non un fatto di sangue. E, pur nella loro terribilità, le uccisioni non sono assimilabili a un genocidio".
Ma perché oggi riattizzare l'incendio intorno a vicende sulle quali negli ultimi anni è stata elaborata una memoria pacificata, condivisa dalle diverse parti allora in conflitto? "A una memoria europea riconciliata", rileva Guido Crainz, "hanno contribuito l'allora presidente Giorgio Napolitano e più di recente Mattarella, artefice del viaggio a Trieste insieme al presidente sloveno Borut Pahor. Quella di oggi mi sembra un'offensiva fuori stagione, ma pericolosa, da parte di Fratelli d'Italia e di una destra ancora più estrema che le sta al fianco". Nella campagna mossa dai consiglieri veneti, anche Raoul Pupo vede "il tentativo di riappropriazione di quella storia da parte di una destra nazionalistica che si erge a tutrice di una memoria esclusiva". In linea con il vento sovranista che spira in Europa.
Un aspetto non secondario della vicenda riguarda l'accostamento improprio delle foibe alla Shoah, con il richiamo alla legge che punisce i negatori dello sterminio degli ebrei. "È un caso di Holocaustdistortion", dice Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione Cdec e membro italiano dell'International Holocaust Remembrance Alliance che combatte gli abusi pubblici del termine. "Siamo in presenza non solo di un discutibile paragone tra Olocausto e foibe ma anche del richiamo strumentale a una legge che è stata pensata per colpire i negatori della Shoah".
Ma che cosa pensa il governatore Luca Zaia di una mozione che dà voce alla destra nazionalista? Sollecitato a intervenire sul tema, preferisce declinare l'offerta. I suoi collaboratori spiegano che la mozione riguarda il consiglio regionale, non la giunta da lui presieduta. In realtà si tratta di un pronunciamento politico che coinvolge anche la giunta e che comunque interpella il presidente della Regione. Che il suo silenzio voglia dire che non se ne farà niente? Ora gli studiosi si appellano a Mattarella, per evitare che la mozione veneta con il precedente friulano possa aprire la strada a "inaccettabili abusi interpretativi, a scopo di censura, da parte di corpi politici e amministrativi". Il "Ministero della Verità" deve restare confinato dentro le pagine di 1984. E dentro un'esperienza storica che non può essere d'esempio per chi vive in democrazia, a prescindere dalla geografia politica d'appartenenza.

Qui  non si vuole  negare  o  mettere   a  tacere  la storia    e  le  vicende  di chi   ha subito  tali indicibili  violenze   e la sradicalizzazione   dalla  propria terra  natia  . Ma  di  difendere la  ricerca  storica .  Infatti  anche  uno  dei primi storici  Raul Pupo  che ha  rotto  il  silenzio su tale eventi potrebbe  venire  accusato di negazionismo  in base  a tale legge  ,   vuol  dire  che  tale  legge  si tratta  di propaganda  .
Non  ha  tutti i  torti    Marcellus85 quando   commenta  l'articolo   : << sì, come esisteva una sedicente
sinistra che negava l'esistenza delle foibe e sputava addosso agli esodati istriani. Siamo sopravvissuti ai pericolosi citrulli di allora, speriamo di sopravvivere anche a quelli di oggi, che anche se vestono la casacca avversaria sono della medesima infelice razza umana >>
Il "Ministero della Verità" deve restare confinato dentro le pagine di 1984  d'Orwell . ..dice giustamente Simonetta Fiori. Invece , assistiamo quotidianamente su certi quotidiani , alcuni  di questi "organo ufficiale" di quel "MINISTERO" anche nel nome che per quel giornale rappresenta un ossimoro eclatante ad una completa mistificazione di quello che succede ed è successo ..una competa manipolazione dei dati e degli eventi. Le destre nazionaliste, xenofobe , razziste sono questo ..come cento anni fa : solo propaganda e menzogna , niente studio niente ricerca storiografica seria . Il mio timore (terrore) è che che queste destre ora in auge di consensi ci portino alla fine della pace perchè nei loro alfabeti esistono solo le parole "odio" e "guerra" da sempre

sfatiamo sulla musica classica in particolare quella sinfonica . Il caso dei notturni di chopin

 Infatti  chi non conosce  la  musica  classica     e  in particolare  quella  sinfonica   definendola  anticaglia  o  la  conosce  appena   perchè magari    avrà sentito   qualche pezzo come  colonna  sonora  di un film  , esempio  la nona  di Beethoven    ne  film    in Arancia Meccanica  di Stanley Kubrick      pensano  sia  scherzando  ma  [  sic ]  alcuni  anche  seriamente    che  i notturni   di  F.  Chopin (  1810-1849 ) 

    

 siano   ascoltabili   di notte    prima  di prendere  sonno  oppure   : << [...] ascoltate i Notturni chopiniani nel silenzio, ascoltateli fin tanto che dura quel sacello ovattato di sensazioni, quell’impalpabile dondolio di segreti, quel canto sinuoso. Che è la notte >>  (da https://www.digressioni.com/tenero-e-il-notturno-se-e-di-chopin/  )  . 
A  quanto    dice   l'articolo  sopracitato un fondo  di verità  c'è perchè  
  • Per la realizzazione di queste opere, Chopin prese spunto da composizioni che si adattavano facilmente alla sua indole sognante e tipicamente romantica.In un primo momento egli trasse la sua ispirazione dalle opere dell'irlandese John Field; tuttavia, diversamente da questi, componeva per esprimere le sue più intime sensazioni, piuttosto che per assecondare il pubblico.Le composizioni di Chopin sono il trionfo del canto, del bel suono e dell'espressione; esse sono per lo più opere in forma di una monodia accompagnata strutturate in A-B-A a volte con una breve coda con carattere di Berceuse.Il maestro polacco le insegnò spesso ai suoi allievi affinché imparassero che cosa intendesse per suono e per tocco.Rispetto a quelli di Field, i Notturni di Chopin hanno (spesso, ma non sempre) la peculiarità di essere divisi in più sezioni tematiche contrastanti: troviamo accostate varie espressioni di stati d'animo (dolci, tenere, sognanti, ma anche violente) ed inoltre un uso più raffinato degli abbellimenti che ora si fondono totalmente con la melodia. Tema ricorrente sono lo spirito polacco e il Bel Canto italiano, legati indissolubilmente a tutte le opere del compositore.                                       [...] da https://it.wikipedia.org/wiki/Notturni_(Chopin)

Ma   comunque   si va a gusti, e dunque ci si può immergere come non mai nel piacere del soggettivo,  infatti   , io  la  penso     come   l'introduzione    citata  sopra    di  wikipedia  .  Infatti  mi   chi lo ha detto che tale bellissime musiche debbano essere ascoltate solo di notte ? A volte , come oggi , basta un cielo cupo e piovoso . Ma anche un " litigio " con tanto di cancellazione da parte di un contatto social a cui tenevi , per certe sue posizioni retrograde sula musica contemporanea giovanile vede le polemiche suscitate dai Maneskin e da Achille Lauro a questa edizione di San remo . Infatti gli ho scritto : << che la sua posizione mi ricorda mia prozia di 105 anni >> e d'impulso \ a caldo dimenticandomi che lke parole sono un ar,ma << l'autore di questo post sembra un seminarista mancato ? >> Trovate qui https://bit.ly/3cf3pGj in questo suo post il nostro scazzo.  
concludo   , sempre  rimanendo in  tema  con  questo bellissimo  pezzo   di  un mio  contatto

8.3.21

chi lo ha detto che per celebrare - festeggiare l'8 marzo di debba per forza essere femminista




Chi lo dice che lottare per la parità di diritti fra i sessi sia necessariamente essere femministi . Infatti come dice Silvia Gola sulla newsletters del quotidiano domani ( www.editorialedomani.it )  nell'articolo  ripreso dal post  odierno   : << Si è sempre la cattiva femminista    di qualcun’altra >>   Infatti

[...] L’8 marzo non è la giornata delle femministe, ma la giornata internazionale delle donne. Questo, forse, varrebbe la pena che venisse ricordato. Perché né una donna è per forza femminista (peccato), né una persona femminista è necessariamente donna (sorpresa!).
Ma è doveroso ricordare che oggi si celebrano tutte: anche quelle non femministe. Anche quelle che si sentono cattive femministe. [...] 
Ora     chi   è la cattiva femminista ?
Analizzando  la  definizione  di   


femminismo
/fem·mi·nì·ṣmo/
sostantivo maschile
  1. Storicamente, il movimento diretto a conquistare per la donna la parità dei diritti nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all'uomo: le prime manifestazioni del f. risalgono al tardo Illuminismo e alla Rivoluzione francese; estens., il movimento, ampio e articolato, che tende a porre l'accento sull'antagonismo donna/uomo, nel sociale come nel privato, e a realizzare una profonda trasformazione culturale e politica, riscoprendo valori e ruoli femminili in senso antitradizionale.

  La cattiva femminista è una femminista non impeccabile, con gusti discutibili che sembrerebbero puzzare   ( anzi  lo sono  )  di patriarcato    da km di distanza. Una che sente di dover confessare i suoi “guilty pleasure” come fossero marachelle o che  usa i  termini  orribili    tipo  :   donna  con le palle   , ecc .





Infatti
Forse ---- sempre   secondo  l'articolista --- sono una cattiva femminista perché non mi sono indignata davanti al tutorial su Rai2 che insegnava alle donne come fare la spesa sexy e sedurre gli uomini incontrati al supermercato.
Certo, non mi ha fatto ridere – non era ciò che definirei spassoso   o  sensuale  – ma l’ho guardato come si trattasse di un insetto su una foglia: totalmente in sintonia con l’ambiente circostante.
O forse sono una cattiva femminista perché una sera, fuori da un locale, ho visto un gruppo di ragazzi darsi di gomito mostrandosi a vicenda alcune foto di ragazze, li ho sentiti usare un linguaggio in cui la donna è solo un passivo pezzo di carne, e non sono riuscita a dire nulla.
O, ancora, forse sono una cattiva femminista perché leggendo che Coop ha scelto di abbassare temporaneamente l’Iva al 4 per cento sugli assorbenti non mi sono sentita di additare subito la faccenda come una goffa mossa di pink-washing necessariamente dannosa. Ne prendo atto e rimango con la speranza che anche questo possa favorire la sensibilizzazione sul tema presso istituzioni, società civile e media.
Poi leggo un commento: «Non c’è niente di cui gioire, gli assorbenti inquinano, ormai l’unico modo è passare alla coppetta e agli assorbenti lavabili, dovreste averlo già capito!».
Ecco, è successo di nuovo: ho gioito per la cosa sbagliata.
Sono una cattiva femminista perché, in ognuna delle tre situazioni, immagino come si sarebbe comportata una buona femminista: davanti al programma si sarebbe indignata; davanti al gruppo di idioti si sarebbe fatta sentire; alla notizia della Coop avrebbe risposto che non bisogna rallegrarsi per queste briciole.
La compagna che sbaglia
Come   lei     io la  vedo cosi  
Oggi è l’8 marzo: non è la giornata delle femministe, ma la giornata internazionale delle donne. Questo, forse, varrebbe la pena che venisse ricordato. Perché né una donna è per forza femminista (peccato), né una persona femminista è necessariamente donna (sorpresa!).
Ma è doveroso ricordare che oggi si celebrano tutte: anche quelle non femministe. Anche quelle che si sentono cattive femministe.

Ora    concordo   con lei   lo riporto  integralmente   questo pezzo. , perchè   viene male   a  sintetizzarlo   ma  soprattutto   perchè    considero   l'8 marzo  è di tutte le donne  e  non solo di   una parte  delle  donne  

Facciamo un passo indietro. Chi è la cattiva femminista?
La cattiva femminista è una “compagna che sbaglia”: crede fermamente nella parità di genere, eppure a volte indulge in abitudini e comportamenti apparentemente in contraddizione con l’ideale femminista. È una specie diffusa a ogni latitudine, e si distingue per un discreto quantitativo di ansia in merito al suo essere femminista.
La cattiva femminista, insomma, è quella che non sempre ce la fa, non è impeccabile, e ha paura che il femminismo sia un sistema a punti in cui ne puoi perdere tre ogni volta che ti senti chiamare “tesoro” e non reagisci. O se conosci tutta la discografia di Eminem a memoria. O se un paio di film di Polański sono tra i tuoi preferiti. O se hai fantasie romantiche su villetta bifamiliare, marito e marmocchi.
Bad feminist – cattiva femminista – è l’espressione che dà il titolo alla raccolta di saggi di Roxane Gay, docente, romanziera, saggista e giornalista americana di origine haitiana.
Come l’autrice scrive in un passaggio fondamentale, nonché fulminante inizio del suo Ted Talk del 2015: «Sto fallendo come donna. Sto fallendo come femminista. Accettare gratuitamente l’etichetta di femminista non sarebbe giusto nei confronti delle buone femministe. Se lo sono, femminista dico, sono una cattiva femminista. Sono un casino di contraddizioni. Ci sono molti modi in cui sto facendo male il femminismo, almeno secondo i modi in cui la mia percezione del femminismo è stata plasmata dal mio essere donna» (traduzione mia).
Attraverso questa etichetta, Gay vuole provocare per portare avanti un ragionamento serio: ammettendo di amare il rosa, di dimenarsi al ritmo di canzoni che hanno testi volgari, di aver voglia di essere accudita e di interessarsi di moda, Gay si incorona “cattiva femminista”.
Una femminista non impeccabile, quindi, con gusti discutibili che sembrerebbero puzzare di patriarcato da km di distanza. Una che sente di dover confessare i suoi “guilty pleasure” come fossero marachelle.
Farebbe molto ridere se non fosse che queste preferenze private, questi peccatucci veniali, fin troppo spesso vengono innalzati ad argomento serio. È assai curioso quanto, come società, siamo ossessionati e ossessionate da consumi, gusti e tendenze privati delle donne: un dettaglio anche secondario sembra poter restituire l’interiorità, gli ideali e i valori di una persona. Un dettaglio può fare la differenza tra buona e cattiva femminista.
Come può redimersi, dunque, questa nostra cattiva femminista?
Chiariamoci: i suoi comportamenti e gusti possono pure essere inappropriati, ma la cattiva femminista è pur sempre una femminista: lotta per l’uguaglianza dei generi, crede nella necessità di raggiungere parità politica, sociale ed economica, ed è convinta che una società migliore sia caratterizzata da identiche opportunità, giustizia sociale, libertà sessuale e riproduttiva, fine della cultura della violenza, rispetto delle scelte di vita.
Perché chi mette in dubbio questo non è una cattiva femminista: semplicemente non è femminista.








Prima di tutto sé stesse
Ma no, no: noi stiamo parlando di ben altre cose. Si è capito ormai che il cattivo femminismo si gioca su altri livelli: amare un certo colore, ascoltare un tipo di musica, non indignarsi ogni volta che si dovrebbe.
Non possiamo illuderci: non esiste redenzione per la cattiva femminista. Esiste solo una presa di coscienza basilare: una persona è prima di tutto sé stessa e solo dopo una femminista.
Sembra quasi che chiunque si avvicini al femminismo debba attraversare la fase della cattiva femminista finché non riesce a concepire che, in realtà, lo sta facendo nel modo giusto: non è possibile né utile sacrificare la propria personalità sull’altare di una malsana aspirazione a essere femminista buona, perfetta, impeccabile.
Se quindi, invece che un sistema a punti, ci mettiamo d’accordo e concepiamo il femminismo come una pratica quotidiana e un percorso, ecco che la buona e la cattiva femminista non esistono più ed emerge una nuova figura: la femminista in cammino.
Perché la cattiva femminista è la femminista che non ha ancora capito che solo attraverso il proprio essere sé stessa con tutti i dubbi quotidiani, i tentennamenti, solo andando per prove ed errori (ascoltando–ripetendo–migliorando), si è all’altezza del femminismo.
L’unico modo per coesistere insieme è sapersi dare una seconda possibilità quando si sbaglia, perdonare le incomprensioni, credere nell’auto-educazione e nel mutuo insegnamento: da pari ognuna insegna qualcosa in più all’altra. Rinunciare a essere guidate dall’ossessione morbosa per la quale sogni, abitudini, desideri e gusti che si consumano nella vita privata sanno dirci al 100 per cento se una donna è una cattiva o buona femminista.
Non per lasciarsi andare a un facile ecumenismo e chiamare femministe tutte le donne – anche quelle disinteressate al tema –, ma per dare la possibilità di riconoscere come femminista anche chi, a un primo sguardo superficiale, non si direbbe mai che lo sia.
Perché possiamo avere gusti discutibili e lacune in storia del femminismo ma soprattutto possiamo orientare le nostre azioni e il nostro attivo stare nel mondo. Ovvero parlare, discutere, cambiare opinione. Aprirsi a considerazioni più informate delle nostre. Decidere di approfondire perché ci piace un certo tipo di musica, perché ogni tanto abbiamo paura di esporci, perché siamo così fallibili.
Essere una cattiva femminista appare, a questo punto, non solo probabile ma imprescindibile: tutte siamo o siamo state cattive femministe in cammino verso la versione migliore di noi stesse. E camminare è già migliorare.
Lo diceva J.P. Sartre e possiamo dirlo anche noi oggi, al netto dei moralismi – reali o immaginari che siano: «È vero che non sei responsabile di quello che sei, ma sei responsabile di quello che fai di ciò che sei».
Che, aggiornato, potrebbe suonare all’incirca così: «Non sentirti in colpa per la cattiva femminista che sei, ma sentiti responsabile di ciò che fai per essere sempre un po’ migliore».

   non s che  altro  aggiungere    sia  a questo  articolo sia   a quanto  già  detto  nei precedenti post    se  non  la  classica     frase     buon 8 marzo a tutte.

donne che resistono in questo mondo di squali

 le  due  storie  riportate  sotto   confermano  quanto ho scritto ,  sempre   sulla  tematica   del 8 marzo ,   in  : << perchè    da  uomo festeggio  l'8 marzo  . esso non è  solo mimose  ma    anche  donne  che  hanno svecchiato l'italia  e  i suoi  costumi     come  Rosita Lanza di Scalea >>

Leggi. anche 



L'imprenditrice Ivana Ciabatti: "Nessuno ci credeva, ora tratto a tu per tu con chi estrae l'oro"
                                         di Maria Cristina Carratù

"Non bisogna mai pensare di non essere all'altezza. Dobbiamo credere in noi stesse e fare ciò che sappiamo fare, solo così si può emergere in un mondo di uomini"
"Mai pensare di non essere all’altezza di una sfida. Le donne devono credere nelle proprie competenze, e nei propri sogni, senza aver paura di fallire. Così, tutto diventa possibile".
Può sembrare un po’ troppo ottimista Ivana Ciabatti, 64enne signora aretina che ha messo insieme dal nulla la Italpreziosi di Arezzo (oggi azienda leader nella lavorazione, nel commercio e nel trading di metalli preziosi e punto di riferimento per il polo orafo italiano e internazionale, con fatturato di 6 miliardi e mezzo nel 2020), sfidando fuochi di sbarramento maschili, in patria e non. Ma lei ne è convinta: no, non è questione ottimismo astratto, dice, "solo di fiducia in se stesse". Proprio quello, purtroppo, che tanto spesso alle donne manca. La prova sta nella sua stessa biografia, che parte da un paesino di contadini nel casentino, dove la piccola Ivana "sogna, guardando il cielo, di andare sulla luna", per poi, più grande, usare i depliant delle agenzie di viaggio "per le prime trasvolate immaginarie". Finché arriva il primo viaggio vero, in autostop, e poi tutti gli altri, con mete sempre più lontane. E oggi che di mondo ne ha visitato «almeno due terzi», la signora può dire che il sogno dell’infanzia, intanto, è diventato realtà.
Ma c’è poi il resto. Sì, perché Ivana Ciabatti è una "imprenditrice autonoma", come tiene a dire, nel senso che ha fatto "tutto da sola". Ovvero, "facendomi aiutare, certo, quando è stato necessario, ma sempre mettendoci la faccia in prima persona, giocandomela con i miei mezzi". Il tutto, sia chiaro, senza affatto rinunciare alla famiglia, a un marito, e a due figlie educate anche loro, ovviamente, "a credere in se stesse", il miglior viatico per le giovani generazioni femminili. E così eccola, nel 1984, a 27 anni, trasformarsi da impiegata in un’azienda orafa in piccola imprenditrice in proprio, dopo aver contagiato con il suo entusiasmo "un socio finanziatore, che ha investito nel mio progetto", mentre lei, memore della parsimonia familiare, faceva benzina "a 10 mila lire a volta, per non spendere troppo".
E dopo poco, decidere il secondo salto: comprare la materia prima grezza da cui ricavare l’oro puro (in lingotti destinati agli orafi, agli investitori privati, ai caveau delle banche) direttamente dalle miniere. "Fu una rivoluzione, in Italia, allora, non lo faceva nessuno". Ivana fa le valigie, e, manco a dirlo, si mette in viaggio. L’impresa è ardua, il settore, ad ogni latitudine, dal Medio Oriente, all’Africa, all’America del nord e del Sud, all’Africa, all’Oceania, è dominato dai maschi e, dice lei, "credo di essere tuttora l’unica donna al mondo a trattare a tu per tu con gli estrattori, a chiedere di visitare le miniere". Follia? "Sì, ma in certi casi necessaria". Una volta, in Ghana, il re locale proprietario di una miniera le propone di diventare “regina madre’’, con tanto di rito di iniziazione: "Ho avuto una gran paura, ma lui voleva solo dirmi che mi dava fiducia".
In Arabia Saudita un suo interlocutore, dando per scontato di aver preso appuntamento con un uomo, si è rifiutato di riceverla, "ma io ho resistito, mi sono presentata per tre giorni di seguito, il terzo mi ha aperto la porta". Da allora, racconta la signora, "sono accolta ovunque con tutti gli onori, e la ragione è semplice: mi sono guadagnata la stima del settore", cioè dei maschi che lo presidiano, che pure hanno tentato di scoraggiarla con ogni mezzo (compreso il più usurato, il corteggiamento), senza però smuoverla di un millimetro.
E alle donne, da donna, Ivana vuole dirlo chiaro: "Lasciate perdere le quote rosa, che vuol dire non credere nelle proprie capacità, puntate su quel che sapete fare, che avete voglia di fare. E fatelo. Solo così si può avere ragione di un mondo maschile che frappone continui ostacoli, ma alla fine è costretto riconoscere il nostro valore". Banalmente: perché serve anche a loro.


La pilota Lara Rosai: "Le avances del mio capo quando lavoravo in falegnameria, l'ho denunciato e cambiato vita"

                                   di Ilaria Ciuti

A dicembre ha preso il brevetto di pilota di droni, li guida per una società che lavora per il Nuovo Pignone. Lara Rosai vive sola, con 800 libri, due gatti, le lunghe passeggiate, lo stipendio che basta per vivere tranquilla, il compagno che vive lontano, "gli voglio bene ma sono indipendente e non ho timore di stare da sola, sono serena, mi piace il mio lavoro".

"Adesso vivo felice con i miei droni"


Le piaceva meno ed era meno serena, quando dal 2006 al 2010, ha lavorato nell’ufficio di una falegnameria, tra segreteria e piccola amministrazione, sola con il suo capo perché lo stabilimento era fuori, qualche metro più in là. Il capo, prima tranquillo, un amico credeva Lara, poi sempre più arrogante: portami l’acqua, occupati del cane, prendimi le sigarette, se ti dà noia il fumo vattene fuori io non smetto, finché passa a chiederle incessantemente rapporti sessuali con espressioni volgarissime, mimiche oscene e prepotenti tentativi di "mani con le unghie gialle di nicotina" pesantemente addosso, nonostante i rifiuti di lei: "Se dico no, è no". Ma lui neanche prendeva nota. Fino a sbatterla contro il muro e rapinarle con la forza un bacio.
Per un po’ di tempo lei resta bloccata mentre sprofonda nel disgusto. A bloccarla il fatto che "allora ero piena di dubbi, ora ho imparato a fidarmi di me stessa", "il timore di non essere creduta, le donne tacciono per timore di non venir credute" e, soprattutto, il mutuo: "Avevo appena comprato casa, avevo fatto anni di lavori interinali, era il mio primo lavoro a tempo indeterminato, volevo pagarmici la vita".
Lara sprofonda, non dorme la notte, piange al suono della sveglia, ha la colite. Poi la misura è colma, "io non sono nata per servire, la mamma era una femminista e il babbo un sindacalista". Si ammala, nella psiche e nel corpo. Ma un bacio violento e la frase «o mi ubbidisci o ti sbatto fuori a calci» fanno scattare la molla. Al diavolo il mutuo, basta: "Sono scoppiata e meno male. Non volevo guardarmi allo specchio e non trovare più la Lara che ero". Va alla Cgil che le trova un’avvocata, l’avvocata capisce che dietro all’esclusivo racconto della prepotenza padronale c’erano anche le molestie sessuali, "quelle di cui allora non si parlava e io non sapevo che anche le parole sono molestie che si possono denunciare. Anche ora, spesso non si sa. Invece sapere aiuta a vincere".
Lara stava male, sindacato e avvocata la mandano a Pisa a medicina del lavoro, al centro per il disagio lavorativo. Due giorni di esami e test medici e psicologici. Esce fuori tutto, anche le molestie. A Lara viene riconosciuta la malattia professionale, lei denuncia, parte il processo penale per mobbing e molestie sessuali, l’azienda la licenzia in tronco e parte anche il processo civile per licenziamento senza giusta causa, lei vince l’uno e l’altro. "Sono procedure lunghe, estenuanti. Ma io ero forte perché mi credevano, bisogna credergli alle donne. Ho ripreso fiducia in me, in tribunale l’ho guardato spavalda ma lui ha abbassato gli occhi. No, non lo odio, l’odio consuma chi lo prova. Mi basta avercela fatta, non sentirmi codarda e lui impunito. Ancora oggi ti insegnano ad avere paura, che se sei donna sei debole, ma se non alzi la testa e stai zitta ti senti complice".
Poi. "Poi non trovavo lavoro. Se spiegavo cosa era successo, mi sbattevano fuori. Il mutuo, i soldi che non c’erano. Ma non avevo più paura. Ero uscita dall’inferno vittoriosa e rinforzata, ho iniziato a spargere curriculum come volantini". Ed ecco il lavoro e "il piacere del lavoro". Prima all’aeroporto "e mi sono vista sfilare davanti il mondo". E adesso in una società che lavora per il Nuovo Pignone, a occuparsi di una flotta di droni. "Sono una delle prime donne a pilotarli, devi sapere dove puoi o non puoi andare a quale altezza, come funzionano i droni in condizioni climatiche diverse, a che velocità li puoi spingere. È affascinante perché è qualcosa che inizia ed è in divenire".
Lara esce dal lavoro, per la passeggiata prima di tornare a casa, "ho fatto tutto da sola e sono soddisfatta. Comincio a non ricordare il passato".