22.8.22

un partito senza argomenti parla alla pancia strumentalizzando per uso elettorale uno stupro commesso da un richiedente asilo

 Giorgia Meloni ha rilanciato la notizia della donna ucraina violentata per strada a Piacenza,


condividendo il video girato in queste ore sui social e tornando sui cavalli di battaglia in  maiiera  da  sottrarre elettori a  salvini  della sua campagna elettorale: dalla lotta al degrado a quella contro l'immigrazione di massa. Partiamo da un presupposto: pubblicare (per quanto offuscato) il video di uno stupro per parlare dei temi cari al proprio partito in campagna elettorale è una gigantesca mancanza di rispetto nei confronti della vittima. E una strumentalizzazione di un dramma personale. Questo ovviamente non vuol dire che non si possa  e  siu debba  parlare  di quanto accaduto, ma bisognerebbe farlo (tenendo a mente la delicatezza della situazione) centrando il punto della questione: siamo di fronte all'ennesima violenza di genere commessa da un uomo, indipendentemente dalla sua nazionalità, ai danni di una donna.
Quello tra immigrazione e criminalità è un legame illecito, lo dimostrano i dati, e utilizzarlo per fini di propaganda elettorale,soprattuto di fronte a un tragico abuso subito da una donna, è l'espressione della politica più bassa e becera 
La leader, in quaesto caso  di Fratelli d'Italia dimentica di parlare dell'unica cosa che conterebbe in vicende tragiche come questa:le  basi  culturali   della    violenza di genere e abusi contro le donne. 
<< Non è possibile  >>  --- come dice   anche  Annalisa Girardi di  fan  page  <<  che per una donna non sia sicuro ad  uscire  e  a camminare da sola per strada. Non è possibile che episodi di violenza di genere siano all'ordine del giorno >>  tanto  creare  assueffazione   e indifferenza   . Eppure Meloni non parla del problema sociale e culturale dilagante in questo Paese,ovvero l'alto  numero di femminicidi e  di violenznze   sulle  donne  non solo  stupri   ma si limita a enfatizzare che il 27enne fermato con l'accusa di violenza sessuale fosse un richiedente asilo, assicurando la lotta all'immigrazione illegale di massa e all'illegalità come priorità del suo partito  rispetto  a  temi  più importanti ed prioritari 
Ha  ragione  l'amica  

Non basta professarsi donna per dirsi vicina alle donne.
Se pubblichi il video di uno stupro, e lo fai solo per dimostrare la nazionalità dello stupratore, sei uno sciacallo, senza rispetto, senza umanità.
Sei un essere umano orribile che reitera quella violenza non per condannarla, ma per farci consenso. In pratica sei una donna misogina, sessista, pericolosa come lo stesso uomo violento che pretendi di condannare. Perché tu, Meloni, e l'orco, siete fatti della medesima sostanza.


trattandola anche bene .
Ecco perchè  confermo , nonostante  , le  critiche   di molte  femministe  fans  di Marina  Terragni ,   la mia  presa  di  posizone  favorevole  a  Natalia   Aspesi     , condivisa  con  


FRATELLE E SORELLI D’ITALIA.
Finalmente una donna a capo del governo italiano, cioè un primo ministro che essendo femmina rappresenti il massimo della democrazia, della parità, dei diritti, delle inclusioni, degli aiuti, di ogni forma di libertà verso il sol dell’avvenire che neanche ti immagini. A non essere d’accordo con il documento firmato da alcuni gruppi di associazioni di donne italiane dal titolo impegnativo:”Un orizzonte politico comune a donne di tutti i partiti”. e, anzi, ad esserne fermamente contraria e contrariata è, guarda caso, una donna: una giornalista di sinistra, una firma tra le più importanti nel panorama italiano: Natalia Aspesi.
Nel contestare il documento Aspesi si pone una domanda non banale: “Lo avete proposto anche a Giorgia Meloni che è donna come noi, e che ha fondato il partito fratelli dimenticandosi le sorelle?”
È lo stesso quesito che mi attanaglia da giorni; al netto dei programma e dei progetti il nome del partito di Giorgia Meloni è maschilista fin dal titolo, è un programma chiaro, senza fronzoli, così come nei 15 punti del manifesto elettorale (lo fa notare sempre Aspesi) non c’è una a sol volta la parola “donna”; al massimo l’aggettivo femminile, quasi sempre collegato con i sostantivi ‘infanzia’, ‘famiglia’, e anche ‘giovani’ e “disabili’.
Essere donna non significa essere la migliore e la più brava.Ho sempre contrastato questo concetto poco ideologico e molto consolatorio: non ho nulla in comune con la Meloni o la Santanchè e ho molto in comune, per dirla con Natalia Aspesi, con il maschio Pisapia.
Insomma, probabilmente Giorgia Meloni vincerà le elezioni e sarà il primo Presidente del Consiglio donna. La rispetterò e attenderò quello che riuscirà a fare non in quanto donna o mamma o cristiana, ma in quanto esponente di un partito chiamato fratelli d’Italia, un nome che non possiamo neppure modificare in fratelle o sorelli d’Italia.
Non tutte le donne voteranno certe donne.
Io sono felicissimo di poter votare una donna. E lo farò, ma non sarà Giorgia Meloni.




20.8.22

Tantissima solidarietà, ancora, al dott. Nganso - Patrizia Cadau

Antefatto



Andi Nganso ha 35 anni, è un medico di origini camerunensi. Arrivato in Italia nel 2006 per studiare medicina, dopo aver lavorato per la Croce Rossa italiana, inizialmente nei centri di accoglienza di Lampedusa e Bresso, poi a Roma, da qualche mese è medico di urgenza ed emergenza in Veneto. Era in servizio al pronto soccorso di Lignano Sabbiadoro (Udine) quando, per via della propria pelle, si è visto scaraventare addosso da un paziente, un uomo di circa 60 anni della provincia di Treviso  una serie ininterrotta di insulti razzisti. “Non toccarmi, sei nero!”, “Preferivo due costole rotte che farmi visitare da un ne**o”, gli ha urlato l’uomo. Parole che restano cristallizzate in un audio registrato nel mezzo dell’aggressione.


 Io non avrei mai immaginato, quando ero molto più giovane, che mi sarebbe toccato vivere in una società così scoraggiante.Avevo fiducia nel futuro, la gente che pontificava di razzismo, odio, mi sembrava miseria umana destinata a implodere nella propria merda culturale.I miei coetanei, cresciuti a pane, catechismo e ora di religione, mi sembravano gente normale, umanamente parlando, chi più e chi meno, e insomma ero certa che da lì a poco, l'arretratezza sarebbe stata nebulizzata dalla cultura, dalle conquiste sociali, dai valori umani.Mi sembrava che quelli che ancora additavano la gente sui barconi (allora arrivavano dall'Albania, per dire), o se la prendevano con i terroni o i neri, fossero solo vecchi stronzi, o giovani stronzi, comunque destinati progressivamente all'isolamento sociale.Insomma non ero io quella strana

A cinquant'anni mi ritrovo a sentirmi strana, in una società che disprezzo profondamente, con due figli adolescenti a cui cercare di spiegare che è l'impegno dei singoli a fare la differenza, anche se per quanto ci si possa impegnare alla fine si è travolti dalla massa. Una massa di analfabeti, cattivi, violenti.E così ecco spiegata la mia reazione alla storia di un medico italiano, Andi Nganso, insultato da un paziente perché nero, insultato al punto da dover fare intervenire le forze dell'ordine.Insultato insieme alla collega infermiera, anche lei oggetto di insulti perché donna.Il tutto in un pronto soccorso di un ospedale veneto.Peraltro, Andi Nganso, non è nuovo a questo tipo di aggressioni.Niente.Io me ne tiro fuori, non ho armi, risorse per fronteggiare questa melma subumana, non ho più risorse neppure per me.In sintesi, alla fine, quella diversa sono diventata io.Tantissima solidarietà, ancora, al dott. Nganso.

i giovanii non sono solo bimbiminchia

 


19.8.22

Nella casa famiglia di Napoli che ospita la bimba vittima della violenza dei genitori, segregata tra indicibili sofferenze: "Non parla, ma adesso ti guarda se la chiami"



da   repubblica  



Elsa a 9 anni "impara a vivere e ti stringe la mano": coccole, frullati e peluche







Ha il sorriso obliquo di chi per 9 anni di sorrisi non ne ha fatti a nessuno e non ne ha ricevuti. I fratellini che la nutrivano di nascosto dai genitori, con quel che avanzava loro di latte e biscotti, le dimostravano affetto così, preoccupandosi che sopravvivesse all'abbandono, nel migliore dei casi, e alla violenza cieca di genitori che l'hanno rifiutata da sempre. Picchiata, maltrattata, e chissà cos'altro.








Ma adesso Elsa, nome di fantasia, ha una casa colorata e pulita, attrezzata e piena di giocattoli. Un nido, finalmente, dove comincia per lei una nuova vita. Circondata da altri 5 bambini, il più grande ha 13 anni, e soprattutto dalle cure e dall'amore del gruppetto di educatori, infermieri e terapeuti che gestiscono "La casa di Matteo" a Napoli. Una struttura socio assistenziale che ieri ha aperto le porte a Repubblica.



Elsa ha finalmente, qui, la possibilità di rimettersi in piedi. "Camminerà? Correrà come tutti gli altri bambini? Non lo sappiamo - spiega Matteo Cudemo, il ventottenne coordinatore educativo della struttura - . Presto cominceremo un recupero attraverso la psicomotricità e la logopedia. Ma innanzitutto vogliamo che Elsa capisca cosa vuol dire essere amata".







E forse i primi passi in questa direzione la bimba li sta già facendo. Dopo che per 9 anni non è esistita agli occhi del mondo, pur essendo registrata all'anagrafe in un paese in provincia di Caserta, dopo che è diventata un fantasma per il sistema sanitario, come per quello scolastico o assistenziale, Elsa si guarda attorno curiosa del mondo.
Era un nulla lasciato a terra a marcire, gli arti spezzati in più punti per le percosse e saldatisi storti, le anche fuori sede, la schiena che non ha imparato a stare diritta, né in piedi né stesa. Ora ha un divano sul quale siede, circondata da cuscini che le impediscono di cadere, e finalmente un amico: è un altro ospite della struttura, ribattezzato "Kung fu Panda", un ragazzino forzuto quanto affettuoso che ha scelto proprio il posto vicino a lei, sul divano, per guardare e mostrarle i cartoni animati che vanno a manetta sul suo tablet.



La pietà di un vicino che ha segnalato la presenza della piccina alle autorità comunali ha permesso il giro di boa nella vita di Elsa. È intervenuto il Tribunale per i minori, poi per un mese la bambina è stata ricoverata nell'ospedale pediatrico Santobono (mentre i genitori sono finiti in galera e i fratellini affidati a una casa famiglia).
Infine, la struttura in cui Elsa ha cominciato persino a mangiare, dopo 9 anni di denutrizione. Non ha imparato ancora a masticare, ma sono bastati pochi giorni di omogeneizzati e frullati, come fosse un bebè, per farle apprezzare i sapori nuovi e destare in lei la curiosità per il cibo. "È un ottimo segno", dicono gli operatori che la seguono e che non disperano, sin dai prossimi giorni, di poterla "svezzare".



Elsa ha finalmente un lettino, arancione, con i pupazzi sulle lenzuola. Il suo recupero passa anche da lì, dalla normalità dell'infanzia che sin qui le hanno negato. E dall'affetto di chi, per la bimba è un miracolo, la pettina e le raccoglie i capelli in codini, la bacia e la coccola. Elsa avverte la loro delicatezza. E lo dimostra imparando, giorno dopo giorno, ad alzare lo sguardo quando si sente chiamare con un vezzeggiativo. La bimba non sa parlare. Non ha sin qui conosciuto parole d'amore.
Chiude gli occhi se incrocia sguardi estranei, ritrae il visino se le giunge una carezza, ma stringe la manina a pugno se al palmo le si accosta un dito, come il riflesso dei neonati che intenerisce i genitori. In Elsa è ben più di un riflesso. Alle dita dei giovani operatori della "Casa di Matteo" si aggrappa come a dei salvatori; e Flavia Crisci, educatrice di 24 anni, confessa: "Non ho esperienza della maternità, ma credo che l'amore per Elsa si accosti straordinariamente a quello che proverei per un figlio. Speriamo che qui Elsa possa rinascere". E dimenticare la casa dell'orrore e i genitori orchi.



La struttura socio assistenziale che la ospita è dedicata ai bambini fino a 13 anni non normodotati. Fu fondata cinque anni fa da Luigi Volpe - che aveva appena perso il figlio Matteo - e dall'attuale assessore al Welfare della giunta Manfredi, Luca Trapanese. Proprio Trapanese ha accompagnato il presidente della "Casa di Matteo", Marco Caramanna, a prendere la bambina in ospedale, una settimana fa. "Benvenuta piccola - ha detto l'assessore - da oggi inizia una nuova vita dove la violenza e l'incuria cedono il passo all'amore e alla cura".
E dopo i primi giorni in cui si spaventava per ogni presenza estranea, ora ci accoglie facendo smorfie che non raccontano timore, ma fiducia. La presenza dei visitatori non la turba, ma certo le coccole vanno centellinate per non infastidirla. Di certo quel sorriso obliquo racconta, oggi, che la bimba ha capito che qui la violenza non è di casa.

18.8.22

gli anni più belli di Gabriele Mucino

 


Gli anni più belli è un film del 2020 diretto da Gabriele Muccino . Il film racconta la storia di quattro amici, interpretati da Pierfrancesco Favino, Micaela Ramazzotti, Kim Rossi Stuart e Claudio Santamaria, nell'arco di 40 anni, dagli anni ottanta a oggi.

Un film  senza infamia e senza lode  uno dei tanti film  che fanno leva sulla nostalgia dei bei tempi andati Uno di quei film  fatti  ( o quasi ) con lo stampino che offre il cinema italiano da 30 anni a questa parte  ad  iniziare  dai  capostipiti  :  1) Il grande Blek film del 1987 diretto da Giuseppe Piccioni, con Sergio Rubini .,  2  ) Italia-Germania 4-3 un film italiano del 1990 diretto da Andrea Barzini. Il titolo è ispirato alla semifinale di calcio dei Mondiali di calcio di Messico 1970.
Gli anni   più belli  viene  salvato   da un  cast eccellente e con degli ottimi esordienti la cantante. Emma compresa .E colonna sonora le cui musiche  sono composte da  Nicola Piovani una garanzia dopo Morricone  ed ,soprattutto il pezzo inedito che da il titolo al film  ,di Baglioni . Un film niente male , passabile per una serata televisiva piatta  fatta di repliche ed  di programmi  insulsi , propaganda politica , pieni d'interruzioni pubblicitarie ( anche  sic quellaa pubblica di cui paghiamo il.canone  ) Una delle  cose decenti su una piattaforma  ( Netflix ) piena di polpettoni , film da cassetta, al 80\90 % di mediocre  / pessima qualità. In mancanza     di meglio è  un  ottima  scelta   per passarci  la serata  . 


Era il 18 agosto 2015 quando Vincenzo Curtale è diventato, suo malgrado, un piccolo grande eroe di Giampaolo Cassitta

 Era il 18 agosto 2015 quando Vincenzo Curtale è diventato, suo malgrado, un piccolo grande eroe salvando la vita ad altri ed offrendo la sua. Questo pezzo uscì sulla Nuova Sardegna e ve lo ripropongo per riflettere, per amare il mare e per rispettarlo.

E per ricordare gli eroi.
Bisogna amarlo molto il mare. Occorre sentirne il frastuono anche quando è calmo, riconoscerne gli umori, assaporare i colori che disegnano tutto il nostro orizzonte. Dal mare non si fugge. Lo sa chi arriva sulla battigia a scrutare tramonti e sperare che all’alba qualcuno o qualcosa ti trasporti verso
un’altra terra, verso un’altra vita. Lo sanno i marinai che raccolgono amori e regalano promesse, tra i porti gonfi di salsedine e di odori tra il fritto e la malinconia. Lo sanno i sardi che lo vivono dalla nascita come un solco azzurro adatto alla solitudine e alla bellezza. Il mare si muove. Per questo va ascoltato. I turisti dedicano un approccio fugace ai contorni. In vacanza conta vivere intensamente l’attimo e postarlo sul social, affinché tutti possano ammirare il luogo e la percentuale di azzurro e di limpidezza del mare che incontri. Come quello di Sardegna. Il mare trasporta. I bambini lo sanno e raccolgono metri cubi di spiaggia, costruiscono paesaggi fantastici che, come d’incanto, quel mare sornione e silente, pian piano riporterà nel suo ventre. Il mare si rispetta. Lo dicono i vecchi e lo insegnano ai giovani. Ma i giovani, a volte, non ascoltano. Non solo. Ci sono giovani cresciuti e rimasti piccoli ed esuberanti, con il viso stagliato per la sfida perenne: uomini capaci di sfidare il drago con le proprie mani. Ma non conoscono il mare. Non sanno della forza e della costanza dell’acqua, della naturale ed egoistica propensione a raccogliere tutto, a limarlo e arrotondarlo. Questo fa il mare e lo fa inconsapevolmente: elimina gli angoli delle cose. Lentamente ma inesorabilmente. Bisogna amarlo molto il mare e rispettarlo. Lo osservi lontano e ne misuri le onde, quelle braccia che accolgono e ti spostano. Diventi un fuscello quasi invisibile nella schiuma, diventi conchiglia da levigare. Il rispetto ti porta a contemplarlo in silenzio quel mare. Ecco: tra le tante cose che non si riescono mai a fare d’estate è quello di sedersi sulla battigia e registrare il rumore del mare. Non si ha mai tempo per queste cose. Ci servono i tuffi e la sfida tra noi e lui. Eppure, a ben leggere, ci sono sempre racconti terribili, di un mare cattivo e nemico che ha ucciso uomini e donne. Anche bambini. Ma il mare, per alcuni, è solo lo strumento per coltivare speranze. Sono i mezzi con i quali si affronta ad essere sbagliati. Figuriamoci, poi, se si sfida così, a mani nude, per una nuotata tra le onde alte e spumose, per un’istantanea da regalare agli amici che potrebbe diventare l’ultima foto della tua vita. Come è accaduto a Cabras, nella penisola del Sinis, mare forte e dolce, lento e smisurato ma quando si muove, da rispettare. Vincenzo Curtale, un uomo di 41 anni, sardo, con addosso il rumore del mare lo aveva capito subito. Non faceva il bagno. C’erano altri a farlo. Ad ingoiare onde e sorridere dentro un’acqua che avvolgeva e ti allontanava dalla riva. Lui, ha capito quello che stava per accadere. Lui ed altri amici si sono buttati dentro quell’acqua forte e rigogliosa nel tentativo di salvare chi, invece, quell’acqua non l’aveva saputa non solo sentire, ma neppure osservare. Non c’è riuscito. Ha salvato gli altri ma lui non è morto. Da quell’acqua è nata la tragedia, la polemica sui soccorsi, l’impossibilità di presidiare tutte le coste della Sardegna. Perché è sempre così: la colpa è sempre di qualcun altro. Se c’è un incidente cerchiamo l’Anas, se tuo figlio di sedici anni muore per una pastiglia di ecstasy, la colpa è della discoteca. Adesso la polemica è legata alla mancanza di soccorsi, in un luogo quasi solitario, non il lido di Alghero o Platamona o al Poetto. Bisogna amarlo molto il mare. E rispettarlo e capire quando si può affrontare con un sorriso e quando, con lo stesso sorriso, si deve solo fotografare. Per questo eroe moderno ci saranno solo poche parole. Il mare avrà anche i suoi occhi, come quelli di molti migranti. E’ un quadro di Picasso, il mare. Da contemplare e da decifrare.

Don Franco Barbero, il prete che sposa i gay, ha una moglie e fa celebrare le donne. in quanto L'amore è sempre un dono

 non mi  sono pentito  d'aver intervistato    ( qui la mia  intervista  con annesso il  suo blog  ed i suoi contatti )   a Don Franco Barbero,


il prete che sposa i gay, ha una moglie e fa celebrare le donne. in quanto : << L'amore è sempre un dono>>. Infatti    Quello che  lui ha  subito     si   Formalmente si chiama «sospensione dal servizio».

frame del video   che trovate  sottto


 I più la chiamano scomunica. Per don Franco Barbero, il prete di Pinerolo che unirà in matrimonio Federica e Isabel, ex suore missionarie, è arrivata nel 2003, quando poteva già definirsi un anziano. È rimasto senza un tetto, senza cibo, senza soldi. Lo ha ospitato la comunità in cui oggi vive e a cui si rivolgono coppie omosessuali, ma non solo, da tutta Italia. Franco Barbero è un prete che, nonostante l’esclusione dalla Chiesa, continua a sposare coppie gay e lesbiche. Celebra l’eucarestia. Nel pinerolese è amato da tutti. Molti lo considerano un paladino dei diritti. Oggi ha quasi 80 anni. È stato lui a ospitare le due suore in comunità e ad aiutarle nella ricerca di una casa e di un lavoro. «Stiamo facendo un bel cammino insieme, sono due donne molto positive – racconta - ho un gruppo con cui facciamo un percorso. Ci sono anche loro. Amare la chiesa vuol dire aiutarsi a liberarsi. Dio vuole la felicità – dice don Barbero – e quando la chiesa crea leggi oppressive bisogna avere il coraggio di dire che invece Dio è bello e che ci vuole felici.
«Io ho quasi 80 anni – racconta  ad  un intervista  di qualche  tempo  fa  a l corriere  della sera    - e ho visto tanta gente soffrire in nome di Dio. Ma era colpa della Chiesa, non di Dio. Ho avuto una vita bellissima. In mezzo ai poveri, per la strada». La scomunica del 2003 non ha cambiato nulla. «In verità nella mia diocesi continuo a professare – spiega l’uomo espulso dalla gerarchia ecclesiastica – cioè è come se la scomunica non ci fosse stata. Prima c’è l’obbedienza a Dio, poi il diritto canonico». E così don Franco continua a dire messa – « celebro l’eucarestia nella comunità dove risiedo, e paghiamo l’affitto per starci» – e viene chiamato in molte parrocchie per farlo. «Ricevo molti inviti – ammette – effettivamente, nonostante la sospensione, mi chiamano davvero in tanti. Non ho fatto né soldi né carriera nella mia vita, vivo con le persone di strada. Ma sono molto amato. Da quando la chiesa mi ha sospeso mi aiuta la mia comunità, non mi serve niente. C’è solo da vivere. E la vita è bellissima ». Punto di riferimento Don Barbero è diventato un punto di riferimento per molti cattolici respinti dalla Chiesa. Per gli omosessuali, ma anche per coloro che hanno preso i voti e che scoprono di volere vivere la loro sessualità. Il suo blog – «non lo so usare, perché sono un analfabeta di internet» – è uno dei mezzi con cui dialoga con le persone. «Ricevo tantissime lettere al giorno», dice, e ricorda che Isabel e Federica lo hanno trovato cercandolo da lontano. «Dall’Africa mi hanno contattato. Ho sentito da subito una profonda sintonia e loro si sono affezionate a me. Io a loro. C’è tanto bisogno di ascolto. Io amo più le persone che mi fanno delle domande che quelle che dichiarano certezze».  Sia    questo  articolo    del corriere   sia     sia  quello  riportato  sotto     confermano  qiuello che  dicevo all'inizio    sono orgoglioso  di  averlo intervistato  


da repubblica

"Ratzinger licenzia il prete che sposa i gay" titolavano i giornali nel marzo 2003. Un provvedimento pontificio che non ha comunque impedito a Franco Berbero di continuare a celebrare nella sua comunità e di seguitare nel farsi chiamare "don", titolo che a Pinerolo nessuno sembra mettere in discussione.



 "In quasi 60 anni di ministero ho sposato 690 coppie omosessuali" racconta con orgoglio don Franco nello studio della casa in cui vive con la moglie. A 83 anni suonati snocciola con grande precisione i ricordi della sua memoria: racconta di quando, giovane prete, pensava che la Chiesa avesse in mano la verità e dei successivi anni pieni di dubbi, incontri e pregiudizi infranti. "Nel '63 un ragazzo omosessuale mi fece conoscere il suo compagno. Quell'incontro mi ha cambiato la vita. Nel '71 fondai un gruppo di incontro per i gay e 7 anni più tardi cominciai a sposarli" ricorda don Franco. Una pratica da subito condannata dai suoi superiori ma che esplose definitivamente solo nel 2000 quando, in occasione del giubileo, il prete di Pinerolo si spinse a dire che l'omosessualità è un dono. "Non volli mai ritrattare quella frase, sarebbe stato scorretto nei confronti di quello che avevo fatto e nei confronti della mia comunità". Nel 2003 viene dimesso dallo stato clericale, ma don Franco non ha mai rinunciato a portare avanti il suo ministero in disobbedienza ai diktat vaticani. Nelle sue comunità di Pinerolo, Torino e Piossasco continua a celebrare matrimoni tra gay, lesbiche e trans, ha una moglie e permette alle donne di amministrare l'eucarestia. "Con la sua chiusura, la Chiesa sta perdendo tantissime chiamate di Dio - racconta con le lacrime agli occhi -. Tante persone si stanno allontanando convinte che per far parte della Chiesa sia necessario avere un tesserino: o sei maschio eterosessuale o rimani fuori. Io dico che questo messaggio compromette il Vangelo".
 
di Davide Cavalleri

15.8.22

#PurpleHeartsNetflix


Un film toccante . che ha creato un mare di polemiche per le sue prese politiche critiche verso la politica Americana che vuole portare la democrazia all'estero ma non riesce a garantirla ai suoi cittadini e poco etiche ( misoginia , razzismo , politicamente scorretto , ecc ) ed a cui
l'attrice ha risposto in maniera egregia : <<Spero che le persone capiscano che per far crescere i personaggi devono avere dei difetti all'inizio. Per questo motivo abbiamo volutamente creato due personaggi che sono stati cresciuti per odiarsi . .... Alcune delle persone che li circondano hanno ancora più difetti rispetto a loro. Sono stati entrambi rifiutati dal sistema. Lui è ferito in una guerra che non sembra finire e lei è in difficoltà a causa del sistema sanitario. Sono entrambi rifiutati dal sistema e si ritrovano a convivere, e in queste circostanze estreme imparano a essere più moderati, ascoltarsi e amare".>> ( da questo articolo di https://movieplayer.it/) . Un film toccante .E' una testimonianza che l'amore è anche : aiuto reciproco , condivisione , dei problemi , oltre che delle gioie . Anche da un matrimonio fatto per opportunismo può nascere l'amore .

Cristina nuti wonder woman all'italiana

CRISTINA NUTI

Il dolore alla gamba. La fatica a camminare. La diagnosi di sclerosi multipla. «Ci sono giorni migliori e altri in cui mi sento un carretto». Be’, questo carretto ha fatto un Ironman. Grazie (anche) ad Alex Zanardi

  settimanale  Oggi   Fiamma  Tinelli 


La prima volta che Cristina Nuti si è chiesta dove fosse finita la sua gamba sinistra era l’estate del 2008. Aveva 36 anni, era in vacanza sul Mar Rosso, mentre faceva il bagno si è accorta che dall’anca alla caviglia non sentiva nulla. Solo un formicolio. E, sotto, il dolore. «Mi sono preoccupata, ma pensavo

fosse un’ernia, un nervo schiacciato». Una volta tornata in Italia, la diagnosi le è piombata addosso mentre era seduta davanti a un neurochirurgo: sclerosi multipla recidivante-remittente. Traduzione: oggi cammini, domani non si sa. Nessuno può prevederlo. Il 3 luglio Cristina - milanese, marketing manager - ha completato il suo primo Ironman, l’Everest del Triathlon: 3,8 km a nuoto, 180 in bicicletta, una maratona di 42 km. «È stata dura, in confronto agli altri sono un carretto, ma ce l’ho fatta».La soddisfazione è tanta, ma non è questo il punto. Il punto è che scoprirsi malata, dice, ha cambiato il suo modo di guardare alla vita.I primi tempi sono stati duri. I medici le dicevano di non affaticarsi. «Mi spiegarono che la sclerosi multipla è una malattia autoimmune, subdola, che danneggia il sistema nervoso centrale e può determinare una disabilità progressiva. Le parole mi rimbombavano nella testa». “Disabilità”. “Progressiva”. Dopo una settimana in ospedale, Cristina è salita su un tapis roulant per mettere alla prova i muscoli. Inciampava ogni due passi, «un incubo». Per anni, in ufficio della sua malattia non ha detto niente. «Non mi piacciono gli sguardi di compassione, i “poverina”. Volevo dimostrare a me stessa di essere quella di sempre». E poi, quella di Cristina è una disabilità invisibile. Come lo spieghi che ci sono momenti in cui la testa va a mille ma il corpo non ce la fa? È come vivere nella Terra di mezzo: alle spalle c’è quella che eri, che si metteva i tacchi. Davanti allo specchio, una che soffre di dolore cronico e ogni tanto fatica a stare in equilibrio.

«Ce la caveremo», la incoraggiava sua mamma. E comunque, Cristina ha la testa dura. Ha due lauree (di cui una presa lavorando), ha cambiato vita, casa, lavoro, ha già ricominciato daccapo tante volte. Così, un giorno si è messa a studiare. Ha letto tutto quello che c’è sulla sua malattia, la genesi, la prognosi, i possibili sintomi più neri (elenco non esaustivo: tremori, disturbi alla vista, dolore parossistico, problemi intestinali, vescicali, alterazioni cognitive, spasticità). Sto male, ma c’è chi soffre più di me, si è detta. E ha deciso di mettersi alla prova.

All’inizio erano corsette da dilettanti, con un gruppo di amiche. Un chilometro, due, con le gambe che ogni tanto vanno, ogni tanto no. Poi ha cominciato con le gare. Ma la svolta è arrivata con Obiettivo 3, l’associazione fondata da Alex Zanardi per l’avviamento allo sport di atleti con disabilità. «Mi avevano invitata a un loro evento, c’era anche Alex. Mi ha abbracciata emi ha detto: “Grazie di essere con noi”. Mi sono sentita a casa». Sono stati i ragazzi di Zanardi a convincerla che non esiste una disabilità più

importante di un’altra. Che non c’è bisogno di dimostrare niente a nessuno, che ognuno ha la sua fatica, che non esiste una classifica della sfortuna. Ogni persona con disabilità fa quello che può, come può, «se ci stai provando hai già vinto». Da lì in poi, Cristina ci ha messo l’anima. In due anni ha corso nove maratone. La più bella è stata quella di New York, con i grattacieli che le sfilavano accanto. Quella di Roma non finiva mai, ma lei si è detta: piuttosto cammino, ma non mollo. Per farcela - anche quando il dolore picchia - ha elaborato due strategie, tutte di testa. La prima: «Mai pensare al traguardo, alla gara intera. Il prossimo ristoro è a 5 chilometri? L’obiettivo è quello, poi vediamo». La seconda: «Ogni tappa è dedicata a un amico. Penso a lui, a lei, rivedo i momenti passati insieme, ne immagino altri». Funziona. Quando qualcuno le ha proposto il Triathlon (nuoto più bici più corsa), Cristina s’è messa a ridere: fino a tre anni fa non sapeva nuotare. Ma mica si è fermata. È andata in piscina e ha detto all’istruttore: «Guardi che io sono una che se mette la testa sott’acqua vede i mostri marini». E si è tuffata. Per l’Ironman di Klagenfurt si è preparata per mesi. Un’ora e mezza di allenamento al giorno, di più nel weekend. La traversata del lago è durata due ore, il giro in bici sette, la maratona cinque. Dei primati, a Cristina non frega nulla. «Io sono fortunata, ci sono disabili che faticano ad arrivare dal divano al bagno: è il loro Ironman, anche loro vincono». La paura resta. Che il domani sia diverso, immobile. Quella che è cambiata è la testa. «Il mio prossimo traguardo è lavorare per l’inclusione. Far capire a tutti che la diversità non ha confini, solo nuovi blocchi di partenza». È la lezione di Alex. «E io lo so, lo sento, che lui tifa per noi».

risposta di Aboubakar Soumahoro a sallusti ed ai suoi fans ed altre storie da settimana icom

 In una ennesima, purissima forma di razzismo gretto presente nella pancia di tutti noi nessuno escluso , sottoscritto compreso , ma riusciamo a controllarlo ed espellerlo quando andiamo in bagn ) il quotidiano “Libero” in questo caso ha sbattuto sulle proprie colonne questo titolo immondo ed malpancista



:
“La sinistra imbarca la Cucchi e l’ivoriano”.
“L’ivoriano”, come lo chiama “Libero”, sarebbe Aboubakar Soumahoro, in realtà italianissimo, con una proprietà di linguaggio infinitamente superiore a tre quarti dei parlamentari ( e di molti dei loro simpatizzanti ed ellettori ) di Lega e Fratelli d’Italia per cui “Libero” fa il tifo. Egli ha dato ha dato una risposta al direttore Sallusti che è da incorniciare per perfezione stilistica e politica.

“Gentile Direttore di Libero, Dott. Alessandro Sallusti,
mi chiamo Aboubakar Soumahoro (e non “l’ivoriano” come mi chiamate in questo articolo) e sono felicemente un italiano di origine ivoriana, laureato in sociologia, che lotta da 20 anni per i diritti civili e per i diritti sociali di tutte e tutti, senza distinzione. Sono un attivista socio-sindacale che ha deciso di mettere la propria esistenza al servizio della vita delle persone, per essere uno strumento di lotta per la giustizia sociale ed ambientale, perché ho l’intima convinzione che ogni essere umano (indipendentemente dal colore della pelle, dalla provenienza geografica, dall’orientamento sessuale e dal credo religioso) debba avere l’opportunità di ambire alla felicità e all'accesso a 1) cibo e beni materiali necessari per il corpo; 2) la cultura e all’educazione indispensabili all’anima; 3) la libertà e della dignità vitali per lo spirito. Da attivista socio-sindacale, lotto con determinazione per i diritti civili, perché ho la profonda convinzione che l’ingiustizia del razzismo e della stigmatizzazione (che discrimina la singolarità degli esseri umani, erroneamente e ingenerosamente chiamati “diversi”) debba essere combattuta perché nessuna persona può essere considerata inferiore in base al colore della pelle, della provenienza geografica, della classe sociale, dell’orientamento sessuale o per la sua fede”.
Aboubakar Soumahoro
Inchinarsi. In un mondo appena decente, di fronte a uno come Soumahoro uno come Sallusti dovrebbe solo inchinarsi. E imparare qualcosa del mondo. La dignità contro la mestizia come fa notare Lorenzo Tosa



-----
-----
TRAVIATI. Apprendo   dal blog  (  Fatto ad Arte - Corriere Della Sera di Pierluigi Panza, di un’ultima scemenza che si nota più di altre perché partorita nel mondo della musica colta. Di fronte a proposte giustamente definite “grottesche”, come quella avanzata da un compositore di accorciare le opere tagliuzzandole qua e là per renderle più accessibili ai giovani, perché - si domanda Panza - al contrario “non le allunghiamo di qualche minuto, spiegandole”?” Infatti, come si sa, melius abundare... Ma soprattutto: tagliare l’aida? O il Nabucco? È come proporre di accorciare per  fare  un esempio  su uno dei classici  dela nostra letteratura  “I promessi sposi” per renderlo più appetibile: che facciamo togliamo la conversione dell’innominato, la peste o la monaca di Monza ? 
Concordo   con   quest  articolo   di  dagospia  


PIERLUIGI PANZAPIERLUIGI PANZA

"Preservatevi dalle insidie delle donne: Questo è il primo dovere della confraternita" ("Bewahret euch vor Weibertücken, Dies ist des Bundes erste Pflicht") si canta in un passaggio di "Die Zauberflote" di Mozart per ora sopravvissuto alle varie censure (femministe, politically correct e declinazioni varie).

 

Nello "Zauberflote" tutto femminile, ma non femminista, in scena al Festival di Salisburgo le donne all'opera (direttrice Joana Mallwitz, regista Lydia Steiner, scenografa Katharina Schlipf, drammaturga di Ina Karr...) lanciano una bella insidia/sfida alla futura fruizione dell'opera lirica.

joana mallwitzJOANA MALLWITZ

 

Di fronte a proposte grottesche, come quella del compositore Giorgio Battistelli di accorciare le opere tagliuzzandole qua e là per renderle più accessibili ai gggiovani, perché, invece, non le allunghiamo di qualche minuto spiegandole?

 

Solo qualche minuto per raccontare meglio i passaggi con una voce narrante di prosa, in scena o fuori, o con un testo display. E' quello che stanno facendo nello "Zauberflaute" di Salisburgo: un nonno entra in camera da letto dei tre bambini-genietti dell’opera e legge loro la storia di Tamino & Co. come se fosse una favola, sostituendo o, meglio, aggiungendo ai dialoghi di Schikaneder quelli della regista Lydia Steier e della drammaturga Ina Karr.

 Nelle pause musicali il nonno apre un libro e legge introducendo quanto sta per accadere. Intendiamoci: pochi secondi alla volta, in tutto forse un minuto in più della "normale" durata dell'opera.

 

battistelliBATTISTELLI

Facile si dirà, quell'opera è anche una fiaba ed è stato elementare per le donne-mamme che l'hanno diretta farsi venire una pensata del genere. Ma per il melodramma? Per il Barocco? L'opera barocca mette in scena amori mitologici, che ben si presterebbero a un accompagnamento con voce narrante. I libretti del melodramma sono per lo più tratti da drammi o romanzi d'appendice quindi nascono dalla narrativa. Intendiamoci: l'opera lirica può continuare a essere fruita come concepita da inizio Novecento, ma se qualcosa si vuole sperimentare per renderla più comprensibile al cosiddetto "nuovo pubblico" o, se esistono, ai nativi digitali costretti dai nonni in un teatro d'opera certo la strada non è quella di togliere come proposto da Battistelli, fare a pezzi un'opera d'arte che non ci appartiene per renderla più "corta". Così come, per rendere più comprensibile una pala d'altare il metodo non è togliere qualche Santo minore o qualche scena della Bibbia meno nota. La via è quella di accompagnare nella storia, come ben fatto in questo "Zauberflote".


Oppure     in due  modi  : 1) con programmi tv  nella fascia pre-serale  come   quello andato  in onda  tra  maggio e  giugno  su Rai3, si tratta de “La Gioia della Musica”. La conduzione è affidata a Corrado Augias che accompagnava    con esperti  (  direttori  d'ochestra    ,   strumentisti ,   ecc   )  il pubblico alla scoperta della grande musica  cassico   sinfonica e lirica in tutte le sue sfaccettature... da https://www.fanpage.it/spettacolo/programmi-tv/corrado-augias-torna-in-tv-con-la-gioia-della-musica-un-programma-alla-scoperta-della-classica/ ., 2) alla radio ( purtroppo è in orario di nicchia cioè Il sabato e la domenica alle 9.00 ed limitato , secondo me andrebbe esteso almeno fino allle origini dela musica moderna ovvero il rock o rock roll , poi per resto c'è la rete ) come fa il programma Lezioni di musica | Rai Radio 3 | RaiPlay Sound dove 
Musicologi e musicisti italiani tra i più affermati e riconosciuti, insieme alle voci storiche di alcuni conduttori delle principali trasmissioni musicali di Radio3, accompagnano gli ascoltatori in un percorso divulgativo che vuole essere a un tempo didattico e coinvolgente. Grandi capolavori del repertorio sinfonico e di quello da camera, ma anche generi e forme musicali diversi, vengono esplorati con la proposta di esempi spesso eseguiti dal vivo al pianoforte o con l'offerta di ascolti rari e di grande qualità 

Patrizia Guerra: " Anch'io ero una bulla ma ora da mamma combatto i prepotenti




 DA repubblica  

Patrizia Guerra: " Anch'io ero una bulla ma ora da mamma combatto i prepotenti"
dalla nostra inviata Alessandra Ziniti 


Ancona
Il sacco rosso appeso nella palestra stranamente deserta. «Che succede, non ci alleniamo oggi?». Il suo maestro che la fissa dritto negli occhi e sibila: «O affronti quello che hai dentro adesso e lo
sconfiggiamo, oppure ti giri e te ne vai». Quel giorno, prendendo a pugni il sacco con tutta la rabbia che aveva in corpo, cambiò per sempre la vita di Patrizia Guerra. Perché questa donna coraggiosa e decisa che ad Ancona ha deciso di sfidare a viso aperto le baby gang che terrorizzano la città e che per ben tre volte hanno picchiato suo figlio, prima di essere una “mamma-coraggio” come tutti la chiamano, è stata prima bullizzata e poi, a sua volta, bulla. E oggi Patrizia, a 43 anni, è diventata simbolo della difesa del diritto dei ragazzi a crescere liberi senza subire violenze.



E chi l’avrebbe detto che anche lei ha un passato da bulla?

«Prima bullizzata e poi bulla. Ed è certamente questa mia storia che mi ha consentito di non sottovalutare mai il dramma che ancora sta vivendo mio figlio e tutti i ragazzi come lui. Tanti, troppi. E che spesso restano in silenzio, senza denunciare, senza ribellarsi, per paura o anche solo perché nessuno li ascolta».

È questo che è successo a lei?

«Sì, nel paese dove vivevo da bambina, Monte Sant’Angelo in Puglia, mi avevano preso di mira per la mia timidezza. Ero alle scuole medie: mi portavano via la merenda, mi rinchiudevano in bagno, mi rubavano le matite, mi prendevano in giro, mi davano schiaffi. Quanto basta, a quell’età, a farti crollare l’autostima, a farti sentire debole, inferiore. I miei genitori non erano molto presenti a casa, mia madre faceva la pilota di auto, mio padre lavorava tutto il giorno. E non c’era nessuno che poteva ascoltarmi».

Da vittima a carnefice il passo è lungo. Come è accaduto?

«Un giorno stavo seduta su una panchina a piangere quando mi avvicinò un signore. Mi propose di andare nella sua palestra di karate. Lui voleva propormi un’attività che mi impegnasse, io andai perché pensavo che sarei diventata più forte e avrei potuto vendicarmi. E così avvenne: picchiavo tutti, femmine e maschi. Mi chiamavano persino per le spedizioni punitive. Fino a quando il maestro lo scoprì…»

Il famoso giorno del sacco rosso.

«Sì, aveva saputo che avevo picchiato delle ragazze e mi affrontò in quel modo facendomi trovare la palestra deserta e mettendomi davanti ad una scelta. Quel giorno ho picchiato il sacco per un’ora, tirando fuori tutta la rabbia che avevo in corpo. È stata l’ora più lunga e significativa della mia vita. Quel mio maestro, che oggi ha 80 anni , di ragazzi come me ne ha salvati tanti. Gli devo tutto e questo mi ha fatto capire quanto può valere nella vita di tutti noi l’incontro con la persona giusta. Certo, trent’anni fa era un bullismo diverso, si faceva pace, io con quelli a cui ho dato botte sono rimasta amica. Oggi questi qui non sanno neanche cosa sia la pace, sono criminali, ti lasciano steso per terra e non vogliono cambiare. Ma non possiamo rimanere a guardare».

Siamo sedute al tavolino di un bar di piazza Roma, nel cuore di Ancona. “Questi qui” di cui parla Patrizia ci passano davanti a frotte: sono italiani e stranieri, si danno il cinque, si radunano sopra le scale che conducono ai bagni pubblici, proprio lì dove è scattato il primo dei tre agguati al figlio di Patrizia, nel 2019, l’ultimo a dicembre scorso. Tutti adesso qui sanno chi è questa donna volitiva, cintura nera, 2° dan, che ha anche deciso di portare ad Ancona la divisa dei City Angels, l’associazione di volontari nata a Milano.

Patrizia, come sta suo figlio?

«Si sta riprendendo, ma non posso dire che stia bene. Paura, attacchi di panico. A dicembre, dopo l’ultima aggressione, ho dovuto licenziarmi dalla scuola dove ero stata appena assunta. Dovevo stargli vicina, senza di me non riusciva a muovere un passo. Aveva terrore anche della mia battaglia contro l’omertà dei genitori che non denunciano e l’indifferenza degli adulti che si girano dall’altra parte. Intollerabile».

È per questo che ha deciso di scendere in campo a difesa di tutti i ragazzi vittime di bullismo?

« Si, non potevo permettere che mi portassero via mio figlio. E instillandogli questa paura me l’avrebbero portato via. Ero davanti allo stesso bivio di tanti genitori: o minimizzi e giustifichi il problema o lo affronti e io ho scelto la seconda strada».

Ma perché hanno preso di mira suo figlio?

«Non c’è nessuna ragione particolare. Per questi criminali in erba è quasi un rito di iniziazione. Devono prendere di mira il primo che passa e massacrarlo. Quando è successo la prima volta mio figlio aveva 14 anni e stava passeggiando con degli amici, quando lo hanno accerchiato in dieci aggredendolo. Io mi trovavo nei pressi per caso quando ho visto la rissa e mi sono avvicinata. Poi ho capito che si trattava di lui, mi sono gettata nella mischia, ho bloccato il braccio di quello che lo stava picchiando, li ho messi in fuga. C’erano decine di persone che passavano, nessuno è intervenuto».

Avete denunciato subito?

«Sì, anche se lui non voleva perché aveva paura. E invece li abbiamo denunciati, identificati, li hanno presi tutti, sempre, processati, condannati. Nel frattempo però hanno minacciato anche me, ci salivano in casa, mi sono ritrovata anche con un coltello puntato alla gola. Ma non mi sono mai fermata e alla fine lui mi ha detto “grazie”. Nonostante la paura vado avanti perché la battaglia non è finita, basta guardarsi intorno».

La sua è anche una battaglia per fare rete, per convincere gli altri genitori a scendere in campo. Ci sta riuscendo?

«Pian pianino, ma sa che anche le mamme dei bulli mi vengano a cercare? È successo con la mamma di un giovane tunisino che ha aggredito mio figlio. Spesso anche questi genitori hanno bisogno di aiuto. E a quelli che restano a guardare dico: “Guardate che potrebbe capitare anche a vostro figlio”. E insomma adesso anche le istituzioni cominciano a darci ascolto. E anche il Papa a cui avevo scritto ci ha risposto con una lettera di incoraggiamento, invitandoci tutti ad andare avanti e a non avere paura. Per mio figlio è stata una grande iniezione di fiducia».

14.8.22

La favola della pecora Fortunata, percorre 100 chilometri con il suo agnellino per ritrovare il gregge Una transumanza solitaria dal sapore di fiaba

 crdevoche a  fare  cose  del genere  fossero  solo cani  o gatti  . Invece  .  Non sempe  il termine pecora  è negativo  

https://torino.corriere.it/  13 agosto 2022 (modifica il 13 agosto 2022 | 18:46)

Ha percorso un centinaio di chilometri insieme al suo agnellino appena nato per ricongiungersi al gregge da cui si era staccata quaranta giorni fa. E il pastore, quando l’ha rivista, passata la sorpresa le ha dato un nome nuovo: Fortunata. È stata fortunata e anche coraggiosa questa pecora che, un passo alla volta, ha percorso tutto il Piemonte nord-orientale da Gozzano (Novara), dalle parti del lago d’Orta, fino alle montagne della Val Formazza, nel Vco, ultimo lembo d’Italia prima della Svizzera. Un transumanza solitaria che, come ha scritto sui social Mauro Morando, lo chef che ha raccontato la storia, «Sembra una favola»

desc img

«L’altro giorno - racconta l’uomo, che lavora in un ristorante della zona - stavo scendendo verso valle e, lungo la strada, ho incontrato il pastore mentre risaliva insieme alla pecora e all’agnello».Il pastore è Ernestino, conduce un gregge composto da un migliaio di capi ed è, come spiega il cuoco, un signore d’altri tempi, un tipo vecchio stampo che non si stacca mai dai suoi animali: «L’inverno lo trascorre a Mortara, nel Pavese, poi muove verso Gozzano. Quindi arriva nel Verbano-Cusio-Ossola e, nei mesi più caldi, sale qui in val Formazza per portare le pecore al pascolo. Fa così da quarant’anni». Fortunata, questa volta, a giugno era stata lasciata nel ricovero di Gozzano perché incinta. Ma dopo il parto, non appena il suo agnellino è stato in grado di assestarsi si è messa in movimento. «Avendo quattro o cinque anni - osserva Morando - nelle scorse estati era già stata in val Formazza. Evidentemente è stata in grado di orientarsi o di ricordare la strada percorsa in passato».Il viaggio è durato una quarantina di giorni. Ernestino, adesso, ha sistemato Fortunata e l’agnello (chiamato Fortunato) al sicuro, per fare in modo che si riposino, e ha portato le altre pecore più su, in alpeggio.



E dire che ERNST KNAM voleva diventare poliziotto

 non vendo  voglio di fare  cut  paste copia  e  incolla    riporto direttamente  l'articolo  nel formato pg  





intervista a Don Franco Barbero: "Da 44 anni celebro matrimoni tra omosessuali" La Chiesa non vuole ma io sto dalla parte degli ultimi”

leggere  anche 

Sesso e amore, un glossario per capire cosa significano i termini oltre i confini di genere


 visto  che  sono pochi i  preti  cattolici    che  si espongono  sull'omosessualità  ed  il mo
ndo lgbt , . ecco alcune

domande da me rivolte Non solo sul mondo lgbt a don Franco Barbero (  qui il  suo blog   Riflessioni e commenti di don Franco Barbero)  della Comunità cristiana di base Via città di Gap 13, Pinerolo Cell. 3408615482 un prete che da 44 anni celebra matrimoni tra omosessuali"

1)  Quindi i suoi inerventi c' è un invito alla coesione rivolto esclusivamente alla comunità Lgbt?

Mi sono interessato da sempre e mi sono coinvolto, politicamente e teologicamente come biblista con le lotte delle comunità LGBTIQ+,ma il mio impegno è partito dalla lotta contro la chiesa ricca , concordataria, patriarcale.

2)  VISTO  CHE    Fin dal 1975 assume posizioni di contrasto sia con la dottrina cattolica sia con le posizioni della Chiesa cattolica rispetto a problematiche della società; tale dissenso trova testimonianza in numerose pubblicazioni e in una celebrazione liturgica in forme differenti rispetto a quelle previste dal canone cattolico 



Nei 32 libri che ho pubblicato ho dato grande spazio alla dogmatica, cristologia, mariologia e liturgia. In almeno duemila e cento interventi del mio blog negli ultimi 13 anni (compresi 300 commenti al Vangelo della domenica o delle feste ) mi sono occupato – sempre segnalando fonti e Autori /Autrici,del Gesù ebreo, della evoluzione dogmatica , della dogmatica mariologica e sacramentale. Ovviamente la liturgia, come può vedere sul blog, nella mia comunità è “costruita “ a turno dai fratelli e sorelle della comunità, quelli italiani e quelli “connessi” da molte parti dell'Italia, dalla Germania, Inghilterra, Stati Uniti....



3) Si sente un senza chiesa ?



Per nulla ! Mi sento chiesa , cioè assemblea e comunità con chi cerca la fedeltà al Vangelo (letto in modo serio!)e praticato nel quotidiano. E' la vita che decide il nostro essere sulla strada di Gesù. Quello è il dentro o fuori che conta.
Siccome non ho mai avuto una lira dalla mia chiesa, nella mia diocesi sono fin troppo apprezzato e sono totalmente e serenamente libero.
Il vescovo sa e non può condividere, ma nutre verso di me una relazione rispettosa. La pratica mia e comunitaria continua il suo cammino con il rigore della ricerca e con la libertà “Senza chiedere permesso”.

4) ma le  sacre  scritture  ,  almeno dai miei  ricordi  di catechismo   e  di letture  bibliche  , non "vieta " il sacramento del matrimonio   fra  persone dello stesso sesso  


Lo studio biblico , mia passione quotidiana da oltre 60 anni, mi ha documentato come hanno costruito il castello dogmatico. Studiare molto, ogni giorno....Qui non posso riprendere le migliaia di pagine dei libri e del blog. Oggi gli strumenti ci sono anche se i teologi in genere sono “prudenti” (devono difendere cattedra e stipendio).

5) può  spiegare  meglio  questa  sua  descrizione   «illusione che siano la fotografia della verità»; dei  dogmi  cristiani

Come per me e per molte comunità fare la comunione non significa mangiare Gesù, come se fosse realmente presente nel pane e nel vino, così il ministero della riconciliazione non è un potere dato ai preti di assolvere, ma è la comunità che si riconosce peccatrice e affida ai ministri il compito , il servizio di annunciare che il Dio di cui ci da testimonianza Gesù, è il Dio dell'accoglienza. Dio solo perdona, a noi tocca crederlo, praticarlo e annunciarlo. La “comunione” non è un ciucciarsi devotamente un'ostia, ma metabolizzare, tradurre nella vita il messaggio di Gesù di Nazareth: cosa ben più impegnativa . Spezzare il pane non è una devozione, ma l'invito a condividere ciò che si ha, a convertirsi alla condivisione.
6) cosa  contesta  del  diritto canonico  \  7) quindi visto che lei     considera il divieto del ministero alle donne e del matrimonio ai sacerdoti, considerate «leggi disumane»
E' difficile dire male della persona di Francesco per la quale ho rispetto, anche se sul piano teologico è fermo al Concilio di Trento su certi punti. E'' il papato che è una struttura, costruitasi nei secoli e contaminata dal potere e, siccome ha sempre l'ultima parola, è la negazione assoluta della sinodalità. La gerarchia ascolta (che bravi!!), ma poi decidono sempre loro. Una chiesa sinodale oggi è una pia illusione! Siamo secoli in ritardo. Le donne nella nostra chiesa sono presenze fondamentali sul piano della testimonianza e degli studi e vengono ancora escluse dal ministero. Dico solo che questa è la congiura dell'ignoranza e del patriarcato. E' una vergogna. Ci vogliono comunità in cui le donne presiedano l'eucarestia. Lo si può già fare dopo un bel gruppo biblico e in tanti momenti di convegno:basta con l'obbedienza...e il bisogno dell'autorizzazione.
Sul “tema dei miracoli”, che ho ampiamente trattato nei commenti biblici sul blog, lei potrà leggere sul mio stesso blog una sequela di riflessioni dal 20 agosto. Se avessi il tempo mi piacerebbe dirle quanto la lettura storico-critica abbia compiuto, negli ultimi 80 anni, dei passi utilissimi alla fede. Gesù, come altri personaggi profetici (pensi ad Elia, Mosè,Eliseo...) aveva il dono di incontrare le persone e comunicare fiducia, ma i “racconti di miracoli” (racconti, non cronache) sono l'espressione di quanto la fede possa dare vita, risvegliare. Ma Gesù “non tira fuori Lazzaro dal sepolcro”, non “moltiplica” il pane, non nasce perché Dio mette incinta Maria ..., non passa per la serratura per incontrare Tommaso....
I racconti di miracolo sono un genere letterario, che come il mito , vanno interpretati (come lei potrà leggere sul blog centinaia di volte..) e oggi gli strumenti della ricerca esegetica sono preziosi.
Va da sé che io parlo di cose serie, non del “Miracolo di Bolsena”, “non di apparizioni” o invenzioni come Fatima, Lourdes e Medjugorie.

8)  se  lei  è contro o scettico    verso  la potestà dei sacerdoti nel perdonare i peccati e nel concedere l'assoluzione  chi  è  che  dovrebbe farlo dio  direttamente  9)  visto  che    secondo lei ,  cosi mi sembra  di  capire  i miracoli, «alimentano superstizione e spirito idolatrico»; non sarebbe  mai avvenuti  opure  vengono usati  come propaganda  10) rifiuta   dunque  l'autorità del papa visto che : il papato,  lo addita a «prima donna».

E' ovvio che in una lettera si possono fare accenni e sfiorare le argomentazioni. Se Lei vorrà continuare e approfondire, sono disponibile ma soprattutto è importante arricchirci di studi documentati, spesso disertati dall'autorità. E' fondamentale, per un buon lavoro teologico ed esegetico, avere riferimenti affidabili. Buon lavoro a Lei e ai suoi lettori e lettrici.