2.2.23

come ogni 10 febbraio ci ricordiamo delle foibe ma ricordiamoci perchè gli slavi le fecero

visto  che la maggior  parte  delle trasmissioni televisive  e     articoli  di giornale    ricordano a senso  unico  le  vicende   del confine adriatco  a sensounico cioè solo   le  brutalità  comuniste  facendo tutt'uno le  foibe    del periodo   1941\43   con quelle  del   1945\7  quando la  guerra  era  finita  . Ricordiamo  anche  quello che  successe prima  .
    riprendo da un post  facebookiano  dell'anno scorso  la  vicenda  

BRATUŽ LOJZE (1902 - 1937)
COMPOSITORE, DIRETTORE DI CORO



Lojze Bratuž in un ritratto giovanile.

Le vicende biografiche di B. sono drammaticamente legate al contesto storico e politico goriziano dei primi decenni del Novecento. La sua breve esistenza, iniziata a Gorizia nel 1902 e giunta a termine in seguito ad una brutale aggressione fascista nel 1937, va così contestualizzata all’interno della complessa realtà della minoranza slovena di cui egli è stato uno dei protagonisti. B. infatti era noto in tutto il territorio goriziano per la sua professione di maestro, che lo portava a spostarsi da un paese all’altro, e per le sue molteplici attività musicali. Dapprima cantore e organista parrocchiale, poi direttore di cori e insegnante di musica nel Seminario minore, egli divenne ben presto uno dei principali artefici del “rinascimento culturale” degli sloveni, esternato in un fervore di movimenti associativi a partire dagli anni Venti. Anni in cui l’attività corale, a cui guardava con interesse sia il mondo cattolico che quello socialista, rappresentava un motivo di forte coesione sociale al punto da essere rigidamente controllata dalle autorità del regime. Nel 1922 egli fondò così il coro Mladika, istituzione che accolse nelle proprie fila persone di umile estrazione, con cui valorizzò il repertorio di autori come Marij Kogoj e Anton Lajovic, e due anni dopo partecipò alla nascita e redasse il progetto all’atto costitutivo della Pevska zveza, associazione che raccoglieva e coordinava le quasi ottanta formazioni allora presenti nel territorio. B. lavorò instancabilmente per definire con chiarezza le finalità dell’associazionismo corale – lungi dall’esaurirsi nel semplice intrattenimento, a suo avviso doveva piuttosto mirare alla divulgazione della musica popolare e d’autore – e le modalità della sua presenza nel territorio. Alla fine del 1929 l’arcivescovo di Gorizia lo nominò ispettore arcivescovile dei cori parrocchiali della diocesi, mentre Cesare Augusto Seghizzi lo avrebbe voluto suo successore nella direzione del coro del duomo di Gorizia. In questo contesto egli pensò anche all’istituzione di una scuola per organisti, che però non sarebbe riuscito a portare a compimento. Autodidatta, B. fu autore di musica sacra, con oltre cento canti corali scritti prevalentemente in lingua slovena e alcuni piccoli pezzi riportanti storie dell’Antico e Nuovo Testamento espressamente finalizzati alla catechesi dell’infanzia, e di musica profana in cui si cimentò nell’elaborazione di canti popolari. Nelle composizioni sacre, a cui dedicò le maggiori attenzioni, egli riuscì a conciliare i dettami ceciliani con la freschezza sorgiva della musica popolare. Testimonianza, questa, dell’identità della propria musica e della sua autonomia dalla tradizione ecclesiastica romana.



Naturalmente, però, gli Italiani per la proganda del #giornodelricordo sono solo le povere vittime della  barbarie  comunista  ...

Foibe, se il Miur anticipa Meloni Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto

Ad  usare strumentalmente   un periodo  bruttissimo , quello che  viene riassunto  come  questione  Adriatica   o  come  foibe   e  che   ricorda   purtroppo  a  seso unico  ( salvo ecezioni )  ed  in maniera  strumentale,  delle storia  italiana    ed europea  che  ha  caraterizzato  il  secolo scorso  e  di cui   si sentono ancora  oggi  gli effetti   di tale  uso     e  del suo non farne  i conti   ed  il silenzi ufficiali  a causa  guerra fredda  e  per  le  vergogne  "nazionali" da  nascondere  sotto il tappetto  e lasciare  che fossero    coperte  dall'olio del tempo  e dall'uso ideologico di una  certa  parte  politica  
Mentre  cercavo ispirazione   per la mia contro celebrazione dellla  giornata     orami  divnta settimana del  10  febbraio  \  giorno  del ricordo   ho trovato   quest'articolo   de il manifesto del  15\12\2022. Ma  prima di  riportarlo   consiglio la  lettura  dell'immeno  lavoro  che trovate qui  

 Lavoro   andato a ramengo per   gli errori    evidenziati   ( e  che potete  verificare    leggendo il pdf  ministeriale  )  da  tale  articolo  


Foibe, se il Miur anticipa Meloni

Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto

      Il presidente della Regione Friuli - Venezia Giulia Fedriga con un assessore regionale a Basovizza


Nel mondo della scuola esplode la polemica sulle nuove «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica» firmate dal ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi come ultimo atto
Il giorno prima della nascita del governo Meloni, come suo ultimo atto da ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi ha messo la firma su un documento di 90 pagine intitolato «Linee guida per la didattica della frontiera adriatica». Si parla, insomma, di foibe e, benché il tutto sia stato approvato a metà settembre da un larghissima commissione variamente composita, la sua divulgazione, alla vigilia dell’insediamento del governo di destra, testimonia un curioso passaggio di consegne, nella migliore delle ipotesi, oppure un grande riposizionamento generale all’interno del Miur. Queste linee guida stanno facendo discutere molto nel mondo della scuola, sia per questioni di merito sia per fatti di metodo. Per cominciare, in effetti, è curioso che un ministero si occupi in questa maniera di un tema tanto specifico, e – a memoria di molti insegnanti – nessun argomento sin qui si è meritato un fascicolo di 90 pagina tutto per sé. Inoltre, l’invasione di campo è evidente: il tema delle foibe e dei fatti avvenuti al confine orientale negli anni Quaranta sono già affrontati nei manuali.La  scusa  della «verità taciuta» ormai non regge più: il giorno del ricordo – fissato al 10 febbraio, là dove il resto d’Europa conserva la memoria degli accordi di Parigi che posero formalmente fine alla Seconda Guerra Mondiale – è stato istituito nel 2004, dunque ormai 18 anni fa. I redattori delle linee guida sono docenti di chiara fama (Raoul Pupo, Giuseppe Parlato, Guido Rumici e Roberto Spezzali), ma basta guardare i revisori per rendersi conto di quanto sia politica l’operazione: venti persone, in rappresentanza di tutte le associazioni degli esuli, oltre a figure extraistituzionali come i rappresentanti dei «liberi comuni in esilio» di Zara e di Pola. Come e perché questi signori siano finiti a occuparsi di faccende didattiche non è chiaro, ma tant’è.Nel merito , poi, queste linee guida sembrano rappresentare un malriuscito esempio di «memoria condivisa», in cui si parla sì dei crimini perpetrati dagli italiani durante l’occupazione di quei territori, ma in cui pure si specifica che i due eventi non sono da mettere in correlazione. Si parla, in proposito, di «strategia dell’elusione».Se nell’ambito di un’unità didattica sulle foibe la maggior parte del tempo è dedicata ai precedenti di violenza del fascismo di confine e delle truppe italiane in Jugoslavia – si legge a pagina 17 -, questa non va considerata come corretta contestualizzazione. Bensì quale mera elusione». Le cause, dunque, andrebbero ricercate in una «pluralità di contesti tra loro connessi», dalla fine dell’impero asburgico all’inizio del comunismo.Ecco il comunismo e la rivoluzione di Tito occupano il posto d’onore sul banco degli imputati di queste linee guida. Non manca spazio, ovviamente, per il Pci, al quale (pagina 78) viene dedicato un paragrafetto intitolato «Il silenzio di partito», che così recita: «Il Pci evita di parlare dell’argomento per non rendere evidente la propria posizione, legata anche alle indicazioni di Mosca, su quanto avviene lungo il confine nordorientale». Tre righe appena che, qui sì, annullano completamente il contesto, addossando ai comunisti italiani una sorta di concorso di colpa per quelle vicende, senza fare il minimo cenno al dibattito interno, che pure ci fu, e ai complicati rapporti tra Tito e Togliatti, documentati da ampia storiografia. Poco sotto, stessa pagina, si parla anche di «silenzio di Stato» (per qualche ignoto motivo diverso da quello del Pci) in cui si afferma che le varie forze politiche preferirono lasciar perdere la questione delle foibe «per non aprire i conti col passato» e cercare di celare il fatto che l’Italia la guerra l’aveva persa. Il nodo, in fondo, sarebbe tutto qui: ogni guerra significa morte e distruzione, le recriminazioni dei vinti sulla ferocia dei vincitori sono sì argomento interessante, ma anche spesso e volentieri interessato. Del resto, quella delle foibe è da sempre una vicenda che la destra italiana più o meno postfascista utilizza per bollare la Liberazione come un evento tragico per il Paese e non come uno dei mezzi grazie al quale siamo diventati una democrazia
Da notare, infine, come curiosamente le linee guida affrontino in maniera parziale la questione del numero delle vittime delle foibe. Si legge a pagina 19: «Mentre sul piano della pietà sarebbe importante conoscere esattamente la sorte di ogni vittima, lo stabilire un ordine di grandezza in molti casi può risultare sufficiente sul piano dell’interpretazione storica».E vA bene, ma qual è questa grandezza ? Nessuna indicazione. Si parla di «esagerazioni» (pagina 62), ma si mette anche in guardia «dall’assumere in sede interpretativa il medesimo punto di vista degli autori delle stragi, ribaltando sulle vittime l’onere di provare la loro innocenza». Così si parla di repressione su un numero di persone comprese tra le 60 mila e le 100 mila, ma niente viene detto sulle vittime. Questo, è del tutto evidente, offre uno scudo istituzionale alle «esagerazioni» di cui sopra. E il problema, dunque, non è la giustificazione delle stragi, ma l’apertura delle porte del ministero a ogni tipo di revisionismo.

Peccato un lavoro ben fatto  e   monumentale  buttato  nel cesso  per  gli errori  prima citati    che   ho avuto modo d verificare     consultando tale  documento  

1.2.23

come può un prof negazionista dell'olocausto .- shoah insegnare misteri all'italiana


di  cosa  stiamo parlando  
No vax, filorusso e omofobo: chi è Pietro Marinelli, il prof negazionista che ha interrotto lo spettacolo sulla Shoah - Open


 Se poi un/a povera docente viene impallinata da screanzati deve pure sorbirsi i lazzi della pseudo-comica miliardaria che la deride dalla TV nazionale. Questo qui cosa deve fare ancora per essere sospeso: sganciare l'atomica?




Incubo notturno - Let be [ lasciare andare ma come ? ]


  



  Appena     ho letto la  notizia   della morte  rapida  aveva  un tumore  al cervello     di  un  bambino di  4   anni    figlio  di compaesani  / non  riporto la  foto del necrologio  anche e è  pubblica  sui  social  per  rispetto del dolore  della famiglia   )   e  la  morte  di  .... uno  dei  nuovi  personaggi  

nell'ultimo numero   di  dylan dog   [  foto  a  sinistra     ]  ritorno    al   triste  2022     in cui morirono a  distanza    di breve tempo   due  amici  di famiglia  e    poi  due  parenti  paterni  . Ed  nel  sonno   veglia   , come  sono solito  fare  mi metto  a  dialogare   fra me   ed  il mio grillo parlante  

IO Dicono che bisogna imparare a lasciare andare la rabbia ed il dolore Ma cosa succede quando vorresti tenerli stretti ?
Grillo parlante ti fai solo male . ti crei un illusione che la morte sia solo un sogno .... ehm.... un incubo da cui puoi svegliarti .

 Le  palpebre     riprendono   ad  abbassarsi  , ma  di  dormire  non   se ne parla  .  Ecco che   provo  per  riprendere  sonno  a pensare  a  qualcosa  che   mi  riconcili  il sonno   e mi distragga    da  queste    elucubrazioni   .  Non   so come  ,  non riesco a spiegare quest'associazione  ( sarà forse    che   qualche  ora   prima  avevo letto   il  n  di  dylan  dog   in questione  ?  ) .  Lo  trovo  in   un  immagine   dello  stesso fumetto    dal pugno  di terra    della sepoltura  ,  lasciata  cadere   dallo stesso   sotto   la   sequenza  fotografica    , 
















 è nato   un  albero  . Ma  prima  di  riuscire  a  prendere      sonno    pensando     a quest'immagine poetica   mi viene   alla mente   quest  altra  riflessione      e quindi  da     riprendere  il  dialogo   tra me  e  lui 


IO  hai  ragione   non  c'è niente  di cui  aver  paura   . Quando la  corrente   è  troppo  forte   l'unico modo   per non   farsi travolgere   e .... 
Grillo  Parlante lasciarsi andare  
IO esatto    serve  e fa bene   ma  come  ? 
Grillo parlante 
 dipende   da  persona  a persona  .  Il  Lasciar andare, imparare a smettere di tenere tutto sotto controllo, a non insistere su una determinata strada, situazione, relazione, lavoro perché “oramai l’abbiamo scelto”, non è facile.  Ma  tenersi  tutto  dentro    non  sta  bene      dobbiamo    oltre    a Let be  lasciare  andare      , battere  e levare come  la  famosa  canzone  **


 proprio come  suggeriscono sia : <<  Lasciare andare è un arte che si può apprendere: ecco come ( di 
atuttoyoga.it)   sia     https://www.benesserecorpomente.it/     una  sintesi  generale  su quello     d i cui stiamo parlando   e  che  riporto sotto  integralmente  

I sette passi per imparare a lasciar andare

Usa la consapevolezza e la volontà, accorgiti delle influenze che subisci, delle convinzioni limitanti, osserva e accogli le tue paure e segui questi sette passi. I risultati si faranno presto sentire:

1. Osserva il tuo giudice interiore

Forse gli altri ti giudicano, ma tu, o meglio il tuo giudice interiore, accoglie e prende in considerazione il giudizio. Osserva semplicemente cosa dice il giudice dentro di te, cosa ne pensa del tuo comportamento e operato.

2. Accogliti

Accogliti come accoglieresti una persona con la tua stessa difficoltà e impara ad amarti così come sei. Molte rigidità interiori arrivano dalla non accettazione di noi stessi, dalle troppe pretese che abbiamo nei nostri confronti.

3. Ricordati ogni giorno che l’ansia e le aspettative ti impediscono di lasciar andare

Appena senti le voci dell’ansia e delle aspettative, trova una parola per fermarle “stop, silenzio…” quella che più ti piace e cerca di distrarti. Spesso, sono voci non nostre ma di chi ci ha educato. Siamo noi i padroni della nostra mente, non lei di noi!

4. Fermati e apri la mente al nuovo

Se le cose non stanno andando come vorresti, fermati. Forse c’è qualcosa di migliore e più adatto a te che ti aspetta….magari la vita sta cercando di farti prendere una scorciatoia e tu insisti per restare dove sei o per intraprendere la strada più lunga perché stai seguendo i ragionamenti della testa e non quelli del cuore. Quando smetti di seguire la ragione e ti apri a ciò che non conosci, la vita può sorprenderti.

5. Lascia andare pesi, ricordi e di ciò che non ti serve più

Ricordi, pensieri rivolti al passato, oggetti inutili. Talvolta è necessario liberarsi di ciò che non serve più sia nella vita interiore che in quella pratica. Fare spazio è un buon esercizio per imparare a lasciar andare.

6. Fai spazio, rallenta, fai silenzio

Sono tre mosse fondamentali per affrontare qualunque momento o scelta della vita  e che ti guidano a sentire cosa vuoi veramente.

7. Riprendi il tuo potere ed accorgiti di te

Sei tu la voce più importante, la vita è tua e solo tua, nessun altro può viverla per te, nessuno può sapere cosa è meglio e giusto per te, se non te stesso!

Grillo  parlante 
Quindi Affidati, lasciati andare…lascia che i semi che hai piantato abbiano il giusto tempo per germogliare e fiorire. come la foto da te riportata Lascia fuori dalla porta i pregiudizi ed i giudizi: ogni cosa si manifesterà nel tempo e nel modo giusto, in armonia con la tua anima e con te stesso . 
IO   
ci proverò  anche      se   significa  arrendersi 
Grillo parlante
non dire  sciocchezze. lo  so he   non  è  una  frase  mia   ma la penso  cosi  
 Io   Ok 

  

 Ed proprio quello che ho provato a fare sulle note , della famosa Let be dei Beatles , una delle mie prime canzoni ascoltate 
qui la storia della canzone e il testo con traduzione in italiano ) che ho canticchiato prima di riprendere sonno stanotte , fortunatamente a bassa voce , altrimenti sarebbe successo un casino visto che avrei svegliando i miei in piena  notte  .  Riprendendo  cosi   a  dormire   ed    a  sognare navigando  verso   l'isola   che  non   c'è   fino  al mattino  *   ormai    prossimo  .  Ed  iniziare    una  nuova  giornata  


                                             colonna  sonora  \  canzoni suggerite 

Let be - Beatles
l'isola  che  non  c'è  -  Edoardo bennato*
Battere  e levare - Francesco de Gregori **
Into the  Void  -  Black Sabbath 
Lasciala  andare  . Giammaria   testa  
 Annarella  - Cccp






31.1.23

la lezione del soldato ( 103 anni ) battisteddu : << invocate la pace mai più guerre >>

 





Il cambiamento radicale di una 31enne dopo i tatuaggi diventati virali e una vita criminale: oggi è rinata

Alyssa Zebrasky, 31 anni, una donna dell'Ohio le cui foto segnaletiche sono diventate virali per i
tatuaggi spaventosi sul viso, ha mostrato la trasformazione drammatica dopo aver subito trattamenti laser estenuanti per rimuoverli. La donna è stata al centro delle cronache per la prima volta nel dicembre 2018, dopo essere stata arrestata in Ohio per furto e possesso di droga. La sua foto segnaletica mostrava la fronte coperta da un tatuaggio a forma di ragnatela, insieme a un teschio ispirato al "Giorno dei Morti" intorno agli occhi, alle guance, al naso e alle labbra.



 Nell'aprile 2019, Zebrasky e i suoi tatuaggi macabri sono tornati al centro delle notizie dopo essere stata arrestata nuovamente. Ma ora, più di tre anni dopo, Zebrasky ha cambiato vita completando un programma di riabilitazione. Come parte del suo processo di recupero, ha deciso di eliminare tutti i suoi tatuaggi sul viso per dimenticare l'ex fidanzato, membro di una gang (e che l’aveva costretta a tatuarsi), e cambiare vita. Dopo la riabilitazione, Zebrasky si è rivolta a una ong texana chiamata INK-nitiatve, che aiuta le persone a rimuovere i tatuaggi indesiderati e cominciare una nuova vita. Con il supporto della famiglia e del suo nuovo partner, con cui ha una "relazione più sana", Alyssa sta documentando il suo viaggio di rimozione dell'inchiostro sui social media.

serafina battaglia prima collaboratrice giustizia del fenomeno mafie - da Donato Armesano

A questa persona  (   qui   e  nei  link  ,  insieme alla  colonna  sonora sotto maggiori  news  su    di lei  e  sulla  sua  storia   bisogna intitolarle una via al suo paese e spiegare il perche '!!!! E tutte le scuole ogni anno dovrebbero portarle lì dove hanno ucciso la sua famiglia e dire cosa le hanno fatto e spiegare che cosa e 'l 'omerta '
  da  

Donato Arnesano

 
La mafia le ammazzò il marito. Ma lei, Serafina, non parlò perché era cresciuta nella trappola dell’omertà e della mafia. Poi però toccò al figlio, Salvatore, un bravo ragazzo cresciuto in un
ambiente sbagliato. La mafia uccise anche lui. Per Serafina Battaglia cambiò il mondo e decise di abbandonare totalmente la vita di prima e rompere l’omertà. Era il 30 gennaio quando prese una decisione storica: dire ai giudici tutto quello che sapeva. Sicari, affari mafiosi che aveva il marito, informazioni. Tutto. Divenne la prima donna in Italia testimone di giustizia. Pagò un prezzo enorme oltre a quello della perdita del figlio: il totale isolamento dal mondo. Si mise contro tutti, dalla famiglia fino agli amici. Al punto tale che per trovare un avvocato ci mise un’eternità. Nessuno la voleva, tutti la evitavano per aver rotto il silenzio dell’omertà. Ma Serafina non si arrese mai. Testimoniò in tribunale e affrontò i boss mafiosi senza paura, addirittura incalzandoli, inveendo loro contro come mai era successo prima.“ Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo”, diceva. Non mollò un attimo ma non vide mai l’arresto dei sicari di suo figlio. Abbandonata da tutti, morì a Roma, ancora in lutto, il 10 settembre 2004. Il suo aver detto “no” all’omertà aprì però un mondo. A lei, oggi, in questa ricorrenza importante, il ricordo di tutti noi.
Collegamenti esterni
 

                                         COLONNA SONORA

“Pensa” Fabrizio Moro
" a finestra " Carmen Conosoli
“I cento passi” Modena City Ramblers
“Signor tenente” Giorgio Faletti
“Don Raffaè” Fabrizio De André
“Povera patria” di Franco Battiato

ed altre  http://www.centropromozionelegalitalecco.it/index.php/la-libreria-della-legalita/canzoni



30.1.23

San Giovanni Bosco Lo spazio è curato da un insegnante in pensione In chiesa una biblioteca di periferia «La lettura per riunire il quartiere»

dal sassarese una storia in cui la chiesa rimedia o almeno ci prove alle deficenze dello stato

 

Sassari
Lo stanzone dell’oratorio è colorato dalle copertine di migliaia di libri. La parrocchia di San Giovanni Bosco ha la sua biblioteca e don Franco Manunta, il parroco, parla di un atto politico. Perché la lettura è educazione e condivisione e lo è ancora di più quando viene promossa nel cuore di un quartiere con le sue difficoltà ben radicate. Dopo aver mosso i primi passi ormai un anno fa, la biblioteca dell’oratorio della parrocchia che si affaccia su via Washington sarà inaugurata ufficialmente domani pomeriggio, proprio nel giorno in cui si festeggia don Bosco. Ricca di libri e volumi di ogni genere, è nata grazie alla passione e alla buona volontà di un insegnante di musica in pensione. Si chiama Tonino Satta e tra gliscaffali divisi per sezione sta portando avanti una vera missione.
Tonino Satta ha insegnato una vita alle scuole medie. Alla numero 5 aveva anche messo su una piccola biblioteca di mille libri. «Una volta andato in pensione, ho pensato di donare la mia dotazione alla parrocchia – racconta Satta –. Don Franco Manunta mi ha risposto che, insieme ai libri, serviva però anche un bibliotecario. E così è nato questo spazio. Nel giro di poco tempo sono stati donati tanti altri
Il bibliotecario volontario Tonino Satta
libri, adesso ne contiamo circa ottomila». La biblioteca, che sarà inaugurata domani alle 16.30, nasce proprio in una parrocchia intitolata a un santo che ha dedicato la vita ai giovani e all’educazione. «Qui non è stata spesa una lira – spiega Tonino Satta –. Ma anche in povertà si possono fare delle belle cose. Questo è un progetto della parrocchia e io sono solo al servizio». Anche altri volontari stanno dando la propria disponibilità per tenere aperte le porte la biblioteca, alla quale si accede da piazza Fondazione Rockefeller. Diversi i servizi garantiti: consultazione, prestito, aiuto alla ricerca, interscambio e anche consegna a domicilio per le persone con disabilità. I libri sono numerosi e per tutti i gusti: sezione ragazzi, religione, saggistica, narratori stranieri, narratori italiani, arte e poesia. Atto politico Quella dell’oratorio della parrocchia di San Giovanni Bosco è una biblioteca di periferia. Prende infatti forma in un quartiere alle porte della città, in un luogo privo di altri servizi di questo tipo. Un quartiere con le sue problematiche e anche le sue diversità. «Secondo me la biblioteca ha un valore politico – commenta il parroco della chiesa di via Washington, don Franco Manunta –. Io insegnavo filosofia e mi riferisco al senso platonico. E quindi al riunire il demos, il popolo, la gente. Questa biblioteca nasce in un quartiere con molte forme e tante identità e, credo, anche poco conosciuto dal resto della città. C’è la parte delle case popolari, quella delle cooperative e poi una parte più borghese. Zone che, spesso, neanche comunicano tra loro». Secondo il parroco è dunque importante che la biblioteca sia stata aperta proprio qui. «La biblioteca è formazione, istruzione, è porsi delle domande – aggiunge il sacerdote –. Per questo dico che ha una funzione politica. Il mio desiderio è che questo spazio diventi un punto di riferimento. Penso per esempio ai ragazzi che abbandonano la scuola perché non si sentono coinvolti: leggere significa pensare e riflettere».

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                                          don Gaetano Galia
Sassari 
Il 31 gennaio è la festa di san Giovanni Bosco, un grande educatore. Ne approfittiamo per riflettere su una tematica educativa a lui molto cara: il valore della riconoscenza. Don Bosco cita spesso nei suoi dialoghi e nei discorsi ai suoi ragazzi questo contenuto. Mi piace proporre questa riflessione che attiene sia alla sfera dell’etica laica che religiosa. Di fatto il grazie è sempre più merce rara. Sa dire grazie solo chi è sensibile, chi si coglie bisognoso degli altri, chi sa che la relazione è il segno del nostro
la chiesa intitolata a San Giovanni Bosco
      e il cappellano del carcere di Bancali don Gaetano Galia  autore  
dell'articolo 
limite, il sigillo della necessità della complementarità con l’altro. L’uomo è relazione e non può vivere da solo ma si   completa con l’altro. La riconoscenza, allora, consiste nel saper individuare il bene ricevuto. Si richiedono alcuni passaggi fondamentali: è necessario uscire dall’io, dal narcisismo, da quell’istinto naturale all’autosufficienza che regna in ciascuno di noi, dal nostro smisurato egocentrismo. Non può essere riconoscente chi è supponente, arrogante, superbo e quindi non percepisce il valore di ciò che gli viene donato. È un problema culturale: siamo nel tempo del tutto è dovuto e tutto è scontato. Forse dovremmo sdoganare maggiormente questo meraviglioso sentimento e ringraziare più frequentemente genitori, medici, insegnanti, negozianti, badanti, meccanici… Non dice grazie chi, con i soldi, crede di poter comprare tutto, e una volta pagato, non sente il bisogno di ringraziare! Chi crede di poter comprare anche l’amicizia, l’amore, la stima, l’affetto, Dio. Chi disprezza gli altri non ha bisogno di nessuno. Ci si accorgerà solo nel momento della sofferenza che non aver coltivato le relazioni con i propri simili porta alla solitudine e all’isolamento. Facciamo un esame introspettivo: cosa avvertiamo quando doniamo qualcosa e ci viene detto grazie? Ci sentiamo valorizzati, apprezzati, riconosciuti, incoraggiati, stimolati a fare sempre più del bene. Quando, al contrario, facciamo un bel gesto, un regalo e non veniamo ringraziati, ci percepiamo tristi, delusi, scoraggiati e perdiamo l’entusiasmo di essere generosi. È fondamentale riproporre a livello educativo la bellezza della meraviglia e del desiderio. Se i nostri figli desiderano solo oggetti e non si meravigliano più del mistero della vita, del fascino delle relazioni, dell’incanto delle emozioni, formiamo persone infelici. Persone che ricercano la felicità nell’ultimo oggetto proposto dal mercato per poi stancarsi e rincorrere il prossimo. Meravigliarsi delle cose semplici, dà un senso alla vita e gli adulti devono educare a questo, più che correre essi stessi verso l’ultimo prodotto. Dobbiamo educare i nostri figli alla riflessione e ad approfondire l’origine dei doni, il valore dei doni, l’affetto che c’è dietro un dono. Elementi che richiedono meditazione e silenzio. La fretta, la velocità, il mondo virtuale non consentono di apprezzare ciò che riceviamo. La gratitudine, quindi, è un sentimento positivo perché aumenta la nostra sensazione di benessere, di vitalità, ci aiuta a fidarci degli altri e a “donarci” al prossimo. Se prendessimo l’abitudine di usare con più frequenza la parola “grazie”, vedremmo che anche i nostri interlocutori avrebbero un atteggiamento ispirato alla cortesia, alla gentilezza, alle buone maniere, in quanto la gratitudine è un gesto che apre a rapporti umani, non formali, ma carichi di umanità. La riconoscenza è contagiosa. Ma anche non aspettarsi il grazie è un elemento di grande saggezza: il dono più bello è quello non opportunistico o strumentale, ma gratuito. L’apice della generosità matura! Il meccanismo è molto evidente nel rapporto genitori-figli. Per una parte della vita i ruoli sono chiari: i genitori danno, i figli ricevono. Poi è solo il senso di gratitudine che spinge i figli a a invertire i ruoli e a diventare a loro volta genitori di padri e madri invecchiati. Ma proprio per questo, più che mai bisognosi del nostro aiuto, della nostra riconoscenza, del nostro affetto. E della nostra gratitudine. Grazie! *cappellano del carcere di Bancali

L’educazione dei ragazzi di Maria Giuseppina Tamponi ( alias Peppy .ta1)

E' vero  dopo la la  laurea    ,  anche    se  ho amici\che  insegnanti  ,  non frequento più  la  scuola   e  non  h  mai  insegnato  . Ma   concordo  con  questo  post  

Si parla di cosa sia più giusto dare come valutazione, smile voto scritto o numerico, si parla di come non bisogna demonizzare il web, si parla di comprensione. Peccato però che non si fa affatto un mea culpa su come siamo arrivati ad avere ragazzini di 14 anni che spingono un coetaneo sotto un treno per motivi non futili di più, di ragazzini che bullizzano i propri insegnanti, di ragazzini che rapinano mini market… forse qualcosa è andato storto, forse dovremmo fare un piccolo esame di coscienza e riportare questi ragazzi nel mondo reale dove i brutti voti spesso te li da la vita, dove le porte chiuse sono assai di più di quelle aperte, dove nulla viene regalato come incoraggiamento!
non solo aggiungo che mi fa piacere che lo faccia una persona giovane lontana dalla mia generazione dove non c’era tutta questa comprensione e giustificazione da parte dei genitori se combinavi qualcosa di grave anzi a casa quando tornavi prendevi “il resto” come diceva mia mamma per  quelle  più gravi . Concludo    con  quanto  dice  Spano Marianna  : <<  Dietro
questi figli ci sono dei genitori che hanno fallito alla grande, quando nasci e cresci con dei valori queste cose non accadono. Dalle chat di classe capisco tanti comportamenti di alcuni ragazzini perché i primi a non sapersi comportare sono proprio i genitori e qui mi fermo.
La parola dei miei genitori era sacra ai miei tempi, spesso non condividevo e non accettavo cercando spesso di ribellarmi, ma infondo ascoltandoli perché dietro quelle parole sapevo ci fosse un motivo x il mio bene.
Fare il genitore è difficile e complicato al giorno d'oggi, ma abbiamo avuto ottimi insegnamenti e faccio affidamento su quelli. >>

29.1.23

L’intuito del giornalista e la strage di piazza Fontana di Emiliano Morrone


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 https://www.corrieredellacalabria.it/2023/01/28/lintuito-del-giornalista-e-la-strage-di-piazza-fontana/


Sabato, 28 Gennaio
Ultimo aggiornamento alle 20:00

LA STORIA
«L’intuito del giornalista e la strage di piazza Fontana»
Questa è una bella storia di giornalismo sul posto, sul campo. Il caso, qualcuno parlerebbe di fortuna o di destino, ebbe un ruolo fondamentale. Ma l’intuito e la bravura personale fecero il resto…
                                    di Emiliano Morrone


Questa è una bella storia di giornalismo sul posto, sul campo. Il caso, qualcuno parlerebbe di fortuna o di destino, ebbe un ruolo fondamentale. Ma l’intuito e la bravura personale fecero il resto. La strage di piazza Fontana favorì la carriera di un giovane giornalista, proveniente da Cosenza. Ho tirato fuori questo ricordo di mio zio Luigi Morrone, detto Gino, che dopo quella strage diventò una firma di punta del quotidiano nazionale “Il Giorno”. Buona lettura.
Milano, 12 dicembre 1969. Quel giorno ero di “corta” (leggi “giorno di riposo per i giornalisti”) e, non so perché, mi ero vestito come un commissario di polizia. Camicia bianca, abito di buon taglio, cravatta scura, un bel cappotto grigio quasi nuovo. Avevo bisogno di starmene in pace: il 29 dicembre mi sarei sposato e avevo una certa fretta di compilare la lista degli invitati. Scelsi di rintanarmi nella nuova sala stampa dei carabinieri, in via Moscova, che disponeva di comodissime poltrone e, soprattutto, non era molto frequentata.
Quando entrai, diedi un’occhiata al panorama: ero solo tra una pila di luccicanti telefoni appena installati e alcune poltrone in pelle assolutamente invitanti. Cominciai il mio “lavoro”, ma fui subito interrotto dal trillo fastidioso di uno dei telefoni. Non risposi, mandando mentalmente al diavolo lo scocciatore. Il telefono insisteva. Fui tentato di staccare e riattaccare. Ma poi prevalse il buon senso: poteva essere una chiamata importante. Non appena misi all’orecchio il microfono, dall’altra parte udii una voce concitata: “Capitano C. (era il comandante del pronto intervento), è scoppiata una bomba in piazza Fontana… alla banca, ma forse è scoppiata una caldaia…”. Riattaccai, in gran fretta raccolsi le mie cose e mi precipitai all’uscita. Cercai un taxi e diedi l’indirizzo, nel frattempo cercavo di riordinare le idee, di organizzarmi. Pensai: in piazza della Scala devo scendere e correre a piedi, la zona sarà transennata.
Ero giovane e atletico (45 anni fa!), perciò bruciai le tappe e arrivai in una piazza gremita di gente vociante e disperata. Mi diressi con decisione all’ingresso e un poliziotto si fece subito da parte lasciandomi entrare. Il mio look assolutamente casuale e involontario aveva funzionato. Fino ad allora avevo sempre pensato che l’inferno fosse una trovata geniale per spaventare i piccoli peccatori come me, ma una volta nel salone sventrato della banca capii che l’inferno esiste davvero ed era proprio lì sotto i miei occhi sgomenti. Spaventoso, terrificante, apocalittico: cadaveri dilaniati; dappertutto, persino spiaccicati sulle pareti, sangue e pezzetti di pelle umana; gente che soffriva e urlava; una grande buca al centro del salone, coperta con dei tavolacci, mostrava tutta la violenza di una bomba ad alto potenziale appena scoppiata. E poi sirene, lettighe, medici e infermieri.
Un cronista, entrato al seguito del cardinale giunto a benedire le salme, davanti a tanta atrocità, non resse e piombò a terra come morto. Anch’io ero come paralizzato. Ma il mestiere, il senso del dovere mi richiamano alla realtà: comincio a contare i corpi dei poveretti dilaniati dal micidiale ordigno, prendo con meticolosità appunti, cerco di contattare il giornale. Esco dal salone, a caccia di un telefono (quelli interni erano tutti fuori uso), lo trovo nella farmacia accanto. Il vicedirettore del giornale, informato, scende all’ingresso della sede e dirotta verso piazza Fontana tutti i giornalisti che a quell’ora cominciavano i loro turni di lavoro. “Cercate di contattare Morrone, è dentro la banca”, urlava. Ebbi qualche problema a rientrare, ma alla fine, non so come, tornai in quel maledetto salone. Quel tragico pomeriggio riuscii a rendermi utilissimo al giornale. Al caporedattore chiesi timidamente: “Non firmatemi l’elenco dei morti e dei feriti”. Riattaccò, ma il giorno dopo la mia firma fu adeguatamente collocata.
Passai una notte insonne, c’era un tg regionale che dava il numero dei morti, un numero diverso dal mio. Chiamai il giornale più volte e alla fine il capocronista mi urlò: “Vai a dormire, quel tg ha un disco e ripete sempre la stessa notizia, sono esatte le tue informazioni. Buonanotte”. Io, che ero visibilmente provato, diciamo pure sotto shock, mi ero rifugiato a casa della mia ragazza, Giuliana, che da lì a poche settimane sarebbe stata mia moglie. La mia futura suocera Cristina era impegnata, con un efficace lavoro di olio di gomito, a ripulire le scarpe quasi nuove, sporche, diciamo imbrattate di sangue e tagliuzzate da tante piccole schegge di vetro. Alla fine tornarono lustre. Ma io quelle scarpe non le ho più calzate.

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