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4.11.25

il doppio volto del patriarcato trova conferma dall'intervista a belve di belen e dal libro Mai più cosa vostra. Come spezzare le radici del patriarcato e della violenza maschile di Fabio Roia, Ilaria Ramoni che racconto senza ideologie della violenza sulle donne

  in sottofondo
L'ULTIMO GIORNO DI PATRIARCATO  - Checco Zalone

 IL  mio  precedente  post : «  il patriacarto non vive solo negl uomini  vive in chi lo giustifica in  chi  chiude  gli occhi  in  chi chiama rispetto quello che  è paura  »  trova   conferma     quanto     dice  Stefania Cirillo in  Il patriarcato ha più di un volto? L’intervista a Belen Rodriguez lo prova ( articolo che     riporto  in toto  non rusceno  a  sintetizzarlo \  riassumerlo  )   su  Metropolitan Magazine



Se anche voi, lettori, siete convinti che il patriarcato sia un fenomeno inconsistente senza alcuna valenza, sono obbligata a farvi ricredere. Se, in aggiunta, pensate che il suddetto termine sia stato coniato per screditare il genere maschile, sono tenuta a spiegarmi meglio. Per farvi avvicinare al concetto di patriarcato e al perché sia negativo per ambo i sessi, vi cito quanto successo durante l’intervista a Belve che vede protagonista Belen Rodriguez. Qualora foste all’oscuro di quanto detto dalla conduttrice argentina, a seguire ne parleremo opportunamente.
La violenza sugli uomini, quindi, è meno grave?
Nel caso in cui foste confusi dall’introduzione e dal connubio tra patriarcato e Belen Rodriguez non preoccupatevi. La perplessità è comprensibile poiché, oggigiorno, tutto ci si aspetterebbe fuorché sentire confessioni di questo tipo. Soprattutto in televisione, soprattutto da personaggi di pubblica rilevanza. Se credete che questo preambolo voglia intensificare una situazione non così tanto grave, è scorretto. La situazione è grave tanto quanto sembra. Perché, chiedete? Perché “sono manesca, ho picchiato tutti i miei fidanzati”, citando le parole di Belen, è l’ultima cosa che vorremmo sentire.
Il modo, il sorriso, la fierezza con cui vengono riportate queste affermazioni è preoccupante. “Quando non capiscono passo alle mani” e ancora, “non mi interessa, lo rifarei”. Ma non c’è da preoccuparsi, non è violenza questa. È solo il modo in cui, a quanto pare, le cose vengono risolte in Argentina. Perché, in fondo, aveva le sue ragioni. Se lo meritavano. Nel caso in cui siate stati travolti da un’ondata di disgusto e indignazione bene, perché quanto fatto e raccontato dalla Rodriguez è violenza fisica. La gravità, poi, si intensifica a causa della noncuranza e della tranquillità con cui ne parla. Ovviamente, anche se si fosse mostrata pentita o dispiaciuta, non avrebbe automaticamente cancellato le sue azioni. Almeno avrebbe potuto dimostrare che la frase “ho un cuore grande”, come da lei affermato, avesse avuto un po’ di valenza.
Le vittime restano tali, a prescindere dal sesso
Il patriarcato, come accennato in precedenza, influisce, intacca e debilita entrambi i sessi, seppur in modo differente. In genere tale fenomeno viene menzionato prevalentemente dalle donne. Pertanto, anche se in modo erroneo, si crede che questo non coinvolga gli uomini stessi. E se vi citassi la soppressione delle emozioni e la mascolinità tossica? Ecco, questi sono i sintomi e le conseguenze del patriarcato. Le stesse conseguenze prendono forma davanti ai nostri occhi. Prendono vita in modo plateale, tra una risata e uno scherzo. La prevaricazione del genere maschile e la sottomissione di quello femminile hanno spinto molti a credere che esiste una violenza vera e una, invece, di poco conto. A questo punto molti hanno iniziato a diffondere sui social, come accade sempre in situazioni analoghe, la frase “e se fosse stato un uomo a dirlo?”.
Gli stessi che hanno trovato riprovevoli le parole della conduttrice argentina, avrebbero avuto la stessa reazione anche se fossero state pronunciate da un uomo. Coloro che, invece, si pongono la suddetta domanda, non lo fanno con sincera preoccupazione nei confronti delle vittime. Sono spinti dal desiderio di puntare il dito quando ne hanno la possibilità. E, presumibilmente, sono gli stessi che deridono o sminuiscono gli uomini vittime di abusi. Anche questo è sintomo e conseguenza del patriarcato. Gli ex di Belen Rodriguez hanno subito violenza. Non esistono giustificazioni. Le vittime, indipendentemente dal sesso, restano tali e meritano la stessa credibilità. E no, non hanno meno valore se le violenze sono commesse da donne. Nemmeno se hai un cuore grande. 

 Infatti    Il patriarcato, tema al centro del dibattito culturale della nostra epoca, ha tratti in comune con la mafia. Lo specifica l'avvocata Ilaria Ramoni, durante un affollato incontro tenutosi,  a quanto riporta il Giornale  ,  ieri pomeriggio alla libreria Rizzoli in galleria Duomo, a Milano, per presentare il saggio Mai più cosa vostra, scritto a quattro mani con il magistrato Fabio Roia (nella foto). Entrambi i fenomeni, mafia e violenza sulle donne, hanno in comune di essere silenziosi, omertosi. Denunciare è difficile.
Oltre agli autori, ha parlato Alessandra Kustermann, ginecologa, presidente dell'associazione Donna Aiuta Donna. La questione va affrontata in modo paritetico, ha sostenuto. "Non sono d'accordo che gli avvocati dei centri antiviolenza debbano essere solo donne".
Francesca Nanni, procuratore generale alla Corte d'Appello di Milano, ha portato l'attenzione sul fatto che "testi di canzoni molto popolari tra i giovanissimi, addirittura fra i bambini, parlano di sesso, droga, atti illegali e violenza", declinata in senso maschilista. Si inneggia allo stupro delle donne, il che è molto diverso dalle forme trasgressive della canzone pop diventate popolare negli anni Sessanta e Settanta.
Melania Rizzoli ha parlato del libro come di "un'analisi lucida e crudele di quello che sta succedendo alle giovani generazioni"; il coautore Fabio Roia ha ricordato come fino a tempi recenti, nel 1945-46 si sosteneva che una donna visti i suoi cicli biologici non era adatta a esercitare in magistratura. Ha poi sottolineato che "chi commette reati di violenza contro le donne nel nostro paese è al 70 per cento in un'età tra i 18 e i 41 anni".
Il libro si sofferma parecchio sulla necessità di adottare strategie educative più efficaci, il che dovrebbe essere più presente nell'agenda politica.
Il finale dell'incontro ha strappato qualche sorriso un po' amaro. L'unica industria che continua a crescere in questi ultimi anni sono i centri massaggi, soprattutto cinesi, in realtà luoghi di esercizio della prostituzione. "Ma dietro a una falsa libertà c'è uno sfruttamento della donna", ha ribadito Roia. Infatti

3.11.25

chi lo ha detto che il fumetto non possa porti domande e spronarti facendoti coraggio il caso di “Paperino e il flagello degli otto mari” n 3649 di Soggetto e sceneggiatura di Marco Nucci Disegni di Fabrizio Bennossi

A casa di amici mi sono messo a leggere sottraendolo al loro figlio l'ultimo n di topolino è ho letto tutto d'un fiato la bellissima storia Paperino e il flagello degli otto mari . E proprio questa storia in particolare una delle ultime tavole ( vedere sotto a destra ) mi ha fato venirein mente una riflessione che riporto sotto .
Sbarazzarmi delle mie paure oppure come dice la tavola : « ... sono delle alleate ! una fidata flotta che aiuta a mantenere la rotta » . ?
Analizzando semanticamente la frase sbarazzarsi delle paure sembra che essa non ha senso compiuto, ma sembra unire concetti legati al disturbo da accumulo (disposofobia) e alla difficoltà di separarsi dai propri oggetti. In particolare, la difficoltà di "sbarazzarsi" ( ma anche dell'opposto, ovvero Non sbarazzarsi: cioè l'incapacità o la difficoltà a buttare via gli oggetti ) degli oggetti di cui il soggetto prova angoscia nel separarsene è il sintomo principale di questo disturbo, che si contrappone al "proprio" che potrebbe indicare l'ossessione per il possesso . Ma poi m'accorgo ripensado alla storia in questione che essa ha il significato di liberarsi di qualcosa in questo caso delle paure . Ritornando alla domanda in cui parlavo nelle righe precedenti .
Devo riconoscere che ha ragione Cormorano Teach quando suggerisce a Paperino quela frase ( vedere foto a sinistra )
Infatti Non esistono persone completamente prive di paura: la paura è un'emozione naturale e necessaria, ma il coraggio consiste nel saperla riconoscere e nel poter agire nonostante essa.
Essa è una risposta innata che serve a proteggerci di fronte a pericoli reali o immaginari, e si manifesta sia fisicamente che psicologicamente . Anche senza minacce apparenti, l'essere umano può provare paura anticipando eventi futuri o immaginando scenari negativi .
Persone diverse reagiscono con intensità differenti in base a diverse esperienze passate, cultura, educazione e fiducia in sé stesse. Inoltre dobbiamo distinguere fra paure che sono razionali e ci possono anche salvare la vita, altre sono irrazionali e ci limitano, impedendoci di vivere pienamente . 
Non provare paura non significa essere coraggiosi: la vera forza dell'essere umano risiede nel saper riconoscere la paura e nel superarla, affrontando sfide e incertezze nonostante il timore Figure notevoli come Giovanna d'Arco o Nelson Mandela hanno dimostrato che il coraggio nasce dalla capacità di agire anche in presenza di paura, trasformandola in determinazione e
azione cosciente Anche nella vita quotidiana, ogni piccolo gesto che compiamo nonostante il timore – parlare in pubblico, affrontare un cambiamento, avvicinarsi a sfide nuove, ecc può rappresentare un esempio di coraggio rispetto alla paura .
Vedere quindi La paura come opportunità di crescita personale ovvero accoglierla \e senza esserne paralizzati permette di sviluppare consapevolezza di sé e forza interiore.
Tecniche come la meditazione, la consapevolezza e, in alcuni casi, ipnosi o terapia cognitivo-comportamentale aiutano a riconoscere le paure e a reagire in modo costruttivo . La paura può diventare così uno strumento che segnala opportunità di crescita piuttosto che un ostacolo insormontabile.
In sintesi ecco che nessuno\a di noi, sottoscritto compreso è completamente senza paura,perché la paura è parte della natura umana. Ciò che distingue le persone coraggiose è la capacità di convivere con la paura, trasformandola in energia per agire e crescere. Vivere senza paura totale non è possibile né necessariamente desiderabile, ma vivere coraggiosamente nonostante la paura è il vero segreto del successo e del benessere personale .
Ecco che l'altro mio Io mi sta per chiedere ma come farlo ?
Per farlo è fondamentale affronterle progressivamente invece di evitarle, accettando di non poterle controllare completamente e lavorando sull'autostima attraverso sfide graduali e l'apprendimento dagli errori. Tecniche come la respirazione profonda, la meditazione e l'immaginazione controllata possono aiutare a gestire l'ansia correlata, mentre l'obiettivo non è eliminare la paura, ma imparare a conviverci ed affrontare le paure s piccoli passi: Inizia da sfide piccole e gestibili per guadagnare coraggio e fiducia, abituandoti gradualmente alle sensazioni che la paura provoca. Ecco come consigliano gli esperti
Accettarla e riconoscerla invece di combatterla solo . Questo passaggio ti libera dal blocco e ti permette di trasformarla in una risorsa.
Impara a conviverci: L'obiettivo non è eliminare la paura del tutto, ma imparare a gestirla e a conviverci in modo più sano, focalizzandoti sul vivere bene nonostante le difficoltà.
Gestire i pensieri correlati cioè accetta i pensieri soprattutto quelli ossessivi senza cercare di allontanarli subito, osservandoli in modo distaccato.
Rimanda i pensieri soprattutto quelli negativi dicendo a te stesso "ci penso dopo", così da togliere loro forza e intensità e magari dimenticarti quali fossero
Limita i pensieri ossessivi: Se necessario, usa affermazioni decise come "Basta!" per bloccare il pensiero.
Programma momenti per pensare Dedica degli orari specifici della giornata ai pensieri negativi o meno , anziché lasciare che ti assillino continuamente.Tecniche di rilassamento e gestione dell'ansia
Respira profondamente cioè Pratica la respirazione profonda o tecniche di respirazione guidata per ridurre l'ansia.
Meditazione e mindfulness cioè Dedicati a pratiche come la meditazione o la mindfulness per spostare l'attenzione dai pensieri al corpo e favorire il rilassamento.
Sii attivo in quanto l'attività fisica, lo yoga o altre attività sportive sono ottimi modi per ridurre l'ansia generale.
con questo è tutto . Ma prima di lasciarvi ecco i siti da me consultati
















la crisi colpisce anche i bar soprattutto nei piccoli centri , ma da un piccolo centro di 90 abitanti come semestene l'apertura di una bar fa aumentare i resisdenti ,

 


2.11.25

Il musico giramondo ha trovato casa Enrico Mantovano: «Suono in tutta Italia ma ho scelto i silenzi di Santa Maria Navarrese»

  unione  sarda  2\11\2025





Pareti tappezzate di libri, e poi dischi, chitarre disseminate per casa, un pianoforte, registratori a nastro. Dylan, Springsteen, Cohen, De Gregori e tutti i cantautori italiani di quegli anni sono i narratori della sua infanzia, raccontano storie e costruiscono immagini. Canzoni come fiabe. «Ero solo un bambino, ma ascoltavo e viaggiavo con la mente, mi emozionavo. E ancora oggi è così, l’incanto è rimasto. Mio papà era un cantautore e scriveva racconti, ma mi diceva sempre che nella vita avrei dovuto arrangiarmi e che se avessi voluto fare il musicista avrei dovuto impegnarmi più degli altri», racconta Enrico Mantovani, 50 anni, musicista, polistrumentista, direttore di una scuola di musica, educatore e maestro originario di Orzinuovi.
Autodidatta
Fin dalle elementari comincia a prendere in mano gli strumenti che lo circondano, la sua casa è un viavai di musicisti amici di famiglia. E prende alla lettera le parole di papà Mario. Autodidatta, a 15 anni suona già Jimi Hendrix, si allena fino a 12 ore al giorno e a 16 anni conosce Fabrizio De André. «Giorgio Cortini, il chitarrista di De André, mi ha preso sotto la sua ala e mi ha portato con sé nei backstage dei concerti, dove ho incontrato Fabrizio: non sono riuscito ad aprire bocca. A 18 anni ho iniziato a suonare con Cortini, andavamo nei locali e nei club a fare blues», ricorda. Da quel momento non si ferma più, in un crescendo di incontri e collaborazioni importanti: Renga, Nannini, Pino Daniele, Massimo Ranieri, Fausto Leali e tanti altri, fino al sodalizio con Massimo Bubola, che dura da oltre trent’anni.
La rivelazione
«Nel 2010 arrivo a Santa Maria Navarrese per fare un concerto con Bubola, sono rimasto sbalordito da questo posto: gli ulivi centenari, gli scorci di mare e di terra, i profumi, l’aria pulita, i silenzi, poche luci. Ho sentito un’energia speciale, ma non avrei mai immaginato di venire ad abitarci come poi è successo un paio di anni fa». In seguito torna tutte le estati a suonare, conosce tutti, viene accolto come uno di famiglia. Poi la svolta: un anno e mezzo fa sceglie di stabilirsi proprio a Santa Maria Navarrese. «Qui ho ritrovato il mondo contadino dell’infanzia, del paese in cui sono nato. Mi sono ritrovato a fare le cose che facevo nelle cascine. Le persone sono concrete, i rapporti sani, mentre al nord c’è una società più finta, che vive di apparenza», racconta.
Pace dell’anima
«Questa è una terra dell’anima, di pace. D’inverno ho fatto una vita un po’ monastica, ho riflettuto molto, i pensieri hanno un passo più lento, la mia anima sta bene. Suono meglio, il cervello è più libero. Qui ho fatto i concerti più belli della mia vita!», conclude Enrico. Lascia l’Isola circa cinque volte all’anno per suonare in giro per l’Italia insieme a Bubola e alla band di De André, ma poi torna in Ogliastra, dove lo aspetta l’essenziale. I libri, i dischi e il suo studio di registrazione. Quello che non ho è quel che non mi manca.

eccellenze dimenticate Sessant’anni fa a Cagliari la prima colonscopia al mondo La rivoluzionaria tecnica di Luciano Provenzale, abruzzese di nascita e sardo d’adozione, e del suo team

  Non esistono solo  eccellenze   alimentari     maanche    eccellenze mediche  .  
  da  l'unione  sarda  del   2\11\2025  

                                 di Pietro Loriga ( Gastroenterologo





Il professor Luciano Provenzale, abruzzese di nascita, allievo di Pietro Valdoni, caposcuola della Chirurgia italiana, approdò a Cagliari nel 1964 per ricoprire l'incarico di direttore degli Istituti di Patologia chirurgica e Clinica chirurgica e delle Scuole di specializzazione in Chirurgia, Urologia e Anestesia, presso l'Ospedale S. Giovanni di Dio.Era un uomo brillante, empatico, dinamico, dotato di una genialità messa al servizio della ricerca e dell'innovazione.A Cagliari si circondò di una trentina di assistenti, in gran parte Sardi, fortemente motivati. Tra questi, seguendo un ordine alfabetico, per la Chirurgia: Giuseppe Binaghi, Giovanni Brotzu, Giuseppe Casula, Mario Coraddu, Luciano Di Martino, Valentino Martelli, Francesco Marrocu, Fausto Oggianu, Mario Pisano, Marco Polo, Salvatore Rocca Rossetti, Ignazio Satta, Francesco Sforza, Enzo Usai e tra gli specialisti in Anestesia: Giancarlo Boero, Giuseppe Saba e Achille Sandoli.
Nel 1965 Provenzale, adiuvato da un ristretto team, eseguì la prima colonscopia totale al mondo, utlizzando la tecnica END to END.ll'inizio degli anni 60 esisteva unicamente il gastroscopio di Hirschowitz, lungo un metro, totalmente flessibile, ma privo all'estremità di escursioni verso l'alto e il basso che avrebbero potuto farlo procedere in maniera autonoma lungo le anse intestinali.Data l'inerzia dell’estremità, non poteva che procedere su un filo guida in polivinile, preventivamente introdotto dal naso fino a fuoriuscire all'esterno attraverso il retto, dopo aver percorso il tubo digerente da un’estremità all'altra (END to END). Il gastroscopio veniva introdotto nel retto e fatto scorrere sul filo guida fino a completare l'esplorazione del colon, come rappresentato nell'illustrazione (tratta da Ingegno A, Dagradi AE -The first total colonoscopy -American Jounal of Gastroenterology 1985). Gli autori comunicarono al mondo scientifico la loro pioneristica scoperta, dapprima attraverso la Rassegna Medica Sarda, rivista della Facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università di Cagliari ed in seguito sulle più accreditate riviste internazionali. La colonscopia totale END to END non fu se non inizialmente un'indagine sperimentale, poichè fu utilizzata in campo clinico su circa 450 pazienti, permettendo di individuare e catalogare le malattie del colon, anche con l'ausilio di biopsie e documentazione fotografica.Seppur indaginosa, va contestualizzata in un periodo nel quale, in caso di sospetto di una patologia al colon, non c’era alternativa per verificarne la presenza se non aprire l’addome.
La telecamera
Il team cagliaritano mise in atto ulteriori attività pioneristiche nell'ambito del colon.Produsse il primo film animato di 16 mm dell'interno del colon, presentato a Washington nel 1969, nell'ambito del Postgraduate Course della Società Americana di Gastroenterologia (ASGE).Si racconta che avessero utilizzato una telecamera miniaturizzata recuperata dallo Spitfire, aereo da caccia inglese.Impiegarono inoltre microcapsule telemetriche e radiotrasmittenti ingeribili, fornite dalla NASA per l’innovativo studio della fisiopatologia del colon (motilità e tempi di svuotamento), come riportato da Alessandro Riva al sesto Congresso di Storia della medicina nel 2012.
I progressi
Dopo 2 anni di utilizzo della colonscopia END to END, arrivarono ad alcune considerazioni sulla necessità di una ulteriore progressione della stessa.Aveva infatti come limiti la complessità tecnica, era impegnativa per il paziente, nonostante la premedicazione con benzodiazepine e prevedeva controlli radiologici ravvicinati.Indirizzarono pertanto le loro ricerche verso l'acquisizione di un colonscopio con estremità mobile che potesse progredire nel colon in maniera autonoma, escludendo dunque la necessità del filo guida e dei controlli radiologici. Commissionarono alla società ACMI(American Cystoscope Makers Inc.) un colonscopio animato all'estremità da 2 escursioni verso l'alto e il basso.L’ACMI e la concorrente giapponese Olympus produssero separatamente un colonscopio di lunghezza limitata (circa 90 cm), che consentiva solo una parziale esplorazione del colon.È ben noto, soprattutto nelle attività chirurgiche ed endoscopiche, come l’avanzamento clinico sia subordinato all'evoluzione tecnologica dello strumentario.
La nuova tappa
Nel 1969 l’Olympus Corporation sopperì alla limitazione della lunghezza,commercializzando un colonscopio lungo 187 centimetri, con estremità mobile, detto long body, che consentiva l'autonoma esplorazione dell'intero colon.A quattro anni dalla prima colonscopia totale eseguita dal gruppo cagliaritano, il dottor Hiromi Shinya, gastroenterologo giapponese, utilizzando questo rivoluzionario colonscopio, esegui a New York la prima colonscopia detta moderna, antesignana della tecnica sviluppata in seguito.Nel 1970 il professor Provenzale fu chiamato dall’Università di Roma a ricoprire la direzione della Chirurgia del cuore e dei grossi vasi. Gli assistenti presero altre strade e l'interesse per la colonscopia venne meno .
La fama scientifica
Numerosi i riconoscimenti soprattutto internazionali a Provenzale e alla sua scuola attraverso molteplici pubblicazioni e manuali di Storia della Medicina, il più recente edito nel 2023.Nel 1986 fu insignito dalla Società Americana di Endoscopia di un premio in onore della esecuzione della prima Colonscopia totale al mondo .Il riconoscimento più elevato giunse nel 2020. Alcuni fra i più importanti Gastroenterologi Americani individuarono e resero note attraverso una pubblicazione sulla rivista Gastroenterology Clinics of North America, le 50 maggiori scoperte in Gastroenterologia dal 1950 al 2000. Tra queste annoverarono la colonscopia, facendo riferimento al professor Provenzale quale pioniere della metodica.Questa pubblicazione confermò il riconoscimento a livello mondiale della tecnica sviluppata a Cagliari, quale pietra miliare nel campo della Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva.In Sardegna e soprattutto nella città di Cagliari si sono succedute negli anni varie iniziative per ricordare la figura e l'opera di Provenzale.
Il tributo di Cagliari
La più recente nel Settembre 2025, nell'ambito di un Simposio organizzato dalla SC di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva dell’Ospedale SS Trinità di Cagliari ( R. Murgia – E. Piras) con una lettura magistrale su “La colonscopia nasce in Sardegna: precursori di un’epoca”.
L’impronta della Scuola
Luciano Provenzale scomparve a Cagliari nel 1987 per una crisi cardiaca, ma ha lasciato una grande Scuola che ha gestito con professionalità la Chirurgia generale, l'Urologia, l'Anestesia e Rianimazione e la Cardiochirurgia a Cagliari e altrove.

*Gastroenterologo

Bazulini Pasolini, a 50 anni dalla morte di © Daniela Tuscano

Così leggerebbe il suo nome un giovane arabo che non l'avesse mai sentito nominare, e credo che Pier Paolo sarebbe il primo a esserne divertito. Forse persino lusingato. E così molti lo leggeranno, perché la prima traduzione di «Ragazzi di vita» è uscita a Beirut (edizioni Dar as-Saqi) due settimane fa. «Ragazzi di vita» è il suo romanzo più noto, e insieme il più datato, come del resto gran parte della narrativa pasoliniana. Ma questo stare fuori tempo si situa anche fuori del tempo, e solo a noi europei, in grado ormai di concepire nient'altro che la linearità cronologica, sfugge quel senso di parola sacra, vale a dire inalterata e inalterabile, che invece altrove si ritrova, anzi si vive, in quotidianità spietata, coi suoi atroci
limiti verghiani, afasica, forse senza riscatto. Ma chissà. E allora «Bazulini» - storpiatura che rievoca il Bayazid di Racine, e come quest'ultimo figlio cadetto, erede d'una dinastia gloriosa ma destinato a una fine miseranda -, il più europeo (e italiano) dei poeti del secondo Novecento, potrà essere compreso, e amato, proprio dall'altra sponda del Mediterraneo. Più che da noi, che l'abbiamo ridotto a un santino, o un santone, fra citazioni false, celebrazioni retoriche e accostamenti inutili. La verità è che «Bazulini» ancora infastidisce e imbarazza, sia i conservatori, impossibilitati a eluderne l'epilogo infame, sia, ancor più, i progressisti, i quali, semplicemente, lo rimuovono - «datato», appunto - per i suoi sensi di colpa (di peccato, in realtà, ma la differenza non si concepisce più), e per quel lato nero da nascondere, come certe fiabe ch'essi vorrebbero stolidamente edulcorare. La vitalità di Pasolini-Bazulini non è vitalismo ma aspirazione di purezza, resurrezione impossibile e però nominabile, come si nomina ancora l'inferno, il bene, il male, Dio. Certo, non da noi; non qui. Pasolini-Bazulini è un reperto di ciò ch'eravamo stati, un fossile d'anima, un frammento d'umanità comune in cui fra mille incagli ci si poteva ritrovare. Per questo la sua critica al consumismo e al liberalismo è tanto più vera, e così fraintesa: non in nome del sol dell'avvenire, ma per quell'unità spezzata ch'egli cercò strenuamente nel tempo eterno delle periferie, dei
 ragazzi mai cresciuti, poi dell'Africa, e finalmente negli Orienti, ben sapendo che anche Alì avrebbe avuto gli occhi azzurri un giorno, e sarebbe finito malandro, ma forse ci si poteva provare, pur senza speranza - egli l'aveva perduta - ma tentare, scommettere, fino a morirne, perché no. Unico modo di vivere appieno. Quello che noi abbiamo svenduto.
 © Daniela Tuscano

1.11.25

L’amore di un padre. il caso Massimiliano Masia, il padre di Omar, il giovane scomparso lo scorso weekend nel tragico incidente lungo le strade galluresi.

2 g 

Massimiliano, vigile del fuoco che ha appreso della morte del figlio mentre si trovava sul posto per i soccorsi, ha lanciato a tutti una grande lezione di vita.E parlando di Enrico l’amico di Omar che era alla guida della bmw precipata nel ponte di #Baldu ha detto: «Enrico era l’amico di Omar, era un fratello per lui. Non c’è nessun rancore, nessun risentimento. È successa una tragedia. Ho saputo che da ieri stanno circolando notizie e parole sui social che devo smentire. Noi non ci costituiremo parte civile contro l’amico di Omar. È privo di fondamento. Non solo non ci costituiremo in un eventuale processo, ma non
faremo nulla contro Enrico»: Massimiliano che si è recato a #Calangianus, nella casa di Enrico, ha poi aggiunto: «Sono andato a casa del ragazzo, lui era lì e abbiamo parlato. Per stargli vicino, questo è quello che è successo. Non ci sarà alcuna azione legale da parte nostra contro Enrico. Abbiamo nominato un legale, l’avvocato Nino Vargiu, che ci assiste per tutte gli adempimenti con la Procura». Commossa ma gratitudine verso i colleghi dei Vigili del fuoco: «Loro sono così, sento la vicinanza di tanti. Anche questo fa parte della nostra professione, essere solidali nelle difficoltà, con dignità. Indossiamo questa divisa con orgoglio”.Un padre immenso, che anche oggi nei funerali del figlio ha lanciato a tutti una grande lezione di vita 

Nudo e violenza: Salomè a Sassari vietata ai minori. È polemica e uno studente del liceo atzuni apre il dibattito su tale decisone . voi cosa ne pesate ?

Leggo  su la nuova sardegna del 1\11\2025 cher il teatro di Sassari vuole vietare ai minori la rappresentazione dell'opera lirica Salomè di Richard Strauss, ,ma uno studente del liceo musicale su la rubrica della nuova sardegna LaNuova@scuola apre il dibattito voi cosa ne pensante ? Vistom che si parla da più parti di avvicinare i giovani ai classici della lirica e della musica . Ecco  dal giornale   entrambe  le  campane    a  voi decidere  chi seguire  

Ora     ci si chiede  Perché la Salomè è vietata ai minori di 18 anni? Perché porre un limite di età alla visione di uno spettacolo artistico? 

A porre il quesito è Luca Foddai - Liceo musicale Azuni a Sassari che fa parte del progetto LaNuova@scuola.

«L’Ente Concerti “Marialisa De Carolis” recentemente ha deciso di vietare la visione della Salomè di Richard Strauss ai minori di 18 anni, il cui motivo risiede negli argomenti trattati e nella presenza di scene di nudo. Ciò mette in discussione il rapporto tra arte e censura, presumibilmente giustificato dalla protezione della “sensibilità” dei giovani, ma che va a ledere il diritto all’accesso alla cultura e all’espressione artistica. È realmente lecito escludere una parte di pubblico impedendo la riflessione su temi provocatori e forti? Chi decide cosa far vedere ai giovani? La Salomè è un’opera di Oscar Wilde musicata da Richard Strauss ed è considerata uno dei capolavori della tradizione operistica tedesca per la tensione drammatica che esplora profondamente la psicologia dei personaggi. Essa porta agli estremi tematiche come la sensualità, la moralità, il potere e la morte, suscitando emozioni forti con la capacità di sconvolgere gli spettatori e gli ascoltatori. Nel corso della storia umana, l’arte ha sempre avuto il ruolo di provocare e di mettere alla luce realtà scomode: essa non è nata per accontentare tutti, ma per affrontare il lato oscuro dell’umanità senza filtri. Purtroppo, la censura smussa questo aspetto, solitamente riducendo le opere a un semplice prodotto di consumo senza avere un reale valore espressivo alle spalle. Vietare ai minori di 18 anni Salomè per i motivi citati in precedenza rivela che si ha una persistente paura nel mostrare sensualità e intensità emotiva che essa può trasmettere nonostante essi siano strettamente legati alla trama del melodramma e siano essenziali per un risultato coerente ed efficace. Sono proprio quelli i momenti in cui si trasmette al pubblico la tensione tra il desiderio carnale e la tragedia che ne consegue. Inoltre, chi ha deciso di applicare la censura non ha tenuto conto della maturità intellettuale dei giovani, in quanto non è il nudo a generare scandalo, ma la paura di affrontare le tematiche della manipolazione e del conflitto tra potere e libertà individuale presenti nell’opera: evidentemente esse sono considerate un tabù per i ragazzi, e non un’occasione per riflettere su argomenti che non hanno età. La società contemporanea davanti a queste problematiche agisce con ipocrisia: se da una parte si chiede maggior libertà di espressione, dall’altra si applicano restrizioni che vanno a limitare le potenzialità di un'opera o il pubblico a cui è rivolto. Non si avrà mai un progresso culturale se si agisce in modo da non permettere un confronto aperto, e col passare del tempo, rischia di mettere il paraocchi alla società, disprezzando completamente ciò che non è conforme a dei canoni standard: d’altronde le più grandi opere artistiche sono sempre quelle che mettono in discussione il gusto e le idee delle masse. Davvero vogliamo che l’arte sia un linguaggio universale, aperto a tutti e che dia una visione totale del mondo? Dobbiamo lasciarla libera di fare il suo lavoro senza piegarla alle convenzioni, per permetterle sempre di stupire e destare meraviglia?»


anche le donne trans vengono molestate e gli aggressori se la cavano con poco per via del patteggiamento il caso di minerva uzzanu

legggi anche  
chi  è  Minerva  Uzzanu
chi è Minerva Uzzanu e la sua   testimonianza 


 da  la    nuova  sardegna    1\11\2025 



Sassari «È questo il messaggio che vogliamo mandare come società? Che ogni uomo che molesta una donna ha diritto al cartellino giallo finché non viene denunciato di nuovo?»: lo chiede Minerva Uzzau, 25 anni, ragazza transgender e attivista per i diritti di genere. Lo sfogo nasce da un’esperienza personale: più di un anno fa raccontava pubblicamente un episodio di molestie e insulti subiti a Porto Torres. Oggi racconta un epilogo che non avrebbe voluto: «Il mio aggressore se l’è cavata con un patteggiamento». Il ragazzo ha salutato il giudice dell’udienza preliminare patteggiando poco più di un anno di reclusione con pena sospesa e convertita in un percorso di recupero al Cam, il centro di ascolto maltrattanti. Un nulla di fatto, secondo Uzzau: «Caso figlio di un sistema che vuole mettere la toppa nella maniera più frettolosa possibile».
I fatti si riferiscono ad agosto 2024, dopo la festa del carnevale estivo, poco prima delle 4 del mattino, Minerva è seduta al tavolino esterno di un kebab col fratello e due amici. Da un’auto scendono quattro ragazzi e due si avvicinano a lei. Uno di questi gioca con i suoi capelli, poi la prendono tutti in giro, le vomitano addosso insulti transfobici: «Sei un maschio, sei un maschio».
Lei risponde a tono, allora uno torna indietro e le mette le mani addosso, le palpa il seno: «Le tette sono vere», urla agli amici. Lei reagisce e lo colpisce, i presenti evitano che la situazione degeneri. Ma uno dei ragazzi inizia a filmare Minerva con il cellulare mentre l’altro le si para di nuovo davanti e la prende in giro. In poco tempo finisce tutto. Alla lunga rimane la paura e la rabbia per una violenza di quel tipo. Minerva Uzzau, che proprio per le sue lotte da attivista e attraverso il racconto social della sua transizione è diventata una figura molto seguita nell’isola, sfrutta la cassa di risonanza di Instagram e denuncia l’accaduto.
Dalla bolla del web si finisce in aula di tribunale. Ma la risposta della giustizia, ammette, lascia l’amaro in bocca. «Il mio corpo è stato violato, violenza che ho denunciato alle autorità – racconta oggi in un altro post su Instagram –. L’udienza preliminare ha concluso il procedimento penale con il patteggiamento del mio aggressore. Un patteggiamento, in cui io come persona offesa non ho diritto di parola».
E poco dopo riflette: «Dov’è la voce delle nostre martiri? Di ogni donna che viene sistematicamente silenziata da accordi fra terze parti che non le coinvolgono minimamente?». Infine: «La sentenza di oggi non mi restituirà quella serata di agosto. Non mi restituirà i mesi di sofferenza e di insicurezza che questa vicenda mi ha causato. Non pulirà il mio corpo dalle macchie che le sue mani mi hanno lasciato». L’ultima parte del suo messaggio social è di reazione: «Non sarà questa sentenza a fermarmi».
A margine dei riflettori web, Minerva Uzzau a margine non nasconde il tono deluso da una sentenza che sembra appiattire le conseguenze di quanto accaduto. Però non arretra e ne approfitta per incoraggiare le donne «a continuare a denunciare» a prescindere da com’è andata nel suo caso. Assistita dall’avvocato Daniele Solinas, promette che agirà in sede civile per ottenere «almeno delle scuse formali». E «ci tengo che molte donne sappiano che le vittime di violenze in sede legale possono richiedere il patrocinio a spese dello Stato. Spesso la paura di affrontare delle spese spinge a rimanere zitte».

FILASTROCCA SEMISERIA PER HALLOWEEN di DANILA SELIS


concludo i  miei  post   di  guerriglia  contro culturale  su   HALLOWEN ED  OGNI  SANTI    riportando questo post  di 
 
Danila Selis
12 h 

Accogliendo l'invito del gruppo "la poesia si fa bella" di scrivere qualcosa per Halloween e/o per il ricordo dei cari, ho buttato giù una filastrocca non autobiografica.
FILASTROCCA SEMISERIA PER HALLOWEEN
Son nata brutta da fare paura
e, non avendo la controfigura,
vidi mamma, le mani nei capelli,
gridare: "tutti i bimbi sono belli"!
Tra loschi figuri
e orribili ragni,
con l'angoscia
tra capo e calcagni,
crebbi così, da spaventare
chi si trovava ad incontrare
quella bimba dagli occhi cerchiati,
come fantasmi allucinati...
Se domandavo
"dolcetto o scherzetto"
mi colpivano con il Folletto
e crescendo sempre più brutta
pensai di essere ormai alla frutta.
Soffrivo di svariate fobie,
di puzzolose aerofagie,
non curavo arte e cultura,
brutta com'ero da fare paura.
Indossavo bianche lenzuola
e, come zombie, me ne stavo da sola,
nel tentativo di mascherare
quell'aspetto che faceva cagare.
Un giorno, stanca della situazione,
presi un treno alla prima stazione,
portavo un corno di corallo
ed un gonnellino di sangallo.
Così conciata mi ritrovai ad un ballo
e mi sentivo ammirata... uno sballo!
Era una festa americana,
con gente mascherata tutta strana.
Tra zucche intagliate con gran cura
al fine di mettere paura, tornai felice a casa e, grande cosa,
mi sentii bella e fresca come rosa.
Sognai mia mamma quella notte,
con la tristezza lei faceva a botte.
Mi diede anche numeri vincenti:
"Non solo di bellezza siamo abbienti,
ma con qualche provvido soldino
sarà migliore il risveglio del mattino.
Ricorda, figlia, che ti ho sempre amata,
anche se bruttarella, mia adorata".
Specie nei momenti amari
sono un grande tesoro i vostri cari".

CARO REDBEPPEULISSE NON E' A QUASI 50 ANNI SEI TROPPO GRANDE PER IL GRANDE COCOMERO OPS HALLOWEN .....

 


come     da titolo ironico    oggi   rispondo  ad  un email  inviatami  da  un lettore  per  i miie  post  su    su  halloween

 ****
redbeppe@gmail.com

Ciao 
  ti  ho  scoperto  sui social e  quindi   anche la  tua  appendice  blogger  . E  proprio leggendo alcuni  post   mi  sono accorto che nostante  sia  un mio coetaneo [ qui   si  riferisce alle  attività  fatta appunto per  hallowen  lo  scorso anno  con la  classe 76  per  la  festa  di settembre   vedere archivio ]    tu  di febbraio  io  di marzo )  e come me  vicino ai 50,sei infervorato e prepari  (per il pagano hallowen  non capisco ma  in alcuni post hai  dimostrato   d'essere   una persona religiosa  e di fede  .  ......
  antonello *

* nome  di  fantasia per  richiesta  dell'interessato 


Ecco come si celebra oggi, con quali nuove tradizioni e quali piatti portare in tavola. L’eco celtica di Halloween (Samhain)  cioè quella americana    introdotta  a partire dalla  fine degli anni  80\90  si è innestata in Italia su un tessuto forte di riti familiari e comunitari  soprattutto nel sud  in una celebrazione moderna di divertimento, creatività e comunità. Che si decide di festeggiare in grande stile o in modo più sobrio ( cosa  rara  in quanto generalmente  esso è  un rituale   conformistico  ) , l’importante è creare ricordi felici con i figli e insegnare loro il valore della tradizione, del rispetto e della condivisione  . Infatti  Halloween o meglio  -- cosi  lo  distinguiamo dall'americata --  i riti   pagani o semipagani offono  anche  un’opportunità unica per esplorare la fantasia, 




affrontare le paure in modo giocoso e rafforzare i legami familiari e comunitari. Può essere un momento per incoraggiare la


 quadro ad olio ispirato dal cartone e dal fumetto dal medesimo titolo "Trick or Treat", del 1952.

creatività dei bambini attraverso la realizzazione di costumi e decorazioni, per insegnare loro l’importanza della generosità nel condividere dolci e regali, e per esplorare insieme storie e leggende di diverse culture. 

Il vero spirito di Halloween risiede nel divertimento condiviso e nell’unione della comunità. Che si scelga di partecipare alle tradizioni più tipiche come il trick-or-treat o di creare tradizioni familiari uniche, l’essenziale è vivere questa festa con gioia e consapevolezza, trasmettendo ai figli valori positivi e creando momenti speciali che ricorderanno con affetto negli anni a venire.  Ma  veniamo  alla    tua definizione     di demoniaco  . Halloween ha radici cristiane, ma anche pagane: il suo nome deriva da “All Hallows’ Eve”, cioè la vigilia di Ognissanti. Tuttavia, molti cristiani (  e  papagalli     coloro  che hqanno amndato il cervello all'ammasso \  in cassa integrazione   e  ripetono quelo  chge  dice  la propaganda  )oggi la rifiutano per le sue connotazioni moderne legate all’occulto.Ecco una panoramica del rapporto tra Halloween e il cristianesimo mista  di ricordi e ricerchè fastte  in rete  : sul🎃 Origini cristiane del nome. 
Quello   che  , SIC ,   chiamo     comunemente  Halloween è la forma contratta di “All Hallows’ Eve”, ovvero la vigilia di Ognissanti, che si celebra il 1° novembre.Come molte festività cristiane, anche questa vigilia era considerata un momento sacro di preparazione spirituale.Secondo  altri  però  sarebbe  solo una   festa  dalle 🕯️ Influenze pagane . Le radici storiche di Halloween  quello   reimportato in  italia negli anni80\90   risalgono alla festa celtica di Samhain, che segnava la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno.In realtà  tasli festività  in europa  hanno radici  ben  pià profonde   fra pagane   e  cristiane    soprattutto    forma  di religione  \ devozione  popolare  . Infatti  si  è  sempre  creduto   , ricordo ancora  mia  nonna  (  religiossima   e  ulttra credente  un cattolicesimo pre  concili  vaticano II )     che  la  notte   fra i  del  31  apparecchiava  dopo cena  la tavola  imbandita  per  i morti  e  preparava   dolcetti  o offerte  (  mele  granate , noci   )  da  dare  a  bambini  che    venivano a fare , quello che  noi oggi  chiamiamo dolcetto o scherzetto .In questa notte si credeva che il confine tra vivi e morti si assottigliasse, permettendo agli spiriti di tornare sulla Terra.Con l’avvento del cristianesimo, molte di queste usanze furono assorbite e reinterpretate alla luce della fede. Però prevale  l'aspetto commerciale \  mercificato del H.  Americano  . Infatti alcuni cristiani , sia cattolici che protestanti, non partecipano a Halloween  (    anche  se    sono  di  parere opposto   il  capisco e  li rispetto )  perché la considerano troppo legata all’occulto, alla morte e a simboli inquietanti. Ritengono che la festa contrasti con il significato spirituale di Ognissanti e della Commemorazione dei Defunti (2 novembre), che celebrano la vita eterna e la speranza cristiana.Infatti  alcuni gruppi  parrochiali   e  genitori   che  non lo festeggiano   propongono delle🌟 Alternative cristiane: Holyween .In risposta a Halloween, alcune comunità cristiane propongono “Holyween”, una celebrazione alternativa che esalta la santità e la luce, con processioni, preghiere e travestimenti da santi trasformandolo in un’occasione di testimonianza cristiana.Mentre per  alcuni cristiani  ( veri  o  ipocriciti  \  opporrtunisti  )  la rifiutanoo a prioristicamente  o  per le sue derive moderne, altri cercano di reinterpretarla alla luce della fede, trasformandola in un momento di riflessione e memoria. Altriancora  l'accettano come  normalità  . Il ilmio  obiettivo  è  qiuello di ivo è recuperare il significato spirituale ed  antropologico  del 31 ottobre .lascian  liberi  di festeggiarlo   siua  alla prima maniera     che alla seconda  , di  non  festeggiarlo . Senza  etichette  e criminalizzazione   da  una  parte  e della  'altra . 

   In sintesi, Halloween è  oltre  la  mercificazione    anche   una festa complessa, nata dall’intreccio tra tradizioni celtiche e cristiane.




Pietro Sedda il designer, artista e tatuatore di fama mondiale racconta i suoi nuovi progetti

   dopo a  morte    di  Maurizio Fercioni ( foto   sotto  a  centro ) , fondatore del Teatro Parenti a Milano e primo tatuatore d’Italia Gia...